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SECONDA SERIE

AVVERTENZA

l. Questo volume, secondo della serie II, abbraccia il periodo compreso fra il l<> gennaio e il 30 giugno 1871, vigilia del trasferimento della Capitale a Roma. Per un lato esso prosegue la documentazione dei problemi già messi in luce nel precedente volume, quali la questione romana, la guerra franco-prussiana, l'ascesa di un Savoia al trono di Spagna; dall'altro esso illustra problemi nuovi come la Conferenza di Londra per il regime degli Stretti e la controversia con il Bey di Tunisi.

2. Il volume è fondato sulla documentazione conservata nell'Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri e precisamente sulle serie seguenti:

I. Gabinetto e Segretariato Generale:

a) corrispondenza telegrafica, registro telegrammi in arrivo (25 ottobre 1870-31 luglio 1871); registro telegrammi in partenza (2 settembre 186910 ottobre 1872).

b) quattro buste relative al Concilio Ecumenico, busta l, fascicoli 4 e 6 (lettere particolari di Emerico Tkalac da Roma, lettere del Conte Ladislao Kulczycki al Ministro degli Esteri);

c) una busta contenente carte Launay, fase. 2 (rapporti particolari e confidenziali); d) tre buste contenenti carte riguardanti c affari d'Africa in genere •, busta 2.

II. Divisione c Politica • :

a) registri copialettere in partenza: Austria; Belgio; Egitto; Francia; Inghilterra; Prussia; Russia; Turchia.

b) rapporti in arrivo: Austria; Baden; Baviera; Belgio; Francia; Inghilterra; Paesi Bassi; Portogallo; Prussia; Romania; Russia; Spagna; Svizzera; Tunisia; Turchia.

III. Pratiche diverse trattate dalla Divisione c Politica • : a) tre buste di miscellanea, busta 3, fase. 5 (circolari varie 1867-78).

IV. L'archivio della Legazione di Londra è stato utile per controllare i passi mancanti o di lettura incerta nonchè le date di trasmissione e di arrivo degli analoghi telegrammi conservati nei registri della Corrispondenza telegrafica.

IX

3. -Altri Archivi, sopratutto privati, hanno fornito un importante contributo per la compilazione del volume: l'Archivio Visconti Venosta, conservato a Santena; le Carte Minghetti, conservate presso la Biblioteca Comunale di Bologna; le Carte Eredità Nigra, conservate presso l'Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri; le copie delle carte Artom, conservate presso la Commissione Documenti Diplomatici. 4. -Per le ricerche e il coordinamento dei documenti ho avuto la preziosa collaborazione del Prof. Francesco Bacino, esperto per la documentazione diplomatica, a cui va il mio particolare ringraziamento. Con lui desidero ringraziare le Dott. Emma !annetti e Emma Ghisalberti per la compilazione dell'apparato critico.

ANGELO TAMBORRA


DOCUMENTI
1

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

D. CONFIDENZIALE 6,S, Firenze, l gennaio 1871.

Jeri, il Ministro di ':'urchia mi ha comunicato il senso delle istruzioni che la Sublime Porta ha date al suo plenipotenziario presso la Conferenza di Londra. Sostanzialmente, la Turchia si limiterà a chiedere che le votenze riunite in Conferenza 'abbiano a riconoscere in lei il diritto esclusivo ed assoluto di aprire e chiudere a sua posta gli stretti del Mar Nero alle navi da guerra estere. Rimanendo fermo il principio della chiusura degli stretti, come situazione normale, la Sublime Porta desidererebbe qual contrappeso alla facoltà che verrebbe riconosciuta alla Russia di costruire e mantenere una flotta nel Mar Nero, potere dal canto suo dar libero accesso, allorchè lo credesse opportuno, negli stretti e nel Mar Nero stesso ad una o più navi da guerra di qualsiasi altra potenza. Questa comunicazione, confermatami anche da notizie pervenutemi direttamente da Costantinopoli, sarà stata fatta probabilmente da code:>to Ambasciatore Ottomano anche al Conte di Granville. Ella potrà dunque parlare a S. S. in modo confidenziale, dicendole che la domanda della Turchia ci sembra ispirata da sentimenti di equità e di moderazione molto lodevoli. Da principio la Sublime Porta avea desiderato che per confermare validamente quelle clausole del Trattato del 1856, che sono destinate a rimanere inalterate, tutte le Potenze firmassero il patto segreto del 1856, in forza del quale l'Inghilterra la Francia e l'Austria aveano contratto la speciale obbligazione di considerare come un casus belli qualunque infrazione del tratt&.to generale del 30 Marzo. Non fu ,però mai intenzione del Governo Ottomano di fare di questa sua prima domanda una condizione sine qua non dell'accet1tazione per parte sua della revisione dei capitoli concernenti la neutralizzazione del Mar Nero; anzi, stando alle ultime informazioni avute, sembra che la mozione intesa a rendere per tutti obbligatorio il protocollo del 15 aprile 1856, non debba più essere introdotta innanzi alla Conferenza.

Sir A. Paget mi ha confermato dal canto suo, e per ordine del Governo, che questi si propone di entrare nella Conferenza senza essersi fermato preventivamente ad alcun partito. La Gran Bretagna, mi diss'egli, opina, che se una modificazione alle disposizioni del Trattato del 1856 sarà ammessa dalle Potenze, il Sovrano dovrà riacquistare, colla pienezza dei suoi diritti di sovranità, anche la :fucoltà di aprire e di chiudere a sua posta gli stretti alle navi da guerra straniere. Sir A. Paget era inoltre incaricato di dirmi che, per ciò che si riferiva alla conferma delle altre stipulazioni del trattato, e, particolarmente, dell'articolo IX, il Gabinetto di Londra desidera, anzitutto di rpresentire] l'opinione del

1 -Documenti diplomatici -Serie Il -Vol. II

Governo Ottomano, riservandosi poscia di prendere una risoluzione. L'inviato britannico mi ha rinnovato in questa occasione l'espressione del desiderio del suo Governo di procedere nella conferenza in perfetto, e cordiale accordo col Governo italiano. Ed io, ringraziandolo, gli diedi atto delle fattemi comunicazioni.

2

IL MINISTRO A BORDEAUX, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3379. Bordeaux, l gennaio 1871, ore... (per. ore 11,30).

M. De Chaudordy m'a dit aujourd'hui que son Gouvernement a l'intention d'accréditer à Florence M. Rothan camme envoyé extraordinaire et ministre plénipotentiaire. n désire savoir si le Gouvernement du Roi le trouve agréable et s'il est disposé à le recevoir avec des luttres de créance pour le Roi .signées par tous les membres du Gouvernement non assiégés camme on a fait pour les ministres français à Berne et à Washington. Puisque nous n'avons pu rien faire pour la France, je vous engage à lui donner ce témoignage de bon procédé. Ici on y ,sera très sensibles et cela fera bon effet. En attendant les lettres M. Rothan doit prendre de suite, si vous l'agréez, la direction de la légation. Je vous prie de me répondre au plutòt sur le sujet de ce télégramme.

3

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

T. 1525. Firenze, 2 gennaio 1871, ore 20,10.

J'ai prié aujourd'hui le ministre d'Angleterre de sonder les dispositions de lord Granville sur l'opporJtunité de profiter des réunions de la .conférence pour exprimer au nom de l'Europe des vreux formels pour un armistice ou la paix entre la Prusse et la France. II est vrai que la Prusse a préalablement déclaré que son représentant se retirerait si la conférence se mélait de cette question: mais il me parait moralement impossible que l'Europe réunie, dans des circonstances aussi regrettables, n'exprime pas, au moins au point de vue humanitaire, son vif désir de Ia cessation de la guerre. Il est d'ailleurs à prévo-ir que M. Favre, si on ne lui donne pas d'espoir, .fera avorter dès les premières séances Ies tvavaux de la conférence. Pour l'en empecher, il conviendrait que dès à présent il put compter sur un effort commun qui pourrait se produire dans la dernière séance. Nous croyons que l'honneur de l'initiative doit etre réservé à lord Granville. Il pourrait, camme l'a fait le comte Walewsky en 185,6 en faveur de l'Italie, fair·e, dans la séance de clòture des conférences, une motion en faveur de la paix, à laquelle s'associeront, avec l'Italie, l'Autriche, et, peut-etre, la Russie. Veuillez causer de cela .confidentiellement avec lord Granville, et répondez par télégraphe. Gardez avec vos collègues un secret absolu.

4

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3385/36. Londra, 2 gennaio 1871, ore 19,30 (per. ore 9 del 3).

Le comte Granville est revenu aujourd'hui à Londres. Je lui ai annoncé la reception imminente de mes pleins pouvoirs et des instructions et je lui ai communiqué la demande de la Turquie en compensation des concessions qu'on ferait à la Russie. J'ai ajouté que vous la trouviez modérée et équitable. Il en a aussitòt convenu et il croit qu'elle soit acceptable par la Russie. ConfidentieUement il a ajouté pourtant qu'elle n'avait pas une portée pratique telle à pouvoir la juger comme équivalent, car en temps de guerre la Turquie a déjà la faculté d'ouvrir les détroits. Cela a été dit par lui comme observation et non pas comme objedion à opposer; il ne s'en est pas déc:laré d'avantage ajoutant que l'ambassadeur de Turquie attend encore de recevoir et connaìtre ses instructions. On en est encore à dis·cuter avec la Russie le texte de la déclaration de la première séance. Granville avait dernièrement proposé de dire que les puissances déclareraient qu'aucun signataire pouvait se délier d'une stipulation sans en faire la demande aux contractants lesquels n'y adhérant pas auraient maintenu la Stl· pulation. Cette rédaction a été red'usée par la Russie. Une dernière rédaction porte qu'aucun signataire ne pouvait etre délié que par l'assentiment des autres. On attend la réponse de Pétersbourg sur cette dernière rédaction laquelle parait meilleure, car la question soulevée par la Russie a été purement de droit et le mot maintenir indique aussi le fait comme garantie du droit. Interpellé par Granville j'ai d~t ne pas pouvoir répondre officiellement, mais j'ai exprimé personnellement l'opinion, que cela me parait plus juste et ph.1s convenable et d'autant plus pour qui veut faire ... (l) conciliant. Lord Granville est d'accord sur le désir que la France vous a exprimé. Il pense que Favre arrivera pour la première réunion qui n'est pas encore fixée, .particulièrement pour égard à la France.

5

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 33H6. Vienna, 2 gennaio 1871, ore 21 (per. ore 10 del 3)

Le ·chanc·elier de l'empire m'a montré un télégramme de Kubeck qui dit que S. M. le Roi lui a exprimé ses meilleurs vreux de voir toujours marcher d'accord l'Autriche et l'ltalie, ainsi que sa satisfaction pour son voyage t. Rome.

S. M. aurait ajouté qu'elle ne croit pas que la Russie acceptera l'éiablissement d'une station navale à son exclusion. M. de Beust ne partage pas ces doutes quoiqu'il m'ait prié de signaler à V. E. les cajoleries de la Russie vis à vis de la France. J'ai lu une lettre du prince de Metternich conçue dans le meme sens. Andrassy n'étant pas encore arrivé, !es divergences entre les deux Cabinet>s cisìleitanien et h{)ngrois au sujet du Danube continuent.

(l) Gruppo indecifrato.

6

IL MINISTRO A BRUXELLES, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 298. Bruxelles, 3 gennaio 1871 (per. il 7).

Depuis que le Roi, Notre Auguste Souverain, est allé à Rome, et meme déjà quelques jours auparavant, à la simple annonce de Sa prochaine arrivée, les feuilles cléricales ont fait de nouveau courir le bruit du départ très probable de Sa Sainteté qui se rendrait soit à Malte, soit à Cologne, soit enfin en Belgique. Le choix de Cologne s'expliquerait, dit-on, par l'assurance qu'aurait donnée le Roi de Prusse au Pape d'intervenir plus tard en sa faveur si Sa Sainteté, par son influence préponderante sur le Clergé, facilitait auprès des populations de l'Alsace et de la Lorraine l'annexion de ces deux provinces à l'Allemagne. En ce qui concerne Malte, le Ministre d'Angleterre m'a dit que sans faire de proposition formelle, le Gouvernement Anglais avait cependant donné à entendre au Pape que cet asile Lui serait toujours ouvert; mais qu'aucune réponse n'avait été faite à cette insinuation. Quant à la Belgique, le Gouvernement continue à dire qu'il ne sait absolument rien d'un pareil projet, et que, bien au contraire, son Représentant à Rome atfirme, comme par le passé, qu~ le Saint Père est toujours resolu à ne pas quitter le Vatican.

7

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 474/179. Londra, 3 gennaio 1871 (per. il 9).

Con mio telegramma del 27 dicembre p. p. (l) ebbi a significarL·e che già da 3ei giorni il Signor Conte Granville era assente da Londra ond'Ella conoscesse il motivo pel quale da una settimana non aveva potuto farle alcuna comunica:done, e Le diceva inoltre che gli Ambasciatori d'Austria e della Germania del

Nord avevano ricevuto i pieni poteri e le istruzioni dei loro Governi rispettivi per la Conferenza. Soggiungeva che m'era noto che il Signor Conte Apponyi aveva l'ordine di tenersi in accordo coi Plenipotenziari dell'Inghilterra, dell'Italia e della Sublime Porta e ch'io stava attendendo le di Lei istruzioni che mi erano necessarie anche per entrare in discorso coi Plenipotenziari miei col

leghi. Le significava pure che sapeva di buona fonte che probabilmente per pa•rte della Turchia sarebbesi fatta una mozione diretta allo scopo che la Prussia e l'Italia accedessero al Trattato di garanzia per la Turchia del 15 aprile 1856; ma che sapeva peranco ·che la Prussia non aveva intenzione di accedervi.

Io la pregava di prendere in considerazione questo soggetto e mi permetteva di esprimerLe la mia personale opinione che l'Inghilterra al presente non stipulerebbe quel TraUato se esso non esistesse. Per ultimo Le diceva ch'era a mia cognizione ·che anche il Signor Conte Bernstorff avrebbe fatto un discorso all'apertura della Conferenza ed essere a mia notizia ·che il Signor Giulio Favre rappresenterebbe la Francia alla Conferenza.

Con altro mio telegramma del 31 dicembre p. p. (l) Le ho significato quanto segue:

Il Signor Conte Granville venuto momentaneamente a Londra nel precedente giorno essendosi recato alla mia casa ed essendomi trattenuto con lui, non mi parve disposto ad esprimere le sue opinioni sul merito degli affari da trattarsi prima che la Conferenza fosse aperta. Io ebbi dal medesimo la conferma dell'intenzioni della Sublime Porta di fare una mozione per l'ammissione della Prussia e dell'Italia al Trattato a tre del 15 aprile 1856, e che la Prussia non era disposta ad aderirvi. Il Conte Granville mi lesse una nuova redazione della dichiarazione che dovrà fare il ·soggetto d'un Protocollo da firmarsi nella prima riunione della Conferenza, nella quale nuova redazione sarebbe constatata la necessità del concorso di tutti i firmatari di un Trattato e del loro assenso pe·r recarvi delle mutazioni. Egli prima di lasciare nuovamente Londra ne avrebbe conferito col Signor Barone di Brunnow il quale speravasi avrebbe accettato la detta redazione.

Collo stesso telegramma Le ho inoltre date le seguenti informazioni. Erano a mia notizia parecchie cose riflettenti le istruzioni date dall'Austria al Signor Conte Apponyi. Egli doveva aderire alla mozione dell'accessione della Prussia e dell'Italia al paitto ,predetto del 15 Aprile 1856, ma colla condizione che ambedue quei Governi vi accedessero. Egli non doveva sollevare questi{)ni relative al Danubio, ma, ove fossero da altri sollevate, doveva prendervi parte per difendere i principi sanciti nel Trattato del 30 Marzo 1856. Doveva consentire all'intervento nella Conferenza del Rappresentante del Governo della Di<fesa Nazionale in Francia. Eragli imposto di dare molta attenzione ed importanza alle proposte del Governo turco. Aveva pure ordine di esigere che nella dichiarazione da farsi nella prima riunione della Conferenza, e che doveva fare il soggetto d'un apposito protocollo, <fosse espressamente constatato che l'assenso di tutte le Potenze firmatarie di un Trattato era necessario per potere recare mutazioni al Trattato stesso ed ai suoi effetti.

Pareva poi che la notizia sparsa dai giornali relativa ad una dichiarazione del Principe di Romania, la quale avrebbe potuto portare nella Conferenza la questione rumena, non si confermasse.

Il giorno successivo a quello in cui il Signor Conte Granville aveva lasciato Londra, ed imminentemente prima di spedirle il telegramma ora riferito, erami pervenuta una di lui let1tera particolare nella quale mi significava che il Signor Conte di Bismark aveva fatto sapere al Signor Giulio Favre col mezzo del Signor Washburne, Ministro degli Stati Uniti d'America che egli, in seguito a domanda che se ne facesse ai Quartieri generali a Versailles, sarebbe fornito di un salvacondotto 1per attraversare le linee Tedesche, onde recarsi a Londra; ma che era dubbio in allora s'egli avrebbe potuto valersi di quest'Informazione per trovarsi in Londra il 3 di Gennaio.

Il Signor Conte Granville soggiungeva che sembrando che piene informazioni non fossero ancora state mandate a tutti i Plenipotenziari, esso si trovava riluttanteme!:lte obbligato a procrastinare la prima riunione della Conferenza di alcuni giorni; ma che confidava che, abbreviando l'intervallo fra la prima riunione e le successive, si sarebbe potuto evitare una dilazione di qualche importanza.

Avend'io poi conferito col Signor Tissot, Incaricato d'Affari della Francia, egli pure mi aveva espresso il medesimo dubbio.

Le diceva per ultimo in codesto telegramma che il Signor Conte Granville npn sarebbe rientrato in Londra che il giorno 2 Gennaio pel qual giorno mi era assicurato di trovarlo al Foreign Office.

Ebbi ieri mattina l'onore di ricevere il di Lei telegramma della sera dell'l corrente (1). Ella m'informava che nel precedente giorno 31 dicembre il Ministro della Sublime Porta Le aveva comunicato le istruzioni da essa date al suo Rappresentante alla Conferenza. Sostanzialmente la Turchia in compenso delle domande della Russia si limitava a domandare la facoltà di accordare, quand'essa lo credes·se opportuno, il passaggio per gli Stret•ti de' Dardanelli e del Bosforo ai bastimenti di guerra in favore di alcune delle Potenze firmatarie del Trattato.

Quest·a comunicazione Ella soggiungeva essere confidenziale; non dubitare però Ella che fosse stata pur fatta a Lord Granville, epperò mi autorizzava a conferirne col medesimo. Codesta domanda della Turchia Le pareva equa ed Ella credeva che fosse per incontrare per parte della Russia un accoglimento più favorevole delle proposizioni dell'Austria di cui avrei ricevuto comunicazione nelle mie istruzioni. Ciò non pertanto mi ordinava di aspettare che mi giungesse il di Lei dispaccio prima di parlarne a' miei colleghi, esprimendo però il desiderio di essere tosto informata con telegramma dell'avviso del Gabinetto inglese.

Per ultimo V. E. m'informava che il Governo Francese aveva fatto pregare

il Governo Italiano di far·e domande a Londra al fine che la Conferenza, do.po

essersi costituita, aspettasse l'arrivo del Plenipotenziario Francese prima di

entrare nella d~scussione e m'incaricava di parlare in questo senso a Lord Granville, se pure ciò fosse ancora necessario dopo che la prima riunione era già stata ritardata.

Essendo ieri appunto rientrato in Londra il Signor Conte Granville, ebbi l'onore, secondo l'intelligenza in prima presa con lui, di rendergli una visita, e ieri sera con mio telegramma (l) ho informato V. E. della sostanza di questa mia conversazione.

A conferma di ·codesto telegramma ho l'onore di riferirle quanto segue: Ho annunziato, a seconda del predetto di Lei telegramma, al Signor Conte Granville l'imminente arrivo a Londra de' miei pieni poteri e delle mie istruzioni, ed ho parimenti comunicato a S. S. la domanda che farebbe la Turchia in compenso delle concessioni che si farebbero alla Russia, ed ho soggiunto che

V. E. la trovava equa e moderata.

S. S. mi espresse lo stesso avviso e crede che la Russia la accetterebbe. Il Signor Conte soggiunse confidenzialmente che gli effetti pratici di questa proposta non erano però siffattamente corrispondenti al concetto teorico della medesima ch'essa potesse essere veramente considerata come un equivalente delle concessioni che si sarebbero fatte alla Russia. Avend'io pregato S. S. di sviluppare questa sua opinione, essa mi disse che, in generale, si riconos·ceva che il vincolo ch'era stato imposto alla Russia col Trattato del 30 Marzo 1,856 mediante le stipulazioni riguardanti la neutralità del Mar Nero era di quelli che si può prevedere che una grande Potenza non si adatti a sopportare per lungo tempo. Però l'efficacia di ·quelle stipulazioni allo scopo che le Potenze si erano proposto era assai grande e tale che evidentemente si appalesava da se. A petto di ciò ·era da ritenersi che già vige il diritto della Turchia di aprire gli Stretti alle navi da ·guerra delle altre Potenze in tempo di guerra e che conseguentemente l'attuale propos1ta della Sublime Porta aveva il limitato effetto di estendere questa facoltà anche allo stato di pace. Debbo soggiungere che queste osservazioni non mi furono fatte dal Signor Conte a modo di opposizione; ma solo in forma di semplice osservazione e di apprezzamento. Del resto il Signor Conte non ha aperto maggiormenrte il suo !pensiero e soggiunse che l'Ambasciatore di Turchia stava ancora aspettando specifiche istruzioni.

Per avventura il soggetto potrebbe essere considerato da un altro punto di vista e con altre relazioni che mi permetto appena d'indicare.

L'arbitrio della Porta di permettere ad alcune Potenze e di non permettere ad altre il passaggio de' Dardanelli avrà ·egli sempre gli stessi effetti in tempo di pace come in tempo di guerra, anche dal punto di vista degli interessi delle Potenze firmatarie?

Lo stato politico generale, gli interessi particolari di qualche Potenza, le intelligenze (anche solo temporanee) che possono farsi fra due Potenze o più, lo stato militare, il bisogno di protezione commerciale potendo essere dive11si in tempi diversi, da questa diversità non potrebbe essere originata anche una diversità notevole negli effetti della nuova facoltà relativa al tempo di pace messa in arbitrio della Porta?

L'ammissione e l'esclusione facoltativa alla Porta del passaggio per gli Stretti in tempo di pace non potrà dar luogo a influenze, a complicazioni, od a difficoltà di nuovo genere, anche fra le Potenze firmatarie del Trattato?

V. E. giudicherà se questi punti meritino qualche considerazione e, nel caso affermativo, come dovrebb€ro essere risolti.

Nella conversazione stessa col Signor Conte mi è risultato ch"egli non aveva ancora potuto ottenere un accordo per la redazione della dichiarazione a farsi nella prima riunione della Conferenza onde constatare che le Potenze vi erano entrate senza che la quistione avesse potuto ritenersi in verun modo pregiudicata, la qual dichiarazione dovrebbe fare il soggetto di un Protocollo speciale da ,firmarsi nella prima riunione. La prima redazione esprimeva solo il concetto che una Potenza per slegarsi da un obbligo contratto con un Trattato doveva farne la domanda alle altre Potenze firmatarie e questa redazione era stata accettata a Pietroburgo. Una seconda redazione esprimeva inoltre che le Potenze erano decise a mantenere il prtncipio della necessità del concorso di tutte le Potenze per sciogliere dagli obblighi di un Trattato; questa redazione non fu accettata dalla Russia. Una terza ed ultima redazione esprimeva il concetto della necessità dell'assenso delle Potenze firmatarie perchè vi fosse scioglimento dall'obbligo nascente da un Trattato. Egli è su quest'ultima redazione ,comunicata a Pietroburgo che si attende di là la deliberazione del Governo Imperiale.

Il Signor Conte Granville mi interpellò quale fra le due ultime redazioni sovra indicate mi paresse più conveniente. Dissi a S. S. che io non poteva rispondere a nome di V. E., poichè le mie istruzioni non si aggiravano sui termini precisi della formola da adottarsi, ma indicavano solo il concetto che la Conferenza si radunava senza che alcuna quistione relativa al Trattato potesse riputarsi in alcuna maniera pregiudicata e che una sola Potenza non se ne poteva s·ciogliere unilateralmente. Soggiunsi che se doveva esprimere la mia personale opinione essa era che l'ultima formola fosse la più conveniente ed opportuna. Difatto affermare che l'assenso di tutti i contraenti era necessario per sciogliere da un Trattato uno dei contraenti, era mettere precisamente e letteralmente in salvo il principio al quale le Potenze credevano necessario di dare un'esplicita consacrazione. Parermi poi che la seconda redazione andasse oltre il ·sogget1to, poichè la frase « che le Potenze erano decise a mantenere » riguardava non solo il diritto, ma anche il fatto del mantenere, il quale sarebbe guarentia del diritto. Soggiungerò che quest'opinione mi parrebbe anche più confacente e conveniente a chi voglia fare una parte conciliante.

Per ultimo S. S. si mostrò consenziente nel desiderio di V. E. espresso a riguardo dell'intervento deJla Francia alla Conferenza. Essa ·Cred.: che il Signor Giulio Favre giungerà a Londra in tempo per la prima riunione della Conferenza, la .quale non fu fissata in vista appunto di ciò, ed anche per evitare il pericolo di doverla prorogare una seconda volta stabilendo un giorno troppo vicino, o di perdere del tempo fissando un giorno la cui lontananza risultasse .poi avere ecceduto i termini della necessità.

(l) Cfr. serie Il, vol. I, n. 760.

(l) Non pubblicato.

(l) Con esso V. E. mi ha significato che un corriere di Gabinetto era partito da Firenze la sera del giorno 30 dicembre p. p. per Londra per la via del Brennero portatore dei pieni poteri e delle istruzioni per la conferenza a me dirette. [Nota del documento].

(l) Cfr. n. 4.

8

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 191. Tunisi, 3 gennaio 1871 (per. l'8).

Nel memoriale di ·codesta Società anonima Commerciale, Industriale ed Agricola per la Tunisia tra.smessomi da V. E. dimandandosi tra le altre cose il rinvio del Governatore moro dal podere la Gedeida condotto da essa Società, il Dkettore signor Guglielmo Castelnovo lo congedò in tutta forma con una sua lettera; egli però non se ne diede per inteso, e continuò ad occupare un locale che importava di avere prontamente per alloggiarvi dei coltivatori europei.

Siccome si era nelle feste del Bayram ed il Colonnello se ne stava in Tunisi, il signor Castelnovo si servì dell'opera di due Notaj per inventarizzare la poca mobilia di una camera aperta e trasportarla in un'altra ove furono apposti i sigilli. Questa misura, sebbene richiesta dalle circostanze, e per nulla di danno al Governatore, indispettì il Bey, il quale non potendo prendersela col rappresentante della Società avreqbe mandato il Basch-Amba, ossia Ca.po della Gendarmeria con una cinquantina di cavalieri ad arrestare i Notaj suddetti ed un agricoltore indigeno ·che avea loro prestato la mano.

Sul rapporto che n'ebbi dal signor Castelnovo fui senza perdita di tempo a vedere il Bey, e senza entrare per ora nella questione delicatissima di giurisdizione, gli dimandai spiegazioni del fatto, e particolarmente dei motivi che avevano determinato un apparato così straordinario della forza. S. A. mi rispose, e devo aggiungere colla miglior grazia del mondo:

« Io desiderava appunto parlarvi di quest'incidente, ed anzi tutto dovete sapere che la Gedeida non è un'Enscir (podere) come tanti altri posseduti e coltivati dagl'italiani, havvi un villaggio da cui prende il nome, ed è la residenza di un Wekil (Governatore delegato), che questo poi non sia pagato dal signor Castelnovo, è giustissimo, com'è del pari giusto ch'ei non occupi un locale appartenente all'Enscir, per cui sin da questo momento mando degli ordini perchè abbia tosto ad essere evacuato. Gl'individui arrestati sono de' miei sudditi, e spero che non me ne .si vorrà contestare l'autorità e il diritto; essi violarono le leggi e gli usi del paese col prestarsi ad atti che non potevano compiere senza avere previamente ottenuta l'autorizzazione supe·riore. In quanto al modo con cui furono praticati questi arresti il signor Castelnovo potrà dirvi che p·rima fu chiesta direttamente a lui da una sola guardia la consegna di quest'individui, e che si fu dietro il suo rifiuto che mi viddi costretto di ricorrere ad altri mezzi ».

Nulla potendo opporre con fondamento a queste osservazioni del Bey, ne presi tuttavia argomento a rilevare 1a convenienza di venire a temperamenti che senza punto ledere le sue prerogative Sovrane che quant'altri mai intendevamo rispettare, garantissero meglio le -operazioni agricole degl'italiani; ma

S. A. soggiunsemi che «i Tispettivi diritti erano stati regolati dal Trattato da cui non intendeva punto staccarsi, che ben lungi dall'avversare lo sviluppo dell'agricultura preso dagl'italiani, lo vedeva di buon'occhio e preferibilmente da altre nazionalità, anzi mi assicurava essere .più di mai disposto ad usarci ogni possibile riguardo, e ciò dicendo mi ricordava come poco tempo addietro avea chiesto il mio intervento per arrestare un moro accusato di omicidio che credevasi rifugiato nella capanna di un Enscir affittato e coltivato da italiani».

Avendo luogo d'altra parte a supporre che il linguaggio tenutomi dal Bey era stato nell'insieme combinato prima tra il Khasnadar e l'uno de' miei Collegh'i, il quale più geloso della influenza che necessa11iamente ci pracura l'importanza della colonia, che sollecito della comune solidarietà nel .protegger.e gl'interessi europei non esiterebbe di consigliare forse al Bardo la resistenza, ho stimato mio dovere di lasciar le cose al ,punto in cui si trovano, ed aspettare quelle istruzioni che piacerà all'E. V. d'impartirmi.

Intanto giovami informarla che degli affari pendenti alcuni sono stati regolati, e ·Che degli altri spero essere quanto prima in caso di segnarlena ugualmente la definizione (1).

9

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

D. 67. Firenze, 4 gennaio 1871.

Dal R. Agente e Console Generale in Bucarest mi è .pervenuta una lettera chiusa di S. A. il Principe Carlo di Rumania diretta a S. M. il Re nostro Augusto Sovrano. Il Segretario particolare del Principe diede lettura di detta lettera al Signor Barone Fava ma ricusò di !asciarne copia allegando il carattere personale e segreto del passo che il Principe faceva presso il Re all'infuori, ed anzi all'insaputa dei Ministri del Principato.

Da quanto il Barone Fava riferisce, risulterebbe che la lettera del Principe Carlo contiene un appello al Re per chiederne l'appoggio nelle circostanze difficili in cui versa la Rumania. Di queste difficoltà S. A. vede la causa nella costituzione interna del Principato che egli qualifica un circolo vizioso d'agitazioni sovversive di rivalità ed ambizioni individuali e d'intrighi politici. Le mene demagogiche po1trebbero arrivare a tale, dice il Principe, da rendere impossibile il mantenimento dell'ordine, ed in tal caso egli prenderebbe una risoluzione che disimpegnasse la sua responsabilità. Sembra che S. A., considerando che la conservazione delol'ordine interno nei Principati è una questione d'interesse europeo, abbia voluto nella sua lettera esporre ai Sovrani i quali nel 1856 ebbero parte al riordinamento della Rumania, un tale stato di cose pregiudi::evole e pericoloso pregandoli a porvi rimedio. Ed anzi la lettera sembra accennare per ultimo che la quistione relativa alla condizione interna dei Principati Uniti dovrebbe essere introdotta innanzi alla conferenza chiamata a regolare gli altri affari di Oriente. Dopo aver dato lettura della lettera del Princip€, il suo Segretario particolare si è così espresso col Signor Fava: « se il passo fatto presso i sovrani troverà una favorevole accoglienza, S. A. indicherà il modo di render profittevole ed efficace l'azione degli Agenti esteri

lO

residenti a Bucarest, ma se invece i sovrani od i loro governi si mostreranno poco disposti ad ascoltare l'appello loro diretto dal Principe, questi ha già deciso di ritiraT,gi dopo aver adempiuto al dovere di far nota all'Euro.pa tutta la gravità della situazione».

Il progetto di trasformare il paese e di riordinare l'amminis.trazion~ interna ponendo riparo non solo alle mene demagogiche, ma anche ai danni che derivano dalle competizioni e rivalità suscitate e mantenute dal>le individuali ambizioni, e tutto ciò mediante la sola azione concorde degli agenti esteri residenti a Bucarest, ,può sembrare chimerico ove non inchiuda il proponimento di far seguire la 'sanzione della forza ai consigli, qualora questi non ottenessero ascolto. Ora sovra questo punto non sembra che il Principe Carlo abbia voluto per il momento esprimersi chiaram~nte, ma l'eventualità alla quale egli accenna e che s'impone alle previsioni delle Potenze, si affaccia come una delle più gravi e difficili .fra quelle di ·cui i Gabinetti d~bbono tener conto.

Noi non intendiamo emettere alcun giudizio intorno alle cose esposte dal Principe Carlo prima di aver saputo l'accoglienza che i passi .fatti da S. A. avranno avuto alla corte d'Inghi-lterra. Ma non possiamo per altra part~ disconoscere che qualunque questione relativa ai Principati Rumeni acquista nelle condizioni create attualmente dalle disposizioni contrarie dei gabin~tti di Vienna e di Pietroburgo una gravità che forse in altri momenti non avrebbe avuto.

La prego, Signor Ministro, di voler informarsi confidenzialmente presso

S. E. il Ministro degli Esteri delle disposizioni di codesto Governo circa quest'importante incidente e di farmi conoscere possibHmente l'accoglienza che costì si è fatta alla lettera del Principe Carlo non che la risposta che alla medesima s'intende di dare.

(l) Sulla vertenza italo-tunisina cfr. L. DEL PIANO, La penetrazione italiana in Tunisia (1861-1881), Padova, 1964, pp. 103-136.

10

IL MINISTRO A BRUXELLES, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 299. Bruxelles.. 4 gennaio 1871 (per. l'8).

Le correspondant du Times à Versaille.s, M. Russell, a écrit au Ministre d'Angleterre ici que clans une conversation qu'il avait eue tout récemment avec

M. de Bisma·rck, celui-ci lui avait dit avec cette liberté de paroles qui lui est particulière, que la meilleur·e manière de rétablir une paix durable en Europe consisterait dans une étroite alliance entre l'Angleterre l'Allemagne et l'Autriche. Le Chancelier Prussien ne s'est pas autrement ex.pliqué sur ses vues, mais ce propos venant à la suite des avances qu'il vient de faire à l'Autriche semblerai't assez indiquer que M. de Bismarck, moins sur que par le passé, de l'alliance russe, et craignant surtout pour l'avenir l'hostilité bien connue du Grand-Due héritier contre la Prusse, tournerait en secret ses regards vers d'autres horizons politiques.

En me faisant part du propos de M. de Bismarck, le Ministre d'Angleterre ne m'a point cependant paru fort admirateur de sa politique de guerre à outrance contre la France. En Angleterre, m'a-t-il dit, l'opinion publique, d'abord hostile à l'agression impériale, s'est peu à peu transformée sous l'impression des désastres de la France, et aujourd'hui l'on peut dire que toutes les sympathies sont en faveur de la nation française. Dans un Pays comme l'Angleterre, a ajouté

M. Lumley, où le Gouvernement doit toujours, non pas seulement suivre l'opinion publique, mais encore se mettre à sa tete, cet état des esprits .qui peut d'un moment à l'autre fake explos-ion, devrait donner à penser à la Prusse et lui conseiller de ne pas pousser trop loin ses victoires.

Venant ensuite à me parler de la situation délicate de la Belgique entre les deux belligérants, et des craintes bien naturelles que cette situation inspirait au Gouvernement Beige, M. Lumley m'a dit qu'il n'y avait aucune cause plus populaire en Angleterre que celle de la Belgique, et que pour garantir son territoire de toute atteinte, l'Angleterre, qui en présence des événements si critiques du moment poussait avec une grande énergie ses armements, n'hésiterait pas à engager la lutte avec toute Puissance qui voudrait s'agrandir ou traiter d'arrangements au dépens de la Belgique.

Déjà plusieurs fois j'ai eu l'occasion de s-ignaler à l'attention de V. E. l'incrédulité absolue que rencontre aujourd'hui meme parmi les bonapartistes les plus dévoués refugiés ici, toute idée de restauration de l'Empire en France. D'après des confidences verbales faites à son passage à Bruxelles par un officier d'ordonnance de l'Empereur Napoléon, il ne parait pas douteux cependant qut! Sa Majesté, qui a conservé à WHlhelmshohe toutes les apparences de la Souveraineté, n'a point abandonné ses illusions à cet égard, et parle volontiers avec son entourage des chances qu'Elle a, Elle ou son fi1s, de remonter sur le tròne de France.

Dans ce meme ovdre d'idées, V. E. aura sans doute rema!Xlué les nombreuses listes d'officiers français prisonniers en Allemagne, protestant dans les colonnes de l'Indépendance Belge contre 1toute restauration Bonapartiste. En très ,peu de temps •le nombre de ces protestations avait atteint le chiffre considérable de trois mille; et elles ne se seraient pas arretées là, si un ordre péremptoire des Autorités Prussiennes n'était venu en défendre absolument la continuation.

P. S. -Ci-joint j'ai l'honneur de transmettre à V. E. un article du Joumal de B1·uxelles (l) sur la question Romaine que l'on me dit provenir d'une des plus grandes sommités du parti catholique.

11

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 475/180. Londra, 4 gennaio 1871 (per. il 9).

In una visita che feci or fan due giorni a Lord Granville H discorso essendo caduto sul «Libro Verde» recentemente prodotto al Parlamento, e riguardante gli affari di Roma, il Signor Conte richiamò la mia attenzione sul mio Rapporto

a V. E. in data del 27 settembre p. p. (1). S. S. mi ricordò che nell'occasione nella quale essa mi aveva .esposto i suoi dubbi indicati nel predetto Rapporto relativi all'opportunità ed agli effetti del trasporto della Capitale del Regno a Roma, mi aveva citato il noto scritto del Marchese Massimo d'Azeglio su questo soggetto i cui argomenti egli avevami detto che avevano fatto sopra di lui molta impressione. Il Signor Conte mi disse che i dubbi da lui allora manifestati erangli stati consigliati dalle considerazioni alle quali quello scritto lo aveva condotto, e mi soggiunse che appunto perciò egli lo aveva citato in quella conv.ersazione. Mi d~sse inoltre il Signor Conte che quanto mi avevano de.tto in quel giorno sì esso che il .Stgnor Otway non era una comunicaz·ione ufficiale.

Risposi al Signor Conte che non avrei mancato di ·comunicare a V. E. queste di lui osservazioni. Dissi che se non aveva fatto cenno nella mia relazione della citazione da lui fatta dello iScritto del d'Azeglio, ciò fu perchè mi parve cosa incidentale, e non riferentesi alla sostanza della conversazione. Gli fed però notare che riferendo tl suo discorso io aveva bensì indicato il suo dubbio sulla convenienza del traspor•to della Capitale a Roma; ma che, rispetto alla causa del suo dubbio, ch'·io aveva ascritto all'agitazione dell'Irlanda non aveva punto affermato che ciò mi fosse stato da lui nè direttamente ne indirettamente detto; che anzi aveva dkhiarato che egli non mi aveva indicato questa causa; e che perciò io l'aveva espressamen·te manifesta·ta come un mio personale apprezzamento, appoggiato alle circostanze, ed anche alla conversazione col S·ignor Otway riferita nello stesso mio Rapporto, l'esattezza della quale io doveva mantenere. Soggiunsi a S. S. che ·in quelle circostanze non .essendomi detto che quei discorsi non esprimessero soltanto idee private e personali, io aveva creduto debito del mio ufficio di farne relazione a V. E.

Il Signor Conte mi replicò ch'egli non aveva osservazioni da fare su di che nella mia posizione io avessi btta quella relazione, ma egli soggiunse che avrebbe desiderato che prima di pubblicare quel mio rapporto V. E. avesse voluto farnelo avvertito.

Queste osservazioni mi vennero faltte da S. S. con quelle •forme cortesi e benevole che trovo invariabilmente nelle mie relazioni con lui.

(l) Non si pubblu:a.

12

IL MINI·STRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 206. Pietroburgo, 4 gennaio 1871 (per. il 13).

L'ambasciatore ottomano Rustem Bey testè giunto in questa ,capitale, ebbe nelle due sere consecutive del 19 e 20 corrente i suoi ricevimenti ufficiali. Le accoglienze 'fattegli dall'imperatore Alessandro e dal suo Governo furono particolarmente onorevoli e la persona di questo diplomatico parve riuscire gradita

a tutti coloro che ebbero a trattare con esso, onde giova .sperare che così contribuisca a rendere più amichevoli nelle gravi congiunture presenti le relazioni fra i due imperi.

Avendo alquanto conferito con quell'inviato del sultano, sui negoziati pendenti rispetto alla vertenza del Mar Nero, e avendolo interrogato sulle cause che aveano potuto ritardare oltre il giorno stabilito del 3 corrente la riunione del consesso di Londra, egli mi di.sse che precisamente non 1e sapeva; ma che dubitava alcun'altra ve ne fosse oltre quella ufficialmente annunziata del salvacondotto di cui H signor Giulio Favre non era ancora in possesso.

Ei mostrava di credere altresì che la questione danubiana avrebbe potu·to in questa occasione risorgere, e senza confermarmi l'opinione alquanto accredita.ta che il Governo austro-ungarko reclamasse la custodia esclusiva delle foci del Danubio, mi partecipò nondimeno che per notizie pervenutegli da Vienna, egJi risapea che il conte di Beust avea già fatta la proposta, ·che le potenze soscrittrici del trattato dovessero d'ora innanzi aver facoltà di accrescere le loro forze navali stazionarie, esistenti in quei paraggi.

Ella ben rkorda senza alcun dubbio, signor ministro, come IÌl colonnello Stokes, plenipotenziario britannico della prefata commissione, avesse nell'ultima adunanza di quella Giunta accennato per indiretto alla convenienza di lasciare la commissione europe•a sedere in permanenza, per sopravegliare alla poHtica fluviale, senza deolegar.la alla commis·sione ripuaria, a cui tale incombenza s'apparterrebbe secondo la stipulazione del 56. L'atto finale della commissione anzidetta non essendo ,per anco ratificato, e .questa conseguen\temente non essendo ancora disc·iolta, non è contro ragione il prevedere che tutto il complesso di questi problemi che si riferiscono alla navigazione danubiana vengano posti in disamina sia nella conferenza, sia pure in occasione di essa.

Lo specialle interesse che assumono siffatte controversie nel cospetto della prossima riunione dei diplomatici di Londra, delle novità di cui i Principati rumeni, potranno essere in questi giorni teatro, nonchè delle voci' corse anche sui diarii e nei circoli politici ben informati, di un tentato ricomponimento f,ra le corti di Berlino e di Vienna, tutto ciò mi ha indotto a credere che questi ragguagli potessero tornare di qualche utilità all'E. V., che saprà collegarli con fatti a lei noti di maggiore importanza.

(l) Cfr. serie II, vol. I, n. 94.

13

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A MADRID, CIALDINI

T. s. N. Firenze, 5 gennaio 1871.

Déchiffrez vous meme.

J'envoie à M. Blanc l'ordre de profiter du congé qui lui a été ac·cordé dè.s: le 26 décembre. Mais je ne dois pas cacher à V. E. qu'après la mort de Prim il sera préférable de renoncer au projet de nommer V. E. titulaoir.e définitif de la légation à Madrid. Cependant la dignité du Gouvernement exige que V. E. remplisse l'ambassade extraordinaire qui lui a été confiée en restant à ·Madrid comme nous en étions convenus d'avance, jusqu'à l'arrivée de la Reine d'Espagne. Je parle à V. E. avec autant plus de franchise qu'elle ne peut douter ni de la bienveillance du Roi, ni de mes sentiments personnels pour V. E. Vous avez trop l'habitude de mettre l'1intéret du pays avant toute question personnel,le pour que je puisse conceder le moindre doute sur l'accueil que V. E. fera à ce1te communkation amicarle et toute confidentielle.

14

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA

Firenze, 5 gennaio 1871.

L'invito diretto dal Municipio -di Trento alle provtnde italiane per averne sussidii a sollievo dei danni arrecati a quella città dal recente incendio ha uno scopo essenzialmente umanitado e forse dò deve essere stato ammesso dalle stesse autorità politiche austriache, dappoichè non pare sia ,stato frapposto impedimento alla deliberazione munidpale. Non sembra dunque il caso che il Governo vieti che le Provri'nde od altri corpi morali nel Regno cui s>ia pervenuto I'tnvito, vi corrispondano con offerte o doni. Questo solo parrebbe doversi avve·rtire, ed all'uopo impedire, che si colga da qualche corp<> costituito nazionale la presente cong!iuntura per proce:dere a manifestazioni d'indole taile da dover turbare g,Ji ami'chevoli rapporti esi&tenti tra il Regno e ia Monarchia Austro Ungarica. Sarebbe quindi opportuno che i ·corpi mmali si limitassero ad inviare le loro oblazioni unitamente a quelle dei privati cittadini, astenendosi da Disposte che avrebbero il carattere di manifestazioni politiche e wlle quali i munidpii e provincie eccederebbero eV'identemente le attribuzioni loro assegnate dalla legge.

15

L'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A MADRID, CIALDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. RISERVATO Madrid, 5 gennaio 1871.

A ma dépeche (l) d'hier au soir je dois ajouter que je n'ai pas encore présenté mes lettres de créance, qu'il me paraìt convenable en tout cas de présenter s·eulement après départ M. Blanc.

Ce monsieur ilntrigue contre moi d'une façon indigne et se dit horriblement maltraité par V. E.

Début Roi Amédé fort rassurant. S. M. a plu à tout le monde. Nouveau ministère représente différents ,partis coalition, mais charges palais ont été emportées par 'l'Union Libérale.

(l) Non pubblicato.

16

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 476/181. Londra, 5 gennaio 1871 (per. il 9).

Col di Lei telegramma del 2 corrente (l) da me rkevuto nel successivo giorno 3, Ella mi :liaceva conoscere che nello stesso giorno 2 aveva pregato H Ministro delila Gran Bretagna a Firenze di esplorare le disposizioni di Lord GranviUe intorno all'esprimere nelle riunioni della ConfNenza al nome dell'Europa un voto formale per un armoistizio o per la pace fra l'Alemagna e la Francia. Ella soggiungeva esse·re bensì vero che la Prus.sia aveva preventivamente dichiarato che i,l Rappresentante si ritirerebbe se la Conferenza s'intromettesse in questa quistione, ma parerle moralmente impossibile ·che l'Europa riuni·ta in eircostanze così dolorose non esprimesse, almeno da[ punto di vista umanital'io, il suo vivo desiderio della cessazione della guerra. Era per altra parte da prevedersi che il Signor ·Giulio Favre se non gli si dava akuna speranza avrebbe fatto aboctire i lavori della Conferenza sin daUe prime riunioni. Per impedire ciò conver·rebbe che fin d'ora si potesse fare assegnamento sopra uno sforzo comune che si sarebbe fatto nell'ultima seduta. Ella ·credeva che l'onore deH'iniziativa dovesse essere 'riservato a Lord Granville. Egli avrebbe po1tuto com'erasi fatto dal Conte Valeschi nel 1856 in favore dell'Italia, fare nella seduta di chiusura della Conferenza una mozione in favo.re deUa pace, aLla quale si associerebbero coll'Ita,lia l'Austria e fors'anche la Russia. Per ultimo Ella m'incaricava d'intrattenere Lord GranvU.le sopra questo soggetto e di risponderle col teleg11afo riservando pel solo Signor Conte una ~tale comunicazione.

Mi sono affrettato a fare a S. S. questa comunicazione nel[o stesso giorno e la sera del giorno medesimo partecipai a V. E. con un telegramma (2) il risultato deila mia conversazione col Signor Conte.

A conferma pertanto del detto mio telegramma ho l'onore di significarle che il Signor Conte Granvi.lle mi ha fatto osservare che, allo stato delle cose, il parlare ora fra i Plenipotenziari del soggetto dell'armistiz•io o della pace sarebbe stato lo stesso che rendere impossibile l'incominciamento della Confeferenza; che il prendere ora degli accordi segreti preventivi al fine indicato

non g1i pa•reva punto conveniente, nè leale per la parte sua, dappoichè egli aveva sempre dichiarato di voller rimanere all'infuori, prima della Conferenza, da ogni impegno, ed in fatto s'era rifiutato a più d'una istanza che avrebbe potuto farlo devia•re da .quest'impegno. Soggiunse che il farne poi il soggetto d'una proposta nel corso della Conferenza sail'ebbe stato lo stesso che far abortire ,ogni lavoro ed ogni conclusione •sugli affari del Mar Nero pei quali la Conferenza era radunata, essendo nota la dichiarazione fatta dal Signor di Bismark relativa all'ordine che avrebbe avuto il Conte di Bernstorff di ritirarsi dalla Conferenza, se in qualsivoglia modo si fosse in essa toccato il soggetto della guerra attuale.

Io domandai allora al Signor Conte s'egli credeva possibi[e che la Conferenza si separasse senza esprimere un voto •per la cessazione d'un'immensa disgrazia ·che tutta l'umanità deplorava. A ciò S. S. rispose che, alllorquando fossero finiti gli affari relatiV'i al Mar Nero, ogni Potenza naturalmente era .libera di fare una mozione. Il discorso di Lord Granvnle non mi ha lasciato alcun dubbio ch'egli non era disposto ad allontanarsi in alcun modo daiLle idee e da:lle opinioni che ho ora riferito.

Collo stesso telegramma Le ho pure significato che il Signor Conte mi ha partecipato che .la •11isposta da Piletroburgo relativa alla terza formula della dichiarazione preventiva da me indicata nel mio Rapporto del 3 corrente (l) non era .stata favorevole. S. S. mi disse che, dopo ·di ciò, egli aveva fatto domandare al Signor Conte Bismaork s'eg.li avrebbe fatto appoggiare dal Signor Conte Bernstorff nella Conferenza ·la dichiarazione formulata secondo questa reda~ione. Il Signor Conte mi disse che per relazione del Signor Odo Russell g[i sarebbe prima d'ora ri<sultato che cod-~sta formula era dal Signor Conte Bismark accettata. Però mi soggiunse che in ciò i discorsi del Signor Conte Bernstorff non parevano consenzienti colle relazioni del Signor Odo Russell.

P. S. -Mi pregio inoltre di confermarle il mio telegramma di ieri (2) col quale le ho significato che la mattina di ieri stesso dal corriere Signor Longo qui giunto mi furono rimessi tutti i dispacci .statigli consegnati da V. E. al mio indirizzo contenenti i miei pieni poteri e le istruzioni di V. E. per la Conferenza.

(l) -Cfr. n. 3. (2) -Non pubblicato.
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IL VICEPRESIDENTE DELLA SOCIETA COMMERCIALE, INDUSTRIALE ED AGRICOLA PER LA TUNISIA, G. RATTAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. s. N. Firenze, 5 gennaio 1871 (per. il 6).

Il sottoscritto presidente (3) del:la Società Anonima commerciale, industriale ed agricola per la Tunisia, ha l'onore di esporre all'E. V. quanto appresso. Dopo che dalla tenuta della Gedeida venne licen2liato il noto Colonnello Faib, gravi e deplorevoli fatti sono avvenuti a danno deHa Società, i quali

2 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. Il

reclamano altamente l'attenzione e l'intromissione diretta del Governo di S. M. il Re.

Si-Faib lasciò chiusa la casa che abitava e che appartiene alla Società, portando seco la ch~ave e r·icusando riconsegnar.la: esauriti rtutti i mezzi per .evitare ogni questione, il Di·rettore e l'Amministratore della tenuta, all'incai.zante urgenza di allogg·iare famiglie coloniche italiane, inv·itarono due notari arabi locali a constatare che una .stanza d'ing.resso di detta casa era aperta e vuota, ed apporre il sigiHo agli uscii comunicanti ad altre stanze, sempre in presenza di tesrtimoni.

Questo semplicissimo fatto ha dato luogo al Governo locale di spiegare un lusso di forza pubbHca, che non è compatibile contro una Società appartenente a Nazione Amica. Cinquanta Uomini a cavamo, un Genera•le, due Colonnelli e dei Gendarmi furono inviati a'lla Gedeida per a•rresta•re i due notari, .il Capo arabo ed altri indigeni coltivatoci, necessari alla lavorazi01!11e della Tenuta; i rappresentan'ti locali della Società hanno deposto una protesta nelle mani del nostro Console, ed il consiglio Amminist·rativo della medesima invoca dal governo di S. M. una soilecita ripa:raZJione.

Il sottoseritto confida che V. E. scorgerà in questo avvenimento tutta l'importanza che esso merita, dietro i seguenti riflessi che certamente si affaccieranno spontanei a'lla di Lei mente ,sav•issima: l) Si tratta d'una Società in cui entrano autorevolmente perone distinte di quasi ogni primaria Nazione d'Europa, ma che per la formazione, per la sede e per il maggior numero di azionisti, è di carattere affatto italiano. 2) Una tale inva•sione da parte del Governo ·tunisino sopra un terreno posseduto da Compagnia italiana, già la si comincia a intE!jrpretare dagli europei di Tunisi come une mancanza di rispetto per lo meno verso il Governo di S. M. il Re. 3) Così rimarrebbe lettera morta a non imporne l'osservanza, il tratta.to con Tunisi che ha dato agli italiani il diritto di acqui.stare anche proprietà rurali nellla Tunisioa. 4) Importa all'Onore di Italia mantenere in rispetto il Governo tunisino perchè egli non venga meno agl'impegni internazionali che ha con noi contratti. 5) I danni della Società possono divenire di questo passo incalcolabi'li, e possono pure patirne gli interessi generali di quella nostra Colonia e del nostro :paese.

H sottosc11i1Jto in nome ed interesse della Società fa riverente Istanza all'E. V. perchè voglia degnarsi emanare ordini per gli opportuni ed analoghi provvedimenti.

(l) -Cfr. n. 7. (2) -Non pubblicato. (3) -Rattazzi firmava a nome del presidente Nisco assente.
18

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BORDEAUX, NIGRA

T. 1529. Firenze, 6 gennaio 1871, ore 14,30.

Le ministre d'Angleterre m'a prié d'insister auprès du Gouvernement de la défense nationale pour que si M. Favre ne se décide pas à aller à Londres quelqu'autre personnage soit désigné représentant de la France à la conférence.

19

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 70. Firenze, 6 gennaio 1871.

Nel di,spaccio del 28 Dicembre u. p. (l) mi riservai di espol'!le più completamente il pensiero del Governo di S. M. in ordine alla giurisdizione consolare in materia di beni stabili situati ne.]la Reggenza e posseduti da RR. sudditi. La contestazione sorta a proposito dell'affare Mainetti nonchè certa tendenza ormai palese del Bardo di cont·rastare per vie •indi•rette il godimento ed il possesso dei beni rustici agl'Itiiliani, mi fecero persuaso che fosse necessario mettere in sodo ciò che noi dobbiamo considerare come un nostro diritto.

Succe•ssivamente ho ricevuto col rapporto di Lei in data del 27 Dicembre (2), copia della nota del 26 delll'dstesso mese colla quale il Bey dichiara di riconoscere l'obbligazione assunta dal suo Governo di rispettare 1tutte le clausole del Trattato vigente fra l'Italia e la Tunisia. Parlando dell'affare Mainetti, per il quale V. S. avea dovuto introdurre una formale protesta S. A. si astiene però dalll'esprimere come awebbe dovuto il dispiacere provato per la condotta di quei suoi :funzionarii che avrebbero voluto fare prevalere un si•stema affatto diverso da quelllo sanzionato nel Trattato. Se S. A. H Bey fosse convinto al pa·ri di noi che vi ha convenienza reciproca nel proteggere efficacemente lo sviluppo degl'interessi economici della colonia italiana di Tunisi, la nota anzidetta aV'rebbe contenuto almeno qualche parola di biasimo per quei funzionarii tunisini che hanno tenta·to d'alterare i pattd convenuti fra l'Italia e la Re•ggenza. Noi dobbiamo adunque pur troppo notare con dispiace·re che S. A. il Bey ed il suo Governo non sd sono ancora ispirati a quel saV'io e giusto apprezzamento degl'interessi reciproci dei due .paesi, che noi non abbiamo mai cessato di vivamente raccomandare.

Sarà pertanto indispensabile che la S. V. non lasci più a lungo ignorare al Bey ed al suo Primo Ministro che il Governo del Re sottoscrivendo gli articoli nei quali fu determinata in modo chiaro ed esplicito la competenza e la precedenza nei .giudizi relativi ai beni stabili posseduti dagl'Italiani nella Reggenza non ha mai creduto d'ottenere dal Bardo un favore od una spec<ia[e concessione sibbene un espresso riconoscimento di c•iò che era dagli usi e dalle consuetudini prestabilito come un suo incontestabile diritto. La lunga esperienza che V. S. possiede del1e cose del Levante mi dis.penoo dall'entrare a ques•to r.iguardo in lunghe minute consideraztioni. Ella sa benissimo che il divieto di possedere beni stabilli ne' paesi musulmani fu scritto nelle ordinanze francesi pl'ia che si cercasse di farlo passar nel diritto comune del Levante. Ne approfittò però la Sublime Porta per escludere g.lii shranieri dallo interno delle sue terre, e venne così a far parte di que•l sicstema col quale la Turchia tenldeva fino a quest'ultimi .tempi a creare artificia[i barrie'l"e cont•ro

gli stranieri che cercavano di penetrarvi. Ciò ,spiega come sia avvenuto che

mentre negli Stati musulmani dell'Affri1ca gli stranieri furono costantemente

in possesso del d~r~tto di proprietà su beni stabili, nelle pmvincie soggette

all'immediato dominio deUa Porta ottomana abbia potuto invece prevalere un

contrario sistema.

Non ignoriamo che appunto in odio agH stranieri s1i è replicatamente ten

tato anche negli stati d'Africa di restringere i diritti di cui quem furono

costantemente in possesso; ma sappiamo del pari che contro quei tentativi sa1rà

opposto e si opporrà sempre qualunque Governo che abbia il dovere di tUJtela,re

gl'dnteressi privati de' suoi swdditi i:n codeste contrade.

Ora ·è bene che anche ,questo si sappia al Bardo che il Governo italiano conserva presenti alla sua memoria i maneggi ·coi quali da certuni si è dato opera, in tempo ancora recente, per far rientrare la Tunisia neHa sfera de!IJ.e provincie ottomane sogget.te all'immediata signor.ia del Sultano, e ciò al solo effetto di favorire con reskizioni legislative non mai stabilite iin 'l'un'ilsi il monopolllio che non può reggere a fronte dell'aperta e leale concofirenza dell'elemento straniero. Ma siccome questo monopolio che favorisce soltanto .pochissimi speculatori ba .già prodoHo in passato i più disastrosi effetti economici nel:la Reggenza così il Governo del Re appena può concepire l'idea che il Bey possa dare ascoLto a1i suggerimenti di coloro che oggi ancora volessero provarsi a ri:stabi.Iirlo. A questo riguardo 1ill Governo del Re Le raccomanda in is.pecial anodo di vigilare attentamente ·e di riferire colla massima sollecitudine qua

llunque inldizio che possa far credere alla possibilità che si vogliiano riprendere <i progetti ailtre volte sventati. Ella non deve lasciar ignorare al Bey che sola fa :perdere nell'effettuazione di quei progetti vagheggiati da alcuno dei suoi .cons~gLieri sarebbe S. A. medesima mentre allo stato di cose stabilito per gli IStranier.i nel:la Tunisia nessun cambiamento politico che sopravvenisse pot,rebbe ~recare una qualsiasi modj,ficazione.

Nutro fiducia che la S. V. messa in grado d'esprimere chiaramente ed autoll'evdlmente col Bey e col suo primo Ministro potrà indurre in entrambi la iJ)el"suasione dell'opportunità e convenienza per la Tunisia d'abbandonare una IV'ia ld',iJndiretta resistenza che compromettendo seriamente lo sviluppo degl'inted"essi ita'liani può condurre l'Halia a dover assumere verso la Reggenza un .contegno diverso da quello che abbiamo tenuto sinora.

(l) -Cfr. serie II, vol. I, n. 764. (2) -Non pubblicato.
20

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3394/38. Londra, 6 gennaio 1871, ore 12,40 (per. ore 15,30).

Je fin:is à cet instant une conversation confidentielle d'une heure avec lord Granville. Il m'est impossible de la résumer dans un télégramme. J'en iferai un rapport immédiat. Je vous dirai les choses principales. Paget vous fera, comme aux autres puissances la demande d'insister auprès de la France d'envoyer un plénipotentier, ce qu'elle refuse maintenant. C'est l'avis de Gran

ville et des autres plénipotentiers ici que si elle persiste dans le refus, on devrait pourtant faire la conférence. On lui déclarerait que les protocoles seront laissés ouverts pour elle et qu'on instruirait son chargé d'affaires ici des résultats de ·chaque conférence. Je suis d'accord avec lui, l'Europe ne lpouvant pas en droit etre empeché de pourvoi[" à des intéJ.·ets assez pressés lpar la seule abstention volontadre d'une puissance. Il en ~airt autrement en ldroit si l'empechement à la France d'envoyer le plénipotentier venait de la Prusse. Veuilil·ez me donner à cet objet vos instructions sans délai. Une au.tre formule serait 'prnposée par la Russie pour la déclaration préa~able et on dirait qu'on ne peut pas etre déadé d'un traité sans une entente préalable des signataires. Granville m'a d1t de lU!i dire mon avis personnel comme jurisconsulte. J'ai répon:du que la dite formu•le, du moins me paraissait la plus juste et la version vraie. Il a voulu savoir mes motifs. J'ai dit que c'était parce qu'en drott ti:l n'est pas exact de dire que dans ;t.ous les cas le consen:tement de :toutes les parties soit nécéssaire .pour faire cesser les effets d'une convention; meme le lconsentement de celui qui l'aurait vioilé ouvertement et meme dans le cas que G.'objet de la convention fUt péri. Au cont·ra·ire l'entente est t:oujours nécessaire à la paix pour éviter la guerre. Je pense que cette formule remet la chose dans les :termes des droits dans lesquels seulement on est forts. La Prusse naturellement a·ccepte, Granville serait disposé aussi à accepter, ma•is il attend la réponse '.de Vienne. Veuillez bien ,me dire si vous m'autorisez à me réunir à i'Angleterre. Sur cela j'ai relu a.vec Granvi:N.e le discours de Brunow qui nous parait bien convenable et aussi le projet {l'un très long discours de Mussurus bey.

•-GranviHe me l'a communiqué très-confidentiellement pour avodr seulement mon ·avi•s personne'l. Tel qu'H est il m'a paru manquer dans J.a forme, que1que parrt dans le fond et aussi au point de vue du tact. Granville a été d'accord dans ioutes mes préV'isions et il insistera pour qu'on le modifie beaucoup. Granville me disait que je devrai formuler aussi un petit d1iscours comme les autres p:lénipotentiers. Je lui ai dit qu'en tout cas je n'aurais dit que très peu de mots, tri<en sur •la déelaration préalable pour laque'lle on aura déjà signé le Prot·ocole. J'expl'imerais seulement notre concours au point de vue des intérets et de •-l'esprit de conciliation qui uniquement nous inspire. Veuillez-me dire si vous •-approuvez cette base .et si vous me laissez juge de la convenance ou non de dire un mot selon Ies drconstances.
21

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 88. Costantinopoli, 6 gennaio 1871 (per. il 13).

Sono in ,grado di dare risposta al riverito dispaocio di V. E. a1l n. 70 de1la .presente serie, in data delli 17 dicembre scorso (l) puntualmente pervenutomi.

Avendo avuto occasione di vedere il Gran Vizir in questi ultimi giorni ed essendo il discorso caduto naturalmente 'suù.le cose della guerra franco-germanica .e sulla poca speranza che nutrivasi per una pro·ssima Pél!Ce, gH chiesi se a!Jorquando si trattò della conchiusione di un armistizio ìa Sublime Porta avesse .anch'essa fatto qualche pratica a tale riguardo presso i beliigeranti.

Aali-Pacha mi rispose, non senza qualche imbarazzo che ad istigazione dell'Austria e dell'Inghilterra, il Governo ottomano avea dato ordine ad Aristarchi Bey a BerLino ed a Djemil Pacha a Tours di appoggiare i passi che le altre potenze neutrali avrebbero fatto in sì lodevole scopo, «ma disgraziatamente » ei soggiungeva, « i belligeranti non si mostrarono punto dispQISti a fa•r .buon viso a proposito di sim~le fatta ».

Il Gran Vizir, sempre circospetto nel suo linguaggio, parlò in modo generico dei due belligeranti, ma egH era evidente che le sue parole si riferivano solo alla Prussia.

Infatti il conte di Keyserling, minist•ro qui della Confederazione germa.n:ka del Nord, mi disse che era stato incaricato da'l conte di Bismarck di far intendere al Gran Vizi·r che non era stata veduta senza qualche sorpresa l'atti.tud1ne presa in quella circostanza dal Governo deLla SulJHme Porta, attitudine così contraria a tutti i precedenti. Aali-Pacha per ischermirsi, rispondeva al .conte di Keyserling esser vero che la Porta .non erao:•i mai per lo passato intromessa neUe questioni €Uropee, ma le conseguenze risultanti dalla guerra ora .combattuta potevano ·assumere proporzioni sì vaste da compromettere pur anco .gli interessi ottomani, e non era quindi da maravigliarsi che trattandosi di far .de' passi nel senso della pace, la Tul'chia avesse creduto opportuno •dii far udire anche la sua voce aLle due parti contendenti.

Siccome gli sforzi fatti dalle grandi Potenze per la conchiusione di un armistizio rimasero infruttuose, l'incidente turco non ebbe alcun seguito. Ma rimase costatato il fatto che la Prussia .non vedrebbe con piacere la intromissione della Porta nelle faccende di Europa.

(l) Non pubblicato.

22

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARAOCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 207. Pietroburgo, 6 gennaio 1871 (per. il 13).

Attesa l'importanza ·che hanno in questi giorni, rispetto ai negoziati in corso, tutti i movimenti dell'opinione pubblica in Russia, ed attesa la poca conoscenza che se ne ha ·in generale negli altri paesi di Europa, stimo mio debito i[ continuar.e a darle contezza dei sentimenti espressi sui vari argomenti politici dalla

stampa russa. I fogli di Pietroburgo opinano che la conferenza di Londra sarà tratta ad esaminare altre vertenze di gran momento strettamente collegate con il con

flitto orientale oltre quella deWEusino, che dovrà formare il suo compito speciale. La ,stampa austria.ca, essi dicono non ha mancato rdi mettere in campo gli affar·i dei Principati del Danubio; la causa rumena fu cominciata ugualmente ad agita,re dalla dichiiara:zJione deHo stesso principe regnante.

La cagione del ricomponimento inaspettato dell'Austria con la Russia e i benigni riguardi di quest'ultima per J.a sua antica avversaria dimostrano che la controversia danuvi:ana, la culi ·importanza è •così favorevole all'Austria, non potrà mancare di prender luogo neLla conferenza, ed estendere per tal guisa il programma che a queLla fu dapprima assegnato.

La stampa russa, senza distinzione di colore politico, si commuove di ·cosiffatta ev.entualità e la considera ·come un nuovo pericolo. L'al'leanza dell'Austria con la Russia è, per suo avviso, intesa principalmente a dominare e contenere il principio slavo: le vedute austro-ungariche sul Danubio mirano a prendere un consiJderevole ingerimento in Oriente, per ispiegare a1l bisogno una politica ambiziosa, e dar luogo in quelle re~ioni a novelle combina2lioni europee,

Trasparisce daUa polemica di alcuni giorna'li il pensiero, che la Russia abbia potuto essere imprUJdente nel denunciare la .convenzione del 1856. !Il suo temperato e giusto desiderio, che era quello, senza più, di Liberarsi da una condizione onerosa e divenuta inattuabile, si convertì per le altre potenze in un pretesto per compiere il •totale annullamento del trattato, e. di ·ciò operare in una forma utiJle per esse, e per la Russia pregiudizievole; esse non vogliono ~ià mantenerlo, questo trattato, ma cava,rne, finchè ei dura, tutto H vantaggio possibile per gli interessi loro.

La Gazzetta della Borsa segna:tamente dice a proposito della Conferenza, che la Russia sarà per incentrarvi più amici ·Che nemici, e •che non si vuole andar troppo sicul'i di un favorevole :risultamento nel 'dibattito sul Mar Nero, poichè la Russia dichiaTò a Vienna il suo desiderio di ·rappattumarl:"li col Governo austriaco. Non si penerà molto a vedere, essa .continua a dire, quali saranno le combinazioni polit~che dei potentati in v:ista della fine di questa guena; e non vedete, sogg1unge la Gazzetta, che i diarii austriaci già vanno ripetendo che la conferenza proverà fino a qual segno debbasi credere aolle proteste d'amicizia del Governo di Berlino?

L'opinione de]lla stampa •russa è dunque in sostanza, che oggi la diplomazia ocddenta:le sta procacciando d'·ingarbugliare la vertenza del Mar Nero, prima che la conferenza si aduni, facendo ricomparire in iscena la vertenza dei Principat,i e quella del Danubio, il cui processo non recherà certamente nulla di buono per la Russia.

Le Gazzette di oggi, e specialmente quella della Borsa non rifinano su tal soggetto, e notano, fra le aHre cose, ·che la stampa austriaca e brttannri.ca si mostrano malcontente di quel carattere d'indipendenza di cui fanno segno gli atti del Governo ottomano, relativamente alla questione orientale.

.A:Lt11i :diarii sollevano invece la controversia dei Dardanelli, e pensano che questa ancora potrebbe essere una nuova ragione di dissidio fra le potenze nei neg.oziati sulla neutraHtà del Mar Nero.

La Gazzetta di Mosca organo pdncipale del partito slavo-nazionale e che suol manifestare nei suoi articoli in prima pagina le opinioni più vigorose, ad

esprimere gli intendimenti di quel partito, sembra in quella vece da a.Jcuni gtorni ·in qua dipartirsi dall'argomento più attuale, e non voler trattare che dei negozii interni del paese.

23

IL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 53. Washington, 6 gennaio 1871 (per. il 21).

Gli ultimi ragguagli ricevuti da questo Governo sulle disposizfron•i delia Spagna di presta!'si ad un componimento delle pendenze relative ai Tichiami dei suddd·ti americani nella isola di Cuba, dimostrano che ·la differenza fra i due Governi è ridotta a minimi termini. La Spagna avendo ammesso H principio di ·sottomettere i richiami alla deliberazi.one di una Commissdone mista, e gli Stati Untti avendo concesso di comprendere fra gli articoH da so·ttomettersi a siffatta deliberaz1one le quistioni sulla naziona<lità dei reclamanti, non restano che punti di secondaria importanza a chiarire.

La sola tema che si ha da questa parte si è che le comunicazioni dilatorie del Ministero Spagnuoio non siano per lasciare il tempo a quelli che cercano ogni mezzo per turbare le buone relazioni ·ch'esistono fra i due paesi di suscitare maggiori incagli. Laonde starebbe sommamente a cuore a questo Governo di conchiudere senza alcun indugio una conven~ione in proposoito, affine di presentarla al Congresso ed ottenerne 'l'approvazione durante la presente sessione, la quale avrà fine li 4 del prossimo marzo. In tali circostanze, e conoscendo per esperienza quanto gli amichevoli e ·confidenziaH offi.ci del R. Governo siano efficaci a Madnid, fui pregato di intercedere presso di esso onde voglia fare nuove p·ratiche allo scopo d'ottenere una pronta soluzione della controversia. E si nutre qui fondata speranza che il nuovo MinisteTo di Madrid sarà per prendere solledtamente una risoluzione definitiva sopra una ·quistione che potrebbe, per u<lteriOT.i dilazioni, prendere proporzioni gravi per l'una e per l'aUra parte.

L'E. V. giudicherà se sia il caso di fare nuove pratiche in proposito.

24

IL MINISTRO A BORDEAUX, NIGRA, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM

(Copie Artom)

L. P. Bordeaux, 6 gennaio 1871.

Mando a Visconti ed a te i m1e1 più vivi auguri per l'anno che comincia. Possa esso recal'V·i Oglni miglior successo. Intanto quello che finisce e che fu così fatale alla Francia può essere considerato come uno dei migliori per l'Italia. La

questione romana che ci fu cagione di tante angoscie e di tanti pericoLi è risolta nel!la sua parte principale ed è per me una grande soddisfazione che questo successo sia sta·to ottenuto dal nostro Vis·conti. Qui la sanguinosa tragedia sembra avvicinarsi al suo fine. Tuttav•ia è ormai certo che, caduta Pari.gi, una parte almeno del Governo, ·con Gambetta alla testa, tenterà di prolungare la resistenza nel mezzodì delila Francia. Ma è chiaro che la soluzione è Parigi. NeU'ipotesi di una capitolazione, la situazione dei rappresentanti delle grandi Potenze diventerà assai curiosa e senza esempio nella storia della diplomazia. Se un Governo si formerà a Parigi sembra che l'intenzione de' miei coLleghi sia di ritornare al loro posto neHa Capitale. Ma è inutile il ragionare di ipotesi di cui è .impossibile il precisare ora le condizioni. Io sono afflittissimo dello spettacolo che ho sotto gli occhi, e ciò che aumenta ancora la mia afflizione si è di trovarmi nella impossibilità di contribuire efficacemente a qualche ·cosa di veramente utile nel senso della pacificazione. Io credo che la resistenza di Parigi e quella comunque inefficace della provincia hanno avuto un risul.tato morale utile per la Francia. Non si vive soltanto di pane e di denaro si vive anche di sent·imento e di considerazione. ·La Francia può far la pac·e ora in ·condizioni morali migliori che non subito dopo Sedan, quantunque le condizioni materiali imposte dal vincitore al vinto possano essere molto più gravi ora dopo gH enormi sacrific·i fatti. Ora però, salvato •l'onore del paese, e sovrattuHo quello di Parigi, la pace s'impone ad ogni spirito sano. Sembra diffatti: che a Pavigi ne·l seno stesso del Governo H partito della pace pigli piede.

Mandami, ti prego, di qua•ndo in quando noHzie di cos•tì. Quelle di Francia non hanno nè possono avere che un soggetto solo, •le operazioni mdlitari, e di queste non si hanno a Bordeaux che quelle !date dai bollettini ufficiali. Le notizie di guerra .giungono prima a Firenze che qui. Ogni altra questione è qui relegata al secondo posto. Il Ministero degli Esteri si riassume tutto intiero in Chaudordy che non ha che le qualità di delegato e non è membro del Governo, e quindi manca delll'autorità che s'appoggia sulla responsabilità. Ad ogni modo, per quanto ci rigua·rda, se non possiamo contare •sulle simpatie d'alcun partito in Francia, posso assicurarVli ·che non troveremo, specialmente per la questione romana, nessun'opposizione effettiva nè ora nè .per qualche tempo. Approfittate di questo sta•to di cose e sovrattutto ev.itate di provocare spiegazioni e riserve. I lettori di libri verdi o gialli potranno provare qualche désappointement non trovandovi lunghi dispacci. Ma questo inconveniente sa·rà largamente compensato dal fatto della piena ed intera Ubertà d'azione conservata assolutamente al Governo del Re.

Ti mando qui unita una ri1cevuta di fr. 200 da me imprestati al Generale GenHlini perchè potesse far ritorno da Bordeaux a Firenze. Il Gene·rale mi promise di res<tituirH in tue mani appena g.iunto a Firenze. Ti prego di ritirare queStta somma contro rimessa delle quietanze e di farla tenere al signor Vanetti mio procuratore.

P. S. -Ressman ti manda suoi migliori saluti.

25

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 752. Berlino, 7 gennaio 1871 (per. il 12).

Ainsi qu'il éta1t à prévoir (ll'apport N. 743) (l) le Cabi.:net de Vienne a répondu de la façon la plus amicale à la dépeche prussienne du 14 décembre échu. S'il fait allusion au traité de Prague, il s'abstient d'en tirer des conséquences. Quelle pourra<it etre en effet, en ce moment la signification de l'art. IV de ce traité pour la question allemande, puisque les événements ont déjà amené l'unification nationale entre le Nord et le Sud?

Cette réponse a produit le meiUeur effet à Versailles et à Berlin. Les journaux offi.cieux ne tarissent pas d'éloges sur le tact poLihque du Comte de Beust. L'A:utriche cède décidément ,Ja piace à sa rivale, sans chercher à y mettre des conditions. Pour se rendre compte de tout le terrain gagné par la Prusse dans ces dernières années, il suffi.t de se rappeler quelle était l'atUtude de l'Autrìche, non pas seulement en 1866, mais meme en 1867. Pour regagner la position perdue en Allemagne, le Chancelier impérial se montrait disposé à se preter aux avances de la Prusse, en quete d'un appui pour parer aux dangers d'une lutte à propos du Luxembourg, mais il laissaH entendre qu'il devrait demandeT pour son eoncours «un prix proportionné ». Il mettalt son aide à l'encan. Le Comte de Bismarck ne voulut pas en étre l'enchél'isseur.

Aujourd'hui, le rapprochement n'est plus discuté de part et d'autre. Il est amené par la force des choses et par l'importance historique des événements qui se déroulent sous nos yeux. Le rapprochement s'opère sans conditions.

C'est là un fait dont j.e n'ai pas besoin de relever la signifieation.

L'Autriche est contrainte désormais de vivre en bons termes avec le Cabinet

de Berlin, qui personnifie l'Allemagne. L'un et l'autre seront appelés après cette guerre à exercer en Europe une infiuence padfique et 1préponderante en faveur du maintien de la paix si nécessaire à la prospérité des deux Empires. L'Allemagne nommément est devenue pour l'Europe une grande préoccupation. On vient de découvrir en elle des fol'ces inconnues. On se demande, non sans que!lque inquiétude quel ròle elle va jouer v.i·s-à-vis du continent, et particulièrement vis-à-vis de l'Italie. On va jusqu'à prétendre que de nouveaux Césars Germaniques reprendront l'oouvre de Charlemagne, comme si la fiction impériale, qui vient d'étre ressuscitée, devait avoir pour conséquence un retour aux vieilles traditions! On oublie trop facHement qu'il s'agit maintenant d'une organisation fondée sur le principe moderne des nationalités, et non sur le féodaMsme et l'archéologie. Le peuple est assez pratique pour ne pas ,pousser ses Princes dans une voie aussi déplorable. Ce ne s·erait qu'une mascarade. Ce serait vouloir cesser d'etre allemand, et s'attribuer 1le ròle cle César délaissant ·le monde germanique. Ce serait s'épuiser à la poursuite d'un fantòme, et sacrifier à cette ombre la vraie grandeur et sa propre existence. Et pour ce qui regarde notamment l'Italie, s'il est une vérité historiqt.:e bien démontrée, c'est celle que notre Péninsule a

toujours été dangereuse pour les hommes du Nord, lorsqu'ils semaient la haine entre les deux nations pour fonder une Monarchie fantastique.

Il faudrait d'ailleurs culbuter l'Autriche pour réaliser de telles ambitions; ou du moins s'emparer de 'ses provinces héréditaires. Au point de vue national, certainement que le Cabinet de Vienne ne doit pas etre sans appréhension à cet égard, mai:s il lui appartient de monter la garde et d'opposer, le cas échéant, une résistence énergique. Quant à nous, du moment où le rpéril bien plus imminent du còté d·e la France que de l'Al!lemagne est écarté, nous ne saurrions, il va sans dire, nous preter à un accroissement de .territoire de cette dernière Puissance, vers nos frontières du Nord et de l'Est. Dans cet ordre d'oidées, tout en ·conservant les meilleurs relations avec le Cabinet de Berlin, nous avons un grand intéret à nous assurer l'amitié de la Monarchie Austro-hongroise. Dans tous les cas l'accord des volontés, la cohésion des forces, notre consolidation intérieure, sont pour nous une impérieuse loi d'existence.

(l) Cfr. serie II. vol. I. n. 7-19.

26

DIOMEDE PANTALEONI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Roma, 7 gennaio 1871.

Le ho scritto stamane, ma mi accade di doverle scrivere d'urgenza di nuovo. Sono legato d'antica servitù, e direi quasi amici:z;ia, se il grado diverso il consentisse, col Cardinale d'Amat che abita il Palazzo della Cancel!leria. L'Eminentissimo mi ieee più volte officiare il Blanc ed il Governo, perchè quel Palazzo fosse r.ispet.tato, ed in ogni caso peggiore lo si avvertisse almeno assai prima. Promis-i falflo per quanto era in me, ed ora che &i è parlato di servirsene pel Senato od a'ltro mi sono adoperato perchè nol si facesse. La Cancelleria è certo uffizio ecclesiastico, ed il Cardinale sta nel Palazzo, come Cancelliere di Santa Chiesa tenendo i sigilli di tutte le Bolile e Brevi. Ora mi fa sapere che ha parlato al Papa di queste pratiche, e che H Papa stesso lo ha autorizzato a far conoscere, che se ta1e occupazione avesse luogo, egli se ne sentirebbe altamente offeso e profondamente dolente. L'Eminentiss1mo Amat manda a me perchè io facc.ia conoscere al Governo il fatto; nè io credo poterlo far meglio che scrivendo a lei :in tutto e per tutto come stanno le cose.

Sono sicuro che valutando i veri motivi che mi inducono a scriverle ella

mi avrà per iscusato...

27

IL CONSOLE GENERALE A SERAJEVO, DURIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 88. Serajevo, 8 gennaio 1871 (per. il 16).

La notiz·ia avutas•i qui di una gita che senza motivo apparente effettuava non ha guarì il principe del Montenegro recandosi a Grahovo, malgrado la inclemente stagione, e sostandovi abbastanza perchè ai capi cristiani delle finitime

località turche fosse dato, obbedienti alla chiamata sua, tuttochè sudditi del suJ

tano e retribuiti, accedere a lui ad ossequiarlo ed a concertare un chi sa che

poco difficile ad indovinare, chiamava l'attenzione dell'autorità locale sul con

tegno del suo ben noto vicino, attenzione che facevasi apprensione graz,ie aJtl'altra

notizia capitatale qui avant'ieri dell'invio che il principe suddetto avrebbe già

fatto di sei cannoni da 3 a Grahovo e di 1200 fucili ad ago a Banjanin, con

promessa di altri 9 mila ai Rajà erzegovinesi della frontiera negli scopi di una

riscossa cui si assegnerebbe il giorno di San Sava cadente il 7 prossimo febbra.io.

Usi come si è qui a ravvisare nel principe il fedele e devoto istrumento delda

Russia, gli intendimenti emergenN dalla attitudine che gli è imputata, sono detti

suoi propri per una metà, e per l'alt1ra effetto di parola d'ordine venutagli dalle

rive del'la Neva.

Pochi momenti dopo saputa la seconda delle notizie suriferi•te, essendo venuto a vedermi il generale Mustafà Hassim-Pascià, s·timabilissima persona (rapporto n. 30 di ques.ta serie) (1), lo richiesi francamente della condizione che a suo avviso avrebbe toccato a ques·to Vilajet nella ipotesi di Serbia e Montenegro apertamente ostili. Non abbiamo nulla a temere e nulla temiamo, rispose, finchè l'Austria ci rimane amica, e così libero l'Adriatico; potere (continuò) la Serbia tentare tutt'al più un ·colpo di mano sulla striscia di terra, unico legame, nel pascialato di Novi-Pazar, della Bosnia colla Romelia, ma senza potervi tenere, perchè noi penetreremmo tosto nella Serbia per la facile via di Nich, e di là ci dilagheremmo ovunque, essere i serbi, e con essi i rumeni, molto inferiori per virtù militar·i ai montenegri.ni, i quali hanno positivamente da qualche tempo in qua migliorato la propria condizione militare; il Montenegro però avere anch'esso il suo lato vulnerabi•le nei Vassovi'cc, che miH·tarmente occupati, gli toglierebbero il poterei danneggiare radicalmente, ed esservi già forze sufficienti a tenerlo in rispeHo dalla parte di Erzegovina, ove avrebbe potuto riuscire ad occupare momentaneamente i villaggi di frontiera di ma'lferma fede, ben conosciuta questa quale essa è, tuitochè al.Jla viziosa essenza sua non sia ancora venuto il tempo di guardar troppo pel sottile.

Ho creduto debito mio riferire le parole dettemi senza burbanza alcuna da persona competente a dirle, che teneva con onore questi uitimi anni il comando militare precisamente nel menzionato Novi-Pazar, e che mi lasciarono nell'animo la opinione che messe al cimento degli avvenimenti sarebbero probabilmente da questi giustificate.

28

L'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A MADRID, CIALDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. s. N. Madrid, 9 gennaio 1871.

J'ai reçu dépeche chiffrée 5 courant (2). V. E. a parfattement raison, les intérets du pays et la dignité du Gouvernement doivent passer avant toute considération personnelle.

Je présenterai donc mes let..tres de créance et je quitterai Madrid après l'ar11ivée Reine d'Espagne. Notre ministre de marine va partir ce soir pour s'embarquer à Carthagène et rentrer à Florence. C'est bien arrété et convenu je viens de contremander toute disposition préparatoire étahlissement ici.

Je dis cela car V. E. ne tardera pas à reconnaitre avoir été trompée ,par une ignoble intrigue sur véritable état de choses et sur ma posiHon à Madrid. Mais quoiqu'il arrive moi je ne pourrai désormais changer de résolution.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 13.
29

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA

Firenze, 10 gennaio 1871.

In risposta a1la pregiata nota in margine segnata (l), il sottoscritto si affretta di far conoscere al suo On. Collega dell'Interno che s'incaricherà volentieri di far rimettere al Munici<pio di Trento le somme che a suo favore verrebbero votate da' Municipi del Regno. Rammenta in pari tempo, in base alle considerazioni svolte nella sua nota ultima del 5 corrente (2), che non trasmetterà indirizzi di alcuna sorta. Si restituisce in pari tempo l'indirizzo del Municipio di Trento.

30

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL LUOGOTENENTE DEL RE PER ROMA E LE PROVINCIE ROMANE, LA MARMORA

(Ed. in Le Carte di Giovanni Lanza, vol. VII, pp. 29-30)

L. P. Firenze, 10 gennaio 1871.

La sua risposta alla nota Antonelli è stata da me consegnata al Ministero degli affari esteri il quale la invierà ai nostri diplomatici all'estero per essere comunicata a.i governi presso cui risiedono. Il R. decreto per l'abolizione di codesta Luogotenenza è di già firmato, e così pure quello che nomina un R. Commissario nella persona del Ministro dei lavori pubblici. Questo R. Commissario avrebbe per mandato principale di dirigere tutte le operazioni per ~l trasporto della capitale e di più la direzione superiore nella Amministrazione poli

tica della Provincia. Sotto di lui vi sarebbe un Consig~liere delegato Reggente la Prefettura con tutte le facoltà amministrative. Se non che il Decreto che istituisce il R. Commissa<riato per il trasporto detlla ca'P~tale non può essere pubblicato pr.ima della legge che decreta H trasporto stesso della capitale. Ora non è probabile che questa legge venga votata dal Senato prima del 15 corrente, forse tal'derà di alcuni giorni, e tanto più se il Senato vi introducesse, come è probabile, qualche modificazione, per cui dovesse ritornare alla Camera. Se quindi Ella ed i suoi consiglieri volessero avere ancora un po' di longanimità e continuare in ufficio qualche giorno di più al di là del 15 corrente, cioè fino alla promulgazione della legge per il trasporto deUa capitale, mi togJ.ierebbero da un serio imbarazzo. Se io oso sperare da Lei quest'atto di condiscendenza, l'attribuisca a quella benevolenza di cui Ella mi diede tante prove. Se poi EHa non stimasse di potere accordarmi questa breve proroga, cercherei di aggiustare la cosa con qualche ripiego, che però non può non andare scevro di inconvenienti. Attendo sempra la proposta per la nomina del Sindaco. I giornali annunciano che il principe Doria abbia accettato. Sarebbe Ella in grado di dirmene qualche cosa? Le sottoscrizioni per soccorsi ai danni deilla inondazione procedono bene, ed oltre Ie private, tutte le provincie del Regno vi concorrono per somme eg,reg,ie da L. 500 a L. 2000. Tutt'è che il denaro racc01lto sia poi

distribuito con giusto criterio onde il beneficio sia generalmente sentito.

Le vertenze coll'Austria e coi principi austriaci spodestati riguardo al:le

liquidaz<ioni dei loro averi sono state tutte risolute mediante L. 200/m di ren

dita italiana.

(l) -Cfr. serie Il, vol. I, n. 776. (2) -Cfr. n. 14.
31

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3400. Vienna, 10 gennaio 1871, ore 21,40 (per. ore 12,40 dell' 11).

Il me revient de très bonne source que dans le ·conseil des ministres tenu hier avant le départ de l'Empereur et du chancelier de l'empire pour Pesth, il a été décidé que l'Autriche, si l'opportunité s'en présentait, et si elle pouyait s·assurer de l'appui de l'Angleterre, demandera à la conférence exclusivement

pour elle le ,port de Kilia sur le territoire roumain. On a reconnu la difficulté d'obtenir le consentement de la Roumanie et de la Turquie, et le danger d'un rapprochement entre cette puissance et la Russie, mais la majorité du conseil a été d'avis qu'il fallaH en tout cas se procurer des garanties si l'on veut abroger les restrictions imposées à la Russie dans la Mer Noire. Le comte Szecenyi qui est porteur de ces instructions secrètes serait aussi chargé de disposer GranviHe et l'ambassadeur ottoman à proposer camme équivalent pour la Sublime Porte l'ouverture des détroits à toutes les puissances sa.ns restriction.

32

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 753. Berlino, 10 gennaio 1871 (per. il 17).

Conformément aux instructions tracées dans votre dépeche en date du 5 janvier n. 186, série politique (1), j'ai interpellé ·confidentiellement le secrétaire d'Etlllt sur les dispositions du Cabinet de Berlin au sujet de la démarche recente du Prince de Roumanie.

M. de Thile n'avait pas iu la lettre de S. A. aux souverains des Puissances garantes, mais, d'après un avis reçu de Versailles, celle destinée au Hoi Guillaume était rparfaitement identique. S. A. ayant appris que sa démarche avait donné lieu à des interprétations inexactes, s'était empressée de bien établir qu'il n'avait en vue que les affaires intérieures des Principautés, et n'avait aucunement visé à la rupture des liens qui rattachent ·ce Pays à la Turquie. En présence d'une situation qui s'empire de jour en jour, des complots tramés impunément ·contre le Gouvernement et son Chef, il est assez nature!, ne pouvant iLui-mème apporter des modificélltions à une constitution à laquelle Il a preté serment, qu'un appel soit dirigé aux Puissances garantes. Le Prince s'était adressé au Sultan aussi bien qu'aux autres Souverains, mais dans la remise de la lettre envoyée à Constantinople il y a eu un retard tout-à-fai: indépendant de sa volonté.

M. de ThHe ne connaissant pa·s le texte du document dont il s'agit, ignorait s'il y était fait quelque allusion dans le but de soumettre la question à la Conférence appelée à régler l'affaire de la Mer Noire. Au reste, en suite de l'opposition assez nette de la Sublime Porte, il faudrait renoncer à étendre dans ce sens la comrpétence de ~a conférence.

Quant au Cabine·t de Berlin, il s'est abstenu de pousser le Prince Charles à invoquer l'appui ou les conseils des P.uissances garantes. Il continuera à agir avec une extrème réserve. Les Agents dirplomatiques ont l'instruction de témoigner de la plus grande indifférence dans cette question, le développement politique de la Roumanie ne touchant pas directement à ses intérets. Dans tous les cas, il sera des derniers à se prononcer. M. de Thile ne pouvait meme me dire s•i le Roi Guillaume répondrait à la lettre du Prince Charles; mais s'Il le faisait, il ne serait pas imrpossible que S. A., si elle persistait à croire sa position intenable, recevrait le conseH de rentrer en Allemagne. D'après mon avis, ajoutait

S. E. « les jours du Prince de Roumanie sont comptés ». Je n'ai pu apprerndre davantage sur cette question qui s'imposera nouvellement tòt ou tard à l'attention de la diplomatie européenne.

Relativement à la Conférence de Londres, la date de sa réunion n'est pas encore fixée. On prétend à Vienne que ce retard provient du faH de la Prusse qui n'a pas encore donné un sauf-conduit à M. Jules Favre. M. de Thile niait catégoriquement la chose, car M. Favre doit savoir qu'un laissez

passer a été mis à sa disposition. S'il ne juge pas à propos d'en profìter, il aura ses raisons, mais on ne saurait rendre responsable le quartier Général à Versailles.

(l) Non pubblicata.

33

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 192. Tunisi, 10 gennaio 1871 (per. il 16).

Dopo g1i arresti fattisi alla Gedeida, di cui era caso in precedente mio rapporto, accadde un furto nella casa del Govro-natore, per la qual cosa venne ivi mandata di nuovo la forza, e si arrestarono a11tri 5 contadini indigeni, gli uni dei quali aveano in custodia gli armenti, e gli altri erano indispensabili ai lavori agricoli deHa tenuta.

Lasciando per ora in disparte il fatto più che sospetto e l'importanza del furto che tra oggetti e danaro si porta ad ol,tre le 30 mila piastre, come pure la ridicola responsabilità che si vuoi far cadere sul Cavali-ere Guglielmo Castelnuovo, Direttore della tenuta, quello che importa anzitutto si è la dichiarazione fattami da esso Cavaliere Castelnuovo che andando di questo passo egli si troverebbe obbligato di abbandonare il luogo insieme colli altri coloni europei.

Sempre la stessa questione di giurisdizione, spinta forse per calcolo al di là del convenevole; comunque però siasi, ho subito chiesto una udienza dal Bey, che spero mi sarà accorda,ta per dimani, e mi propongo di protestare nei modi i più solenni, se le gpiegazioni che ne riceverò non saranno le più soddisfacenti.

In questa circostanza non mancherò di rinnovare le dichiarazioni fatte precedentemente, e di riassumere a S. A. il contenuto nell'ultimo dispaccio della presente Serie N. 70 (l) pervenutomi col vapore di jeri, accentuandone in tuono deciso la conclusione, cioè che se il Bardo non a'bbandona la via indiretta che ha preso per incagliare Io sviluppo degl'interessi italiani, saressimo costretti di assumere verso la Reggenza un atteggiamento diverso da quello che abbiamo tenuto sinora.

Ed è mio avviso che bisognerà venire a questa estremità, perchè vedo chia

ramente che è un partito preso nei Consiglieri del Bey, i quali avviluppandosi

sotto le appa~enze della legalità e la lettera del Trattato si stud,iano di farci

tutto il danno possibile. Nè si mancano le suggestioni estere per la gelosia che

va destando il moltiplicarsi dei possedimenti itaHani, ed in conseguenza della

colonia. A me non Hce di gettare il dado, e di pregiudicare gl'intendimenti del

Governo del Re; continuando per altro ad usare col Bardo lo stesso contegno

severo, e risentito aspetterò con ansietà di conoscere le determinazi,oni che dalla

di Lei saviezza saranno giudicate le più convenienti.

(l) Cfr. n. 19.

34

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 483/184. Londra, 11 gennaio 1871.

Ho l'onore di accusarle ricevuta del di Lei Dispaccio del 4 corrente N. 67

Serie Politica (1), col quale mi ha informato della lettera particolare diretta

da S. A. il Principe Carlo di Romania a S. M. il Re e di ciò che vi si riferisce.

A seconda dell'ordine da L-ei impartitomi, ho immediatamente trattenuto il

Signor Conte Granville su questo soggetto, e lo pregai confidenzialmente di

volermi indicare qual contegno fosse qui per serbarsi nella probabile ipotesi

che una simile lettera sia stata indirizzata a S. M. la Regina.

Il Signor Conte mi disse che difatti una simile lettera era stata indirizza:ta

a S. M. la Regina, e che qui si fu, sulle prime, in dubbio se si dovesse riceverla

in vista del modo col quale essa lettera era giunta.

Sua Signoria mi .soggiunse che il Signor Conte Bernstorff gli aveva ·parlato

d:i quest'affare dicendogli che il suo Governo non faceva alcun'istanza acciocchè le cose riguardanti la Romania e le lagnanze del Principe fossero :prese in considerazione nella Conferenza, ma che, conoscendo esso personalmente il Principe, gli avrebbe fatto piacere che lo stato delle cose in Romania avesse potuto fare l'oggetto di qualche considerazione nella Conferenza. Sua Signoria gli l"lispose che la Conferenza aveva già un compito abbastanza importante e considere·vOle perchè convenisse di accumulare alla medesima altri soggetti e che perciò egli credeva che non convenisse che anche quest'affare vi fosse introdo.tto.

Il Signor Conte non mi fece alcuna osservazione sul merito degli inconvenienti e delle difficoltà che s'incontrano ora in quel paese; ma mi disse che, a quanto pareva, il Principe avrebbe desidera:to di avere maggiori poteri che non gliene dasse l'attuale costituzione del Paese. Su di ciò osservò che neppure ciò gli avrebbe probabilmente giovato, poichè i difetti sono al paese, e quand'anche il Principe avesse avuto maggiori poteri, gli sarebbero mancati nel Paese i mezzi per a•ppoggiarli e renderne l'uso possibile ed efficace.

Feci notare al Signor Conte che la lettera del Principe essendo pervenuta alla sua alta destinaz·ione anche in questo paese, io lo pregava di dirmi, se non vi aveva obbiezioni, ,se e come vi si sarebbe risposto.

Il Signor Conte mi disse che egli cred-eva che di qui si sarebbe solo ordinato al Console Inglese a Bukarest di significare a S. A. il Principe, per ordine della Regina, ch'Essa aveva ricevuto la di Lui lettera. Non credo, egli soggiunse, che sia utile il dare ansa e l'incoraggiare il Principe nelle sue tendenze a sottrarsi dalla dipendenza della Sublime Porta.

3 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. II

(l) Cfr. n. 9.

35

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RISERVATO 245. Bucarest, 11 gennaio 1871 (per. il 19).

Allorchè il conte di Bismarck sepp€ delle lettere indirizzate dal principe Carlo ai Sovrani, le sconsigliò fortemente da Versames; ma il relativo telegramma giunse disgraziatamente a Bucarest quattro ore dopo la partenza delle prime. A questo annunzio il conte di Bismarck rispose prevedere ostacoli dal lato dell'InghH<terra.

La fretta con cui si diè a Londra una pubblicità poco commendevole al'le pratiche personal•i del principe, mostra in effetti quanto il Gabinetto della Regina fosse vessato da siffatto incidente.

In Austria si andò più oltre: se uguale era la premura di render pubbliche codeste partiche, maggiore fu a Vienna lo zelo nell'allterarle con malevoli insinuazioni atte a discreditare vieppiù il principe all'interno ed all'estero. All'-interno, perchè gli animi già ostili a S. A. non avrebbero veduto nelle sue pratiche che un modo come far diplomati·camente sanzionare un vero coilpo di stato; all'estero, perchè la pubblica opinione sarebbe rimasta scossa dalla voce sparsa che, spinto dalla Russ•ia e dalla Prussia, il principe aveva denunciato alle potenze la posizione fatta al'la Rumania dalle stipulazioni del 1'856 eld esposto la ne•cessità di elevare i 'PrincipaH a regno indipendente.

Da quanto precede è lecito il dedurre che l'Austria non ha rirnunziato alla sua politica tradizionale delle occupazioni sul Basso Danubio, e che per farla trionrfare si studia di ·provare come il principe di Casa HohenzolJ.ern che qui regna non sia soltanto maleviso dai suoi sudditi, ma è anche un avventuriero che non si perita di creare imbarazzi all'Europa mentre due delle maggiori potenze combattono una gran guerra.

È ancora recente il rumore fatto dalla diplomazia austriaca a Cospol,i nel 18-68 quando .per bocca di Fuad Pacha essa fece denunciare alla riunione di Kallindja le famose bande bulgare, mentre il c·onte di Beust designava dal canto suo la Rumania con la denominazione di un arsenale minacciante la pace in Oriente.

Oggi come allora l'Austria è coerente alle sue tradizioni, senza por mente

che esse potrebbero non trovar eco a Pesth ove l'incidente intorno al quale si fa

tanto strepito a Vienna non sembra aver preoccupato così fortemente gli animi.

La Russia, la di cui diplomazia si applica a provare ciò .che tutti sanno che, cioè, le pratiche del principe son la conseguenza dello stato ana~rchico del paese, segue intanto con evidente compiaeenza il giornaliero aumentar.si delle interne come delle esterne difficoltà, ed insinua apertamente che il rimedio si troverebbe nello statu quo ante. Come è noto la Russia, che rimpiange le antiche invasioni della Moldavia cadute :n disuso dopo l'Unione, chiama inefficace l'opera della diplomazia concernente i Principati-Uniti e sancita dal trattato di Parigi.

A Cospoli soltanto, dove nel passato giugno il principe fece fare le prime aperture relative ad un'eventuale modifica della Costituzione, erasi sinceramente disposti ad appoggiare codeste vedute. La Porta sostenne anche Couza quando questi credette dover fare il suo colpo di stato,

Ma le diflkoltà interne crescendo qui aUa giornata il principe Cado ruppe, mal consigliato, gli indugi; si indirizzò ai Sovrani in un momento inopportuno, e diè così buon giuoco all'Austria d'indispettire la Turchia sempre facile ad essere presa all'amo delle suscettibi!Jità, provenienti dal sentimento deH'Al·ta Sovranità che in essa è tanto vivace.

Per riassumermi, non credo di errare affermando che il rumore fatto intorno al partito cui, forse improvvidamente ma per le deplorevoli necessità interne appigliassi il prindpe Carlo, non rfu altro che il risulta.to di un intrigo austriaco av:vallorato dalla estrema diffidenza che si ha in Inghilter.ra per tutto quello che concerne l'Oriente.

36

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Londra, 11 gennaio 1871.

Era mio desiderio di rispondere subito alla lettera particolare del 30 p. p. Dkembre che mi ha favorito (1), e che mi pervenne co·l mezzo del corriere Long-o insieme ai miei pieni poteri, ed alle i·struzioni rper la conferenza, ma ciò non mi fu possibile perchè mi è scorso il tempo, dovendosi consumare gran parte della giornata in tutt'altro lavoro, che non a quello del tavolo.

Incomincio dal ringraziarnela, e dal soggiungere che mi sarà tanto più facile il seguire la linea che mi fu tracciata, in quantoche a me pare che il sistema adottato dal Governo in questo affare, e la Hnea di condotta designata sia quella appunto che per ogni riguardo conviene all':Italia. Io sono pure profondamente convinto, che per nessun conto ci conviene di mettere a repentaglio le buone relazioni che abbiamo con tutte le Potenze, discutendo, contrariando, facendo difficoltà, ed opposizione. Col Governo Inglese è in verità facile l'andar d'accordo, ed il lasciare fare a lui onde non comparire faccendieri; poichè nelle attuali questioni egli si trova natura·lmente sullo stesso nostro terreno, ed io misi qualche importanza a spiegare ciò a Lord Granville, princ·i:palmente perchè comprendesse, che se noi ci •mettevamo all'unisono sempre con lui, ciò dipendeva da che la rispettiva nostra condizione ci assegnava una simile linea di condotta. Questa spiegazione giovava ad un tempo ad assicurargli il nostro concorso anche in avvenire, colla prova della identità degli interessi, e ad inspirargli sempre maggiore confidenza in noi. Ed in verità debbo dire. che a questo

Il) Non pubblicata.

riguardo nulla mi resta a desiderare. A riguardo delle altre Potenze, io mi sono sempre astenuto, anche parlando con Lord Granville, di aver l'aria di contrariare le loro proposizioni e le loro viste, onde egli non avesse occorrendo, a valersene con Esse, ed ora appunto venne l'occasione d'essere guardingo su questo soggetto, nella lotta un po' ostille che è nata tra l'Austria, e la Russ.ia a riguardo della fo.rmola dellla dichiarazione a farsi nella prima seduta della conferenza. Noto ciò specialmente perchè avendole alcuni giorni fa spedito un telegramma in cui le faceva cenno di una lunga conversazione particolare e privata che avevo avuto con Lord Granville su questo soggetto sul quale versa H nostro dissenso, non vorrei che Ebla pot~ sse credere che io mi sia allontanato dalla linea di condotta sopra indicata. N e i telegrammi non posso separare le conversazioni officiali, ed anche solo officiose da quelle che hanno carattere veramente privato, e personale, ma nel mio rapporto col quale ho confermato quel telel:ramma non ho ri-ferito che la parte ufficiale del nostro discorso. Le farò notare che, per altra parte, da quella conversazione affatto privata e che non aveva alcuna portata politica, io non potevo in nessun modo rifiutal'mi pel modo veramente amichevole e confidenziale col quale Egli me l'aveva r1ch'iesto venenldo a trovarmi aUa mia casa. Gil"anville proclive in queste cose alla conciliazione era disposto ad accettare la fo.rmola della Russia per l'entente préalable; ma l'Austria non l'aveva ancora rifiutata nè la conosceva; ma per appoggiarla egli voleva prima assicurarsi dal punto di vista del dil'itto, ed è perciò che egli venne a parlarmene. Ed io non gli dissi neppure il mio avviso privato, senza sapere già, che era d'accordo con lui. Credo che Ella pure approverà che io non rifiuti codesti p11ivati colloquii, che non impegnano punto il Governo, poichè il riftuto di prestarmivi con un uomo leale come Granville, sarebbe un rifiuto di confidenza, che ne produrrebbe poi un altro per parte sua. Ho creduto di dirle queste cose perchè sento anch'io la necessità grande che abbiamo nelle presenti circostanze di non crearci delle opposizioni, epperò sento del pari la necessità in cui Ella è di essere ·su ·questo punto rassicurato su ciò che si fa qui ove ormai da sei mesi è H pernio degli affari generali.

Col Signor Conte Appony mi sono già spiegato confidenzialmente nel senso da Lei indicatomi, ed egli è persuaso, che noi abbiamo il desiderio in generale d'andar d'•accordo coll'Austria, ed in questo affare part~colare puranche, tenendoci però d'accordo coll'Inghilterra. Io aveva già avuto altre occasioni mol.to pl'ima d'ora di trattenere il Conte Appony sopra queste nostre disposizioni poichè siamo neHa più amichevole relazione, e ci ricambiamo spesso delle visite mattinali in modo affatto confidenZ'iale. Per altra parte il Conte Appony è persona schietta, e sommamente gentile. In questi giorni si è continuato a discutere, ed a contrastare tra la Russia, e l'Austria, e coll'intermezzo di Lord GranvHle su quella benedetta formula deHa dichiarazione préalable da farsi nella conferenza. Io non mi vi sono mai mi&chiato, avendo detto fin dal pdncilpio a Granville, che .noi concorrevamo nel voler stabilire il concetto, che a questo riguardo avevamo espresso nel}a nostra nota di risposta alia R:ussia; che non avevamo in anima di fare prevalere piuttosto una formola, che una altra, e che avendo lo stesso concetto dell'Inghilterra, lasciava fare a Lui, certo di poter a'ccettare senza uscire dalle mie istruzioni la formola, che l'Inghilterra avesse consentito. Però Lord Granvme mi ha sempre tenuto al corrente in questi

g1orni di ciò che accadeva; ma confidenzialmente, e colla forma più privata, e calla promessa di non scr·iverne, pe.rchè, come mi disse solo ieri, c noi con queste discussioni ci copriamo di ridicolo avanti l'Europa ». Granville ha fatto tutti gli .sforzi possibili per mettere l'Austria, e la Russia d'a<ecordo. Non sarebbe neppur possibHe che io le dicessi tutte le piccole particolarità di questo deplorahile contrasto. Le redazioni che egli ha tentato sono dieci. Egli disse persino a Brunnow (per fargli accettare ancora la formula del'l'assenso), « in'5JOilllma, ciò che voi siete disposti a fare, onde possa aver luogo la conferenza, è di fare un passo indietro dalle teol'>ie della vostra nota, se ciò è, che valle i~ stare là a disputare, ed a mercanteggiare sulle parole, quando in fondo poi c'è la stessa cosa? » e Brunnow disse che avrebbe appoggiato, ma da Pietroburgo si rispose di no. E credo, che ciò sia perchè de Beust ha elevato la questione di redazione ad una questione di amor proprio.

~Horquando •poi poco fa Lord Glranvme fece l'ultima proposta, egH dichial"ò che sarebbe stata l'ultima. Diffatti non a'Vendo essa potuto riuscire, ed avendogli ieri Brunow proposto, che e•gli avrebbe telegraofato a Pietroburgo una IllllOVa formola come proveniente da Gran'VHle questi vi si è recisamente rifiutato, e gli disse ma~date~a pUire ma non come una mia proposta, perchè la mia ultima l'ho già fatta. Questa formola consisteva nel riunire insieme le formole dell'assenso con quella dell'entente préalable. Davvero, che se H senso di ostilità dei due Gabinetti di Vienna, e di Pietroburgo non stesse sotto per spiegare tuttociò, bisognerebbe dire: quam parva sapientia regitur mundus? Certo che Granville accetta anche questa, se la accetteranno gli altri due Gabinetti. Ieri poi GranvHile mi diceva che aveva ragione di lagnarsi del modo col quaie si era agito ·con lui. «I soli di cui non posso lagnarmi siete Voi, e la Turehia. Aveva comunicato a tutti il progetto del mio discorso in cui vi era anche la dichiarazione; tutti mi dicono che lo accettano, e non fanno osservazioni, eppoi al momento di venire al fatto si fanno difficoltà, opposizioni, e non se ne vuO'l più sapere». Finora non vi è dunque nulla di definito, e dipenderà daa~a risposta dei predetti due Gabinetti il sapere se la Conferenza incomincierà con qualche dichiarazione separata. Tutte queste particolarità le tengo da Lord GranviJile, e me le disse in modo affatto confidenziale, e .privato, ma non credo di mancare al mio impegno dicendogliele in lettera affa1tto privata. Credo che Ella IPUr troverà opportuno di conoscerle, peil'chè iHuminano un po' il quadro, e danno anche gli elementi di altri giudizi. Mi creda, caro Signor Cavaliere che dopo di essere vissuto per un anno e mezzo in questo grande mare, di essere stato in relazione con tante persone i cui nomi suonan{) in Europa quasi come oracoli, posso dire in buona conoscienza, che noi Italiani ci stimiamo til'oppo poco.

Vengo ai sospetti che ebbe il Conte de Beust che noi ce la intendessimo colla Russia secretamente. EHa sa che de Beust non .scrisse nulla qui ad Appony, e che la notizia venne a Lord Granville da Lord Loftus da Vienna, il quale scrisse ciò che gli disse de Beust. Io ne parlai ad Appony, gli domandai .se ne sapeva qualche cosa, se aveva qualche notizia sul modo, e suH'origine di una taae opinione del Barone de Beust. Egli mi disse che non ne sapeva proprio nulliJ.a, e che aveva saputo la cosa da Lord Granville. Ne parlai in quell'epoica, ed in modo affatto pr·ivato con Lord Granviltle, e gli domandai d'onde credeva che il Conte de Beust avesse potuto ricevere queste voci, ed egli pure mi disse che non se lo sapeva immaginare. Ma allora, dissi, è questa una cosa ben singolare. Allora GranviUe sorridendo mi disse: « ma già de Be.ust pare che abbia bisogno di prendersela sempre con qualcheduno, prima se l'è preso colla Prussia, poi ha .sospettato ·che la Turchia s'intendesse direttamente coUa Russia, ed ora ha sospettato di Voi». Ed io credo che Granvil'le avesse ragione. Ella vede, che le scrivo come si parla al confessore, e così le dico che io non ho potuto sapere di più.

Come Ella sa, Granvflle non vuole assolutamente parlare prima del[a conferenza del merito delle proposte, che ora si discuteranno. Però in discorso affatto privato, e confidenziale ne abbiamo già pavlato alquanrto dal punto di vista di esaminare, e prendere le conseguenze delle proposte che già si conoscono, e senza manifestare opinioni, le quali mi pare di potere affermare che anche Granville non si è ancora formulato particolareggiatamente. A quanto pare la Rlussia accetterebbe la proposta della Turchia, che Ella ben conosce. Ma è egli poi prudente mettere assolutamente in balia dell'la Tturlchia l'aprire gli stretti anche in tempo di pace? Non potrebbe (in certi casi avvenire an-che non molto vicini, e in certe circostanze) la Tuvchia mettersi d'accordo colla Russia e !asciarle lanciare le sue flotte nel Mediterra,neo? Vi sono soitanto gli interessi dellila Turchia da tutelare, e la sua sicurezza, quando sono compli'cate tutte le Potenze in questa chiU1Sura, ed apertura degli Stretti, ed i loro particoiari fini, ed interessi? E quale è la posizione della 'I1uvchia liberata da ogni obbHgo di chiusura, e la'Sciata arbitra delil'apertura degli Stretti a chi vorrà? A quale pressione non andrà soggetta, quanti intrighi non si potranno fare ~ntorno a Lei? Tutti questi soggetti furono considerati, come dissi, a modo dii studio; ed i!l Conte Granviifle parlandone ci masticava sopra come chi non aveva preso un partito. Sul punto delle ultime due interrogazioni sopra scritte Lord Granvtille mi disse che Sir Elliot gli aveva scritto che la stessa Porta, che faceva la proposta di ·cui si tratta era in apprensione per le rpressioni a cui sarebbe stata sog.getta in ragione appunto della libera facoltà che avrebbe di aprire, e di chiudere .gli Stretti. Questa conversazione non condusse ad alcuna conclusione, come era naturale, e come sarebbe di qualunque altra all'attuale stato delle ·Cose. Ma essa riveia l'incertezza, la difficoltà intrinseca del:l'a questione, e la mancanza di un'idea, e di un sistema preconcetto per risolvere la questione, e ciò anche per parte dell'Inghiilterra. A dirle i:l vero io non spe["o da questa conferenza altro che uno di quei cataplasmi, che sono il solo fàrmaco che finora l'Europa ha saputo trovare per la questione d'Oriente. Impedire la guerra pel momento; non creare nessun elemento per una sdluzione avvenire; e lasciare a quelli che saranno quando vi sarà la gran guerra decisiva di p["ovvedere. H

che proverebbe ·Che il fatalismo non è solo nei Mussulmani. Intanto però mi pare certo che chi farà un gran passo è la Russia.

Nei miei discorsi con Lord GranvHle ho rilevato una cosa, che credo degna di nota. Parecchie volte eglli mi si è mostrato di una grande sensibilità ogni quaJlvolta egH potè supporre che si credesse che l'InghiHerra potesse avere un interesse magg.iore di altri Stati nella questione d'Oriente. Egli protesta con marcata energia contro una tale .supposizione. Quando gli dissi, che le mie istruzioni mi d~cevano di procedere sopmtutto d'aceor'do con lui, perchè l'Inghilterra era la più interessata ad una equa e prudente so'luzione dell'affare, E~li mi replicò tosto vivamente « questo non lo ammetto assolutamente ». Mi accorsi che non aveva ben compreso, e gli feci notare che aveva detto non già che fosse più interessata degli altri nella questione, ma sibbene che era più interessata ad una soluzione equa, e prudente. Al·lora cessò ta sua animadversione; ma mi ripetè, che l'Inghilterra non era punto più interessata di altri in questo affare. Io credo che questa suscettività venga dal v·Oiler alilontanare da se il più grosso fardello di responsabilità nella soluzione della questione; ma più ancora di che ritengo che le opinioni dell'a•ttuale Governo Inglese nella questione d'Oriente siano mdl!to modificate da quello che erano nei tempi di Olarendon, e di Palmerston. È questo un soggetto, ed un argomento che a poco a poco procurerò di conoscere il meglio che sarà possibile.

Essendomi pure trattenuto parecchie volte iln discorso col Barone Brunnow vecchio d~ploma.U.co dellla vecchia scuola, egli non è mai disceso, che a generaHtà non molto conchiudenti. Egli però mi ha de.tto, che era stato istruito delle nostre disposizioni eque, e conci'lianti pell congresso. Ciò ·che so di certo è che ha una notevole ripugnanza ad intavolare, e sostenere lotte nel Congresso, pel quale vorrebbe che si a·ccordasse tutto, od LI più possibile prima, e questo sentimento lo ha palesato anche a me. InoHre fin dai primi giorni che nacque questa questione egH non la vide favorevolmente, ed un giorno pur fa.cendo il suo dovere, ma volendo mettere sè stesso come fuori causa diceva a... (scusi se non dico il nome; ma ho promesso di non dirlo, ed ebbi sot·to questa promessa assoluta la ·COnfidenza) ... « avete mai sentito che io ci abbia mai messo qualche cosa del mio in tutte le volte che vi ho parlato? ».

Se poi mai il Conte di Beust volesse avere qui un plenipotenziario battagHero, questo non sarebbe certamente il Conte Appony, il qua·le in~tre, come mi disse egli medesimo, trova una grande difficoltà a parlare in una adunanza, e VIi ripugna assai.

Non so se Bernstorff sia parlatore; ma ne dubito assai. Musurus poi se pur sapesse parlare dubi•to assai se esso saprebbe •che cosa dire. Esso è un gran brav'uomo. E così, dovendo io parlare poco, e poco assai, se verrà Giwlio Favre (sul terreno delila parola), ci potrà mangiare tutti in insalata. Credo che è una fortuna che queste cose ill pubblico non le veda.

Tornando ·alla famosa formola, Granville accetterà sicuramente quella che si potesse concordare tra l'Austvia e la Russia, fosse anche quella della necessUà dell'assenso di tutti i contraenti, sebbene aache egli non la reputi esatta, ed egli sa che noi l'a·ccetteremo, se l'accetta l'Inghilterra. Le dirò a questo ri'guardo che avevo scritto un lungo rendiconto della mia priva•ta conversazione con Lord Granvi!lle su questo soggetto, di cui ho parlato in principio di questa lettera, e vOllevo mandarllo a Lei privatamente; ma me ne sono astenuto, perc·hè non finiva a•d essere che una lunga pappolata legale, la quale, sebbene la creda giusta, non avrebbe ora per noi una utilità pratica, e le farebbe perdere del tempo. Ma se la conferenza stabilirà solennemente, ed in modo assoluto mpri•ncipio fa1lso, che l'obbligatorietà di una convenzione non può mai essere sciolta, che dal consenso dei contraenti, la conferenza non .provvederà molto alla sua fama giuridica, farà sorridere anche i nostri Giudici di Mandamento, e quel che è più stabilendo un prdnci!pio falso non ne avrà stabilito nessuno per aver voluto far troppo. Le questioni di diritto, ed i pdncipii di diritto sono più forti (sul terreno del diritt<>) di tutte le grandi Potenze coa1lizzate. Si avrà soJo 11 risultato di far constatare di aver voluto fare una dimostrazione contro il procedere della Russia.

Se, come SIJ€ro, vi sarà alla conferenza il rappresentante francese gli farò nelle forme i ponti d'oro, il che mi è anche facile, e simpatico nelle attuali circostanze, ed ho tanto in mano per potergli dire che abbiamo fat·to diplomaticamente tutto ciò che abbiamo potuto. Starò poi attendendo per questo sQggettQ l'altra lettera par.ticolare che Ella si è riservata di s·crivermi.

Mi perdonerà se, scrivendole privatamente, ed un po' a precipizio, l'ho fatto un po' alla buona, e così come vien viene, e vogHo sperare che le m<Jdte particolladtà che Le ho date possano giovare a darle una idea un po' intima delle cose, e degli uQmind di qui.

P. S. -Questa lettera verrà portata al di Lei Ministero da un mio amico a cui la mando sottocoperto per maggiore sicurezza.

37

IL MINISTRO A VIENNA, MINGHETTI (1), AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Napoli, 11 gennaio 1871.

Forse prima di ricevere questa lettera, avrai ricevuto un mio telegramma, e mi avrai .cisposto. Dico forse perchè se il tempo continua ad imperversare come fa da tre giorni, non c'è caso di partire per Palermo.

Ho visto il Pisarnelli e ho imparat<> più cose che è bene tu conosca. n PisaneHi trova utile che si divida la legge delle garanzie in due parti, e che la seconda si rimandi ad altr<l tempo. La libertà della Chiesa g[i fa un po' paura, e ad ogni modo la vorrebbe tenere in serbo per un baratto da far.si col Papa a fine di conciliazione. lo g;Ji h<l mostrato che se si lascia questa oc.casione, non se ne farà mai più nulla e che ad ogni modo sarebbe indecoroso mancare a:d una solenne e dpetuta promessa. Passando ad altro, io gli ho fatto anche sentire la necessità che si formd un gran partito di maggioranza che sostenga un Ministero, mentre la usata titubanza dei .centri è la peggior delle condizioni parlamentari. Gli ho detto che noi eravamo pronti a sacri•ficare a questo nobile fine qualunque altra cosa, ma che se i centri volevano proprio faa: cosa da sè, noi non ci saremmo lasciatd trascinare sempre a rimorchio. Il Pisanelli conviene interamente nella idea, la trova giusta, pratica, ma... ma mi par di scorgere che si vagheggi un partito napoletano che imitando i centri, e i piemontesi della Camera passata, metta H suo voto decisivo neHa bilancia. Mi par di scorgere che tengorno il Lanza favorevole a questo disegno. Comunque essi sentono che la importanza loro va a crescere col trasferimento della capitale, e vorrebbero

profittarne. Domani sera si radunano Deputati e Senatori della parte moderata di Napoli per av•risare il da farsi, e per costituire, di.cono, un'associazione liberale moderata in Napoli da contrapporr·e al partito che ora governa la Provin'cia e il Municipio. Imperocchè non è da illudersi. Provincia, Munddpio, Congregazioni di Carità tutto è nelle mani dei San Donato e dei Nicotera, tutto si sperpera e si guasta. Per ver dire la città è tranquilldssima e la prosperità cresce; il che non prova in lor favore, ma prova quanto il paese sia governabile.

Ti ricordasti quellle croci a1gli austriaci di l!he ti diedi nota?

(l) Minghetti ricoprì formalmente la carica di ministro a Vienna dal 24 agosto 1870 al 24 giugno 1871 e presentò all'imperatore le lettere di richiamo nel giugno 1871 (cfr. n. 485). In realtà però egli soggiornò a Vienna dall'agosto al dicembre 1870 e poi, brevemente. nel giugno 1871.

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U. LUOGOTENENTE DEL RE PER ROMA E LE PROVINCIE ROMANE, LA MARMORA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA

(Ed. in Le Carte di Giovanni Lanza, vol. VII, p. 31)

L. P. Roma, 11 gennaio 1871.

Ho ri>cevuto sua lettera (1). Non .le nascondo che la sua proposta mi ha molto contràriato. 'Dutto era combinato e preparato per la cessazione di questa Luogotenenza alla metà di questo mese come eravamo intesi quando ella venne a Roma. E in verità non capisco che cambiamento sia avvenu·to. La questione del Senato era già veriente quando ebbi il piacere dd vederla. Comunque, se si tratta di pochi giorni ci adatteremo a rimanere, ma se ella !Prevede che, col passare la Legge dal Senato alla Camera, la eosa possa andare oltre il primo febbrio io la supplico a !asciarmi partir prima, e se possibile il giorno 16.

Mi permetto di segnalarle un'altra di:sposizione del Ministero deHa Guerra, che non mi so spiegare. Stava qui per Direttore del Genio un giovane Tenente ColonnelJlo, che 'colla sua non com'Une intell!H:genza e attività ·si era messo al corrente del complicato servizio e delle molte località, ·che tutte, più o meno, hanno bi·sogno di qualche miglioramento. Il buUetUno ci annunzia che il Tenente Colonne.llo Garava·glio è destinato a Milano, e ce ne arriva un altro che non aveva mai visto Roma, e al quale auguro che in 4 mesi si possa mettere al corrente •come 'lo era il Garavaglia. Quanto tempo sprecato per 'la smania di cambiare sempre tutti, e tutto.

Jeri ancora, ho ·lungamente parlato col Principe Doria, l'ho fatto pregare da>lla Duchessa Rignano sua ,figlia, e anche da suo figlio, ma senza riescire a fargli accettar la nomina di Sindaco. Egli ne adempie le funzioni, ma non vuol essere nominato; per cui non si può neppure trattare con un altro, colla probabilità ma.ssime di altri rifiuti. H PaHavklini, per esempio, io sono quasi certo che rifiuterebbe. Nè ·creda ch'io tenga a che si nomini un Principe. Sono i Romani che ci tengono, e d'altronde fra i consiglieri non saprei chi proporre. Il Placidi già mi fece capire ·che non accetterebbe.

(l) Cfr. n. 30 ..

39

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI MINISTRI A LONDRA, CADORNA, E A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, E ALL'INCARLCATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI

T. 1533. Firenze, 12 gennaio 1871, ore 17,40.

Veuillez me dire quelle est ,rimpression pvoduite par le bombardement de Paris sur l'opinion publ<ique et sur le Gouvernement. San~ faire au-cune démarche fovmelle, veuillez me dire si on serait disposé à faire un nouvel effor·t dans un but d'humanité.

40

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 71. Firenze, 12 gennaio 1871.

Due giomi prima ·che mi pervenisse il di Lei rapporto del 3 Gennaio 191 (1),. iii presildente della società commerciale, industriale ed agricola per la Tunisia, mi presentava un ricor.so (2) •contro l'operato del Governo tunisino nella circostanza in cui inviava alla Gedeida uno straordinario a•pparato 'di forze per arrestare due notari ed alcuni ·coLtivatori indigeni addetti a quel podere. La narraZ'ione dei fatti, presentatami dal presidente della Società anzidetta, corrisponde esattamente a quanto dalla S. V. mi venne po&teriormente riferito, con questa differenza però che •nella [ettera del primo non è accennato l'invito che sarebbe stato fatto al Direttore della Gedeida per la consegna degli indigeni ricercati daUe Autorità Tunisine nè conseguentemente il rifi.uto opposto dal Direttore medesi•mo a tale domanda.

Nei fatti accaduti importa mettere in •sodo non poche circostaillze essenziali;

ed anzi tutto prendiamo atto de~·la dichiarazione ·fatta a V. S. dal Bey stesso

che il Colonnello Moro non avea nessun diritto di occupare una casa di pro

prietà della Società 1taHana e che queUo stabile ·dovea prontamente essere

evacuato. Converrà poi mettere i:n chiaro se lo aver •fatto procedere alla appo

sizione di sigilli per mano di notai'i ind~geni a quellla parte della casa •che il

Colonnello non avea voluto evacuare maLgrado i ripetuti eccitamenti direttigli

dal Direttore della tenuta, sia un .tal fatto così contrario alle leggi de[ paese

da 1poter dar motivo di ap!'ire contro i notari stessi e gli indigeni che li assi

stettero un provvedimento penale. A prima giunta non si vede davvero iln quale

altra foi'ma avrebbe potuto provvedersi all'occupazione di locali aperti e vuoti

dellla ca•sa in quistione. Se a •carico dei Notari e degli ind~geni che assistettero

alla apposizione dei sigilli non ~sistevano aUri atddebiti. noi dovremo consi

(ll Cfr. il. 8 (::!1 Cf~: n. 17.

derare la violenza usata contro di loro come un atto ingiustificabile che tende unicamente ad intimidire gl'indigeni, dei servigi dei quali debbono pur valer!Si anche g'li stranieri proprietari di fondi rustici. Ella vorrà dunque favorirmi particolareggiate .informazioni e spiegazioni sovra questo punto, non bastando certamente a darne ragione dò che a Lei disse in proposito ì1 Bey, che cioè, operando come 'fecero, quei notari e quegli indigeni hanno violato le leggi e gli usi del loro paese perchè si prestarono ad atti che non potevano compiere senza aver previamente ottenuta l'autorizzazione superiore. Il Governo di Tunisi è tenuto di dimostrare quali leggi e quali illiSi vietino ai Notari di procedere all'apposizione di sigilli in uno stabUe sulla richiesta del proprietario del medesimo; quali leggi e quali usi permettano di incal'cerare gli indigeni che per essere addetti ad un pOidere S'i trovarono nell'occasione di dover a1ssistere all'operazione eseguita dai notari.

In terzo luogo è mestieri mettere in 'chiaro le segUenti circostanze di fatto: se sia vero che il Direttore del!l'a Gedeida ·fu invitato da una sola ,guardia a consegnare gl'-indig-enii ricercati dalla ·forza pubblica tunisina e che egli abbia rHìutato di aderire a tale ri•chiesta; se risulti che l'invio di numerosi cavalieri, gendarmi ed uffiziali superiori alla tenuta della Società italiana ,sia stato deliberato dal Governo del Bey soitanto dopo conosciuto il rifiuto del Direttore di quel podere: perchè in questo caso il R. Consolato Generale non fu avvisato degli atti che andavano ad eseguirsi mentre in casi analoghi, ma certamente di minore impovtanza, code.sto R. Ufficio era stato avvertito preventivamente dellle ricerche 'che la giustizia locale voleva eseguire sovra stabili affittati e coltivati da Italiani?

Ella comprende che da-lle risposte 'che il Governo tunisino potrà dare a queste nostre domande dipenderà n giudizio definitivo •che noi dovremo formarci dell'accaduto. Non Le nascondo, Signor Agente, ·che agli occhi nostri nel fatto della Gedeida si riscontra uno di quegli atti arbitrari coi quali si vuolle intimidire gl'indigeni per allontanarli sempre più dal prestare la loro opera ag'li Italiani possessori od affittuari di stabili. Non è questa una gratuita prevenzione .che si sia formata nell'animo nostro. Ella sa con quanta benevolenza noi abbiamo sempre interpretato gli atti del Governo di S. A. e di quale spirito di equ1tà abbiamo ognora faHo prova nelle varie vertenze che si produssero in questi ultimi anni fra l'I·talia e Tuni1si; ma noi non possiamo disconoscere nel complesso dei fatti che si sono succeduti recentemente a carico e danno degli Italiani, la manifestazione di una risoluzione presa se non dal governo stesso almeno da alcuni dei suoi membri 'più ·influenti, di combattere .senza posa e con ogni sorta di mezzi indiretti lo sviluppo del-l'industria agricola alla quale la Colonia italiana è ormai in grado di appllicarsi con buon successo e forse anche preferibilmente aUe al,tre colonie straniere.

Le ho .già espresso abbastanza chiaramente quale spiacevole impressione

produce in noi la .convinzione che abbiamo dovuto formarci nel senso sovra

esposto. Non le tacqui che perdurando, essa potrà influire sul nostro contegno

sinora tanto amichevole e benevolo verso la Reggenza. Ella non avrà sicura

mente lasciato ignoTare a S. A. ril Bey ed al suo pri!mo Ministro ciò ch'io Le

scrissi in proposito. È tempo ovmai che il Bardo abbandoni una via pericolosa

per la conservazione dei suoi amichevoli rapporti coll'Italia. Noi non vogliamo tollerare una condotta che si 'inspira evidentemente ad runo spirito di ostillità contro il quale è dover nostro •di reagire. Aspetteremo le risposte categoriche, pronte, esplicite .che la S. V. domanderà sovra tutti i punti che ho indicati in questo Dispaccio, non fu mai nostro •costume di imporne colle precipitose risoluzioni; ma importa che il Governo di Tunisi sappia che se siamo molto accurati nello appurare i fatti che sono la base dei nostri rkhiami, siamo ugualmente tenaci e forti nella decisione presa di far rispettata non solo la lettera ma lo spirito delle convenzioni nella fede deHe quali i sudditi del Re hanno impegnato i loro interessi economici.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 72. Firenze, 12 gennaio 1871.

La ringrazio dei rapporti coi quali Ella mi ha tenuto informato delle migliori disposizioni deNe quali si mostra animato il Governo di Tunisi per terminare gli affari italiani ·tenuti per troppo tempo in sospeso. Oggi stesso mi è stata presentata la memoria del R. Suddito Davide Nunez che qui unisco in originale con pre·ghiera di restituzione. Dalla medesima apparirebbe che malgrado le vive istanze fatte da codesto Consola·to Generale, il Bey si è sinora rifiutato di soddi·sfare al vistoso suo debito ·verso quel negoziante italiano, a differenza di ciò che ancor recentemente si è fatto per credi,tori francesi ed ingllesi di S. A. Desidero che la S. V. mi faccia un'accurata relazione di quest'affare in modo

ch'io possa essere in grado di rispondere a ·chi di esso mi interpellasse; e per intanto debbo notare che il Bey non è fondato in 'Cliritto nel pretendere di confondere i suoi debiti 'Particolari e privati con quelli dello Stato, e che in nessun caso poi noi potremmo ammettere per i creditoiti italiani un trattamento diverso da quello che il Bey usa verso i francesi ed inglesi che ripetono da 'lui il pagamento di qualche somma loro dovuta per analogo titolo.

42

L'INCARWATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 37. Vienna, 12 gennaio 1871 (per. il 18).

Già con i miei telegrammi cifrati del 29 Dicembre e 5 corrente (l) ebbi a ri!ferire all'E. V le serie preoccupazioni ·che 'l prossimo cessare della commissione europea de\ Danubio e l'imminente abrogazione delle stipulazioni del 1856

relative al Mar Nero avean destato presso il Governo Austro Ungarico. Questi timori furono sollevati al primo apparire della circolare russa, massime in Ungheria, ove si è gelosi per quanto concerne la navigazione del Danubio, comandandone quel Regno quasi esclusivamente l'alto corso navigabile, e si sorveglia con incessante cura l'attitudine delle numerose popolazioni slave.

Allorchè la Prussia venne a proporre una conferenza, onde appianare le diffiicoltà, questo Gabinetto cercò modo di procurarsi qualche vantaggio che gli servisse di guarentigia contro le ambizioni russe: non era facile appigliarsi presto ad un partito: si fabbricavan progetti al di quà e al di là della Leitha senza adottarne akuno, per le opinioni opposte del Conte di Beust e del Conte Andrassy.

Desiderava il primo che si ottenesse dana Conferenza un'arra onde neutralizzare la nuova influenza che la Russia, se le concessioni saranno ammesse, è chiamata ad esercitare sulle bocche del Danubio, ed a tal scopo, -consigliava che si facesse presente all'Assemblea la necessità di risolvere suUa questione della navigazione di quel fiume, cessando in Aprile i poteri affidati alla commissione europea: con .questo passo non avrebbe, a parer suo, destato alcuna suscettività, mentre nutriva speranza che la maggioranza delle parti contraenti avrebbe assicurato all'Austria, nel -comune interesse, solide guarentigie eontro la Russia.

Il Conte Andra.ssy che fin dal sorgere della vertenza ingigantiva i pericoli pel suo paese non ha mai dissimulato il desiderio di rporre un freno alle continue minaccie Russe e non .riuscendo ad ottenere, malgrado i suoi adoperamenti ed isti.gazioni, che l'Europa mostrasse un contegno inflessibile e deciso dinnanzi alle nuove esi•genze, si prese ad esercitare una persistente pressione sUil Sovrano e 'l Cancelliere, onde il Gabinetto di Vienna si assicurasse alla Conferenza di un vantaggio efficace e duraturo. E conseguì il suo intendimento per la nomina del Conte Szechenyi a Plenipotenziario supplente e per le istruzioni a costui impartite, che sebbene gelosamente tenute segrete, credo così riassumersi:

l) Proporre il prolungamento della Commissione europea del Danubio. 2) Proporre d'introdurre un pedaggio sulla navigazione di quel fiume a favore dell'Ungheria, allo scopo di rendere transitabili in qualsiasi stagione le

porte di ferro.

3) Cercare di persuadere, almeno la Gran Bretagna, onde si venga a discutere la cessione all'Ungheria del porto di Kilia, sulla bocca dello stesso nome.

Il Conte Beust non si dissimula al certo le difficoltà pratiche e .politiche che tali domande incontreranno, non che le diffidenze che potran motivare, ma la necessità di far concessioni in ques•to momento al Ministero Ungarico dal quale dipende assolutamente il conseguimento del bila•ncio straordinario della guerra, han dovuto rende!"lo pieghevole ai desideri del Conte Andrassy.

L'Ambasciatore inglese col quale m'intrattenni a più riprese su questo argomento si mostra molto irritato delle pretensioni esagerate del Presidente del Consiglio Transleitano, e mi di•sse che, a suo credere, questa politica non sarebbe secondata dal Governo della Regina perchè palesemente ostile alla Turchia, alla quale bisognava dare sicurtà e non maggiori sospetti.

(l) Non pubblicati.

43

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL LUOGOTENENTE DEL RE PER ROMA E LE PROVINCIE ROMANE, LA MARMORA

(Ed. in Le Carte di Giovanni Lanza, vol. VII, pp. 33-34)

L. P. Firenze, 13 gennaio 1871.

II prolongo 'chiestole della dura1a della Luogotenenza <li alcuni giorni oltre il 15 corrente, mi è 'Stato suggerito dall'inaspettato ritardo della approvazione della legge per 'Ì'l traspor·to della capi,tale per parte del Sena.to. Però non intendo abusare della di Lei longanimità e mi limito solo a pregarla d<i. volere rimanere in ufficio sino al giorno 21 del vi,gente mese come termine perentorio e definitivo. Per detto giorno o la legge sarà votata e potrà subito entrare in funzione il R. Commissario coll'incarico speciale del trasporto della capitale, ovvero non sarà ancora votéilta, e per qualche giorno funzionerà solo un Re~gente della Prefettura che è già stato scelto e n()lffiinato nella persona del cavaliere Borsani consigliere delegato a Mantova. Fol'se anche H Ministro Gadda si recherebbe costà in missione straordinaria, sino a tanto che, votata la legge per H trasporto della capitale, non possa anche assumere le attl"ibuzioni per eseguirlo.

Questa ~sera i Ministri si recheranno a Torino per ossequiare la Regina di Spagna prima della 1sua partenza per Ma.drid. Approfitterò dell'occasione per conoscere quando il Principe e la Principessa di Piemonte verranno costì. Mi si dice ·che il loro arrivo sarà il 20 o il 21 corrente. Nulla qui di rimarchevole se non che l'orrore che desta il bombardamento di Parigi! L'Europa non se ne commuove però, come se si trattasse di un fuoco d'artificio! Le conseguenze potranno però essere fatali anche per le generazioni future. Trovasi qui di pa,ssaggio il famoso generale Sheridan degli Stati Uniti. Dopo domani interverrà al pranzo di Corte.

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L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3405. Vienna, 13 gennaio 1871, ore 18,30 (per. ore 21,30).

M. de Beust étant à Pesth, je n'ai pas pu voir que le baron de Altenburg. Celui ci avec qui j'avais déjà causé hier du bombardement de Paris;-en est navré, le comte Potosky de mème. Afin d'òter à ma conversation avec le premier tout caractère officiel et d'écarter tout soupçon, j'ai demandé à mon interlo

cuteur s'il ne croyait .pas le moment propice pour une démarche suivant les circonstances et dans ce cas si l'Autriche serait disposée à la suivre. Le baron m'a répondu que les dernières dépèches du .comte Appony indiquent assez que le Cabinet de Saint James ne :ferait rien avant la chute de PariiS, mais il ne m'a pas caché que le comte de Beust ne serait pas éloigné, après les derntères déclarations échangées entre les Cabinets de Vienne et de Berlin, si l'occasion se présente, de prendre mème l'initiative d'une démarche colledive en faveur de la paix et cette occasion aurait pu se produire, ajouta-t-il, si M. Favre s'était rendu à Londres. Le parti favorablement disposé et tout ce qui n'est pas allemand .crie au vandalisme. La presse en général se borne à rapporter les faits, mais ne porte encore aucun jugement sur ·le bombardement. Si V. E. le jugera nécessaire, je me rendrai à Pesth, d'autant plus que le comte de Beust ne reviendra pas de sitòt.

45

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3406/43. Londra, 13 gennaio 1871, ore 21,40 (per. ore 10,40 del 14).

Impression ici pour bombardement .de Paris pénilble en général et au Gouvernement au•ssi. Mais de cela à une intervention du Gouvernement entre les belligérants, qui exposerait ou à un refus ou à une .collision il y a une grande distance meme dans :l'opinion publique. A mon •avis le pays aurait voulu et voudrait ·encore mettre fin à la guerre, mais sans courir aucun risque. Voyez l'article d'aujourd'hui dans le Times, plein de sympathie pour la France, qui exprime ave•c vérité l'état de la question en Angleterre. C'est ce qui a toujours arreté le Gouvernement et je pense que cette position n'est pas changée. Je n'ai aucune raison pour cro1re que le Gouverne•ment ne s'a•ssocierait pas à un effort commun et amicai des puissances dans la conférence; mais cer.tainement il continuera à se refuser avant .que l'objet de la conférence ne soit aHeint; car autrement on le ferait avorter et on aboutirai:t à rien comme je l'ai déjà télégraphié, et .comme je sarLs que Granville s'est aussi eXIprimé avec Appony. Je viens pourtant de laneer un mot dans un discours confidentiel avec Granville, dont la réponse est égale à la précédente. Qu'obtiendrons-nous, me dit-il, meme si nous tentions de dire que1que ohose à la conférence qui est convoquée pour le 17 courant? Granville a écrit à J. Favre qui a reçu cette lettre le neuf. Granville a notifié cela à Bordeaux en disant qu'il avait déjà prorogé la conférence et qu'on ne ~eut pas la différer davantage: pas de réponse encore de J. Favre. Une formule qui admet la nécessité d·e l'assentiment au moyen d'une entente amicale a été acceptée par la Russie. On attend encore la réponse de Vienne, mais Granville ne la changera~t-il plus dans le protocole qu'il proposera. Je vous ai écrit avant'hier particulièrement (1).

(l) Cfr. n. 36.

46

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3412. Tunisi, 13 gennaio 1871, ore 11,50 (per. ore 12,35 del 16).

Bey 1ui-meme m'ayant manqué deux fois de parole e't des nouveaux faits arbitraires avec violation de domicile s'étant passé à la Gedeida, je me suis trouvé dans la douloureuse nécessité de rompre les relations avec le Bardo.

47

IL CONSOLE A MONTREAL, GRANELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. l. Montreal, 13 gennaio 1871.

Ho l'onore di davvi informazione che la ,gerarchia cattoHca ha fatto e f'a delle dimostrazioni avverse all'Italia per avere rovesciato il potere temporale del Papa. Domenica 4 correrute il Reverendo Padre DaViid l'idolo delli irlandesi cattolici, terminata la solita funzione alla Chiesa St. Patrizio, Cattedrale dell'Irlandesi, invitava il suo ·gregge a non lasci·are la chiesa trattandosi di un affare di somma importanza e presa la sedia presidenziale disse « già avete inteso dal Santo Pergamo, .ora sono poche settimane, le persecuzioni sofferte dai papi per essersi eretti sostenitori della Religione Cattolica!... » passò quindi alla presente situazione del Papato ·che :liu s.pogliato di ogni suo legittimo potere e scagliò villane bassezze contro S. M. il Re d'Italia, contro i Ministri e l'Armata accusandoli di assassinii, di furti e mille altri improperii che •S. M. il Re d'Italia, approfittandosi del momento che l'a Francia non poteva più aiutare l'indifensibile Saruto Padre, colla sua numerosa armata riusciva a derubal"lo di ogni suo legittimo potere -invitava quindi tutti gl'Irlandesi Cattolici ad unirsi facendo una solenne protesta, nonchè una petizione a S. M. Britanni.ca la quale non poteva essere sorda ad un così giusto appello mentre era sicuro che il Governo Inglese avrebbe .preso delle detevminaz!ioni per far rispettare le leg.gi internazionali dava quindi libertà di parola ad ognuno di esprimere il loro sentire su tale proposito. Divevsi presero la parola sostenendo calorosamente il Padre David, e l'avvo·cato Currant assicurava l'assemblea che le loro costituzionali dimostrazioni dovevano avere l'effetto deSJiderato presso il Governo Inglese. Si passò quindi alla scelta delle persone che dovevano preparare li necessarii scritti documenti, e l'assemblea fu invitata a riunirsi Domenica il 22 corrente ,per incominciare ad apporvi le si.gnature; eguale dimostrazione ebbe luogo in altre chiese sia in questa città come in Toronto ed in Quebec.

Colgo di questa occasione per rendere noto a V. E. che in data 7 corrente ho avuto l'onore di ricevere una lettera dal Governatore Generale del Canada mformandomi che dietro istruzioni ricevute dal Colonia! Office in Londra s•i pregiava riconoscermi provisoriamente nella mia qualità di Console d'Italia, in attesa dello Exequatur che si stava preparando.

48

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 194. Tunisi, 14 gennaio 1871.

La mala fede, l'inganno e i modi disonesti spiegati dal Bardo in quest'ultimi tempi a nostro riguardo m'hanno messo jeri nella dolorosa necessità di rompere le relazioni col Bey.

Di questa gravissima notizia mi sono fatto un dovere di darne avviso telegrafico a V. E. (l) .col vapore delle Messaggerie francesi per Bona, e contemporaneamente con ·quello di Malta per essere il filo elettrico tra Tun~si e l'Algeria momentaneamente interrotto. Oggi ;poi mi val•go del vapore di Sicilia per trasmetterle copia dello ste·sso telegramma, e rassegnarle in parli tempo i motivi che mi provocarono a questa estrema determinazione.

In seguito dei nuovi fatti accaduti alla Gederda pregiavami coll'ultimo mio rapp.:~rto (2) di prevenire V. E. che per l'indomani avevo chiesta un'udienza dal Bey, e ·che ·in caso •le sue spiegazioni non fossero state delle più soddisfacenti, avrei protestato formalmente; ma S. A. 1si è mostrata invece disposta a renderei ;pienamente giustizia ordinando di nuovo di evacuarsi la casa in contestazione nelle 24 ore, ed assicurandomi che nulla sarebbe più seguito che potesse turbare i lavori agri.coli della tenuta.

Passando quindi a ricercare dei motivi che avevano dato luogo ai nuovi arresti, H Bey mi rispose, presente n suo primo Ministro, ·ch'ei non sapeva di quali arresti si tra.ttasse, poichè nè da lui, nè dal suo Governo erano stati esaminati delli ordini relativi. Al che avendo io osservato che in questo caso importava di conoscere e punire colui che si era arrogato simile autorità, ed in ogni modo di .cambiare il Governatore, che si era mostrato contrario ai nostri interessi, riprese S. A. dicendo -Permettetemi .che io prima ne ragioni in particolare col mio Ministro, ed in seguito ne riparleremo. Intanto dentr'oggi farò venire •il Governatore della Gedeida, ed avviserò alle migliori misure per mantenere ivi l'accordo e la tranquillità -.

Dopo di avere parlato degli affari pendenti, di cui importava grandemente di avere la soluzione, tolsi commiato da S. A. in modo bensì cortese, ma sempre sostenuto e dignitoso.

Ciò si passava mercoldì mattiÌna 11 corrente. Quale dunque non si fu la mia sorpresa sentendo l'indomani sera dal Direttore della Gedeida, Signor Cavaliere

4 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. II

Guglielmo Castelnuovo, che la casa era sempre occUJpata dal Governatore, che anzi di una parte di essa si era fatta prigione, che una !famiglia maltese che ne occupava una stanza, era stata maltraUata dalle Guardie e per iPiÙ ore impedita di ·escirne, che le Guardie inseguendo l'uno dei prigionieri aveano violato il domicilio del Direttore penetrando nel suo vestibolo interno, ·che appena la sera stessa era arrivato un impiegato del Bardo col semplice incarico di assumere delle informazioni, e che infine nulla faceva credere al pronto sgombro della casa.

Sommamente indignato di questo inqualificabile procedere del Bey che due volte mancò alla parola datami, mi recai jeri mattina all'attuale sua residenza di Caser Sayd, ed essendomi fatto annunziare venni subito ricevuto.

S. A. aveva al suo fianco il Generale della Guardia Si Mu.stafa Ben-Ismail; ma vedendo io che non vi si ,trovava il primo Ministro, osservai che, stante l'importanza dell'affare che avevo a trattare, ·sarebbe stata conveniente la sua presenza. Nondimanco essendo stato invitato a far conoscere l'oggetto della mia venuta, mi dol•si fortemente, sebbene calmo e con termini misurati, di non aver tenuto la parola datami per due volte, e siccome da tale mancanza erano provenuti i disordin'i più sopra lamentati, ho chiesto:

1° che la casa in questione fosse libera nella giornata; 2° che sia esemplarmente punito l'autore degli arresti fattisi senz'ordine superiore, in vista sovrat1mtto del danno arrecato ai fittajuoli della tenuta; 3o che sia ·~mmediatamente destituito quel Governatore.

Nel nostro caso era il meno che si poteva pretendere; ma S. A. non ammettendo altro che il primo punto, dovetti dichiarare che in quel ·caso mi troverei nella dispiacevole ,posizione di rompere le mie relazioni, pur troppo abbastanza già tese. Ricorrendo il Bey a nuovi sutterfugi per guadagnare del tempo, io fui inflessìbile, e da sua parte perseverando il Bey nel rifiuto, non si fu che dopo di averlo esorta•to ripetutamente a riflettere con tutta serie·tà alle conseguenze che ne potevano risultare, che mi ritirai dichiarando formalmente che da ·quel momento cessavo le ·mie relazioni col Governo di Tunisi.

Questa si è la vera e fedele esposizione dei fatti, a V. E. sta ora di apprezzarne la convenienza e l'importanza. Io aggiungerò solamente che da parte mia non fu un atto irreftessivo, ma richiesto i•mperiosamente dalle circostanze per mantenere alto nella Reggenza il prestigio della nostra bandiera ed H rispetto dovuto ai trattati.

Non lascierò pure di notare che i Notabili della Colonia ·che ·convocai jeri stesso in Consolato, accolsero la .grande notizia ·gridando entusiasticamente viva il Re -viva H Console.

Molte altre cose avrei pure a soggiungere, ma partendo la posta alle 2 tp. m. mi devo limitare per mancanza di tempo alle più essenziali.

Appena informata la colonia della rottura deHe nostre relazioni col Bardo, mi sono recato dai miei Colleghi per farne loro .parte in v'Ìa puramente particolare ed ami.chevole; e sono lieto di constatare della loro individuale premura di offrirmisi mediatori presso del Bey, ma che io nel render loro i dovuti ringraziamenti ne declinai l'offerta, osservando che in ogni caso non toccava a me di fare i primi passi, e che d'altronde la suprema decisione era ornai riservata al m1o Reale Governo.

Ho detto de' miei Colleghi, ma devo eccettuarne il Signor Des Essarts Console di Francia, il quale 'sotto le forme le più gentili (per quanto a·laneno gli è 'consentito dalla sua natura) deplorava l'accaduto atteso che la Francia per la vticinanza dell'Algeria non poteva esservi indifferente. Ed io replicai che le differenze esistendo tra la Tunisia e l'Italia, e spettando a questa di tutelare la sua dignità, .come di proteggere i suoi legittimi interessi, non vedevo sino a qual punto vi potesse entrare la Francia coll'Algeria.

Al che egli riSipondendo -Est ce que je ne sais pa.s quelles sont vos intentions? J'ajouterai meme que je m'attendais à tout-ça, et que je l'avais déjà signalé à mon gouvernement -; onde io -Vous pouvez penser et eroire tout ce que vous voulez, comme moi je pense et crois que mon gouvernement ne doit consulter que ses propres intér~ts -. Indi mi sono alzato; ma nel partirmene, accorgendosi forse il Signor Des Essarts di essere stato troppo esplicito, si perdette in complimenti ed attenzioni accompagnandomi sino al fondo del cortile del suo Consolato.

(l) -Cfr. n. 46. (2) -Cfr. n. 33.
49

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3411/44. Londra, 15 gennaio 1871, ore 20,20 (per. ore 10 del 16).

Toutes l es ~uissances sont maintenant d'accord dans formule suivante:

cLes puissances reconnaissent comme un principe essentiel du droit des gens ·qu'aucune puissance ne peut se délier des engagements d'un traité, ni en modifier les conditions, qu'à la suite de l'assentiment des parties contractantes au moyen d'une entente amicale ~.

50

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 209. Pietroburgo, 15 gennaio 1871 (per. il 22).

Ier l'altro 1° dell'anno Russo, al mezzodì, ebbe luogo nel palazzo d'ilnverno il gran circolo diplomatico che soleva da qualche tempo in qua riunirsi la sera istessa del primo ballo di Corte, ma tChe fu convocato in quest'anno con uno speciale invito, rinnovando così un anti.co uso stato messo in disparte negli u1timi anni.

S. M. l'Imperatore nel degnarsi di indirizzarmi la parola mi disse aver ricevuto da Roma un telegramma del Re, Nostro Augusto Sovrano, e mi inearicò

di farne pervenire alla Maestà Sua l'espressione del Suo gradimento. Mi richiese dell'epoca in cui il trasferimento del Governo in Roma sarebbesi effettuato: gh risposi che secondo la proposta Ministeriale che si aveva fidUtcia di vedere adottata dalle Camere, il traslocamento dovrebbe aver luogo al 1° Giu,gno. L'Imperatore mostrò di rallegrarsi del viaggio di S. M. in Roma e di considerarlo come una opportuna soddisfazione data alle aspirazioni nazionali. Anche S. M. l'Imperatrice volle meco far menzione delle cose di Roma, felicitandone il

R. Governo, e soggiungendo che sperava il buon successo finora avuto sarebbe seguito da una prossima riconciliazione colla Sede Pontificia.

Il Prindpe Cancelliere in tutto il tempo che durò la Cerimonia usò in vista di tutti gli astanti le più cortesi accoglienze al nuovo Ambasciatore Ottomano, Rustem Bey, ed il simigliante adoperò ancora in modo evidente al ;pranzo dato in suo onore al Ministero degli Affari Esteri, ove erano convitati tutti i Ca1pi di Missione e parecchj alti dignitarj dell'Impero.

Nel r1vo1gere la parola all'Incaricato d'Affari di Spagna, l'Imperatore Alessandro lo felicitò dell'avvenimento al trono del Re Amedeo e gli espresse degli augurj per la prosperità del Suo Regno.

51

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

T. 1538. Firenze, 16 gennaio 1871, ore 17,30.

Le Gouvernement français m'a ;prié d'appuyer à Londres ses démarches pour que la réunion de la conférence soit renvoyée au premier février. Vovel! lord Granville et dites-moi si la chose est encore possible.

52

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. Londra, 16 gennaio 1871.

Or son quattro giorni è venuto a farmi visita il Signor Barone Gerike d'Herwynen Ministro d'Olanda ;presso questa Corte il quale recasi all'Aja per prendervi il posto di Ministro degli Affari Esteri. Il Signor Barone è persona di .squisita cortesia, di opinioni, e di sentimenti moderati; ma non d è molto favorevole nella quistione di Roma. Già altre volte aveva avuto oc.casione di parlare con lui amichevolmente su questo soggetto, e gli aveva addotte tutte le ragioni che giustificavano la nostra andata a Roma, ed i fatti, che gius.bficavano del pari la nostra condotta posteriore. Io gli aveva spiegato le nostre intenzioni a dgua:-do della libertà, e dell'indi.pendenza del Papa; le leggi già introdotte in Parlamento a questo oggetto, e ·come lo stato delle cose dettandoci questa condotta, fosse la miglior garanzia alle popolazioni cattoliche anche per

l'avvenire. Ora per conseguenza non ebbi che a richiamargli le cose già dettegli.

Ma egli è preoccupato dei disturbi •che ha il suo Governo dai Cattolici, i quali gettandosi con l'opposizione in Parlamento metterebbero il Governo in minoranza, e mi disse che questa questione aveva creato loro un grande imbarazzo. E'gli aedeva, che se l'Italia si fosse limitata ad assumere il protettorato del Papa !asciandolo a Roma, ciò ci sarebbe dovuto bastare.

Gli feci osservare come un taie sistema avrebbe appunto lasciato la questione insoluta; come in quel caso appunto il Papa non avrebbe avuto la libertà, che se gli vuoi dare, come a ciò ripugnasse il princilpio di indipendenza, e di libertà religiosa ,che formano la base del nostro diritto pubblico interno.

Soggiunsi che noi avevamo appunto fatto, e facevamo tutto dò che poteva da noi dipendere perchè tutte le popolazioni varie CattoHche dovessero essere soddisfatte, e non avessero così ra~gione di dare molestie ai loro Governi, poichè l'unica cosa che essi avevano diriUo di desiderare era che, il Papa rimanendo a Roma, (come noi pure desideravamo) fosse indipendente e libero. Ma quando que,ste popolazioni non si contentavano di dò, e non volevano neppure aspettare l'attuazione delle garanzie che stavamo stabilendo al Papa, e pretendevano che una parte dell'Italia fosse loro inlfeudata, e spogliata dei diritti che ap.partengono a tutte le nazioni, allora non era più sola la sicurezza del PaJPa, che si voleva; la questione non era più religiosa, e non poteva imputarsi a noi se in alcuni luoghi si muovevano da partiti pretese così esorbitanti, le quali questi non ammetterebbero quando dovessero essere applicate al loro Paese. Feci notare al Signor Barone che tutte le Potenze d'Europa in questa cireostanza eransi di fatto limi•tate ad esprimere il desiderio che la libertà e l'indipendenza del Papa fossero tutelate, come risultava dal libro verde da noi pubblicato. Poi per far,gli indirettamente sentire come ad un piccolo Paese non convenisse, senza prendere una grande responsabilità, il prendere una via opposta, gli dissi che sulla questione della integrazione politica dell'Italia non vi erano in Italia partiti, ed il Governo sarebbe appoggiato in massa da tutto il Paese. Non mi fermerò a dirle tutte le altre considerazioni fa,ttegli per provargli oche il Governo non !Poteva fare altrimenti di quello, ,che aveva fatto, che il Papa sarebbe più indipendente di quello che lo fosse per lo passato, ed anche sotto il protettorato dell'Italia, come egH immaginava. Volli fargli vedere tutti i lati, e tutti gli elementi della questione, perchè egli, se lo vole,va, potesse poi giovarsene; ma non mi pare molto disposto ad entrare in questa via, ed è a~ppunto per ciò che ho creduto opportuno di darle queste private informazioni, che ~Le potranno forse servire per prevenirne il nostro Ministro dell'Aja.

Poichè sono in via a parlarle di questo soggetto, le darò un cenno intorno al ritiro del Signor Otway dal posto di Segretario Politico del Ministero degli Esteri. Pareechi giornali hanno stampato che egli si era ritirato perchè Lord Granville non aveva gradito il discorso, che egli aveva tenuto con me, e che io ho riferito col mio rapporto del 27 Settembre (l) stampato nel libro verde (a questo mio rapporto già si riferiva l'altro mio rapporto ufficiale del 4 Gennaio N. 180 poHtioco) (2). I giornali hanno pescia smentito ciò, dichiarando in

modo autorevole, che .ciò non era vero, e che il Signor Otway si era ritirato pe.rchè essendo membro della Camera dei Comuni, si trova in dissenso con Lord Granville sopra una questione politica.

Io conosceva già da due mesi, che si facevano nel Ministero delle osservazioni a riguardo del medesimo; si diceva, che non era all'altezza del suo posto; che non aveva corrisposto alla aspettazione, .che si aveva di lui, ed altre simili cose, che io seppi da fonte sicura, e quasi diretta. Però per me non v'è dubbio, che se il Signor Otway ha affrettato il suo ritiro lo ·Si deve in molta parte al discorso che egli mi ha fatto, e che io ho riferito. Basterebbe a provarmelo l'importanza, che vi ha data la stampa, il senso che dò ha fatto a Lord Granville e ciò che egli mi disse, (e che io già gli scrissi) a .questo riguardo. Però ciò non si riferisce a quella parte del discorso del Siognor Otway che esprimeva la sua approvazione esplicita per la nostra entrata a Roma; ma sibbene a quell'altra in cui aveva trovato a dire al trasporto della capitale a Roma, e specialmente in .quanto, apprezzandone le conseguenze, aveva indica·to l'opposizione Irlandese come vera .causa d'imbarazzo pel Governo Inglese. Le cose da lui dettemi a questo .riguardo erano vere; e, secondo me, è anche bene, che si siano sapute, perchè esse hanno svegliato qui coloro, che non vorrebbero a nessun 1patto che il Governo desse segno di subire quella pressione. I giornali di tale opinione, e la parte del Parlamento che vi partecipa saran così più svegli a sostenere il Mini·stero, e questo avrà più valido appoggio per lottare meglio a nostro favore contro il clericalismo Irlandese. Ma intanto bruciò non poco al Governo, che si sia .saputo che erasi detto all'Italia, che la !pressione Irlandese lo metteva in pensiero. Ed è su ciò che mi 'trattenne Granville, quando mi disse, che mi assicurava che Egli, parlandomi delle difficoltà che poteva produrre il trasporto della Capitale, aveva !pensato all'opuscolo di Massimo d'Azeglio; e mi soggiunse «credete, che io non pensava all'Irlanda ».

Dopo di aver conosciuto tutte queste particolarità Ella troverà quella che io credo essere la vera ragione della proposta che Gladstone fece alla Regina, di dare Lire Sterline 200 per gli inondati del Tevere; dell'aver fatto esprimere ciò sull'avviso ufficiale che me ne fu dato; e dell'essersi egli affrettato a scrive:runi un biglietto particolare, e privato per prevenirmene.

Di fatto, se è vero che la .pressione Irlandese deve preoccupare il Governo qui, non è però men vero che egli, comparendo di cedervi, si solleverebbe una tempesta ben •Più forte nello stesso partito che lo appoggia. E parmi che egli non voglia fare alcun atto esplicito che il più tardi possibile, rimanendo, per così dire, a cavano, perchè il tempo è a suo favore. E lo è non solo per stare a vedere le tendenze del Parlamento (che si radunerà il 9 Febbraio); ma anche perchè si fanno per parte nostra dei maggiori fatti .compiuti, e gli si creano maggiori mezzi di difesa. Dico poi ciò perchè io non dubito, che Egli ci è favorevole. Non me ne lasciano dubbio le opinioni del Signor Gladstone, e i discorsi stessi da lui tenutimi, e che io Le ho riferiti colla mia lettera, e col rapporito particolare del 4 Novembre (1), il quale penso che Le sarà pervenuto. Il Conte Granville è forse meno proclive a nostro favore, ed alcune attinenze di famiglia hanno pure in ciò qualche influenza; ma non può scostarsi dal Signor Glad

stone, che è il vero padrone della posizione, e che è di quegli uomini, che per

sonificano veramente un Governo, e che non si lasciano prendere la mano. n

Conte Granville non mi ha mai più detto una parola sul soggetto di Roma, ed

io .credo che .sia meglio non &forzarlo a parlare in questo momento, e a•spettare

che la .cosa venga qui fuori da se.

Quanto poi aU'Jrlanda non v'ha dubbio, che il partito clericale fa colà,

come negli altri paesi, i più .grandi .sforzi contro di noi; ma non bisogna nep

pure preoccuparsene troppo, né spaventarsene, poicbè, anche .colà, il .chiasso

non è in proporzione colla forza reale, e la questione che vi domina non è la

clericale; ma la questione nazionale. Ed è per ciò che Le segnalai pochi giorni fa

una nuova .elezione in Irlanda, ed un articolo del Times su questo sog.getto. Quel

pazzo del Signor Bowyer, ed i suoi amitCi faranno certamente del chiasso alla

Camera; ma tengo ·come ·cosa altrettanto ·certa che vi saranno battuti, e solen

nemente. Le comunico in modo privato questi a.ppr.ezzamenti sui quali credo

che Ella possa riposare, essendomi fin qui astenuto dal farle rapporti ufficiali

sull'Irlanda, al .cui riguardo ho trovato fin dalla mia venuta qui che la parte

politica era fatta direttamente al Ministero dal Consolato di Dublino, indipen

dentemente dalla Legazione.

Sull'opinione pubbli.ca poi di questo Paese si può fare assegnamento in nostro favore, e tutti i giornali, anche di contrarii partiti .politici (meno i clericali) ci ·sono fatVorevoli, il che qui significa molto.

Mi dimenticava di dirle che quando Lord Granville mi parlò del mio rapporto su.ccennato del 27 Settembre, io gli dissi, .che lo pregava di notare che se aveva riferito l'opinione più esplicita del Signor Otway, perchè me l'aveva detta, trattandosi di lui aveva sempre osservato in allora, ed in tutti i miei rapporti le stesse riserve che egli aveva usato con me, ond'è, (gli ·soggiunsi) che vedrete dal nostro libro verde, che io sono stato nel novero dei Ministri che hanno potuto dir meno al Governo su questa questione. Il Signor Conte se la cavò con un sorriso, ·Che voleva dire, che aveva ragione.

Scusi il disordine, ed H ,prec~pizio di questa lettera in grazia del lavoil"o pel quale ora la giornata è corta, anche appiccicandovi una parte della notte, e mi creda...

(l) -Cfr. serie II, vol. l, n. 94. (2) -Cfr. n. 11.

(l) Cfr. serie II, vol. I, nn. 466 e 467.

53

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA. AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3422/46. Londra, 17 gennaio 1871, ore 18,25 (per. ore 19,30 del 18).

J'ai reçu votre dépèche télégraphique (l) la nuit dernière. Renvoyer la conférence quelques heures avant sa réunion établie, chose impossible. Par égard à la France on a renvoyé la seconde séance au 24 courant, mème avec la réserve de la différer elllCore de deux jours si on est sur à cette époque de l'arrivée de Jules Favre, ce qui n'est 1pas maintenant. La première séance a eu

lieu. Le protocole a été signé. Les différents discours ont été lus. Aucune observation d'aucune part, on n'a rien discuté, quant au fond de l'afl'aire. Le protocole spécial sera un annexe du protocole de la réunion. J'ai eu entretien avec Granville et Appony ensemble pour entàmer le fond. Appony dit qu'il n'est pas vrai que l'Autriche .propose de donner la fa.culté à la Turquie d'ouvrir les détroits en temps de paix seulement aux puis•sances occidentales, en les tenant fermés à la Russie. La proposition de l'Autriche admet la faculté d'ouverture à la Turquie sans exception, rien n'est encore entendu entre no.us Angleterre et Autriche. Je vous dis camme élément de l'examen ce qui suit: Nous considérerions que ;Ja .cessation de la neutralité de la Mer Noire, qui est la conces·sion à la Ru.ssie, ne serait pas compensée par la seule conséquence navale pour la Turquie d'y avoir aussi une flotte. La Turquie ne parait pas accepter la proposition autrichienne pour des stations navales des puissances dans la Mer Noire. La faculté à la Turquie de laisser entrer dans la Mer Noire les navires des puissances implique la faculté de laisser enitrer à son gré la flotte russe dans la Méditerranée, ce qui nous ferait réfléchir. Granville n'a pas pourtant trouvé jusqu'à présent d'autres compensations qu'on puisse demander. La Turquie voudrait abolir l'article 9 du traité et qu'on fìt une déclaration pour exclure toute faculté des puissances de se meler de ses affaires intérieures. Elle désirerait aussi étend~e son ingérence dans la Roumanie, mais elle ne fera pas d'opposi

tions si eHe ne sait pas d'avance qu'elles seront acceptées. Granville pE>nse que son Gouvernement n'a.ccepterait pas tout cela, et Appony aussi.

(l) Cfr. n. 51.

54

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 496/187. Londra, 17 gennaio 1871 (per. il 22).

Mi pregio d'accusarle ricevuta del di Lei telegramma del 12 corrente (1), pervenutomi il giorno 13, nel quale Ella mi invitò a ragguagliarla intorno all'impressione prodotta dal bombardamento di Parigi sull'opinione pubblica e sul Governo in questo Paese. Ella mi invitava del pari a dirle pur senza fare alcun passo formale, se si sarebbe disposti a fare un nuovo sforzo per uno scopo di umanità.

A conferma del mio telegramma responsivo, speditole nello stesso .!dorno 13 (2), mi pregio di significarle quanto segue:

Non v'ha dubbio che l'opinione pubblica in Inghilterra si è sensibilmente modificata da quello che era al principio della guerra, allorquando nella Francia altro non si vedeva che la Nazione che aveva provocata una guerra che riputavasi ingiusta. Non occorre indicare la causa di questa modificazione che sta negli avvenimenti straordinari, terribili per la Francia e, dal punto di vista dell'umanità, per ambedue i belligeranti, che si svolsero da sei mesi a questa

!l) Cfr. n. 39.

parte. Il bombardamento di Parigi poi è tal fatto che per le sue terribili conseguenze commuove la pubblica opinione e desta nella medesima un senso di pietà al quale non sono estranei queglino stessi che si palesano avversi alla Francia. Non è certo senza dolore che anche il Governo contempla questi pietosi fatti e le loro deplorabili conseguenze. Ma da questi sentimenti al fatto della intromissione del Governo fra i due belligeranti vi ha un gran tratto, sì per l'opinione, almeno di una .gran parte del Paese, che pel Governo. Il Paese si divide in due partiti; l'uno disapprova l'astensione serbata fin qui dal Governo e lo spinge ad una azione nell'intento della pace; l'altro approva la politica del Governo e dice che esso non avrebbe potuto fare ·e che non può fare altrimenti. Le ho a questo riguardo segnalato un articolo inserito nel Times del giorno 13 intitolato «Simpatie per la Francia » nel quale è messa in chiaro questa discre

panza d'opinioni.

Per quanto riguarda il Governo io non ho alcuna ragione di credere che egli non si assocerebbe ad uno sforzo comune e amichevole delle Potenze (se esso si potesse ottenere) anche nella Conferenza all'intento della pace, sebbene non oserei pronunziarmi sulla fiducia ch'egli nutrirebbe, allo stato attuale delle cose, sui risultati del medesimo. Ma ciò che credo di potere affermare è che egli si rifiuta e si rifiuterà certamente di farlo prima che non siasi raggiunto lo scopo pel quale la Conferenza si è radunata, perchè egli è convinto che, facendo altrimenti, la Conferenza stessa non riuscirebbe più a nulla. Questo fu l'avviso di Lord Granville, che già ebbi a certificarle prima d'ora, e non v'ha dubbio ch'egli non l'ha punto modificato. Così pure Lord Granvi],le si è espresso coi Rappresentanti di altre Potenze. Non ostante ciò, in seguito al di Lei telegramma sopra riferito, avendo avuta una conversazione con S. S. ho lanciato qualche parola su questo soggetto, esprimendo quanto fosse doloroso il vedere che l'Europa intera non potesse impedire tante e sì grandi sciagure ·che, dal ,punto di vista dell'umanità, nessun uomo poteva non deplorare dolorosamente. Il Signor Conte mi si mostrò pure preoccupaito di ciò, ma la sua risposta non fu dissimile dalle precedenti. «Che cosa otterremo noi -egli mi disse -quando pure tentassimo di dire qualche parola? ».

Successivamente nel giorno 16 mi pervenne il di Lei telegramma del 15 corrente (l) col quale Ella mi significò che il Console di S. M. a Parigi insisteva perchè si ottenesse dai belligeranti l'uscita degli Italiani. Nella supposizione che l'Inghilterra abbia un interesse eguale al nostro per domandare, ad uno scopo di umanità, il permesso per l'uscita da Parigi degli Inglesi, Ella mi ha invitato a farle sapere se il Governo Britannico sarebbe disposto a fare con noi delle pratiche a questo fine a Berlino ed a Bordeaux.

Col mio telegramma di ieri sera (l) Le ho riferito il risultato della visita che a tale effetto feci immediatamente a Lord Granville. Egli mi ha detto che, dopo il principio dell'assedio di Parigi, e da tempo notevole, aveva ·chiesto ai due belligeranti la facoltà di fare uscire da Parigi dei sudditi Inglesi; che questa facoltà era stata dall'una e dall'altra parte accordata per cui egli ne aveva approfittato a più riprese, facendo consegnare ai due Governi la lista delle persone di cui si domandava l'uscita. Però già da qualche tempo dalla parte

del Governo Francese il permesso era negato ed il Governo Britannico non faceva ora veruna domanda a questo scopo. Però egli soggiunse che ove noi facessimo la domanda ai due belligeranti per Italiani, gli pareva che potessimo giustamente citare il precedente dell'Inghilterra, massime ove non avessimo avuto prima d'ora la facoltà di fare uscire degli Italiani da Parigi.

(2) Cfr. n. 45.

(l) Non pubblicato.

55

IL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 57. Washington, 17 gennaio 1871 (per. il 4 febbraio).

Ho l'onore di ragguagliare l'E. V. come nella sera del 12 del presente si tenesse nella Città di Nuova York una riunione avente per iscopo d'esprimere i sentimenti di simpatia della nazione Americana pel compimento dell'unione ed indipendenza d'Italia, il quale pel numerosissimo concorso e per la distinzione degli oratori che vi presero la parola, ha una grande significazione, massime se viene contrapposta alle riunioni d'altro genere che seguirono in questi ultimi tempi.

Spedisco sotto fascia all'E. V. un giornale che contiene un resoconto completo dei discorsi che vi furono pronunciati, e l'E. V. ne rileverà come gli oratori non solo manifestassero caldi sentimenti di simpatia per l'Italia, ma dimostrassero una conoscenza delle cose nostre ch'è assai degna d'attenzione. Nè credo in alcun paese d'Europa, all'eccezione forse dell'Inghilterra, potrebbesi riscontrare tanto amore per la redenzione della nazione Italiana.

Alcuni fra gli illustri personaggi ch'erano stati invitati al meeting non poterono intervenirvi, ma diressero lettere di simpatia alla Presidenza. Il Signor Sumner, Presidente del Comitato degli Affari Esteri del Senato, fra gli altri. dopo avere dette parole di caldo affetto per l'Italia, tributa un commovente ricordo al Conte Cavour, col quale s'incontrava nei dì della battaglia. E m'incombe fare speciale menzione della lettera del Signor Fish, Segretario di Stato, il quale si esprime nei seguenti termini: « Ed è naturalissimo che il popolo Americano, il quale ebbe recentemente a sostenere una tremenda lotta pel mantenimento della sua unità nazionale, simpatizzi coll'Italia pel compimento di quella unità che da secoli fu l'aspirazione dei suoi statisti e patriotti, nè havvi alcuna ragione per reprimere la gioia che tutti gli Americani provano nel vedere introdotti nelle istituzioni di stranieri paesi quei principi sui quali noi stimiamo fondarsi la prosperità e la felicità delle grandi masse che costituiscono le diverse nazioni del mondo. E non dobbiamo quindi esitare ad esprimere la viva soddisfazione che non possiamo a meno di sen\tire nel vedere adottati in altre regioni i principi di governo costituzionale, i quali assicurano al cittadino l'esercizio della libertà civile e religiosa che noi consideriamo come il diritto naturale dell'uomo».

Grandi furono gli applausi che accolsero queste dimostrazioni di simpatia per l'Italia, e non v'ha dubbio ch'esse avranno un'eco in ogni parte di questi Stati e fors'anca in regioni più lontane.

Non credo commettere un'indiscrezione nell'aggiungere che organizzatore del meeting fu l'egregio professore Vincenzo Botta, residente in Nuova York, il quale alle già numerose prove da esso date di caldo amor patrio, aggiunse ora il merito d'aver saputo, con un'intelligenza ed una attività superiori ad ogni elogio, raccogliere i diversi elementi amici d'Italia ed ottenere un sì splendido successo.

56

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 195. Tunisi, 17 gennaio 1871 (per. il 22).

Nella fretta e nella confusione con cui per mancanza di tempo ho scritto il mio Rapporto N. 194 delli 14 andante (l) per ispiegare le cagioni che mi spinsero all'ardito passo che mi son trovato nella penosa necessità di prendere, mi dovetti limitare ai soli fatti della Gedeida; ma importa oggi di aggiungere che questi non furono che la goccia d'acqua che fece traboccare il bicchiere.

Ed in primo luogo malgrado le assicurazioni ricevute dalla propria bocca del Bey che ordini espliciti andavano ad essere spediti al Kalifa di Susa perchè il noto affare Mainetto fosse giudicato coll'intervento di quel R. Vice Console nulla, assolutamente nulla malgrado l'insistenza del Signor Avvocato Alberici erasi fatto con grave danno di esso Signor Mainetto.

2° a tenore del Trattato è permesso agl'italiani l'esercizio di qualunque traffico od industria pagando le stesse tasse che pagano gl'indigeni. Ora la vendita in dettaglio dell'aglio costituisce un monopolio, per cui i bottegaj sono tenuti di pagare una tassa mensile, e quantunque il suddito italiano Beniamino Lumbroso abbia voluto soddisfarvi, tuttavia l'appaltatore si è rifiutato di concedergliene la licenza. Ne mossi quindi lagnanza al Bey, il quale sebbene non me ne contrastasse il diritto, non ha però mai date le promessemi disposizioni.

3° per ben tre volte pregai S. A. da due mesi a questa parte di raccomandare al Governatore della città di giudicare egli medesimo le differenze di poca importanza tra italiani ed indigeni senza rimandarli al Bardo, e malgrado delle più positive assicurazioni nulla venne cambiato.

Era dunque nel Bardo un partito preso; ed a me per isventarlo non rimaneva altro mezzo che d'imporre al Bey l'ultimatum che diede luogo alla rottura delle relazioni.

Secondo il solito, il Bey mandò nei diversi Consolati i Generali Raffo ed Elias, e da quanto mi venne riferito da alcuni de' miei Colleghi, i fatti furono travisati sino ne' più piccoli dettagli. A me però basta di confermare in ogni sua parte l'esposizione ch'ebbi l'onore di farne a V. E. nel mio Rapporto precedente.

Del resto il Bey comincia a rinvenire, anzi credo che sia disposto a cedere affatto accettando tal quale il mio ultimatum; ma ciò non sarebbe più bastante per noi, -anzi stimo che dovressimo profittare di questo disgustoso incidente

per procurarci delle garanzie in ordine ad un migliore avviamento delle cose.

Il fatto si è che S. A. ha intromesso i buoni uffici dell'Agente e Console Gene

rale d'Inghilterra; ma se non ho ravvisato conveniente di declinarne la media

zione, ho accettato per altro colla riserva di ricevere semplicemente ad refe

rendum le proposizioni che mi verrebbero fatte per mezzo del Signor Wood.

N o n ho trovato sinora necessario di affidare ad un altro Consolato la pro

tezione delle persone e degl'interessi nazionali, avendo luogo a credere che

malgrado la sospensione dei nostri rapporti non si avranno a lamentare dei

disordini.

L'opinione pubblica è sempre più favorevole al Consolato; riconoscendo il

bisogno da lungo tempo sentito di dare nell'interesse generale una buona lezione

al Governo tunisino, plaude senza riserva all'atto energico che ho compito testè.

(l) Cfr. n. 48.

57

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 197. Tunisi, 17 gennaio 1871 (per. il 22).

Avevo appena finito il mio precedente Rapporto (1), quando mi venne annunziato il mio Collega d'Inghilterra.

In quel Rapporto accennavo a V. E. che il Bey avea richiesti i buoni uffici del Signor Wood per trovar modo d'intenderei sulle differenze che aveano dato luogo alla rottura delle mie relazioni. Riferivo del pari che non potendone in verun modo declinare la mediazione, io l'avea accettata semplicemente ad referendum.

Ho quindi l'onore di quì unita trasmettere a V. E. copia del Memorandum contenente le proposizioni che il Console Generale d'Inghilterra m'ha testè presentate a nome del Bey, e che costituiscono in sostanza l'accettazione dei tre punti da me posti per ultimatum a S. A. La variante della visita del Governatore ebbe luogo dacchè questi di cui non si può contestare l'autorità, avea indipendentemente dal Bey e dal suo primo Ministro ordinati gli ultimi arresti seguitisi alla Gedeida.

Se mi fosse permesso di mettere una parola, direi che oggidì non è più questa per noi una condegna soddisfazione; comunque però siasi, io aspetterò con tutta confidenza quegli ordini che l'E. V. si compiacerà d'impartirmi.

ALLEGATO.

WOOD A PINNA

Tunisi, 17 gennaio 1871.

S. A. le Bey ayant invoqué l'intervention du soussigné pour venir à une entente avec M. I'Agent et Consul Général d'Italie et son Gouvernement des difficultés qui ont surgi entr'eux, a cru de son devoir d'offrir ses bons offices qui ont abouti aux concessions suivantes de la part du Gouvernement Tunisien.

1 • Que la maison occupée par le • Ukil • de la ferme de la Gedeida sera vidée et mise à la disposition de M. Castelnuovo. 2• Que le Colonel El-Taib ben el-Hage • Ukil • (préposé civil) de la Gedeida sera destitué de cet emploi et remplacé par un autre.

3• Le Général Sy Selim, Gouverneur de la Ville de Tunis et de ses environs fera une visite à M. le Représentant de l'Italie, qui le recevra assisté par MM. les Officiers de son Consulat, pour donner à M. Pinna des explications au sujet des ordres qu'il avait donnés pour l'arrestation des indigènes employés en la susdite Ferme.

M. Pinna accueille les concessions ci-dessus ad referendum, qui seront mises en exécution aussitòt que le Gouvernement de S. M. le Roi d'Italie les agréera.

Il est en outre entendu que les réclamations pendantes seront définies dans l'intervalle.

(l) Cfr. n. 5G.

58

IL MINISTRO A BRUXELLES, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 305. Bruxelles, 18 gennaio 1871 (per. il 22).

J'ai l'honneur d'accuser réception à V. E. et de La remercier de Sa dépeche du 28 Décembre dernier (Série Politique N. 38) ainsi que de la Circulaire portant la date du 26, à la quelle étaient joints 8 documents diplomatiques.

Le mouvemenlt d'opinion catholique en opposition aux événements qui se sont accomplis à Rome, tend à prendre chaque jour des proportions plus considérables. Dans les campagnes et les petites villes, ce mouvement se produit sous la forme de pélérinages vers des sanctuaires réputés miraculeux et où les populations se rendent en grand nombre et avec beaucoup d'éclat pour demander « la détivrance du St. Père ».

A Bruxelles et dans les autres grandes centres de la Belgique, il prend le caractère de souscriptions ou offmndes au Pontife-Roi, qui, sans atteindre des chiffres considérables, témoignent cependant d'une certaine universalité d'efforts et de sympathies. A ces manifestations, il faut ajouter les pétitions au Roi, dont j'ai déjà eu l'honneur de parler à V. E., mais qui constitutionnellement, ne peuvent avoir aucun résultat pratLque, et sont destinées à s'éteindre dans le milieu qui les a produites. Toute cette agitation est sous la direction immédiate de l'Episcopat qui trouve dans le clergé inférieur, et il faut bien l'ajouter, dans la haute aristocratie du Pays, des instruments aussi ardents que dévoués.

La Chambre des Représentants a repris hier ses travaux. A en juger par la violence des premières discussions, qui ont eu lieu sur des sujets relativement insignifiants, l'on peut déjà prévoir quels orages vont soulever les questions ayant la moindre apparence d'intéret politique intérieur ou extérieur.

En ayant l'honneur de remercier V. E. du dossier de documents diplomatiques N. 633 (du N. l au N. LIX), qui m'est parvenu hier, je saisis...

59

DIOMEDE PANTALEONI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Roma, 18 gennaio 1871.

Comunicai al Cardinale d'Amat e questi a Sua Santità il contenuto della di lei lettera (l) per quella parte che riguardava l'affare della Cancelleria e seppi dal Cardinale ·che S. Santità si era rimasta estremamente <:ontenta. Allo stesso tempo ho potuto comprendere da un ulteriore messaggio ricevuto dal Cardinale, che si attendeva ad un'altra risposta da lei allusiva a quanto ella accennava che ella si accingeva a parlarne agli altri Ministri. Evidentemente

S. Santità sembrava ansiosa di sapere cosa si sia tra loro deciso ed io la pregherei di dirmene qualche cosa, anco se Ella il creda, a modo da non pregiudicare indefinitivamente l'avvenire.

Colsi il destro di questa vertenza per chiedere da S. Santità certa dichiarazione che mi giovava per lo spirito e mi compiacque subito. Cito la cosa solamente perchè Ella veda come con poco si possa tenere la porta aperta. Dico la porta aperta, perchè quanto al resto Ella sa cosa io pensi e l'ho stampato senza velo.

Frattanto questa circostanza le spiegherà una nuova determinazione da me presa, ed è che avendo anco prima della di Lei ultima ricevuto un invito da Nicomede Bianchi di fornirgli quanto io potessi di relativo alle note trattative, dopo ricevuta la di Lei lettera ed avuto con S. S. questo scambio di cortesie stabilii con lui, che egli facesse la pubblicazione nel modo che io voglio e gli cederei il tutto. In quest'occasione ricordo a Lei quegli articoli originali dei quali Ella mi promise la restituzione. Ci tengo perchè ormai il solo testimonio che io mi abbia di quanto feci sono i documenti che mi rimangono. Ho pregato il Bianchi a fargliene parola al suo passaggio per Firenze. Ho stimato bene tenere aperta la porta con S. S. Mi dia il modo di continuare nella stessa posizione scrivendomi, e chissa?... Niuno è profeta dell'avvenire

60

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ADL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 73. Firenze, 19 gennaio 1871.

Il giorno 15 corrente ho ricevuto, ripetuto per varie vie, il di Lei telegramma (2) col quale Ella mi annunziava di essersi trovato costretto ad interrompere le relazioni ufficiali col Governo tunisino. L'indomani ricevertti il di Lei rapporto in data 10/1871 (3) col quale Ella esponendomi altri fatti avvenuti alla Gedeida a danno della società agricola industriale italiana, mi faceva presentire il caso in cui il Governo del Re si vedrebbe spinto a pigliare qualche severa

risoluzione per opporre un riparo efficace al partito preso da alcuni consiglieri del Bey d'osteggiare lo sviluppo della prosperità economica della colonia e degli stabilimenti italiani della Tunisia. La S. V. soggiungeva però che pur mantenendosi in un contegno quale le circostanze lo richiedevano, avrebbe aspettato di conoscere le determinazioni che piacesse al Governo di S. M. d'adottare. Debbo dunque ritenere che se pochi giorni dopo la S. V. si è decisa a sortire dalla riserva che si è imposta ed ha stimato necessario di prendere sopra di sè la responsabilità d'una interruzione dei rapporti col Bardo, senza interpellare per telegrafo il Governo del Re, ciò Ella avrà fatto per qualche potente ed imperioso motivo intorno al quale io aspetto d'essere prontamente informato.

La notizia dell'interruzione delle relazioni ufficiali fra l'Italia e la Tunisia fu tostamente conosciuta dai Governi di Francia e d'Inghilterra ed i rappresentanti di essi mi chiesero informazioni dell'accaduto. Anzi dal signor Paget essendomi stato spontaneamente domandato se l'Italia gradirebbe che l'Inghilterra s'intromettesse nelle difficoltà insorte per appianarle, gli ho risposto che noi avremmo sentito con piacere che il Governo inglese raccomandasse al Bey di Tunisi di conservarsi l'amicizia della Italia e di fare in guisa che l'appoggio da questa derivantegli non gli venisse a mancare. Lo stesso linguaggio io tenni col Ministro di Francia. Non fu e non avrebbe potuto esser questione di buoni ufficii offerti dall'Inghilterra e da noi accettati o rifiutati. Noi non abbiamo ancora elementi sufficienti per giudicare della situazione con calma e piena conoscenza di causa nè vi ha per verità alcuna ragione urgente che ci possa spingere a prendere una subitanea risoluzione. Noi vogliamo, ed io lo dissi anche al signor Paget conoscere anzi tutto i fatti in ogni loro particolarità e poscia potremo risolverei sul partito più conveniente da adottare.

Risulta però dal telegramma da Lei speditomi oggi per mezzo del R. Prefetto in Cagliari (l) .che il Bey stesso avea chiesto ·che il Console Generale di Inghilterra s'inltromettesse in questo affare ed avea già accordato ciò che la

S. V. avea chiesto in tre punti. Ella non ha tuttavia stimato opportuno di ripigliare le relazioni ed ha soltanto accettato ad referendum ciò che il Bey per mezzo del signor Wood avea fatto offrire.

Anche intorno a ciò mi trovo costretto di non darle per ora alcuna istruzione, dovendo io riserbare l'opinione del Governo del Re sino al momento in cui avrò ricevuto dalla S. V. i rapporti che mi metteranno in grado di pronunciarmi definitivamente sull'accaduto.

(l) -Non pubblicata. (2) -Cfr. n. 46. (3) -Cfr. n. 33.
61

ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3425. Cagliari, 19 gennaio 1871, ore 10,25 (per. ore 13,40)

Bey ayant demandé médiation consul anglais vient d'accorder le.s trois points que j'avais posés. J'ai accepté ad referendum et sans reprendre relations. Notre position au Bardo a beaucoup gagné.

(l) Cfr. n. 61.

62

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 764. Berlino, 19 gennaio 1871 (per. il 24).

Hier a eu lieu la proclamation de l'Empire.

Je ne l'ai pas ltélégraphié à V. E., car il résultait déjà de mes rapports précédents que la nouvelle organisation de l'Allemagne était entrée en vigueur depuis le 1er Janvier. Elle n'a pas été votée, il est vrai, à Munich, mais :le Roi de Bavière ne saurait s'en formaliser, car il n'admet point la compétence des Chambres pour cette question du titre, dont S. M. a pris Elle-mème I'initiative.

La proclamation du Roi Guillaume au peuple Allemand porte la date anniversaire du 17 Janvier à laquel.le en 1701 Frédéric III, électeur de Brandebourg pris le titre de Roi. Comme Guillaume Ier il avait pris part à des guerres contre la France et avait gagné sa couronne sur le champ de bataille. Mais où la comparaison cesse, c'est qu'il avait fallu l'assentiment de l'Autriche, dont il avait épousé la cause.

Le Roi accepte le titre impérial pour Lui et ses successeurs à la Couronne de Prusse pour tous les rapports concernant l'Empire Allemand. Le dernier bulletin annonçant les succès remportés con:tre le Général Bourbacki porte la suscription à l'Impératrice Reine Augusta.

Avant que ce changement soit admis dans le droit public européen, il faudra comme de raison, une notifìcation aux Cours étrangères, et une reconnaissance de leur part. Comme tout se fait à Versailles, j'ignore quand la première de ces formalités sera remplie. On ne sait pas davantage s'il y aura la solennité d'un couronnement; ce ne serait dans tous les cas ,qu'après la conclusion de la paix.

Quant à la manière d'apprécier cet événement, qui symbolise l'union de l'Allemagne, je me refère, entre autres, à mon rapport n. 752 (1). En accusant réception à V. E. de sa dépèche Série Politique, n. 141 du 14 de ce mois (2), et des documents diplomatiques n. 63,3 et 642 ...

63

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 74. Firenze, 20 gennaio 1871.

Mi giunge in questo momento il di Lei rapporto del 14 Gennaio (n. 194) (3) col quale Ella mi conferma la notizia di aver sospese le relazioni ufficiali col Bey, dopo che S. A. si era ricusata di accettare Je domande da Lei presentatele in tre punti per metter fine alle arbitrarie vessazioni di cui erano vittime i con

duttori italiani del latifondo denominato la Gedeida. Ella aveva chiesto: l) che la casa appartenente a quel podere ed occupata da un funzionario tunisino fosse evacuata entro le 24 ore, 2) che fosse punita quell'autorità che senza ordini superiori aveva proceduto ad arresti di mandriani e coltivatori addetti a quel fondo, violando anche l'abitazione del direttore, cittadino italiano, 3) che il governatore della Gedeida fosse immediatamente destituito. Autorizzavano la S. V. a fare le due prime domande le parole stesse del Bey che aveva promesso la evacuazione immediata della casa, ed aveva dichiarato che nessun ordine era stato dato perchè si procedesse a nuovi arresti. Le davano poi diritto di chiedere la punizione del Governatore cosi gli atti arbitrari da lui commessi, ·come, ed ancor più, l'esser egli la causa prima di tutte le difficoltà incontrate dalla società conduttrice della Gedeida, e conseguentemente del grave incidente che metteva la

S. V. nella necessità di interrompere le sue relazioni ufficiali col Bey e col suo Governo.

Sono dunque ben lieto di aver saputo avanti ieri per telegrafo (1), che, in seguito alle osservazioni fattegli dal di lei collega d'Inghillterra, il Bey ha accettato i tre punti sovra espressi.

La S. V. non aveva però creduto di poter ripigliare le sue relazioni col Bardo prima di aver ricevuto le istruzioni del R. Governo. Fu il rifiuto del Bey di accettare il secondo ed il terzo dei tre punti sovra accennati quello che costrinse la S. V. ad interrompere i rapporti. L'accettazione di tutti e tre i punti senza veruna eccezione o restrizione sembrerebbe dunque a prima vista bastare perchè le relazioni interrotte si abbiano a ripigliare. Cionondimeno, dopo le Tipetute esperienze fatte, non crederei che l'accettazione delle nostre domande, .ancorchè incondizionata, basti, se non è seguita dall'esecuzione effettiva delle promesse fatteci. Inoltre, al punto ove sono giunte le cose, il Governo del Re deve riflettere di quanti danni sarebbe causa il rinnovarsi di simili incidenti, per prevenire i quali, come ebbi già occasione di scriverle, sarà cosa conveniente tanto per noi quanto per la Tunisia stessa che meglio si determinino le clausole del trattato in ordine all'esercizio della giurisdizione sui pastori e coltivatori addetti in modo pE>:manente al servizio degli italiani che si applicano all'industria agricola. ~rebbe dunque mestieri che senza entrare in particolarità per .ora superfl.u~ nell'atto di riprendere le relazioni col Bardo, la S. V. ottenesse dal Bey Ja promessa di occuparsi soLLecitamente con noi del modo di completare il trattato. esistente sia colla firma di un protocollo sia con uno scambio di note allo scopo di impedire il rinnovarsi delle difficoltà che ·condussero alla rottura presente delle relazioni. Se S. A. coll'accettare sul momento le domande ch'Ella Le aveva fatte avesse dimostrato di tener in maggior conto gli interessi che si .connettono col mantenimento dei buoni rapporti fra l'Italia ed il suo paese noi avremmo potuto riposare tranquilli nel suo buon volere, e noi non ci troveremmo ora costretti a chiedergli un formale impegno che ci prometta per l'avvenire una guarentigia di più per gli interessi italiani impegnati in speculazioni fondiarie a Tunisi.

Se il Bey Le farà la promessa che noi gli domandiamo, Ella potrà ripren.dere con S. A. i rapporti ufficiali.

65 .5 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. Il

(l) -Cfr. n. 25. (2) -Non pubblicato. (3) -Cfr. n. 48.

(l) Cfr. n. 61, pervenuto in realtà il giorno precedente.

64

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3428. Tunisi, 20 gennaio 1871, ore 11,35 (per. ore 16,30).

Consul français revenu de ses impressions, consul anglais joue double jeu, opinion publique pour nous et moment favorable pour consolider la posi· tion nécessaire à la proltection de nos intérets. Tranquillité parfaite.

65

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3429. Costantinopoli, 20 gennaio 1871, ore 15,12 (per. ore 16,40).

La nouvelle de la rupture de nos relations avec Tunis a fait impression ici. Arn:bassadeur d'Angleterre qui pousse un peu loin son culte pour la suzeraineté de la Sublime Porte en général s'en est montré mécontent. Il serait hon je crois. que je puisse donner des explications sur les motifs qui ont déterminé ·cette mesure si V. E. n'y trouve pas d'inconvénients.

66

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3434. Londra, 20 gennaio 1871, ore 22,50 (per. ore 19,50 del 21).

Je viens de parler à Granville sortant du conseil de Cabinet. Anglelterre refuse prQPosition autrichienne pour l'entrée en temps de paix dans la Mer Noire de navires des puissances en nombre proportionnel à la force maritime russe, elle refuse aussi de toucher aux affaires des Principautés comme la Turquie le désirerait; elle accepte la proposition de la Turquie pour ouverture et clòture facultative à la Turquie des détroits; elle voudrait pourtant limiter cette faculté au cas d'urgence. On a télégraphié à Constantinople car on veut suivre l'action de la Turquie. Angleterre accepte prorogation commission européenne du Danube pour quinze années et meme plus; elle accepterait proposition autrichienne pour les travaux aux portes de fer avec exécution des travaux par l'Autriche avec remboursement par un péage ou autrement, car elle désire faire que1que chose agréable à l'Autriche. Mais pour tout cela on a télégraphié à Pétersbourg. L'Angleterre accepterait aussi de ·Confier ces travaux à la commission européenne avec faculté d'en confier l'exécution à qui elle jugera convenable. Appony attend encore des instructions, mais il parait que l'Autriche sera d'accord avec l'Anglelterre. Bemstorff tient à se mettre d'accord avec Russie, mais nous sommes aussi bien avec lui. Veuillez-me dire si je puis consentir aux opinions de l'Angleterre exprimées ci-dessus. Jusqu'ici on n'a pas avancé d'autres propositions. On ne sait rien des intentions de Jules Favre.

67

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL LUOGOTENENTE DEL RE PER ROMA E LE PROVINCIE ROMANE, LA MARMORA.

(Ed. in Le Carte di Giovanni Lanza, vol. VII, p. 40)

T. Firenze, 21 gennaio 1871, ore 10,45.

LL. AA. RR. il Principe e la Principessa di Piemonte partiranno lunedi mattina verso ore sei e giungeranno costì verso le ore quattro pomeridiane. Ricevimento nella qualità di Principe Reale.

68

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3437. Berlino, 21 gennaio 1871, ore 17,20 (per. ore 10,20 del 22).

Au nom de la Reine et du Gouvernement Odo Russell a félicité le Roi de Prusse pour le rétablissement de l'Empire en Allemagne. Vers la meme époque le 23 décembre après le vote du !Parlement fédéral le Gouvernement beige a fait démarche analogue en chargeant le baron Nothomb de remettre une dépeche. L'Autrlche par sa dépeche du 26 décembre a admis nouvelle organisation de l'Allemagne. Il est évident que la Russie ne peut pas rester en arrière. Il me parait que sans plus tarder, nous devrions sortir nous aussi de la réserve. V. E. pourrait me envoyer une dépeche dont je donnerais lecture et copie à Thile pour témoigner en prenant pour point de départ la proclamation du Roi de Prusse à son peuple du 17 janvier, que nous ne saurions etre indifférents en présence des événements accomplis chez une nation avec qui nous avons et désirons conserver les meilleurs rapports. Il faudra se borner au simple fait; toute autre allusion enlèverait à notre démarche son caractère de spontanéité et de parfaite courtoisie.

69

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA AL MINLSTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3438. Londra, 21 gennaio 1871, ore 20 (per. ore 11 del 22).

Beust interrogé par Appony vient de répondre que l'Italie avait bien interprété et compris ses propositions les prenant dans le sens indiqué dans vos instructions, veut vraiment que le passage des détroits soit fermé à la Russie et qu'il soit ouvert aux autres puissances à volonté de la Turquie sauf l'obligation pour elle de laisser exercer ce passage avec un nombre de navires des puissances à fixer avec le système proposé par lui. Cela rend nécessairement plus difficile l'entente avec la Russie. L'Angleterre n'a pas encore délibéré sur cela. En tout cas vos instructions sont suffisantes à ce sujet, puisque je dois appuyer la proposition autrichienne si elle est agréée par l'Angleterre.

70

IL LUOGOTENENTE DEL RE PER ROMA E LE PROVINCIE ROMANE, LA MARMORA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA

(Ed. in Le Carte di Giovanni Lanza, vol. VII, p. 40)

T. Roma, 21 gennaio 1871.

Ricevuto suo telegramma (1).

Disporrò perchè lunedì ore quattro principi siano ricevuti municipio guardia nazionale truppa. Visto ministro Gadda, col quale combineremo prima che parta data cessazione luogotenenza.

71

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

T. 1543. Firenze, 22 gennaio 1871, ore 18.

Je vous prie de demander à Granville s'il est vrai qu'Odo Russell ait déjà félicité Roi de Prusse pour le titre d'Empereur d'Allemagne. Si cela n'est pas exact, veuillez lui demander si le Cabinet anglais a pris une décision à ce sujet. Peut-étre, pourrait-on, pour faire quelques démarches en faveur de la paix en déhors de la conférence, saisir cette occasion pour faire dans la lettre souve

raine de félicitations au Roi de Prusse, faire un appel aux sentiments d'humanité du nouvel Empereur d'Allemagne. Mais, en cela aussi, nous désirons ne pas nous séparer de l'Angleterre. Je désire donc avoir votre avis, et celui de Granville à ce sujet.

(l) Cfr. n. 67.

72

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RISERVATO 246. Bucarest, 22 gennaio 1871 (per il 31).

Come è noto, le pratiche del principe Carlo presso i Sovrani offrirono a Vienna il destro di attaccare la Prussia malgrado le amichevoli proteste scambiate di recente fra il conte di Bismarck ed il conte di Beust.

La Prussia fu accusata di servirsi del principe Carlo per sollevare imbarazzi in Oriente; alle inspirazioni della Prussia fu attribuito il progetto del regno danubiano; alla influenza di essa addebitaronsi le tendenze della corona rumena di infrangere i legami di vassallaggio.

Purtroppo a Cospoli si era proclivi a dare ascolto a codeste accuse, delle quali la diplomazia austriaca si fece colà banditrice per bocca del barone di Prokesch.

Le lettere del principe Carlo ai Sovrani addimostrarono su quali fragili basi eran fondate le malevoli insinuazioni. Ma per ciò che più specialmente riguarda la politica prussiana a Bucarest, sono in grado di affermare che quella attribuita a Vienna ed a Londra al conte di Bismarck è una politica di fantasia, ad uso delle potenze interessate ad eliminare dai Principati Uniti il principe forestiero, insediandovi la Caimacania per sostituirla poi con le occupazioni.

Mi consta che da oltre un anno il conte di Bismarck si studia di disimpegnar la Prussia dalla questione danubiana. Non è che alla sola persona del principe, il quale porta un nome venerato in Germania, che il Governo di Berlino prenda interesse. All'infuori di ciò la Prussia è indifferente alle future sorti del basso Danubio.

Codesto sentimento di disimpegnarsi dagli affari dei Principati è cosi vivace nel conte di Bismarck, che ho motivi fondati per affermare aver egli pel primo fatto penetrare nell'animo del principe la necessità di abbandonare un paese avverso al medesimo, e che era da qualche tempo divenuto il punto di mira degli attacchi contro la Prussia.

Se a quest'ultima vuolsi attribuire assolutamente un'azione sulla corte di Bucarest, codeslta azione esiste realmente ed energica. Ma contrariamente alle insinuazioni austriache ed inglesi una tale azione è puramente egoista, e tende a disimpegnare interamente la Prussia dalle cose orientali con l'allontanamento del principe Carlo dal trono di Rumania.

Tale è la missione precipua affidata all'attuale Agente prussiano signor Radovitz il quale, appoggiandosi sulla poca vitalità del paese, sulla ·corruzione ed anarchia politica che vi regna, sembra aver pienamente convinto S. A.

essere per lui indecoroso di oltre rimanervi. Il giorno in cui il principe Carlo non sarà più sul trono della Rumania, lungi dall'annoverare uno scacco la diplomazia prussiana si sentirà più libera in Oriente, ove la presenza di un principe di Hohenzollern dà continui appigli alle inconsulte gelosie dell'Austria e dell'Inghilterra.

Per ribadire quanto precede aggiungo, facendo pieno assegnamento sulla nota discrezione del Governo del re, che il ,principe Carlo chiese recentemente per iscritto al conte di Bismarck lumi e direzioni concernenti l'eventualità di rassegnare i suoi poteri.

Raccomandandogli di agire con somma prudenza e di scegliere il momento opportuno, il conte di Bismarck rispose che Sua Altezza doveva anzitutto alcun che al nome che porta; essere perciò conveniente di non attendere complicazioni dolorose che dessero un'apparenza di fuga alla sua partenza; doversi in ogni caso adoperare, abbandonando il suo trono, di non lasciare sul lastrico le redini dello Stato.

Malgrado gli apprezzamenti contrari che potessero pervenire a V. E. da Vienna o da Londra, la politica prussiana a Bucarest è quale la riassumo col presente.

P. S. La risposta del Gran Visir alla lettera del principe Carlo è giunta ieri a Bucarest. Ne conosco già il contenuto che è corretto; ma S. A. avendomi fatto dire che mi riceverebbe domattina preferisco renderne conto a V. E. dopo l'udienza accordatami.

73

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 39. Vienna, 23 gennaio 1871 (per. il 27 ).

Indi al mio rapporto di questa serie n. 37 (12 Gennaio corrente) (l) relativo al nuovo assetto che da questo Gabinetto vuolsi dare alla direzione dei lavori ed alla navigazione del Danubio, le disposizioni ostili incontrate a Londra ebbero a moderare le ambizioni di questi Governanti e a modificarne i progetti, siccome sommariamente accennai coi miei telegrammi del 19 e 22 corrente.

Trattavasi dunque di escogitare nuovi mezzi e di un carattere più conciliante per conseguire lo scopo prefissosi dal Conte Andrassy, ossia la suprema autorità su quel fiume, sotto il doppio rapporto commerciale e strategico. Questa volta ancora varie furono le combinazioni proposte, ma, senza enumerarle tutte, dirò soltanto degli ultimi progetti che sembrano prevalere, e comunicatimi jeri verbalmente dal Conte di Beust:

Propugnare il prolungamento della Commissione europea, !imitandone però l'ingerenza alle sole bocche del Danubio fino ad Isaska.

Sostituire alla Commissione ripuaria, già stabililta in principio, una Commissione mista composta dei Delegati austro-ungarico, turco, rumeno, e serbo, la quale avrebbe autorità su tutto il corso navigabile del fiume, provvedendo ad ogni maniera di lavori e regolandone la polizia, e la cui presidenza sarebbe affidata al Commissario imperiale e reale.

Stabilire finalmente un pedaggio sulle navi che transiterebbero sul Danubio, onde provvedere all'abbassamento delle Porte di ferro, al rimov~mento dei banchi di sabbia e ad altre opere di assoluta necessità.

L'esclusione dei Delegati bavarese e wurtemberghese da questa nuova Commissione e l'ammissione del rumeno e del serbo mi parvero fatti di tale importanza che non potetti a meno di esprimere al Cancelliere dell'Impero i miei dubbi se sarebbero acconsentite. Mi rispose egli confidenzialmente, doversi pure una volta considerare il Danubio qual fiume orientale e per nulla germanico; per cui ogni ingerenza di questa dovea cessare, tanto più che la grande navigazione non vi giunge: ad allontanare poi i reclami della Baviera e del Wurtemberg avea egli fondate ragioni per fare assegnamento sull'appoggio della Prussia. In quanto poi ai Delegati Rumeno e Serbo, la cui ammissione nella Commissione ripuaria era stata sempre rifiutata dalla Sublime Porta, nutriva egli speranza d'ottenere il consenso della potenza alto~sovrana.

Non so se, pel continuo tentennare di questo Governo, s'abbiano a considerare immutabili le determinazioni suesposte; ho stimato mio dovere riferirle perchè provenienti dal Cancelliere, il quale mi diè, dietro mia richiesta, promessa di far comunicare all'E. V., quanto sarebbesi definitivamente ed irrevocabilmente stabilito.

(l) Cfr. n. 42.

74

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(A C S, Carte Visconti Venosta)

L. P. Tunisi, 23 gennaio 1871.

Ho ricevuto la lettera che l'E. V. si è compiaciuta di dirigermi sotto la data dei 10 corrente (l) per accentuarmi in via particolare la di Lei maniera di vedere le cose di questo paese, come altresl la ferma intenzione di proteggere gli interessi di questa nostra colonia. Il gravissimo incidente sorto nel frattempo spiega abbastanza quale si era lo stato delle ·cose, onde mi restringerò ad assicurarla che sin dal mio primo giungere in Tunisi informai il mio linguaggio ed il mio ·contegno ad inspirare la fiducia nel •governo tunisino. Non dirò che sia riescito a far entrare il Bardo nelle nostre idee, ma pure non avevamo motivi serii di lagnanza come da sei mesi in qua, dopo cioè la venuta al potere del generale Khereddin, il .quale iniziava una politica di reazione contro gli europei, e specialmente contro .quello ch'ei chiamava envahissement de L'Italie.

Tant'è che avendo esaurito tutti i termini del mio vocabolario per far intendere ragione al Bey, con cui ho avuto in questi ultimi tempi frequenti ed esplicite conversazioni, e dippiù vedendomi per ben due volte mancare di parola sull'istesso affare da S. A., stanco di essere più a lungo giuocato mi son trovato nella necessità di dare l'ultimatum, che condusse alla rottura delle mie relazioni col Bardo.

Io comprendo benissimo che ciò facendo ho ecceduto nei miei poteri, e che solo possono scusarmi le circostanze di cui ne lascio l'apprezzamento al giudizio di V. E. Io ero sicuro che il Bey avrebbe finito per cedere, e che pertanto non avrei compromesso il Governo. In una parola non si fu da parte mia un colpo di testa, nè una misura presa ab irato, ma sibbene un atto necessario a vendicare la nostra dignità offesa, ed a tutelare maggiormente i nostri interessi. Ed in ciò conviene, in una coi residenti italiani, tutta la colonia europea che unanime applaudì a quell'estrema mia determinazione.

Bene, o male poi che io abbia fatto, sono però sempre d'avviso che se ne debba trarre il maggiore partito possibile, cercandosi pria di riannodare le relazioni di avere nuove garanzie per un migliore avviamento delle nostre cose in questo paese. Per l'istessa ragione io non vorrei delle soddisfazioni che potessero umiliare la persona del Bey, o dei suoi Ministri, e che lasciano sempre del rancore, ma che quind'innanzi siano tenuti nel dovuto conto nostri ricorsi e rispettati i Trattati.

Ho già detto, ed oggi lo ·confermo che i mori, siccome i mussulmani e i popoli barbari in generale non si convincono coi ragionamenti, ma colle vie di fatto, o con delle dimostrazioni che vi possono condurre. Al punto però in cui ci troviamo, non crederei conveniente l'invio di legni di guerra alla Goletta; se senza apparato di forze pervenissimo, come punto non dubito, ad appianare le nostre differenze, sarebbe questo per noi un doppio trionfo.

Del resto sono attendendo con fiducia i di Lei ordini, ed intanto assicurandola che avrò quind'innanzi presente l'aforismo legale non bis in idem, ho l'onore...

(l) Non rinvenuta

75

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

T. 1548. Firenze, 24 gennaio 1871, ore 13,40.

Je n'ai pas répondu à votre télégramme du 20 (1), car, à Vienne mème, on n'a pas encore pris une décision définitive sur les prétentions des hongrois relativement au Danube. Voici, du reste, ma pensée en peu de mots. L'Autriche nous a communiqué ses premières instructions à Appony, et nous a demandé de les appuyer. J'ai promis de le faire, mais à la condition expresse qu'elles

seraient agréées par l'Angleterre. Le Cabinet anglais étanlt d'avis, comme nous, que les demandes que la Porte a fait connaitre tout dernièrement peuvent amener plus facilement un accord, vous ne devez pas vous séparer de lord Granville, tout en tachant d'amener une entente entre l'Angleterre et l'Autriche. Nous acceptons, du reste, prolongation de la commission européenne du Danube, et je me suis déjà exprimé dans ce sens avec les ministres de Russie et de Turquie.

(l) Cfr. n. 66.

76

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

T. 1549. Firenze, 24 gennaio 1871, ore 15,15.

J'ai reçu vos rapports du 17 (1). Je vous confirme mes dépèches du 19 (2), et j'attends de connaitre le résultat de vos dernières démarches. Maintenez le point de vue que vous m'avez exposé, en exigeant, avant de reprendre vos relaJtions, que les réclamations en cours soient résolues, que le bey exécute les promesses antérieures et prenne l'engagement, par écrit, de compléter le traité. Tachez aussi, si cela vous est encore possible de faire fixer un maximum pour les droits d'exportation. Tenez-moi au courant par le télégraphe.

77

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3450. Londra, 24 gennaio 1871, ore 22 (per. ore 9,20 del 25).

Je viens de la seconde séance de la conférence. Elle a confirmé le désir d'y voir intervenir un plénipotentiaire de la France et a déclaré que les délibérations à son égard de la première séance auront effet pour toute la conférence. La seule chose qu'on a délibéré est le principe de la révision des articles onze treize et quatorze du traité de Paris et du traité enltre la Turquie et la Russie qu'y a été inseré à la condition qu'on établira des équivalents. La troisième séance est ajournée à un jour prochain à fixer. Après la séance officielle on a tenu une autre séance amicale entre tous les plénipotentiaires pour déterminer les objets sur lesquels il y aura des propositions afin que chacun sache les instructions qu'il lui faudrait demander. Les principaux seraient la navigation des détroits, la confirmation des parties du traité non abrogées, l'augmentation des navires aux bouches du ~anube, la proroga1tion de la commission

européenne, les travaux en amont des bouches du Danube. Nous avons raison de croire que la Russie acceptera. Quant aux détroits, une formule qui établirait le principe de la cloture exceptant facultativement à la Turquie le seui cas dans lequel elle croirait que sa sécurité exigerait de donner en temps de paix le passage transitoirement aux navires des puissances non riveraines ce qui excluerait la Russie. Nous avons eu une troisième réunion amicale en l'absence seulement de la Russie pour examiner les demandes de Mussurus. La confirmation des parties du traité non abrogées a été accepté à l'unanimité. La Russie l'a·cceptera et aussi Mussurus demandant que l'on déclare qu'on ne tolèrerait pas des ... {1). Cela n'est accepté par aucun plénipotentiaire car c'est blessant, c'est inutile, ou si cela engage à une action, cela dépasserait le but et serait une chose ~resque identique au traité du 15 avril. Mussurus en est personnellement choqué, car il voudrait un succès, mais Granville qui connait bien ses instructions a affirmé en sa présence qu'il n'a pas l'ordre d'en faire une proposition ni d'insister, mais seulement de recommander qu'un bon accord existe entre tous les plénipotentiaires. Je vous signale une lelttre de Gladstone sur affaire de Rome dans le Times d'hier.

(l) -Cfr. nn. 56 e 57. (2) -Cfr. nn. 60 e 63; quest'ultimo è in realtà del giorno 20.
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L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 198. Tunisi, 24 gennaio 1871 (per. il 28).

Ho ricevuto i riveriti clispacci N. 73 e 74 (1), il primo in data delli 19, e l'altro dei 20 andante.

Nello stato di ansietà in cui mi trovavo, provai la più grande soddisfazione nel rilevare dal contenuto dei medesimi che il giudizio di V. E. non sia stato severo sulla determinazione ·che dovetti prendere di rompere le mie relazioni col Bardo per porre un termine ai soprusi ed ai dinieghi di giustizia, onde da qualche tempo era fatto segno il R. Consolato con grave offesa alla nostra dignità, e con non lieve jattura di particolari interessi.

Lessi con eguale piacere il cenno che V. E. si è degnata di farmi delle conversazioni avute coi Ministri d'Inghilterra e di Francia. Io spero poter regolare da soli e senza mediazione di terzi le nostre differenze, e così il Bey avrà nuovo campo a convincersi una volta di più che l'Italia è indipendente e che agisce da se nelle cose che la riguardano, mentre dall'altra parte non sarà questa una occasione ai Consoli delle prelodate Potenze di farsi valere, e di accrescere la loro influenza.

In obbedienza poi alli ordini ricevuti mi propongo sin da dimani di aprire in via ufficiosa delle negoziazioni col Khasnadar; ma mi guarderò bene, non essendovene punto l'urgenza, di ripigliare le relazioni interrotte prima di avere la promessa solenne che col mezzo di un protocollo, o con uno scambio di note siano meglio determinate le clausole del Trattato in ordine all'esercizio della giurisdizione sugl'indigeni addetti al servizio degl'italiani che si applicano all'industria agricola.

Esigerò nell'istesso tempo che abbiano effetto le decisioni emanate dal Bey su riclami di cittadini italiani che malgrado le ripetute promesse andavano evasi per influenza di questo, o di quell'altro personaggio del Bardo.

Intanto il Signor Des Essards ha fatto amende honorable. Venerdì scorso fu egli da me, e senza far punto allusione alla conversazione passatasi tra noi qualche giorno prima mi disse -qu'il trouvait que une satisfaction nous était due, et qu'il en avait parlé au Bey dans ce sens. In quanto al Console inglese, sin dal principio della questione è stato di questo avviso; ma volendo tirar l'acqua al suo molino non ha per altro cessato di assicurare il Bey che per i buoni uffici dell'Inghilterra tutto si aggiusterebbe senza conseguenze.

In ogni modo è una sola voce nei residenti europei che bisognava rilevare il comune prestigio. Non parlo degl'italiani che, oltre di essersi espressi abbastanza chiaramente in parole, hanno voluto tanto in Tunisi che a Susa addimostrarmi il loro contentto eogl',indirizzi che mi hanno presentato, e di cui pregiomi trasmetterne ad ogni buon fine la qui unita copia a V. E.

Giovami egualemente rilevare il lodevole contegno della parte bassa della colonia; mentre in tempi ordinari sono rari i giorni in cui non seguano disordini

o risse, dopo la rottura delle relazioni si direbbe per l'assoluta tranquillità non esservi più degli operai italiani in Tunisi.

ALLEGATO I.

LA COLONIA ITALIANA IN SUSA A PINNA

(Copia)

Susa, 18 gennaio 1871.

I sottoscritti, avendo avuto comunicazione da questo R. Vice-Consolato delle interrotte relazioni con codesto Governo, sentono il dovere d'esprimere alla S. V. Illustrissima i loro vivi ringraziamenti e nel temPQ stesso la soddisfazione che a tale notizia provò l'intero Commercio di Susa.

Certi che tale importante determinazione non potè essere causata se non dalla sistematica opposizione agl'interessi nazionali per parte della Autorità subalterna, i sottoscritti, ben conoscendo per ripetute prove la premurosa sollecitudine che la

S. V. Illustrissima prende a tutto ciò che può interessare la tutela dell'onore Nazionale, del diritto del Commercio e della dignità Consolare, e l'appoggio del Governo di S. M. che non venne mai meno a questa importante Colonia, sono altrettanto sicuri che il ripristinamento delle relazioni non avrà luogo se non quando valide, pronte ed efficaci guarentigie saranno date all'esperimento dei loro giusti reclami e diritti.

ALLEGATO II.

PELUFFO A PINNA

Susa, 18 gennaio 1871.

L'associazione commerciale nell'adunanza straordinaria del 17 corrente ad unanimità di voti dichiarava: Che la risoluzione da Lei presa nel sospendere le relazioni col Bey fu ispirata da sentimenti di dignità nazionale: Che tale determinazione era imperiosamente reclamata pel nostro onore, e per i nostri interessi gravemente compromessi.

E facendo voti onde il Governo del Re secondi i di lei sforzi per stabilire definitivamente in queste contrade, un'influenza capace a sviluppare e garentire gli interessi della Colonia, m'incaricava esternarle riconoscenza e gratitudine.

Mentre con grato animo adempio a tale mandato, la prego di aggradire ancora le mie particoLari e sincere congratulazioni.

(l) -Gruppo indecifrato. (2) -Cfr. nn. 60 e 63.
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IL CONSOLE GENERALE A SERAJEVO, DURIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 90. Serajevo, 24 gennaio 1871 (per. il 12 febbraio).

La stampa di Belgrado nell'impuntarsi a promuovere l'annessione della Bosnia alla Serbia avendo non ha guari fatto troppo affidanza colla credulità pubblica fino a spacciare come in Serbia, quasi in un nuovo ed unico paradiso terrestre di libertà e d'eguaglianza, si goda di queste in molto miglior condizione che non nella stessa Inghilterra, ha fornito alla stampa bosniaca il destro agognato del quousque tandem la .sua consorella di oltre Drina non vorrà svez

zarsi dal perpetuo mostrar lucciole per lanterne, come se in Bosnia si ignorasse che agli oltre duecentomila Valacchi dimoranti in Serbia sia interdetto l'idioma nativo nelle chiese e nelle scuole, ai molti Elleni la lingua greca proscritta dall'insegnamento, a tutti gli Israeliti poi perfino la facoltà di risiedere e commerciare fuori della città di Belgrado, benchè sovr'essi gravitino i pesi communi a tutti e trovinsi arruolati tanto nelle truppe regolari che nella guardia nazionale. Se le cose di Serbia stanno nei termini addotti, e per quanto concerne gli Israeliti i documenti diplomatici che da codesto Ministero mi vengono di tempo in tempo direbbero di sì, la stampa di Belgrado avrebbe toccatto un infelicissimo tasto colle millanterie dell'invidiabile emporio della sua domestica civiltà, e ciò mentre in un paese non cristiano, in questa Bosnia cioè, terra turca ben conservata, non solo non si verifica lo sconcio di ineguaglianze civili motivate da differenza di credenze religiose o nazionalità, ma a centinaja si contano cristiani ed israeliti aventi pubblici impieghi, gradi, pubbliche dignità ed onorificenze. È il caso del medice cura te ipsum.

80

IL PRESIDENTE DELL'ASSOCIAZIONE PATRIOTTICA ITALIANA DI MUTUO SOCCORSO TRA GLI OPERAI IN TUNISI, MARTOGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. 427. Tunisi, 24 gennaio 1871 (per. il 28).

Nella seduta del 15 corrente, l'Assemblea Generale riunita in seduta straordinaria, viste le differenze insorte tra questo onorevole Signor Console Generale ed il Governo di S. A. il Bey, ad unanimità assoluta, ha votato un indirizzo all'E. V., nel quale esponendo sommariamente il vero stato delle cose domanda anch'essa l'energico appoggio del Governo Italiano in tale frangente.

Mi dò quindi l'alto onore unire al presente la copia conforme di detto indirizzo, perchè V. E. nella superiore sua saggezza ne faccia l'uso che crederà conveniente.

ALLEGATO.

L'ASSOCIAZIONE PATRIOTTICA ITALIANA DI MUTUO SOCCORSO TRA GLI OPERAI IN TUNISI A VISCONTI VENOSTA

Tunisi, 15 gennaio 1871.

È lunga pezza che il Governo di S. A. il Bey di Tunisi osteggia la Colonia Italiana stabilita in questa Reggenza, barcamenando gl'interessi dei Negozianti, calpestando i diritti degli Operaj e creando un labirinto di reticenze, di lusinghe e di vane promesse a questo R. Agente e Console Generale d'Italia, il quale, stanco di aggirarvisi inutilmente, ha oggi finalmente rotto le comunicazioni col Governo suddetto.

L'importanza Commerciale, industriale ed agricola di questa Colonia, nonchè la sua superiorità numerica, accresciutasi anche di più in seguito dell'ultimo trattato internazionale stipulato tra la Tunisia e l'Italia, domanda altamente la preponderanza Nazionale in questo Paese; preponderanza che ha destato forse l'allarme nell'animo degli ambiziosi e che attraverserebbe le cupide mire di alcuni Usuraj i quali, dopo aver ridotto questo Governo in rovina, pretenderebbero sedere tranquillamente sulle sue rovine onde dividersi tranquillamente le spoglie Opime conquistate colle vergognose armi dello intrigo e della immoralità!

Nè il Governo Italiano deve lasciarsi illudere da un'apparente sottomissione e da facili promesse; poichè ciò sarebbe il frutto di subdoli raggiri onde guadagnar tempo per Lojoleschi intrighi. È questo il momento in cui l'Italia deve domandare ed ottenere valide ed imperiture guarentigie per la sua Colonia mediante l'autorevole imponenza della forza, solo mezzo per farsi rispettare dai Governi che attribuiscono a debolezza e ad ignoranza le pratiche politiche in uso presso il mondo civilizzato. È questo il momento in cui l'Italia deve mostrarsi qual'è, una delle più importanti fra le Potenze di primo rango dell'Europa.

La Società Operaja, rappresentante il voto di nove decimi di questa Colonia, plaudendo allo operato di questo Illustrissimo Signor Agente e Console Generale, invoca l'energico immediato intervento del Governo Italiano onde sostenere i diritti della Colonia e l'onore della Nazione.

81

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

T. 1550. Firenze, 25 gennaio 1871, ore 13,30.

Je vous prie d'exprimer officiellement à M. de Thile les félicitations du Roi et du Gouvernement italien pour le titre d'Empereur d'Allemagne assumé par le Roi de P:russe. Veuillez prier M. de Thile de vouloir bien faire parvenir pour télégraphe à son Souverain et au comte de Bismarck ce message.

82

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BORDEAUX, NIGRA

T. 1551. Firenze, 25 gennaio 1871, ore 14,15.

J'ai de nouveau formellement insisté à Londres pour que la conférence, avant de continuer ses travaux, constate que ce n'est pas par la négligence ou le mauvais vouloir des puissances neutres que la France n'y est pas représentée. Dans les protocoles de la première et de la seconde séance on a exprimé des regrets de l'absence d'un représentant français; on a décidé de tenir au courant

M. Tissot, et de ne signer aucun acte définitif, que lorsque la France pourra donner son adhésion.

83

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 502/190. Londra, 25 gennaio 1811 (per. il 30).

La lettera del Signor Gladstone intorno agli affari di Roma, che io gli ho segnalata nel mio rapporto delli 8 dicembre p. p. (1), sebbene non fosse tale che potesse svegliare alcuna inquietudine nel Governo del Re a riguardo dell'attitudine del Governo Britannico, fece però impressione qui, principalmente presso gli uomini liberali che appoggiano il Governo. Molti di essi vi videro un indizio di debolezza a riguardo del partito Cattolico retrivo, altri un atto poco amico al Governo liberale italiano ed una tendenza ad intromettersi negli affari interni dell'Italia; altri finalmente, mossi principalmente da considerazioni religiose, una parzialità verso la religione Cattolica. Da ciò furono originati parecchi scritti pubblicati da giornali, dei meetings e delle rappresentanze dirette allo stesso Signor Gladstone.

La corrispondenza fra il Signor Gladstone ed alcuni uomini politici del suo partito, pubblicata nel Times di ieri l'altro e che Le ho annunziato in un mio telegramma di ieri (1), è appunto la conseguenza di uno dei fatti ·che ho ora accennati.

Essa constata in sostanza che se il Governo Britannico desidera che il Pontefice, come capo di una religione professata da parecchi milioni di Cittadini del Regno Unito, sia indipendente e libero nell'esercizio del suo potere Sipirituale e nelle sue comunicazioni con questi Cattolici, il Governo stesso è però assolutamente alieno dal volersi intromettere in qualsivoglia modo nelle questioni politiche interne dell'Italia fra le quali pone quella della cessazione del potere temporale del Pontefice, e l'unione di Roma al Regno, e la proclamazione di Roma a Capitale del Regno.

Ella sa Signor Ministro che io non ho mai dubitato di ciò, non ostante la riserva che a questo Governo è imposta da ragioni proprie la cui convenienza non si potrebbe disconoscere, e sono lieto che la lettera dell'illustre uomo di Stato, le cui simpatie per l'Italia non sono mai venute meno, giustifichi ora ciò che in precedenti mie comunicazioni particolari ebbi a significarle.

(l) Cfr. serie Il, vol. I, n. 678.

84

IL MINISTRO A LONDRA, CADORN A, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3454. Londra, 26 gennaio 1871, ore 16,30 (per. ore 15,10 del 27).

J'ai lu à Granville le télégramme (2) pour suspendre conférence à fin d'attendre Favre. Il m'a demandé si vous demandez vraiment suspension de la conférence. Je lui ai relu le télégramme faisant remarquer que j'étais chargé d'exécuter cet ordre auprès de lui et non de la conférence, et que votre télégramme exprime une alternative et les motifs. Il m'a dit que toutes les puissances avaient déclaré qu'on devait continuer la ·conférence excepté l'Italie pour laquelle je n'avais exprimé qu'une opinion en droit, individuelle et confidentielle, réservant l'opinion de mon Gouvernement. Il a ajouté que Tissot venait de lui lire une brochure comme protestation du Gouvernement de la défense nationale contre les neutres pour avoir tenu la conférence sans la France, et qu'il lui avait répondu que son Gouvernement accepte la conférence, que l'objet était d'intéret général et urgent, ajoutant d'autres raisons que j'ai déjà télégraphié. On croit maintenant que Favre viendra pour la prochaine séance fixée pour le 31. Veuillez bien me donner vos instructions notamment sur les motions lesquelles on peut prévoir. Je dois les écouter pendant discussion des affaires d'Orient ou après la

(2J Non pubblicato.

fin de cette affaire, et, en tout cas, ce que je dois répondre s'il demande inter

vention ou éventuellement par les armes ou par médiation à offrir sans engage

ment ou pour expression de simple voeux. J'attendrai aussi la lettre que vous

vous etes réservé de m'écrire à ce sujet. Granville n'admet aucune motion pen

dant les affaires d'Orient. Ce sera aussi l'avis des autres plénipotentiaires. Il a

dit à Tissot .qu'après affaires d'Orient il écoutera avec respect, mais que sa

réponse il ne peut pas la prévoir sans connaitre la demande. C'est ce qui il m'a

dit aussi. La Turquie réplica par télégramme qu'elle ne peut limiter sa faculté

d'ouverture des détroits aux seules puissances non riveraines car elle pense que

la Russie n'accepterait pas. Brunnow a pourtant télégraphié à St. Pétersbourg une

formule dans ce sens et il l'a recommandée. Si la Russie consent il est probable

que Constantinople consentira aussi. Granville y donne son concours s'il n'y aura

pas d'opposition, en cas contraire il accepte la proposition de la Turquie. Pour

tant ces pourparlers au fond lui déplaisent. Ma conduite vous me l'avez tracée

nettement et Granville et Appony en sont informés confidentiellement mais

loyalement.

Veuillez bien me répondre sans délai car Favre pourrait arriver plus tòt.

(l) Cfr. n. 77.

85

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 770. Berlino, 26 gennaio 1871 (per. il 31).

J'ai reçu dans la soirée d'hier le télégramme (l) par lequel V. E. m'a chargé de féliciter, au nom du Roi et du Gouvernement, pour le titre d'Empereur d'Allemagne accepté par le Roi de Prusse. Pour la si'ì.reté du chiffre, j'ai interverti et modifié quelques mots de ce télégramme afin d'en laisser copie à M. de Thile.

Je l'ai prié de faire parvenir, par voie télégraphique, ce message à Son Auguste Souverain et au Comte de Bismarck.

Le Secrétaire d'Etat s'empressera de condescendre à notre désir, et en attendant il m'a dit que cette communication ne manquerait pas de produire le meilleur effet.

Il n'avait aucune nouvelle positive soit sur l'arrivée de M. Jules Favre à Versailles, soit sur les propositions de capitulation dont on le supposait porteur, soit sur les dispositions éventuelles du Quartier Général Allemand. Les détails fournis par !es journaux anglais <:oincideraient avec des rumeurs qui avaient cours depuis trois jours à Berlin sur une prochaine reddition de la capitale assiégée, mais le Comte de Bismarck n'avait jusqu'à ce jour transmis aucune indication au départemen't Fédéral.

(l) Cfr. n. 81.

86

L'INCARICATO D'AFFARI A LIMA, GARROU, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE S. N. Lima, 26 gennaio 1871 (per. il 2 marzo).

Il movimento che segnalai incidentalmente col rapporto N. 273 di questa serie (1) si dilata in proporzioni da autorizzare il timore di complicazioni ,gravi.

Alle pastorali de' vescovi, alle funzioni di chiesa, succedono sermoni e meetings, che, più liberi nella forma, lasciano maggior campo alle smodate aggressioni.

Ciò si avvera per ora più particolarmente nel Chile, ove, dall'altare, un curato ha trovato modo di prorompere contro gl'italiani, qualifì.candoli di !adroni e grassatori. Nella capitale poi, con espressa adesione dell'Arcivescovo, un Vescovo ha presieduto nell'Università ad un numeroso meeting composto in maggioranza di laici, ed a cui assistevano non poche signore.

Il tema ostensibile è sempre orare pel Santo Padre, ma si sviluppa sempre in escandescenti ingiurie all'Italia ed al suo Governo, nè si trascura l'occasione di scandali maggiori e violenze di fatto, com'è intervenuto in Santiago. I brani di giornali ·che accludo (2) possono dar idea della posizione.

Per se stessa, per difficile che sia non sarebbe imbarazzante, perchè dopo la circolare di Gabinetto del 17 ottobre ultimo (.3), dopo il Discorso Reale di apertura del Parlamento, la ·condotta degli Agenti del Governo del Re non può che informarsi allo spirito di i'tolleranza che ne sono il fondamento, e converrebbe attendere ·che le violenze prendano nettamente il ·carattere di quelle che cadono sotto la sanzione delle leggi penali per agire risolutamente.

Ma, anche in quel caso, che fiducia può aversi nell'imparzialità de' Governi di qui? M'è penoso il dirlo, ma mancherei al dovere se dissimulassi la convinzione che più o meno apertamente, ogni azione giuridica risulterebbe frustrata.

Nasce ciò dalla posizione politica de' Governi a rispetto del partito clericale.

Che nel Perù domini le famiglie per l'ascendente che ha sulle donne, è cosa notoria e ·che più di una volta fu segnalata da' miei predecessori. Il Governo affetta Liberalismo, ma tien gran conto di questo fattore della sua politica interna, e, facendo buon viso alle rimostranze dirette, è certo che ne eluderebbe lo scopo pratico.

In Chile le odierne condizioni consigliano di evitare con cura maggiore l'appello all'autorità. Vi si prepara l'elezione del nuovo Presidente ed il Governo dell'attuale per paralizzare un partito ha fusi gli altri dando prevalenza al clericale, di cui ha accettato il candidato. L'unica preoccupazione è la riuscita, ed ogni considerazione essendo posposta alla necessità di accattar voti, sarebbe tanto vano quanto inopportuno far ricorso formale.

D'altra parte, più di quelli che sono qui, gl'italiani che dimorano nel Chile si commuovono e se, per la sempre utile, avveduta e premurosa cooperazione

6 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. II

che m'è altamente grato di trovare in lui, il Signor Vice Console Usigli è per

venuto a contenerli sin ora, gli ultimi suoi rapporti sono inspirati dal timore

di complicazioni che per l'origine diverrebbero gravi.

In tal posizione, prevalendomi del non aver ancora carattere a far reclami

sollenni (rapporto N. 216<6, personale) per Lettera privata diretta all'Inviato

Straordinario e Ministro Plenipotenziario del Chile in Perù, ch'è ora in San

tiago, ho chiamata l'attenzione del Ministro delle Relazioni esteriori sull'incon

venienza degli attacchi, il significato che potrebbe attribuirsi ad una più lunga

tolleranza, ed i pericoli ,cui espone. La Lettera conclude: « je serais heureux de

pouvoir apprendre à mon Gouvernement que s'il est possible qu'on abuse de

sa liberté, le Chili sait y mettre ordre lorsque c'est de son territoire que part

l'insulte aux nations amies ;),

Come richiamo privato ed indiretto sarebbe certamente facile eluderlo;

ma ho previsto il caso di simulata dispersione e la lettera andrà aperta ed uffi

cialmente accompagnata al Ministro delle Relazioni esteriori lui stesso.

Mi son deciso a questo partito come il solo ch'io abbia saputo trovare pei""

porre in mora il Governo Chileno senza pregiudicare l'esecuzione degli ordini.

che può piacere a V. E. abbassarmi.

(l) -Non pubblicato. (2) -Non pubblicati. (3) -Recte del 18 ottobre; cfr. serie II, vol. I, n. 282.
87

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RISERVATO 250. Bucarest, 26 gennaio 1871 (per. il 5 febbraio).

È giunta ieri a Bucarest la risposta del Re di Prussia alla lettera indirizzatagli dal principe Carlo contemporaneamente a quelle dirette agli altri Sovrani.

Nella sua qualità di capo della famiglia Hohenzollern il Re Guglielmo, avverte paternamente suo cugino che egli deve rinunziare interamenlte all'appoggio dei Sovrani da lui invocato, e che per quanto concerne il suo proposito. di abdicare non consulti che il suo proprio interesse e la sua dignità personale.

Tranne il Re di Prussia, nessun altro Sovrano ha risposto fino ad oggi alle lettere di Sua Altezza.

88

IL PRIMO AIUTANTE DI CAMPO DEL PRINCIPE DI PIEMONTE, CUGIA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA

(Ed. in Le Carte di Giovanni Lanza, vol. VII, pp. 43-44)

L. P. Roma, 26 gennaio 1871.

L'accoglienza, che i Reali Principi ebbero al loro arrivo in Roma fu entusiastica e molto cordiale, malgrado che facesse un tempo orribile, vi era una folla immensa, che per ben due volte chiamò i Principi al balcone del Quirinale applaudendo freneticamente. Il giorno dopo essendo i Principi andati in carrozza scoperta, e separati, alla passeggiata della Villa Borghese al Pincio ricevettero ovunque delle ovazioni rispettose, cui era impossibile rinnegare il carattere della spontaneità. Ieri sera alla rappresentazione di gala al teatro l'accoglienza fu pure molto bella. Ieri i Principi ricevettero le autorità e la giunta municipale. Quest'oggi e domenica la principessa riceverà le Signore. Non saranno molte, 3,5 al più, e a poco a poco ne verranno delle altre. Tutta la gioventù è per il nuovo ordine di cose anche nelle famiglie più avverse; per ora si astengono per riguardo ai vecchi parenti, ma quest'astensione, se non sopraggiungono cause di irritazione, e spero non verranno, sparirà a poco a poco.

Molte persone devote al Papa al momento dell'arrivo dei Principi si recarono al Vaticano per consolare il Papa. Sua Santità era molto sconfortato, diceva che era un castigo d'Iddio, che forse aveva meritato. M. De Merode ad ogni colpo di cannone diceva un improperio, ed era in uno stato di furia indescrivibile. Come V. E. saprà il cannone si trova in una proprietà del De Merode, e la mattina aveva scritto una lettera al generale Lamarmora, che restò senza risposta, per proibirle di tirare il cannone al Macao.

Non gli parlo nè di Roma, nè delle grandi difficoltà della vita; la questione dei fitti, e del mantenimento è veramente una cosa seria. Per darle un'idea, la razione foraggio al Principe costa 2,50, a Milano costa 1,60. Questa proporzione si trova in tutte le cose attinenti al mantenimento, e l'alloggio degli individui è cosa serissima, e da prendere in grande considerazione.

Ieri sera il Conte Arnim ministro di Prussia presso la S. Sede mi scrisse un biglietto domandando una udienza del Principe. Gli risposi immediatamente che S. A. lo riceverebbe con gran piacere quest'oggi all'una in udienza privata, ed in abito del mattino. Così è ben fissato il carattere privato della visita. Credo che gli altri seguiranno l'esempio. La domanda dell'Arnim ha fatto grand'effetto e gran piacere in Roma.

89

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL LUOGOTENENTE DEL RE PER ROMA E LE PROVINCIE ROMANE, LA MARMORA.

(Ed. in Le Carte di Giovanni Lanza, vol. VII, p. 44)

T. Firenze, 27 gennaio 1871, ore 17,45.

Oggi senato votava con qualche modificazione progetto legge sul trasporto capitale. Intendesi pubbHcare decreto soppressione cotesta luogotenenza per lunedì prossimo nel qual giorno cesserebbe e entrerebbe in funzione prefetto e commissario regio.

90

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 74 bis. Firenze, 27 gennaio 1871.

Il Consiglio d'amministrazione della Società agricola industriale italiana mi ha comunicato il testo della deliberazione da lui presa in seguito alle notizie ricevute dei fatti accaduti alla Gedeida.

In quella deliberazione di cui Le trasmetto copia con questo dispaccio non solamente sono esposti i fatti occorsi, e si esprimono voti per impedirne il rinnovamento, ma ben anche si porge una formale domanda di risarcimento di danni arrecati alla società, danni di ·CUi la liquidazione si dice dover essere riservata al momento in cui, cessato ogni pericolo di altre violenze per parte delle autorità tunisine gli amministratori del podere potranno raccogliere e presentare le prove.

La prego, Signor Console Generale, di prendere in attenta considerazione la esposizione dei fatti contenuta nella deliberazione sopra mentovata. Essi formano la base di qualunque domanda di risarcimento che si voglia ora o poi introdurre. Quando infatti si verificano abusi di autorità o di forza nell'esecuzione di provvedimenti, fossero pur questi giustificabili al punto di vista dello stretto diritto, gli abusi commessi danno diritto a chi ne rimase vittima di ottenere il risarcimento dei danni sofferti. Ora se i fatti stanno come furono esposti al Comitato Direttivo della società agricola industriale, e come da questa ci furono presentati, non solo noi possiamo dolerci di uno abuso di autorità, ma dobbiamo anzi protestare per l'impiego abusivo della forza dal quale derivavano, con la intimidazione prodotta nei coltivatori e pastori indigeni di cui la società abbisogna, gravi ed effettivi danni materiali la liquidazione dei quali deve formare oggetto di coscienzioso e severo esame.

Ritengo dunque che il Governo tunisino, responsabile della condotta dei suoi agenti e delle istruzioni loro impartite riconoscerà senza difficoltà l'obbligo di risarcire i danni che dal fatto suo possono essere derivati alla società, e riservando la quistione del modo di procedere per lo accertamento dei danni medesimi, e della loro importanza, Ella farà in guisa che il principio del risarcimento sia intanto accettato dal Bardo.

91

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 75. Firenze, 27 gennaio 1871.

Tra i punti di accomodamento accennati nel Memorandum che codesto Console Generale Britannico Le ha presentato in nome del Bey ed i punti che formarono oggetto della domanda da Lei formulata anteriormente alla rottura dei rapporti corrono notevoli differenze che V. S. Illustrissima avrà senza dubbio avvertito.

Il Governo del Re preferisce di attenersi alle proposte enunciate da Lei anzichè a quelle enunciate dal Signor. W ood siccome già consentito dal Bardo.

Anzitutto, il primo punto secondo che era stato formulato da Lei, contiene una condizione essenziale la quale manca nel primo punto delle proposte presentate dal Signor W ood, la fissazione cioè di un termine breve e perentorio per lo sgombero della casa occupata dal Vekil.

In secondo luogo, manca nel memorandum del Signor Wood una proposta corrispondente a quella che si continene nel secondo fra i punti che V. S. aveva formulati, la punizione cioè dell'autore degli arresti arbitrari, in vista wprattutto del danno recato ai jìttajuoli; la quale redazione ha altresì il pregio di implicare come di ragione, non solo la pena propriamente detta, ma anche un congruo risarcimento dei danni.

Infine, il terzo punto quale è stato presentato dal Signor Wood si riferisce ad una formalità la quale non si può considerare come una vera e propria concessione, sia per l'abuso che delle visite ufficiali si è fatto e si fa per parte di codesta Reggenza, sia perchè la visita di una autorità superiore costituisce in occasione della ripresa dei rapporti una cerimonia affatto usuale e normale. Epperò, mentre è naturale che la visita abbia luogo, essa non potrebbe in nessun caso essere riguardata da noi come l'equivalente dell'altro !PUnto che, come accennai testè, non è compreso nelle proposte già consentite dal Bardo.

L'ultimo punto del Memorandum proposto dal Signor Wood contemplando la definizione delle vertenze pendenti, ci sembra essenziale, e conferma precisamente quanto ebbi a telegrafarle, ·che cioè il Governo pone per condizione della ripresa dei rapporti, non già la pura ammissione dei tre punti da Lei formulati, ma sibbene la loro materiale esecuzione, e la contemporanea risoluzione delle altre quistioni pendenti.

92

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL' AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 76. Firenze, 27 gennaio 1871.

Composto dei Rapporti segnati coi NN. 194 sino a 197 (l) inclusivamente, mi giunse il Dispaccio che V. S. mi indirizzava il 17 corrente. Del primo di quei rapporti io avea già cognizione per la copia da Lei speditamene col postale di Sicilia ed in risposta ebbi a scriverle (2) che in sostanza il Governo del Re approvava i tre punti nei termini stessi nei quali erano stati espressi dalla

S. V. al Bey, aggiungendo però che, prima di riprendere le relazioni ufficiali col Bardo, noi volevamo avere una nuova guarentigia nella formale promessa del Bey di occuparsi sollecitamente con noi del modo di completare il trattato esistente, sia colla firma di un protocollo, sia con uno scambio di note, allo scopo di impedire il rinnovarsi delle difficoltà che ci hanno costretti a rompere le nostre relazioni colla Reggenza. Le ho inoltre telegrafato che fra le quistioni pendenti da risolversi e per terminare le quali il Bey deve prendere verso di noi un impegno assoluto ed irrevocabile, il Governo del Re annovera quella relativa all'esecuzione dell'Art. XI del trattato di commercio concernente i diritti di esportazione e la formazione della tariffa che li deve regolare. La S. V. mi ha sollecitamente segnalato per \telegrafo la ricevuta delle istruzioni anzidette, osservando però che in seguito all'accomodamento per effetto del quale una Commissione finanziaria fu istituita a Tunisi, non è più in libera facoltà del Bey il disporre a piacer suo degli anzidetti diritti sui quali la Commissione stessa esercita un sindacato percependone l'importo a favore dei creditori della Reggenza. Questa circostanza da noi non ignorata, non basta però ad escludere le proposizioni che ci crediamo in diritto di fare al Bardo, perocchè, come Ella osserva, avendo la Commissione finanziaria tutto il suo interesse a diminuire le tasse di esportazione esistenti, ciò che noi intendiamo ottenere dal Bey non è in opposizione ma viene anzi in appoggio di quanto dalla Commissione medesima si considera come vantaggioso alla finanza tunisina.

Questi pochi cenni premessi, è bene che io sin d'ora le indichi, Signor Commendatore, in quali parti e come da noi s'intenda che il trattato dell'8 Settembre 1868 abbia ad essere completato in vista del reciproco vantaggio dell'Italia e della Tunisia e allo scopo di consolidare vieppiù il fondamento delle buone relazioni che noi desideriamo mantenere con codesto paese. Anzi tutto converrà dunque stipulare, in conformità di ciò che esiste nei nostri trattati col Marocco: « che i coltivatori, guardiani di armenti, od altri contadini indigeni, al servizio di Italiani non potranno essere perseguitati giuridicamente senza che l'autorità consolare competente ne sia immediatamente informata, onde proteggere e garantire gli interessi dei suoi connazionali»· Una stipulazione concepita in questi termini mentre non sottrae gli indigeni alla giurisdizione locale, nè estende indebitamente l'esercizio del diritto di protezione, ha per effetto di creare una guarentigia contro i facili abusi che purtroppo ebbero già a verificarsi. Forse a complemento dell'anzidetta disposizione converrebbe introdurre una clausola che servisse di cautela contro abusi di altro genere che potrebbero commettersi dai proprietari e conduttori di fondi italiani; e noi troveremmo giusto che, ad esempio si convenisse che il beneficio sovra mentovato sia ristretto a quei coltivatori, guardiani e contadini dei quali i proprietari e conduttori de' fondi rustici aveano fatto conoscere preventivamente il nome all'ufficio consolare italiano più vicino. Ma del merito come dell'opportunità di questa seconda clausola lascio giudice la S. V. la quale in ogni caso saprà giovarsene come una concessione da farsi al Bey nel corso delle trattative.

Converrà in secondo luogo che, rimanendo fermo il patto già esistente relativo alla coltivazione dei tabacchi nella Tunisia, sia data la forma di una pubblica convenzione fra i due Governi, a quella parte del patto medesimo che concerne il diritto dei privati cittadini italiani, acciocchè questi possano prendere cognizione e sapere quale estensione abbiano a tale riguardo i loro diritti. Si potrebbe quindi proporre un articolo che fosse così concepito: «S. A. il Bey conferma tutte le anteriori concessioni fatte al Governo ed ai sudditi del Regno d'Italia e permette liberamente cosi al Governo come ai sudditi italiani la coltivazione di ogni specie di tabacchi nei fondi da essi posseduti a titolo di proprietà o di usufrutto ed in quelli da essi presi in affitto per coltivarli.

Il diritto di esportazione sui tabacchi di qualunque qualità, sarà determinato di comune accordo fra il Governo italiano e quello di Tunisi, e non potrà mai eccedere la misura di quelli generalmente stabiliti per l'esportazione degli altri prodotti naturali della Tunisia nè essere in alcun caso elevato a tale misura da costituire un diritto proibitivo».

In terzo luogo, a complemento dell'Art. XI del trattato del 1868 e conformemente alle istruzioni già date alla S. V. in data del 2 Dicembre 70 (Disp. comm. N. 2·602) (l) ·Converrà che si stipuli fra i due Governi un nuovo articolo in forza del quale sia stabilito che « per tutta la durata del trattato del 1868 il Bey si obbliga a non aumentare i diritti di esportazione oltre la misura presentemente stabilita senza un preventivo accordo col Governo italiano, e ciò tanto per i diritti che sono stabiliti attualmente sul peso o sulla misura dei generi di esportazione quanto per i diritti fissati ad valorem.

Entro tre mesi dalla stipulazione del presente articolo le parti contraenti convengono di voler eseguire completamente il disposto dell'Art. XI del trattato di commercio dell'8 Settembre 68, epperciò entro questo termine nomineranno le due parti i loro commissari per la formazione della tariffa preveduta nell'articolo stesso ».

La S. V. non potrà facilmente entrare in negoziati per fare accettare queste nuove stipulazioni finchè i rapporti fra la R. Agenzia ed il Governo locale non siano stati ripresi. Se però il Bey per dare spiegazione della sua condotta Le inviasse qualche suo intimo funzionario e se il Primo Ministro facesse presso V. S. qualche pratica ufficiosa, Ella dovrà cogliere tale occasione per far intendere quali nuove stipulazioni noi crediamo necessarie per assicurare lo sviluppo delle imprese industriali, agricole e commerciali della nostra Colonia nella Tunisia. Ed ella potrà spiegare finalmente a codesti uomini di governo che se per tutelare gl'interessi dei co]tivatori di fondi rlli3tici ci vediamo costretti di chiedere alcuna nuova guarentigia per le persone addette ai fondi stessi, questa come le altre nostre domande sono unicamente intese ad eliminare le cause dei frequenti conflitti dai quali viene naturalmente a soffrire quella intimità di rapporti sinceramente amichevoli che noi ci proponiamo di mantenere colla Tunisia e con

S. A. il Bey.

Mi lusingo che S. A. ed il suo Primo Ministro comprendendo quanto importa di allontanare sempre maggiormente il pericolo di tali dissidii e conflitti, vorranno dimostrarci in questa occasione l'impegno che mettono ad accettare tutto ciò che l'Italia mossa da un sentimento di vera amicizia loro offre per raggiungere siffatto intento.

(l) -Cfr. nn. 48, 58 e 59. (2) -Cfr. n. 63.

(l) Non pubblicato.

93

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3457. Londra, 27 gennaio 1871, ore 18,55 (per. ore 1,45 del 28).

La Russie accepte la rédaction suivante de Brunow: «Le sultan en vertu du droit de souveraineté qu'il exerce sur les détroits du Bosphore et des Dardannelles, se réserve en temps de paix la faculté de les ouvrir à titre d'exception transitoire dans le seui cas où la sécurité de son Empire lui ferait reconnaitre la nécessité de la présence des bàtiments des puissances non riveraines ». La Turquie qui a refusé une autre rédaction sur la m~me base de faire l'exception à la clòture seulement pour les non riverains, comme je vous ai télégraphié hier (1), refus·e aussi celle de Brunow. On ignore pourtant si elle savait qu'elle vient de la part de Brunow et que la Russie l'accepte. L'Autriche veut qu'on ajoute à la fin les mots: « dans la Mer Noire » ce qui nous parait inutile à tous, meme à Appony et à son collègue. L'Angleterre appuie fortement à Constantinople la rédaction Brunow. Naturellement la Prusse s'unit à l'acceptation de la Russie. Veuillez bien, si vous le croyez à propos, appuyer aussi immédiatement cette rédaction à Constantinople. Appony écrit à Vienne pour qu'on supprime les mots: « dans la Mer Noir » pour laquelle l'abrogation de la neutralisation profite déjà naturellement à ·toutes les IPUissances qui auront la descente du Danube ou la faculté de passer les détroits.

94

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 91. Costantinopoli, 27 gennaio 1871 (per. il 3 febbraio).

Quando V. E. con Dispaccio de' 26 novembre (2) accennando alle voci corse di una spedizione militare ottomana in Tunisi m'incar1cava di chiedere al Gran Vizir se tali voci avessero fondamento, fargli in caso affermativo opportune osservazioni in contrario, Aali Pacha rispondevami come mi affrettai a riferirLe, per telegrafo, che la notizia non era vera, ma che la Sublime Porta considerava sempre la Reggenza di Tunisi qual parte integrante dell'Impero Ottomano.

Non è quindi da meravigliare che la notizia di possibili complicazioni anzi di rottura fra l'Italia ed il Bey di Tunisi, abbia qui fatto qualche impressione.

Il Gran Vizir che vidi per altri motivi nei giorni scorsi mi chiese con premura se io sapessi qualche cosa di preciso su questo affare; ma si astenne da fare alcun commento.

Risposi di no, ma argomentare dalla precedente corrispondenza pervenu

tami che un caso di patente diniego di giustizia verso un suddito italiano ed

altri fatti comprovanti il manifesto malvolere del Governo della Reggenza verso

l'Italia, avean finito per stancare la long,animità del Governo del Re.

L'Ambasciatore Inglese però mi scrisse una lettera confidenziale per farmi

la stessa domanda del Gran Vizir, ma soggiungendo che sperava la notizia non

fosse vera e che in ogni caso non si tratterebbe mai di spedizione militare in

Tunisi in un momento che si adunava una Conferenza per riconfermare il Trat

tato del 185,6, cile sancisce la integrità dell'Impero Ottomano.

Gli risposi che ammesso pure che la Tunisia faccia tuttora parte integrante dell'Impero Turco, non vedevo come questo stato di semi-dipendenza del Bey dovesse assicurargli l'impunità delle sue azioni. Se la Porta governasse realmente in Tunisi il Governo Italiano saprebbe a chi indirizzarsi per ottenere il risarcimento dei torti ricevuti; ma poscia che ciò non è forza pure indirizzarsi al solo vero responsabile che è il Bey.

Pare che questi argomenti convincessero Sir Henry Elliot di essersi un po' troppo spinto, ,giacchè avendolo poscia incontrato si mostrò del tutto calmo e solo disse sperare ,che mediante i buoni uffizi di qualche potenza amica la vertenza possa avere una soluzione pacifica.

(l) -Cfr. n. 84. (2) -Cfr. serie Il, vol. I, n. 619.
95

IL MINISTRO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, CORRENTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. 42775/7576. Firenze, 27 gennaio 1871.

Mi pregio di trasmettere a V. E. un memoriale della Società Reale di Napoli, col quale essa prega il Governo di S. M. a fare caldi uffici presso il

R. Governo Prussiano, affinchè cessi di mettere in perkolo col bombardamento gli immensi tesori di collezioni scientifiche e artistiche accumulati in Parigi, come in un Emporio mondiale.

ALLEGATO.

L'ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE DELLA SOCIETÀ REALE DI NAPOLI AL GOVERNO

Napoli, 31 dicembre 1870.

La Società Reale di Napoli profondamente commossa al pensiero che fra breve pel bombardamento di Parigi si troveranno esposti a rovina quasi immancabile, irreparabile artamente e al di sopra di ogni calcolo, gli immensi tesori di collezioni scientifiche ed artistiche ivi accumulati e conservati egregiamente da secoli, come in Emporio Mondiale, si rivolge supplice al Governo di S. M. il Re d'Italia facendogli le più vive istanze perchè interponga i suoi buoni uffici presso il R. Governo Prussiano ad impedire tanta jattura; e più particolarmente faccia appello ai sentimenti di pietà del futuro Imperatore Germanico, il quale per fermo non può dimenticare come quell'immortale ingegno di Alessandro Humboldt, tanto caro alla

R. Famiglia, ed il cui nome riassume in sè solo i progressi di un secolo intero, fosse accolto in quella Metropoli quasi nativo Cittadino e festeggiato sempre nella sua lunga dimora colà, e venerato quanto nessun altro mai.

96

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI

D. 77. Firenze, 28 gennaio 1871.

Siccome risulta da un telegramma direttomi dalla S. V. (l) la notizia della interruzione delle relazioni ufficiali fra il R. Agente Generale a Tunisi ed il Bey, era pervenuta a Costantinopoli e vi avea cagionato un'emozione di cui Ella stimò necessario che il Governo del Re fosse informato. Dal testo del di Lei dispaccio telegrafico posso comprendere che la S. V. si è mantenuta nella più grande riserva, e di ciò io l'approvo, tale contegno essendo appunto quello che riesciva più conforme alle intenzioni del Ministero. Anche il Signor Photiades venne infatti ad intrattenermi di ciò che era accaduto a Tunisi ed a chiedermi se noi intendevamo dare a Costantinopoli delle spiegazioni. Non ebbi che ad attenermi alle tradizioni della politica italiana verso quella Reggenza per rispondergli che i fatti occorsi, e le conseguenze de' medesimi non eccedevano i limiti della sfera di azione entro la quale il Bey di Tunisi avea sempre goduto agli occhi nostri di una perfetta ed assolurta risponsabilità de' suoi atti. Non era dunque, nè poteva essere il caso per l'Italia di dare a Costantinopoli delle spiegazioni sulla interruzione dei suoi rapporti ufficiali in quella Reggenza.

Questa interruzione fu la conseguenza di un contegno sistematicamente ostile assunto dal Governo tunisino contro gli italiani che si sono applicati alle imprese agricole. In poche settimane si erano ripetuti casi di soprusi, di violenze, di angherie e vessazioni d'ogni specie, scopo manifesto delle quali era di osteggiare lo sviluppo che tendono a prendere le speculazioni agricole degli italiani nella Tunisia. Il trattato del 1868 esistente fra l'Italia e Tunisi se rispettato nella lettera, era apertamente violato nel suo spirito e tutte le rimostranze amichevoli presentate al Bey erano riuscite vane in presenza degli sforzi di alcuni alti funzionarii interessati ad allontanare il pericolo della concorrenza italiana in imprese delle quali aveano avuto, fin qui, l'esclusivo monopolio.

Tale era lo stato delle cose quando per una vertenza sorta alla Gedeida, relativamente all'occupazione d'una casa italiana da parte d'un funzionario tunisino si ebbero a lamentare non solamente le solite violenze, ma anche una vera e propria violazione di domicilio, e tali atti abusivi contro i coloni, che questi, abbandonando precipitosamente i lavori agricoli e gli armenti, per

sottrarsi colla fuga ai soldati del Bey, compromisero gravemente la raccolta degli ulivi e le seminazioni che appunto cadono in questa stagione dell'anno.

Il R. Agente e Console Generale, in seguito a questi fatti, avea fatto al Bey tre domande: 1° evacuazione immediata della casa italiana indebitamente occupata; 2° punizione degli autori degli arresti e castighi corporali abusivi a danno dei coloni in vista soprattutto dei danni arrecati ai proprietarii e coltivatori dei fondi; 3° destituzione del Governatore della Gedeida che colla sua condotta avea dato pretesto a commettere gli abusi lamentati.

Il Bey, ammettendo che la casa era stata abusivamente occupata e dichiarando che le vessazioni contro i coloni indigeni non erano state da lui ordinate, anzi erano accadute a insaputa di lui, respingeva tuttavia il secondo ed il terzo punto contenuto nelle domande del Signor Pinna. E questi si trovò nella necessità di minacciare prima, e di eseguire poscia la interruzione delle sue relazioni ufficiali col Bardo.

Dopo aver a parecchie riprese richiamato il Bey ed i suoi Ministri a sentimenti più conformi all'amicizia ed alla benevolenza tante volte dimostratagli dall'Italia, noi abbiamo dovuto riconoscere che l'indugiare maggiormente a prendere delle serie guarentigie in favore della cospicua nostra colonia nella Tunisia, riusciva ad una completa rovina di gravi interessi di molti capitalisti italiani. La condotta del R. Console Generale fu dunque approvata, e la ripresa delle relazioni dipenderà sostanzialmente dalle disposizioni di cui il Bey si sentirà animato così per riparare ai danni già cagionati, come per impedirne il rinnovamento in avvenire.

Questi pochi cenni basteranno per informare la S. V. dell'accaduto, e della condizione presente delle nostre relazioni con Tunisi. Non è, però, mia intenzione che la S. V. si valga di questi schiarimenti per intrattenere il Governo Ottomano di questo affare. Come le dissi poc'anzi, noi abbiamo dichiarato schiettamente al Signor Photiades che non si trattava di cosa sovra la quale credessimo necessario di far pervenire delle spiegazioni a Costantinopoli; epperciò Ella vorrà certamente aspettare di essere interpellato da S. A. il Gran Vizir prima di accingersi a ragionare con lui delle nostre relazioni con lui.

(l) Cfr. n. 65.

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IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 516/s. N. Londra, 29 gennaio 1871 (per. il 21 febbraio).

In una conversazione che ebbi qualche tempo fa col Signor Conte Granville essendo caduto il discorso sulla neutralità osservata in Europa nella guerra fra la Francia e la Germania, Sua Signoria mi disse che, non ostante la neutralità mantenuta dall'Italia, da alcuni si pretendeva che se essa avesse potuto trarre con sè l'Inghilterra sarebbe stata disposta ad intromettersi in quella lotta.

Veramente non mi pareva possibile che Sua Signoria partecipasse a queste idee però non mi parve opportuno il tacere. Dissi perciò al Signor Conte che

le comunicazioni cordiali, franche, e non mai interrotte ch'io aveva avuto l'onore di mantenere con lui da più di sei mesi su questo grave e penoso soggetto lo mettevano in grado di giudicare meglio di ogni altro della attitudine costantemente tenuta dal Governo Italiano in quest'affare. Fin dal giorno 15 di Luglio p. p. V. E. aveva fatto a Sir A. Paget la proposta di un accordo per la neutralità. In quell'epoca anteriore ad ogni ostilità e nella quale conseguentemente la neutralità non poteva essere dettata da un senso di parzialità essa non potè venir consigliata al Governo Italiano e non gli fu di fatto ispirata che da ragioni proprie interne e dal dovere che egli aveva di contribuire per la sua parte ad evitare all'Europa grandi sciagure, siccome aveva concorso a tutto il suo potere negli sforzi diretti ad impedire lo scoppio della guerra. Quella proposta ch'era alquanto più ristretta e vincolante dell'altra che poscia fu mandata ad effetto e che inoltre supponeva il concorso di altre Potenze, aveva incontrato (forse appunto per ciò) qualche difficoltà per parte di Sua Signoria. çiononpertanto conoscendo le intenzioni del mio Governo io, essendomene venuta l'occasione, aveva fatto a Sua Signoria una proposta affatto analoga salvo l'approvazione del mio Governo. Io fui poscia da V. E. autorizzato a promuoverla a suo nome siccome quella che raggiungeva lo scopo che il Governo stesso si era prefisso colla prima proposta d'un patto di neutralità fatta pochi giorni prima.

Questa seconda proposta fu tradotta nell'accordo che è risultato da reciproche note scambiatesi fra Sua Signoria e me secondo le intelligenze prese. Che se per una parte le continue e cordiali relazioni che io aveva avuto l'onore di mantenere con lui durante tutto il tempo della guerra lo mettevano in grado di sapere quanto lealmente l'Italia avesse osservato i propri impegni, per l'altra parte io mi credeva in diritto d'affermare che il Governo Italiano non aveva mai voluto altro fuorchè ciò che fin dal principio della guerra aveva fa:,tto palesemente.

Però ciò non poteva nè doveva impedire che l'Italia pur mantenendo la più stretta neutralità dovesse più di ogni altra nazione desiderare la cessazione di una guerra la quale era tanto più penosa per Lei in quanto che essa aveva luogo fra due grandi Nazioni a Lei amiche, le cui recenti alleanze con Lei avevano cotanto contribuito all'opera della sua nazionale integrazione. Essa spiò quindi tutte le circostanze che potessero presentarsi favorevoli a qualche sforzo amichevole in favore della pace. A ciò dovevansi ascrivere le frequenti comunicazioni ch'io aveva avuto l'onore di procurarmi con Lui su questo soggetto e le replicate dichiarazioni fattegli a nome del mio Governo del suo grande desiderio di concorrere col Gabinetto Britannico a .questo umanitario scopo. Ciò era inoltre pienamente giustificato nel mio Governo al quale non poteva rimanere dubbio che Sua Signoria animata dallo stesso spirito mirava allo scopo medesimo.

Feci notare al Signor Conte che ciò che io gli diceva ora non era che la ~ipetizione di quanto gli aveva già detto qualche mese fa in altra mia conversazione riferita a V. E. col mio rapporto del 7 Novembre 1870 (1).

Conchiusi dicendo parermi che Sua Signoria, conoscendo personalmente

tutto ciò, possedesse elementi più che bastanti per far ragione delle voci a cui

aveva fatto allusione, le quali supponevano nel Governo Italiano intendimenti

contrari al sistema da lui apertamente abbracciato e lealmente mantenuto.

Il Signor Conte ringraziandomi mi disse tosto nel modo più cortese e deciso

che, quanto a Lui, non aveva certamente bisogno di alcun chiarimento.

Replicai che allorquando le corrispondenze diplomatiche degli ultimi sei mesi fossero conosciute, la verità sarebbe apparsa anche a coloro che parlassero di questo soggetto senza averne notizia sufficiente.

.ALLEGATO.

CADORNA A VISCONTI VENOSTA

L. P. Londra, 16 febbraio 1871 (per. il 21).

Debbo darle privatamente la chiave del qui unito rapporto. Appena Lord Granville mi fece l'interpellanza di cui si fa cenno in codesto rapporto mi accorsi che Lord Granville aveva uno scopo particolare nel farmela, po[ché non poteva ignorare il vero stato delle cose. Però, trattandosi di ripetergli cose che gli aveva già detto, e di accompagnarle con altre che poteva essere utile anche a noi di ripetere, non esitai a rispondergli.

Ma dopo di aver fatto ciò gli dissi: • adesso che vi ho risposto permettete che io vi domandi in amicizia il perché mi avete fatto questa interpellanza per sapere cose, che Voi già sapevate benissimo •.

Egli mi disse: • Vi confesserò schiettamente che l'ho fatto ad uno scopo parlamentare. Vi sono alcuni che pretendono, ed affermano che se noi avessimo voluto comprometterci, l'Italia non avrebbe desiderato di meglio che di unirsi a noi per prendere una parte attiva nella guerra. Penso (mi soggiunse) che non avrete difficoltà a che io ritenga come ufficiale ciò che ora mi avete detto •.

Io gli ,risposi che non vi aveva alcuna difficoltà perché queste cose erano la verità, ed io le aveva già scritte a Lei nel rapporto successivo alla conversazione, che aveva avuto con Lui nella quale egli aveva ammesso di essersi sbagliato dicendo in un suo dispaccio, che noi avevamo promosso l'accordo per la neutralità per fuggire le pressioni che subivamo dalla Francia. Oltre a ché la nostra condotta risultava da tutta la nostra corrispondenza diplomatica.

Lord Granville fece su di ciò un dispaccio diretto (credo) a Sir Paget, del quale mi disse il contenuto prima di spedirlo, io dissi pure a Lord Granville come avrei scritto a Lei, ed il rapporto qui unito ha appunto questo soggetto. Lo mando molto tardi per causa del molto lavoro, e della pochezza del tempo, massime che nel ritardo non mi pareva esservi danno. L'ho però datato ad epoca prossima al colloquio.

(l) Cfr. serie II, vol. I, n. 481.

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IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. P. Londra, 29 gennaio 1871 (per. il 5 febbraio).

Sebbene in questi giorm m cui la Conferenza tiene le sue riuniom 10 non possa, per la strettezza del tempo, informarla dell'andamento delle trattative, nè chiederle le opportune istruzioni altrimenti che col telegrafo, credo però mio dovere di confermare in iscritto queste telegrafiche comunicazioni, sviluppandole il più che mi sia possibile.

Mi giunse la mattina del 17 corrente alle ore due dopo la mezzanotte il di Lei telegramma della sera del 16 (l) col quale Ella mi preveniva che il Governo Francese l'aveva pregata di appoggiare a Londra i passi che egli faceva al fine, che la riunione della conferenza fosse differita al 1° di Febbraio prossimo, e mi incaricava di vedere il Signor Conte Granville, e di dirle se la cosa fosse ancora possibile.

Col mio telegramma dello stesso giorno 17 (2) speditole poche ore dopo lo scioglimento della prima riunione della conferenza io rispondeva a questo di Lei eccitamento, e la informava dei risultati della detta riunione, e di una conversazione che aveva avuto subito dopo la riunione stessa con Lord Granville e col Conte Appony insieme al Foreign Office.

La prima riunione della conferenza dovendo aver luogo nella stessa mattina del 17 ad un'ora pomeridiana io non potei vedere Lord Granville che pochi momenti prima della detta riunione. Il rimandare la riunione nel mentre stesso, che i Plenipotenziarii stavano riunendosi per intervenirvi non essendo cosa possibile, mi limitai a portare a notizia del Signor Conte Granville ciò che Ella mi aveva telegrafato; massime che era a mia notizia che S. S. avrebbe proposto nella riunione medesima, che la seconda riunione fosse differita di otto giorni, appunto in vista della speranza che vi potesse intervenire il Plenipotenziario Francese, del che erasi già tenuto discorso tra Lord Granville, e me. Di fatto questa proposta venne fatta alla riunione, coll'aggiunta che la dilazione si potesse prolungare per altri due giorni nel caso, che si avesse avuta l'assicurazione, allo scadere degli otto giorni, dell'imminente arrivo del Plenipotenziario Francese, e questa proposta venne dalla Conferenza accettata.

In quella prima riunione erasi pro,posto nel discorso stesso di apertura di Lord Granville, che fosse segnato dai Plenipotenziarii un protocollo ad hoc il quale contenesse la dichiarazione in diritto già preventivamente accettata da tutte le Corti rappresentate, e testualmente enunziata nello stesso discorso, e questo protocollo speciale venne innanzi tutto dai Plenipotenziarii unanimemente accettato, e firmato. Mi astengo dal ripeterle il tenore di questa dichiarazione la quale risulta dalle prove di stampa del verbale, ossia del protocollo della detta riunione, che ebbi già l'onore di spedirle colla mia precedente lettera del 18 corrente (3), col mezzo della Posta. In quella prima riunione si sono letti dai Plenipotenziarii i brevi discorsi da essi preparati, i quali non diedero luogo ad osservazioni, e nessuna discussione fu intavolata su merito dell'affare pel quale la Conferenza trovasi convocata. In essa si è deciso, che il sopra indicato protocollo ad hoc sarebbe inserito come documento annesso nel protocollo della riunione.

In seguito a questa riunione il Signor Conte Appony ed io ci recammo nel Gabinetto del Signor Conte Granville col quale ebbimo una lunga conversazione, onde scambiarsi le idee, e discutere sull'oggetto della conferenza. In questa conversazione non si venne ad alcuna conclusione, ed essa ebbe un carattere, ed

uno scopo meramente preparatorio. Gli oggetti dei quali si è ragionato furono i seguenti. L'abolizione del principio stabilito nel trattato del 1856 della neutralità del Mar Nero che costituisce l'entità della concessione, che si farebbe alla Russia non porta in se medesima l'equivalente per ciò solo che di essa approfitta anche la Turchia. Si è constatato, che la Porta non accettava la proposta Austriaca perchè fossero alle Potenze estranee al Mar Nero accordate delle stazioni navali in quel mare. Si è pure apprezzata la gravità della conseguenza di dare alla Porta la piena libertà di lasciar passare in tempo di pace i navigli da guerra di qualsivoglia Potenza, la quale conseguenza consisterebbe nell'arbitrio che essa avrebbe di lanciare nel Mediterraneo una flotta Russa. Il Signor Conte Granville ha però dichiarato, che sino allora egli non aveva trovato altre compensazioni che si poltessero domandare. Si è pur detto, che la ·Porta, (o meglio forse il suo ambasciadore) avrebbe desiderato di abolire l'art. 9 del Trattato del 1856 che prese atto dell'Hatticheriff allora presentato dal Sultano alla conferenza, e che esso desiderava si facesse ora una dichiarazione esplicita per escludere qualsivoglia diritto delle Potenze di ingerirsi nei suoi affari interni. Si osservò, che questa riserva c'era già nello stesso art. 9 del Trattato. Inoltre abolire l'art. 9 sarebbe quasi rinunziare all'impegno morale preso coll'art. 9 dalla Porta di mantenere quell'Hatticheriff, che era stato considerato come un passo da Lei fatto nella via della civilizzazione, il che non era possibile. La Porta avrebbe pure voluto estendere la sua ingerenza nell'interno dei Principati, nominandovi Commissarii con attribuzioni quasi governative. Essa vorrebbe inoltre sciogliersi dall'obbligo di non intervenire colla forza nei Principati senza l'assenso delle Potenze. Tutti hanno notato che ciò non era ammissibile, che era un tornare indietro agli antichi inconvenienti, un provocare pretese nuove per parte della Russia; che ciò non era neppure nel vero interesse della Turchia, e che i Plenipotenziarii erano impediti di aderire a ciò anche dalle loro istruzioni. Lord Granville disse che questi desiderii della Porta teneva per fermo che non sarebbero accettati neppure dal suo Governo. Si rilevò però che il Plenipotenziario Turco aveva detto che egli non avrebbe fatte queste proposte, se egli non fosse in primo stato sicuro, che esse sarebbero state accettate.

·In questa riunione avendo io indicato la proposta Austriaca consistente nel dare alla Turchia la facoltà di aprire gli Stretti alle Potenze n.on riveraines, ed anzi l'obbligo ad essa di lasciar passare in tempo di pace un certo numero di navi da Guerra, negando la facoltà del detto transito alla Russia, il Conte Appony, mi disse che non sussisteva che il Conte di Beust proponesse una tale differenza di trattamento. Avendogli io replicato, che ciò mi risultava dalle mie stesse istruzioni, nelle quali erano state inserite le proposte Austriache state comunicate a Lei dal Barone Kubek per ordine del suo Governo, il Signor Conte Appony persistette nella sua denegazione, e disse che doveva essere intervenuto un errore. (Mio telegramma 17 ·corrente) (1).

Io credendo, che le istruzioni del Conte Appony fossero così chiare da escludere ogni dubbio mi tacqui. Però nel giorno successivo essendomi recato a trovare Lui, ed il Conte Szecsen portai meco le mie istruzioni, e lessi loro gli articoli delle proposte Austriache nelle medesime inserite; ma ambedue mi ripeterono

che era ~ce~tamente un errore. Per convincermene diedero mano alle loro istruzioni, e me le lessero pure. Senonchè questa sola lettura mi convinse, che chi era in errore erano eglino medesimi. Di fatto in esse si stabiliva l) Il principio generale della facoltà libera della Turchia di aprire, e chiudere gli Stretti. 2) L'obbligo della Turchia di lasciar entrare nel Mar Nero un numero di navi da ,guerra da ponderarsi colle forze navali Russe nel Mar Nero, e la facoltà di avervi stazioni navali. 3) Si soggiungeva che, naturalmente ciò non riguardava, che le altre Potenze non riveraines, poichè, quanto alla Russia si ,sarebbe dovuto applicare alla medesima un regime presso a poco eguale a quello che esisteva prima del Trattato del 1856. Ciò posto, qual'era (dissi loro) il regime anteriore al 1856? Il trattato del 1840, e quello posteriore del 1841, i quali avevano stipulato la chiusura degli Stretti; dunque il Conte di Beust vuole, che per la Russia vi sia la regola, eccezionale per Lei, della chiusura, e mi pare che le sue proposte non siano state male intese a Firenze.

Questa semplice osservazione col testo alla mano fu come una rivelazione, che li ha molto colpiti; e leggendo, e rileggendo si convinsero, che aveva ragione. Io mi studiai anche di fare la loro parte. Dissi, che si poteva anche interpretare quel testo come se, dopo di aver posto il principio generale del N. l (sopra), e dopo di aver detto, che il patto per le stazioni navali non poteva riguardare la Russia che era nelle sue acque; avesse applicato ad essa il regime eguale delle altre Potenze, richiamando il regime anteriore al 18M, inquantochè rprima del 1856 il regime allora vigente era applicato egualmente per tutti. Però feci notare che a questa interpretazione sottile, mi pareva che resistesse la lettera delle istruzioni, la quale applicava alla Russia non l'eguaglianza del regime, ma il regime stesso, cioè le disposizioni che erano nel trattato del 1841.

In ques~to stato di ~cose essi sentirono la necessità di accertarsi domandando col telegrafo spiegazioni al Conte di Beust. Questi (come io ebbi poi a telegrafarle il 21 corrente) (l) rispose loro che l'Italia aveva bene mterpretate le sue istruzioni, e le sue proposte prendendole nel senso che io le aveva espresso sulla base delle mie istruzioni; che egli proponeva veramente che il passaggio per gli Stretti fosse chiuso alla Russia, e che fosse aperto alle altre Potenze a facoltà della Porta; che però questa avesse l'obbligo di lasci:;~r passare un certo numero di navi di queste Potenze secondo i limiti, ed il sistema da lui indicato. Ciò, naturalmente, manteneva quella difficoltà dell'accettazione della Russia, che Ella già notava nelle istruzioni mandatemi.

A questo riguardo le cose erano a quell'epoca nello stato, che la Turchia si limitava a domandare la libertà a Lei di aprire, e chiudere gli Stretti a sua facoltà, ma a tutte le Potenze; che l'Austria metteva innanzi il sistema sopra enunciato, il quale se era più restrittivo per la Russia, era pure più restrittivo della facoltà della Turchia, chiesta da Lei illimitatamente, ed, eventualmente, in favore di tutti, e contro tutti; che l'Inghilterra non aveva una proposta sua propria, che non voleva essere più Turca del Turco, che era disposta ad accettare la proposta della Porta, ma che ad un tempo desiderava pur molto di non contraddire all'Austria, ed anzi di farle cosa grata; che in fine la Russia (ciò, che nella Conferenza, vuoi dire anche la Prussia) non erasi poi ancora palesata deci

samente ostile alla diversità di trattamento proposta dall'Austria, e che, in tal caso, molto probabilmente sarebbe stata accettata dalla Turchia.

In questo stato di cose era evidente, che se la proposta Austriaca aveva una possibilità di riuscita essa dipendeva tutta dall'indurre con ragioni l'Inghilterra ad appoggiarla, salvo a tornare alla proposta Turca, se la proposta Austriaca fosse assolutamente rifiutata dalla Russia. Tutti questi tentativi, e queste modificazioni si potevano fare, essendochè si mandavano ad effetto in colloquii affatto confidenziali, e privati, e prima di portare la questione in conferenza.

Io credetti dunque che quello era il momento opportuno per mandare ad effetto la prima parte delle mie istruzioni appoggiando la proposta Austriaca presso Lord Granville, in quanto essa riguardava la navigazione degli Stretti, poichè l'altra parte riflettente il numero proporzionale di navi permanenti, e le stazioni per esse nel Mar Nero, era già stata recisamente rifiutata dall'Inghilterra. Aggiungerò, che io era inoltre convinto di far cosa buona per tutti, ove si potesse recare alla proposta Austriaca qualche modificazione; epperò mi posi all'opera vedendo ogni giorno ed anche più volte il giorno il Conte Granville, Appony, ed il Conte Szecen, e lasciando, che Granville si intendesse poi con Musurus, e con Brunnow.

Trovandomi pertanto con Lord Granville non ebbi neppure bisogno di affrontare io medesimo il soggetto, che mise egli stesso sul tappeto, mostrando desiderio di discuterlo meco, anche in relazione alle due proposte, l'Austriaca, e la Turca.

Fissai innanzi tutto la mia condizione con Lord Granville dicendogli, che egli già ben sapeva che io aveva l'incarico di appoggiare la proposta Austriaca e di accettarla, ma subordinatamente a che Egli pure la accettasse; e che altrimenti io doveva tenermi con lui ove avesse accettato la proposta Turca.

Dopo questa dichiarazione entrai nella discussione all'oggetto di esaminare quale delle due proposte fosse preferibile in se stessa, non senza premettere, che il Governo Austriaco, ed il Conte Appony (quest'ultimo da me stesso) erano pienamente edotti delle mie istruzioni; che le osservazioni particolari che io avrei messe innanzi erano mie personali, e che non avevano un ,carattere di opposizione a nessuna delle due proposte; ma che erano solo dirette a chiarire i vari lati della questione, della quale egli era quello che, in sostanza, si doveva in prima pronunziare.

Non sarebbe possibile, che io riassumessi particolareggiati i due colloquii che ebbi con Lord Granville su questo soggetto; non posso perciò darne, che un breve sunto nel modo seguente.

Il mio punto di vista fu di provare, che la libertà assoluta riconosciuta alla Turchia di aprire, e di chiudere gli Stretti a chi, e quando gli piacesse avrebbe probabilmente condotto a conseguenze per ogni riguardo lamentabili; che avrebbe mal tutelata l'integrità della Turchia; che in fine non era un equivalente, nei rapporti fra le altre Potenze e la Russia, alla concessione che quelle le stavano per fare.

Due cose erano essenzialmente a rimarcarsi nella proposta Turca; la facoltà di aprire in qualunque tempo, e di chiudere gli Stretti a suo arbitrio; la facoltà di aprirli, e chiuderli a chi più le piacesse, epperciò anche alla Russia, ed anche per passare colle sue flotte nel Mediterraneo.

7 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. II

Ora, era cosa da non potersi dissimulare, che la fede nella risurrezione della Turchia era stata grandemente scossa, anche in Inghilterra, ove per molto tempo era stata robusta; che la politica Europea aveva in ciò subito una grande modificazione, per la quale, anche in ·circostanze eguali, non si credeva molto proba

bile una seconda guerra di Crimea; che i 14 anni decorsi dal 1856 avevano cooperato a produrre questa variazione; che la Turchia non poteva non vedere, che nel mentre continuava il pericolo del suo potente vicino, esso ingigantiva in ragione del graduale maggiore abbandono in cui l'avrebbero lasciata i soccorsi armati delle Potenze che più l'avevano sostenuta. Doveva avvenire a Lei ciò che avviene a tutti i deboli, che, abbandonati, e non capaci a difendersi da se,

finiscono per patteggiare col loro avversario, domandare protezione a lui medesimo, se non altro per prolungare la loro vita. La Turchia è dunque spinta dalle circostanze nelle braccia della Russia.

Un'altra circostanza ve la spinge, ed è l'antagonismo Danubiano tra la Russia, e l'Austria, e la paura, che di questa ha, in fatto, la Turchia, per la quale la Russia diventa perciò l'alleata necessaria, nel caso di diffidenza verso l'Austria.

Di questo avvicinamento tra la Russia, e la Turchia se ne hanno già delle prove manifeste, ed esso non può che crescere in avvenire.

In questo stato di cose, dare alla Turchia la facoltà di aprire gli Stretti vuoi dire aprirli alla Russia, alle cui istanze la Turchia non potrà sottrarsi, vuoi dire chiuderli alle altre Potenze, e principalmente all'Austria. Poco per volta ciò può condurci a vedere la Russia far la guardia colle sue navi, a tutela del Sultano, a Costantinopoli; e tuttociò senza punto uscire dei termini del Trattato. Ciò quanto a Costantinopoli, all'integrità dell'Impero Ottomano, ed all'interesse che l'Europa ha che Costantinopoli non cada nelle mani della Russia.

Ma v'era inoltre l'altra conseguenza, cioè il passaggio delle flotte Russe del Mar Nero nel Mediterraneo, e la riunione nel Mediterraneo di queste flotte con quelle del Baltico. Il trattato apre la via legale a ciò, e le circostanze della Turchia che ho notate lo faranno succedere. Ora si è ben pensato alle conseguenze di questo fatto nuovissimo, che sarebbe posto in arbitrio della Turchia, e, per mezzo di essa, della Russia? Il fatto è gravissimo per se perchè introduce nelle possibili lotte un elemento potente, e nuovo, una forza, che ha un interesse proprio, grande in Oriente, contrario a quello di altri Stati; ma che potrebbe collegarsi con qualcuno di essi per altri fini particolari che a questi altri premesse di conseguire. Si è pensato alle alleanze eventuali alle quali queste cose possono dar luogo? Alla relazione, ed al nesso che possono avere la questione Orientale colla questione Germanica; alle combinazioni diverse, che esso può produrre procacciando alla Russia forti appoggi eventuali alla sua impresa Orientale? Si è pensato alle conseguenze che lascerà la guerra attuale, ed al partito che potrebbe trarne, da qui ad alcuni anni, la Russia a benefizio suo in Oriente? La questione Orientale può essere eventualmente l'elemento della soluzione della questione Germanica, ed anche dell'antagonismo Franco-Germanico; ma può esserlo in più modi a riguardo delle alleanze, e degli accordi fra nazioni; e con esito diverso, a seconda dei casi, e dei mezzi, cioè o col compimento dei voti della Russia in Oriente, od in qualunque altro modo, che li faccia cessare per sempre. Ora, a fronte di queste prospettive, lanciare le flotte Russe nel Mediterraneo, accre

scere la sua potenza a bella posta con questo mezzo, darle un forte, e nuovo instrumento di azione, per intromettersi con maggior speranza, ed efficacia nei grandi affari dell'Europa, non dal punto di vista degli interessi Europei, ma dal suo proprio punto di vista Orientale, pare che non sia cosa nè prudente, nè savia.

Tutto ciò prova pure quale equivalente riceverebbero le Potenze alla facoltà che acquisterebbe la Russia di creare una potente flotta nel Mar Nero, secondochè seguirà per l'abolizione della neutralizzazione di quel mare. In ultimo risultato si creerebbe alla Russia una gran forza nel Mar Nero. Le si faciliterebbe il mezzo di introdurla nel Bosforo, e, col mezzo della Turchia, gettata nelle sue braccia, si aprirebbe a questa nuova forza l'accesso nel Mar Nero. Questi e non altri sono gli equivalenti che le Potenze non riveraines riceverebbero.

Non è lo stesso della Turchia. Essa non può rifiutare l'abolizione della neutralizzazione del Mar Nero, che tutta l'Europa accetta; essa vede l'avvenire che seguirà a questa concessione; essa non vuole inoltre irritare il suo futuro protettore, e si rassegna alla sua sorte che è fatale come i suoi principii religiosi; ma trova pure qualche compenso in questa nuova situazione, nella libera assoluta balia che domanda degli Stretti. La trova nel poterne usare a suo modo, nella nuova condizione che le è fatta, e per poter meglio gratificarsi la Russia. La trova inoltre nella soddisfazione di amor proprio, grande per Lei che riceve nella ricognizione della illimitata sua Sovranità negli Stretti.

Questo sentimento è così forte, così prevalente nella Turchia, che essa vorrebbe poter distruggere tutto ciò che l'Europa ha stipulato per le Provincie Rumene, e per altri territorii Turchi, onde garantire la integrità della Turchia medesima, e impedire gli interventi; purchè i suoi diritti di Sovranità fossero ripristinati, come erano dapprima. Alcune delle mozioni fatte ora dal plenipotenziario Turco lo provano maggiormente.

Pareami poi che si dovesse credere che la Russia aderirebbe alla progettata restrizione, poichè in sostanza si trattava solo di limitare ad uno scopo di equilibrio nel Mar Nero, ed in certi casi quella specie di privilegio, che Essa e la Porta già possederebbero abolendo la neutralizzazione di quel mare; poichè del resto, siccome il Mar Nero, e gli Stretti si dichiaravano chiusi per tutte le altre Potenze, onde accedere al Mar Nero, così nessun sfregio Le veniva dal trovarli essa pure chiusi per accedere al Mediterraneo. Per altra parte poi essa riceveva una concessione grandissima, ed importantissima, ed aveva riconosciuto, che qualche cosa doveva pur concedere in cambio.

Parevami perciò, che pel titolo di evitare le conseguenze notate convenisse di preferire le basi della proposta Austriaca, anche introducendole qualche modificazione; ma conservando per base la chiusura, in massima degli Stretti; l'apertura facoltativa alla Turchia solo in certi determinati casi, e solo alle Potenze non finitime al Mar Nero, e così, esclusa la Russia.

Parevami poi invece, che la proposta di dare alla Turchia la facoltà liberissima di aprire, e chiudere gli Stretti quando, ed a chi volesse, e di lanciare la Russia nel Mediterraneo, chiudendo l'accesso al Mar Nero alle altre Potenze, potesse, ne' suoi effetti, riassumere in questo.

Che la sorte della Turchia, e della questione Orientale (la quale non è soltanto una questione Turca) era abbandonata alla Turchia stessa, nel mentre stesso che essa sentiva di cadere sotto la potenza preponderante della Russia; e che le si davano, in tali circostanze, i mezzi di fare la Russia più forte nel Mar Nero, e negli Stretti. Che inoltre la Turchia era fatta quasi arbitra, per certi gravi casi, di questioni Europee a benefizio della Russia, e della soluzione della questione Orientale nel senso Russo. Il che parevami che, nelle relazioni tra la Turchia, e le altre Potenze, invertisse affatto quella condizione di cose che era sin qui esistita.

Alla fine di questo lungo colloquio ho ripetuto a Lord Granville, che io aveva l'ordine di non separarmi da lui, appoggiando in prima la proposta dell'Austria; che se facendo ora quest'ultima parte aveva seguito gli ordini del mio Governo, non avendomi questo fissate le ragioni che doveva addurre, quelle che aveva addotte erano tutte mie proprie, che non potevano considerarsi come una espressione fatta a suo nome della sua politica in Oriente, nè potevano in alcuna guisa vincolarlo. Il Signor Conte poteva solo ritenerle come un elemento per determinarsi a favore dell'uno, o dell'altro partito.

Lord Granville mi ha molto ringraziato, e non mi celò l'impressione che ne aveva riportato; lo seppi di poi anche da persona confidente di Gladstone alla quale questi ne ha parlato; ma più di tutto ne fui accertato dalla dichiarazione che fece di poi ad Appony, che avrebbe appoggiato la proposta del Conte Beust, sebbene dapprima gli si fosse già dichiarato contrario; e lo stesso Conte Appony me lo confermò dicendomi con grande lealtà, che era io che aveva determinato Granville ad appoggiarlo, e che, se riusciva, lo avrebbe dovuto particolarmente a me; ed il Conte Szecen mi disse che avevano deposto in un loro rapporto a de Beust quanto grande fosse stato l'ajuto, e l'appoggio che avevano avuto dal Ministro d'Italia. Così spero che si compierà anche il di Lei giusto desiderio, e la di Lei aspettazione, che il Conte Beust ci appoggi nella questione di Roma.

Proseguendo a farle il mio rapporto non posso riferirle ad una ad una tutte le conversazioni, perchè essendo parecchie in ciascun giorno importerebbero un lungo, e non sempre utile lavoro pel quale il tempo mi verrebbe meno, sebbene potrei farlo, perchè di ogni conversazione, faccio un processo verbale per maggiore sicurezza, ed esattezza. Continuerò dunque riferendo cronologicamente il corso dell'affare in modo che risulti delle sue varie fasi, e della attitudine di ciascun Plenipotenziario.

Sino alla sera del giorno 20 il Governo Inglese aveva persistito a rifiutare le proposte Austriache relative agli Stretti, ed a tenersi favorevole alla proposta Turca. Io le telegrafava di fatti la sera del 20 (l) che avendo parlato con Granville al momento, che esso usciva dal Consiglio di Gabinetto egli mi aveva detto che il Governo rifiutava la proposta Austriaca per l'entrata in tempo di pace nel Mar Nero di navi da guerra delle Potenze, e pel numero di esse proporzionato alla forza marittima che la Russia avrebbe avuto in quel mare. Noterò che in questo ultimo rifiuto Granville ha sempre persistito, e persiste tuttora. Mi disse, che rifiutava inoltre di toccare agli affari dei Principati, come la Porta avrebbe desiderato. Di fatto essa avrebbe voluto avere nei Principati dei Commissarii, con attribuzioni Governative. Essa avrebbe voluto essere slegata dal

l'art. 27 del Trattato, che non le permette di intervenire nei Principati senza un accordo colle Potenze. Seppi inoltre allora da Lord Granville, che il Gabinetto accettava la proposta della Turchia, secondo la quale essa avrebbe avuto la libera facoltà di aprire gli stretti a qualunque Potenza; il Gabinetto avrebbe solo desiderato, che questa facoltà fosse ristretta ai casi d'urgenza. L'Inghilterra avrebbe inoltre accettato la prorogazione della Commissione Europea pel Danubio per 15, e più anni, poichè se la Russia non pareva opporsi ad una proroga, non voleva però ammettere una proroga indefinita. Accettavasi del pari che l'Austria fosse incaricata della esecuzione dei lavori alle potte di ferro, col rimborso col mezzo di un pedaggio, od altrimenti, desiderando di fare qualche cosa gradita all'Austria. Erasi pure disposti ad accettare il sistema che alla Commisione Europea fossero ·confidati i detti lavori, colla facoltà di affidarne l'esecuzione a chi meglio credesse opportuno. Però dovevasi ancora tener conto dell'attitudine che avrebbe preso in tutti questi soggetti il Governo di Pietroburgo, al quale si era telegrafato, ed anche il Conte Appony aspettava altre istruzioni. Come Ella vedrà in seguito la discussione su questi soggetti rimase quasi in sospeso per parecchi giorni di poi essendosi la discussione concentrata sul punto della navigazione negli Stretti.

Io le indicava nello stesso telegramma del 20 che il Conte Bernstorf si teneva d'accordo, e camminava colla Russia; che però io mi trovava in assai buona relazione anche con lui. Annunziandole poi collo stesso telegramma, che altre nuove proposte non erano sorte, e che nulla sapevasi delle intenzioni del Signor Giulio Favre, io La pregava di dirmi se dovessi consentire a tutte le opinioni del Governo Britannico, che in quel telegramma medesimo le aveva indicate.

Lasciando da parte parecchie altre particolari conversazioni, mi occorre di soffermarmi sul convegno che ebbe luogo al Foreign Office il 23 corrente (vigilia della seconda riunione della conferenza) tra il Conte Granville, i Conti Appony, e Szecen, Musurus e me. Fu in esso che il Conte Granville prese l'attitudine di appoggiare il sistema Austriaco quanto agli Stretti, allontanandosi dall'idea contraria del suo Gabinetto, che mi aveva manifestata la sera del 20, dopo la quale, ed appunto il 21, ed il 22 avevano avuto luogo le mie conversazioni con lui che ho riferito sopra.

In questa conferenza privata, e confidenziale il Conte Appony disse che aveva ricevuto la facoltà di lasciar cadere la proposta per la introduzione normale nel Mar Nero di un certo numero di navi delle Potenze proporzionale alla forza marittima Russa, e per ammettere stazioni navali di queste Potenze nel detto mare. Ma egli aveva avuto l'ordine di persistere tanto più nell'altra proposta relativa alla chiusura degli stretti. Questa proposta era stata indicata dallo stesso Signor Beust nella seguente formala la quale io però già conosceva dal giorno precedente, (e che probabiimen:te è quella stessa che Ella mi notificava col suo telegramma del 2·6 (l) da me ricevuto nella notte successiva al detto giorno). La formola Beust era: « Maintien du principe de fermeture en réservant à la Porte la faculté d'ouvrir selon les circonstances, l'accès de la Mer Noire aux bàtiments de .guerre des Puissances non riveraines ».

In vece Musurus aveva istruzioni per una formola analoga al costante concetto della Porta di avere la piena libertà di aprire, e chiudere gli Stretti a chi, e quando voleva. Questa formola egli la riassumeva come segue: «Maintien de l'ancien principe de la fermeture des détroits, avec faculté à la Porte de les ouvrir aux Puissances amies au seui cas que ses intérets, et sa sécurité l'exigeraient ».

Granville, Appony, e Szecen, ed io eravamo d'accordo di accettare la base Austriaca; riconoscevamo però che le parole: selon les circonstances €rano troppo generiche. Anche Musurus si mostrava personalmente disposto ad accettare la base Austriaca; ma insisteva perchè si usassero le parole: ses inté1·ets, et sa sécurité, ed aggiungeva, che questa non era che la sua opinione personale; che non era punto autorizzaJto a proporla a nome del suo Governo, al quale gli era indispensabile di domamiare a tale riguardo nuove istruzioni, il che avrebbe fatto.

Nell'intento pertanto di cadere d'accordo sopra una formola sulla base Austriaca, si continuò lo scambio di idee sulle •parole «ses intérets » insistendo sopra di esse Musurus, e parendo a Lord Granville, ed ad Appony, e Szecen principalmente, che non si dovessero ammettere. Avendo lasciato procedere per qualche tempo questa discussione senza intromettermi, io feci notare a parte a Lord Granville, che se queste due parole potevano avere conseguenze da ovviarsi nella formola Turca, esse diventavano praticamente quasi indifferenti nella formola Austriaca che vincolava la Porta ad usare della libertà di aprire, e chiudere gli Stretti solo a favore delle Potenze non riveraines. Lord Granville enunciò tosto egli medesimo questa considerazione, che disse avergli io fatta, e tutti entrarono, senz'altro, nel mio avviso.

In seguito a ciò cademmo d'accordo sulla formola seguente: « Maintien du principe de la fermeture en réservant à la Porte la faculté d'ouvrir, au seul cas que ses intérets, et sa sécurité l'exigeraient, l'accès de la Mer Noire aux batiments de guerre des Puissances non riveraines ».

Si fu intesi che Musurus avrebbe domandato subito al suo Governo la facoltà di accettare questa formola, e che Granville avrebbe subito scritto un biglietto a B:wnnow per sapere se poteva accettarla. Si fu pure intesi per la riunione ufficiale dell'indomani: che se Brunnow vi consentiva a nome del suo Governo e se Musurus avesse ricevuto una eguale autorizzazione per telegrafo dal suo Governo (non dubitandosi dell'assenso di Bernstorff in questo caso), questa formola sarebbe stata proposta, e che sarebbe stata portata nel protocollo della seduta come oggetto convenuto, ed accettato. E se fosse mancata l'adesione o della Russia, o della Porta per qualsivoglia motivo, nella riunione dell'indomani non si sarebbe fatto altro che consentire, e stabilire il principio dell'abolizione della neutralizzazione del Mar Nero, colla condizione dello stabilimento di un equivalente da convenirsi, e che ciò si sarebbe fatto in seguito ai discorsi già preparati per questo oggetto da Brunnow, e da Musurus, dei quali avevamo già avuta officiosa comunicazione. Si sarebbe poi rimandato ad un'altra riunione lo stabilimento definitivo dell'equivalente.

Essendo l'Ambasciatore Turco uscito dal convegno Lord Granville ricevette un biglietto dal Conte Bernstorff. In seguito all'arrivo della formola Austriaca preaccennata il Conte Granville lo aveva pregato nel precedente giorno 22 di esplorare il Barone Brunnow se avrebbe aderito a che la facoltà alla Porta di aprire gli Stretti fosse limitata a favore delle Potenze non riveraines. In questo biglietto Bernstorff diceva che Brunnow non poteva accettare ciò, perchè sarebbe stato uno schiaffo per la Russia.

Il Conte Granville mi disse ciò che avrebbe fatto egli, se la Russia avesse persistito a volere unicamente la formola Turca, e dichiarò a tal fine che, in questo caso, egli pure l'avrebbe accettata. Soggiunse, che desiderava di far cosa grata all'Austria appoggiandola; ma che non lo avrebbe più potuto fare, ove non si potesse ottenere un accordo. Soggiunse ancora, che egli sostenendo la proposta Austriaca <Si trovava in qual·che disaccordo col primo Ministro (Gladstone). Io non credetti opportuno di fare alcuna dichiarazione, perchè, oltrechè non era conveniente farla in quel momento, ed in coda alla dichiarazione di Granville, non era necessario, essendochè e Granville, ed Appony, e Szecen sapevano quali erano le mie istruzioni.

Debbo anzi soggiungere, che nel precedente giorno 22 Lord Granville avendomi deltto in seguito alla nostra ultima conversazione, che avrebbe appoggiata la proposta Austriaca mi aveva già prevenuto, e dell'opinione diversa di Gladstone, e della sua intenzione di ritornare alla proposta Turca nel caso che non si fosse potuto stabilire un accordo sulla proposta Austriaca. In allora egli mi aveva dimandato: «e Voi che cosa farete in tal caso? ». Gli risposi che egli conosceva le mie istruzioni; che io le aveva eseguite appoggiando la proposta Austriaca presso di lui il meglio che aveva potuto; e che le avrei eseguite acco~ standomi di poi a lui nell'accettare la proposizione Turca, ove egli si fosse creduto costretto ad abbandonare la proposta Austriaca.

In questa circostanza tanto il Conte Appony, che il Conte Szecen, mi ripeterono, che mi erano molto grati dell'appoggio, e dell'ajuto efficace che aveva dato loro presso Lord Granville, poichè senza il di lui concorso la proposta Austriaca avrebbe dovuto cadere immediatamente. Risposi loro, che era lieto delle cortesie che mi dicevano; ma che faceva loro osservare, che, sebbene le mie istruzioni mi prescrivessero di non separarmi da Lord Granville, esse però mi avevano imposto di appoggiare in prima le proposte del Conte Beust. Facendo ciò, rilevando la loro portata, e facendo notare a Lord Granville le conseguenze dei diversi sistemi, io non aveva perciò altro merito, che quello di aver eseguito del mio meglio gli ordini del mio Governo.

Qui mi occorre di fare una osservazione. Dal complesso di tutti i miei colloqui con Lord Granville, dalla sua pieghevolezza a partiti diversi, dalla premura che egli palesa di venire ad una soluzione pacifica di questo affare, io ne ho riportata la convinzione del mutamento radicale dell'opinione del Governo Inglese a riguardo dei sistemi fin qui applicati alla questione d'Oriente, della sua mancata fiducia nella loro efficacia, e nell'ottenimento possibile dello scopo a cui miravano; della assenza di un altro sistema ben determinato, se non è pur quello di lasciare le cose al loro naturale corso, procurando solo di frenarlo, e di riservarsi a provvedere quando ne venga il caso; ed intanto, e pel presente, del prevalente desiderio di finire quest'affare pacificamente, ed anche a costo di notevoli concessioni, e di finirlo presto, onde l'incidente sia chiuso, e la situazione sia definita ed assicurata prima della riunione del Parlamento, che avrà luogo il 9 di Febbraio.

Che se debbo esprimere un avviso sulla formola che abbiamo preparatoriamente intesa nel nostro convegno privato del 23 (la quale servì di base alla proposta Brunnow di cui dirò in appresso, e che questi ci mandò il giorno 24) dirò che metto non molta importanza alla facoltà data alla Turchia di aprire gli Stretti, nel caso di pericolo della sua sicurezza; ma che ne metto molta a che la Russia non possa, a piacimento della Turchia entrare negli Stretti, ed essere lanciata nel Mediterraneo. Perciò, secondo il mio avviso, si sarebbe potuto accettare il principio assoluto della chiusura degli Stretti in tempo di pace; ma la proposta Turca mi pare la più disastrosa, ed anche la meno decorosa per le Potenze non finitime al Mar Nero. Questa mia opinione è la conseguenza delle considerazioni, che ho fatte a Lord Granville personalmente, e riferite sopra.

Alcuni giorni fa giunse qui il Signor Csedomille Mijatovies Direttore del Dipartimento delle Finanze nel Ministero della Servia, mandato da quel Governo. Egli non ha missione politica, ed è venuto solo per seguire le fasi della conferenza, e per riferire al suo Governo ogni emergenza, che lo potesse interessare. Venne a vedermi, e mi disse che ciò che preoccupava il suo Governo era il timore di essere aggravato di troppa spesa pei lavori nel Danubio. Si mostrò proclive a che questi lavori li facesse pure l'Austria. Fu presentato a Lord Granville da Musurus, e la sua permanenza qui non ha dato luogo a nulla di rimarchevole.

Per giungere con questo mio rapporto sino al giorno della seconda riunione della Conferenza (24 corrente) mi occorre solo confermarle il telegramma speditole la sera del 23 (1). Non avendo ancora ricevuto le istruzioni, che Le aveva chieste col mio telegramma del giorno 20 (2), io La preveniva, che sino a quel punto non aveva avuto riscontro ai miei telegrammi. Io le significava del pari, che se l'Ambasciadore Turco non avesse ricevuto prima del domani i telegrammi, che egli attendeva, la conferenza si sarebbe limitata nella imminente riunione ad adottare il principio della abolizione della neutralizzazione del Mar Nero alligando ciò alla condizione dello stabilimento di un equivalente, e che avrebbe rimandato il resto ad un'altra riunione. Le soggiungeva infine, che, in mancanza di nuove istruzioni, se si poneva in discussione la questione degli Stretti io mi sarei attenuto alle generali istruzioni scritte ricevute prima della conferenza, uniformandomivi per tuttociò che potesse eccedere i miei poteri.

Nella stessa sera del 23 mi giunse il di Lei telegramma (l) relativo all'intervento della Francia alla riunione della conferenza del giorno successivo. Ella mi telegrafava, che, in seguito a ciò, che io Le aveva ultimamente significato, supponeva che la conferenza non si sarebbe riunita l'indomani, e che si sarebbe atteso ad una riunione sino all'arrivo del rappresentante della Francia. In ogni caso Ella mi incaricava di far conoscere a Lord Granville, che il Governo credeva necessario che si aspettasse l'arrivo di Giulio Favre, o di un altro rappresentante del Governo Francese, ovvero di far constatare in qualche maniera che la di lui assenza non poteva essere apposta a negligenza, od a cattiva volontà delle Potenze neutrali. Ella soggiungeva, che vi sarebbero stati degli inconvenienti serii ove fosse sembrato che non si fosse tenuto conto degli interessi Francesi in negoziazioni, che tendevano a modificare stipulazioni segnate a Parigi, e

nene quali la Francia aveva avuto una parte così importante. Egli era in vista

di questo avvenire, che Ella faceva queste osservazioni, ed in un interesse che

Le !pareva fosse comune all'Inghilterra ed a ..... (l'ultima parola fu indecifrabile

per isbaglio nella trasmissione della cifra).

Io Le aveva telegrafato il 17 Gennaio (l) subito dopo la prima riunione

della conferenza, che per riguardo alla Francia si era convenuto di rimandare

la seconda riunione sino al 24 corrente, e che erasi inteso che si potesse differire

la detta riunione di due altri giorni oltre il 24, se a quest'epoca si avesse avuto

la certezza dell'arrivo del Signor Giulio Favre. Suppongo perciò che Ella il 23

corrente avesse notizia, che il Signor Favre fosse partito, o stesse per partire

per Londra. Qui però eransi avute notizie contrarie, perchè un telegramma da

Versailles giunto qui la notte dal 23 al 24 recava, che una lettera dello stesso

Signor Favre giunta colà annunziava che egli non avrebbe lasciato Parigi, e già

prima si era fatto sapere qui da Bordeaux che niun altro, fuori di Giulio Favre,

avrebbe potuto recarsi alla conferenza di Londra.

Non era possibile che io potessi eseguire il di Lei ordine prima del tocco del ·giorno 24 (ora della riunione della conferenza) in vista di che Lord Granville (al quale soltanto doveva fare quella comunicazione) era naturalmente in quelle poche ore occupatissimo. Di fatto lo tentai, ma non ho potuto riuscirvi. Oltrecciò ciò sarebbe riuscito inutile, per l'impossibilità di determinarlo poche ore prima della riunione a sospenderla contro le deliberazioni della conferenza medesima. Al postutto (siccome Le significai collo stesso mio telegramma della sera del 23) Lord Granville nella stessa giornata del 23 parlando al Conte Appony, a Musurus, ed a me aveva detto che il Signor Favre nella lettera direttagli, e pubblicata pel primo dal Times del 17 aveva dichiarato, che egli sarebbe intervenuto alla conferenza, (ove avesse avuto il salvacondotto) soltanto nel caso, che le circostanze di Parigi glielo avessero permesso. Lord Granville aveva fatto osservare che questo dubbio sulla venuta di Giulio Favre, (il quale si rinforzava dal fatto, che certo le circostanze di Parigi non erano migliorate) era una deter

minazione propria dello stesso Signor Favre, e che non poteva imputarsi all'altro belligerante, nel qual caso avrebbe potuto formare oggetto di speciale considerazione; e che conseguentemente gli pareva, che non poteva sospendersi indifinitamente la conferenza, od ulteriormente. Tutti gli altri Plenipotenziarii mi avevano già tenuto lo stesso linguaggio, essendomi io sempre mantenuto su questo punto in un'assoluta riserva. Però tutti erano disposti ad usare alla Francia i maggiori possibili riguardi, lasciando aperti a Lei i protocolli, comunicando al Signor Tissot le deliberazioni di ciascuna riunione. Il Signor Conte Granville, mi aveva inoltre manifestato la sua disposizione favorevole al sistema di non firmare, pel momento, che i protocolli delle deliberazioni delle riunioni della

conferenza, riservando ad un tempo posteriore la firma della convenzione, se fosse stato possibile di ottenere l'adesione di tutti i plenipotenziarii a questo sistema. Io terminava il telegramma dicendole che l'indomani avrei ciò nonpertanto comunicato prima della riunione della conferenza il di Lei telegramma a Lord Granville, il che, come Le dissi sopra, non mi fu possibile di fare.

Per compiere su questo speciale soggetto il mio rapporto, Le farò cenno anche di qualche parte del mio telegramma del 26 corrente (1), che vi si riferisce, sebbene io non intenda di portare questo rapporto stesso, che sino al giorno 24 in cui ebbe luogo la seconda riunione della conferenza.

A conferma pertanto del predetto mio telegramma Le significo, che dopo la riunione del 24, comunicai al Signor Conte Granville il di Lei telegramma sopra indicato, che io aveva ricevuto la sera del 23, e che per maggiore esattezza gliene diedi lettura. Non posso celarle, che la mozione di sospendere la conferenza fece su Lord Granville una impressione, che trapelava chiaramente dalle sue parole. Voi, disse, domandate dunque veramente, che si sospenda la conferenza! Io gli rilessi allora il telegramma, facendogli notare che l'ordine da me ricevuto lo doveva eseguire presso di lui, e non nella conferenza; che il di Lei telegramma conteneva una alternativa di due cose l'una all'altra subordinata; e che in fine vi si esprimevano i motivi fondati in un interesse comune. Egli allora mi replicò, che tutte le potenze, meno l'Italia, gli avevano dichiarato l'intenzione che il Congresso dovesse continuare; ,poichè, sebbene io gli avessi una volta espressa una mia opinione affatto personale in punto di diritto, io aveva però, a ,questo riguardo, ufficialmente mantenuto una assoluta riserva. Egli soggiunse, che, poco prima avendo avuto una visita del Signor Tissot, questi gli aveva ·comunicato un opuscolo, (une brochure) ·che conlteneva una specie di protesta del Governo della difesa ai neutri perchè si tenesse la conférence senza la Francia, e che egli gli aveva risposto, che quel Governo aveva accettato la conferenza; che trattavasi di un oggetto di generale interesse, ed urgente; che il Governo della difesa dopo di avere accettato aveva fatto sapere, che solo il Signor Giulio Favre avrebbe potuto intervenirvi; che questi però giudicava di esserne impedito dalle circostanze di Parigi. Per queste considerazioni, e per parecchie altre, che già ebbi a farle note con precedenti mie comunicazioni, il Conte Granville aveva conchiuso, che non poteva riconoscere fondato quel riclamo, massime, che la conferenza aveva fatto tutto il possibile, ed egli in particolare, per facilitare l'intervento della Francia, e tutti avevano consentito a dilazioni successive delle riunioni, e ad altre cautele dirette a tenere la Francia a giorno di ciò che la conferenza faceva, ed in facoltà di deliberare essa medesima di poi sugli oggetti della conferenza stessa.

Al momento che io le spediva quel telegramma essendosi il Signor Favre recato a Versailles si credette qui per poco, che egli si sarebbe recato a Londra per la terza adunanza fissata pel 31 corrente. Perciò io le chiedeva istruzioni specialmente sulle mozioni che potevano prevedersi, cioè pel caso che si facessero mozioni o prima, o dopo il compimento dei protocolli degli Affari d'Oriente, e pel caso di domanda o di una intervenzione armata, o di una intromessione che, eventualmente, potesse portare questa conseguenza; o di una offerta di mediazione da farsi, ma senza impegni, ovvero pel caso che si proponesse di esprimere un semplice voto per la pace. Le soggiungeva che sarei pure stato in attesa della lettera, che nella di Lei lettera particolare del 30 Dicembre p. p. (2) Ella si era riservata di scrivermi su questo soggetto.

Nella previsione che Le possa interessare, che io Le faccia un rapporto ufficiale a riguardo dei telegrammi, ·che ho ricevuti, e che Le ho spediti su questo soggetto, e di cui Le parlo in questo confidenziale rapporto, io farò tosto un tale rapporto ufficiale separato, se Ella vorrà esprimermene il desiderio.

Mi astengo per ora dal fare apprezzamenti sul contegno dei vari Plenipotenziarii, e sulle mie impressioni a riguardo delle loro opinioni sulla questione d'Oriente, come pure sui presumibili rapporti tra la Russia, e la Prussia, essendo più conveniente il rimandare ciò ad un separato rappor:to confidenziale successivo alla conferenza. Per altra parte il tempo mi mancherebbe a ciò, e debbo anzi pregarla di tenermi per iscusato della fretta con cui Le scrivo, e delle conseguenze di ciò. Impossibilitato dai frequenti ritrovi, dai verbali, che debbo fare, per sicurezza, ed esattezza di tutte le mie conversazioni, dalla corrispondenza telegrafica, e dalle frequenti visite che ricevo dai Ministri che non partecipano alla Conferenza, ho dovuto fare questo lungo rapporto con precipitazione, e nelle ore avanzate della notte.

Spero che esso possa darle una idea sufficiente, ed abbastanza particolareggiata delle trattative che sono in corso, del loro avviamento, e della parte che vi prende l'Italia.

(l) -Cfr. n. 51. (2) -Cfr. n. 53. (3) -Non pubblicata.

(l) Cfr. n. 53.

(l) Cfr. n. 69.

(l) Cfr. n. 66.

(l) Non pubblicato.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 66.

(l) Cfr. n. 53.

(l) -Cfr. n. 84. (2) -Non pubblicata.
99

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3471. Londra, 30 gennaio 1871, ore 20,17 (per. ore 21,30 del 31).

La Turquie persiste à refuser la rédaction de Brunow acceptée par la Russie, que je vous ai envoyé, à l'égard des détroits. La Russie parait tout accepter pendant qu'elle parait plus puissante à Constantinople que toutes les autres puissances. Hors de la formule de Brunow il y a deux autres systèmes: le premier consiste dans le principe de la clòture absolue à toutes les puissances en temps de paix lequel serait obligatoire aussi pour la Turquie, et c'est l'état actuel des choses; le second, qui constitue la demande de la Turquie, consiste à établir la faculté à la Turquie d'ouvrir et de fermer librement en temps de paix les détroits quand et à qui elle veut. Granville m'a chargé de vous demander lequel de ces deux systèmes vous préférez dans le cas de refus absolu de la Turquie d'accepter la formule de Brunow. Mon opinion serait qu'à l'état des choses le second serait désastreux et un triomphe complet des vues russes sur le Orient, car la Turquie voyant se retirer les secours matériels de l'Europe, se jette évidemment dans les bras de la Russie, à laquelle seulement profitera la liberté absolue de la Turquie, d'ouvrir et de fermer les détroits, à cela contribuerait la rivalité du Danube de la Russie et de l'Autriche. Ce système serait aussi désastreux car il mettrait au pouvoir de la Turquie, influencée par la Russie, de lancer à son plaisir dans la Méditerranée les flottes russes et de rendre facile leur réunion aux flottes russes de la Baltique. Dans la prévision d'une guerre ce fait porterait une révolution profonde dans l'équilibre maritime

et influerait au seui bénéfice de la Russie sur les alliances et la politique des nations dans les grandes questions qui ont entre elles des liens étroits qu'il est facile de voir, ,c'est-à-dire la question d'Orient, la..... (l) franco-prussienne pour l'avenir. J'ai développé cela dans un long rapport (2) écrit que je vous ai envoyé hier au soir. Granville ne m'a pas exprimé sa préférence; je sais pourtant qu'il apprécie 'sensLblement les considérations que je vous soumets. Il y aurait un troisième système indiqué dans vos instructions, mais que Granville n'a pas méme touché, c'est-à-dire, la complète liberté des détroits indépendamment de tout arbitre de la Turquie, mais elle le refuserait autant que le premier comme contraire à sa souveraineté et à ses vues. C'est elle qui voudrait maintenant, poussée par la Russie, dominer l'Europe par la disposition absolue des détroits. En outre ce système profiterait pourtant en fait, presque exclusivement à la Russie. L'accord entre les plénipotentiaires n'est encore établi sur aucune question, et aussi il est probable qu'il n'y a pas de réunion demain. Veuillez me répondre immédiatement.

100

IL MINISTRO A BORDEAUX, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1386. Bordeaux, 30 gennaio 1871 (per. il 5 febbraio).

Il nudo telegramma ch'ebbi jeri l'onore di trasmettere alla E. V. (3) annunziò alla Francia la resa di Parigi, il trattato conchiuso fra il Signor Giulio Favre e il Conte di Bismarck, l'armistizio e la riunione di un'Assemblea a Bordeaux pel 15 febbrajo. Un apposito bollettino ufficiale fu stampato e distribuito nella giornata di jeri. Mando qui unito all'E. V. questo foglio che rimarrà uno dei più gravi documenti della storia.

Le condizioni di pace non sono ancora conosciute. Ma quali che esse siano, è evidente che la caduta di Parigi segnerà, come si prevedeva, il termine della guerra. Vi potranno essere moti parziali in alcune città del mezzodì. Vi potranno essere nell'Assemblea che si riunirà a Bordeaux, come vi sono in seno allo stesso Governo, tendenze di ulteriore resistenza; ma questi moti parziali e queste tendenze non prevarranno definitivamente contro la necessità ineluttabile delle cose e contro il fatto della resa di Parigi. In mezzo alle eccitazioni del momento, in mezzo alle rovine ed alle stragi che ci stanno sotto gli occhi, non si può e non si potrà per qualche tempo formare un giudizio equo e pacato sulla guerra presente e sui risultati suoi. Non è quindi mia intenzione di portare ora un giudizio su questo grave fatto. Ma alcuni punti emergono fin d'ora e si possono fin d'ora segnalare.

La guerra fu cominciata dalla Francia ingiustamente e contro i principi della propria politica. Parlando della Francia, inchiudo non solo l'Imperatore

Napoleone e il Governo francese, ma il paese, giacchè il Corpo legislativo,

eccetto alcuni membri della sinistra, il Senato, la stampa, le pubbliche riunioni

furono unanimi o quasi unanimi nel volere e nell'approvare la guerra. Il Mini

stero Ollivier, nominato per introdurre nel Governo le guarentigie costituzionali

e per consolidare la pace, fece il plebiscito e la guerra, precisamente l'opposto

del suo programma. D'altra parte, se è incontestabile che la Francia provocò la

guerra, non si può negare che la Prussia non si 1prestò nè si adoperò per evitarla.

Non vi fu nè nell'una, nè nell'altra parte alcuna disposizione pacifica. La Fran

cia fece !tutto per avere la guerra. La Prussia non fece nulla per iscansarla.

Quanto al corso della guerra, questa fu dalla Francia cominciata con incredfbile

impreveggenza, condotta con singolare imperizia, continuata con disperata e spes

so eroica ·follia. Dal lato della Prussia per contro, tutto ·era stato previsto, lunga

mente studiato, saviamente e freddamente calcolato. La campagna presente è

sotto ogni aspetto una delle più memorabili che la storia ci presenti. Essa fa il

più grande onore alla direzione delle armi tedesche e dà ad un tempo testi

monianza delle grandi qualità della nazione tedesca, intelligenza, lavoro, energia,

indomabile perseveranza. È a deplorarsi che la soverchia rigidezza siasi talora

trasmodata in crudeltà, e che il valore e le altre qualità degli eserciti tedeschi

non sieno stati sempre accompagnati dal sentimento di umanità. Se l'esperienza

giovasse, molto più che non fa, ai consigli dei Governi e dei popoli, fecondi

insegnamenti potrebbero trarsi dalla guerra presente.

La prima considerazione che si affaccia al pensiero si è che l'Impero Napoleonico, fiorente e potente finchè si attenne ai principi che formavano la base della sua propria esistenza politica, s'indebolì e precipitò in rovina appunto per avere falsato e combattuto quei principi, giacchè non è dubbio che lo scopo principale della guerra nella mente del Governo francese era d'impedire lo sviluppo, l'affermazione e il consolidamento dell'unità politica della Germania. Il Governo della Difesa nazionale, dal lato suo, ebbe il torto di non comprendere subito e di non far comprendere alla Francia che dopo Sedan la continuazione della guerra non poteva avere un esito favorevole. Esso doveva in quel momento far la pace, comunque le condizioni di essa potessero sembrare dure. Ma tali previsioni sono nel dominio di pochi prudenti ed assennati, non del maggior numero in cui il sentimento suol prevalere alla ragione. Vi sono risultati che un popolo non accetta se non quando un'esperienza dolorosa ed evidente ne mostrò l'ineluttabile necessità.

Tal:e era la questione di pace o di continuazione della guerra dopo Sedan. Del resto anche gli spiriti più assennati e più temperati possono farsi la domanda se la resistenza opposta dalla Francia alla invasione germanica dopo Sedan non costituisca un fatto morale di un gran valore, e tale almeno da compensare moralmente e in un interesse d'avvenire l'aggravamento di condizioni che tale resistenza avrà imposto al paese. Egli è certo che la Francia in quell'occasione dimostrò una grande energia e fece prova di molta perseveranza. La resistenza di Parigi che per circa quattro mesi e mezzo sopportò un durissimo assedio, la fame, la sequestrazione, il reggime militare, le uscite sanguinose e finalmente il bombardamento, è tale un fatto da onorare qualunque grande nazione. Lascio in disparte gli insegnamenti che da questa guerra possono ricavarsi intorno agli ordini militari propriamenti detti, alla tattica ed alla strategia. Essi sono grandi e molti, ma non tocca a me d'esaminarli. Bensì mi è forza notare un fatto di altra natura, ed è la quasi assoluta impotenza in cui gli Stati neutri d'Europa si trovarono, malgrado il loro vivo desiderio e malgrado il loro evidente interesse, d'intervenire come mediatori pacifici fra le due parti belligeranti. Una delle ragioni che impedirono una mediazione dei neutri fu l'accanimento tutto speciale di questa guerra e la divergenza profonda, immensa che v'era tra i due programmi dei combattenti. Era chiaro dall'un lato che una mediazione proposta sulla base dello statu quo territoriale non sarebbe stata non solo esaminata, ma nemmeno ascoltata dall'Alemagna, inorgoglita da vittorie altrettanto insperate quanto grandi e meravigliose. Dall'altro canto, quale Stato d'Europa avrebbe voluto farsi l'autore d'una proposta di mediazione che avesse a base lo smembramento d'una parte, per piccola che fosse, del territorio francese? Certamente non l'Italia. Una mediazione armata delle Potenze neutre avrebbe solo potuto arrestare le vittoriose falangi tedesche.

I risultati della guerra attuale, per quanto concerne l'Europa, non possono ancora definirsi al presente. Ma essi saranno senza dubbio considerevoli. Non divido il pregiudizio volgare che la Francia sia decaduta in guisa da non potersi rilevare fra qualche anno, nè che la Germania unificata debba portare la servitù e la barbarie m Europa. Ma un grande spostamento di forze e d'influenze è evidente, e gli Stati d'Europa faranno bene di preoccuparsene e di provvedere in tempo agli interessi comuni.

(l) -Gruppo indecifrato. (2) -Cfr. n. 98. (3) -Non pubblicato.
101

IL CONSOLE GENERALE A TRIESTE, BRUNO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 74. Trieste, 30 gennaio 1871 (per. l' 1 febbraio).

Dietro l'iniziativa della Società del Progresso ieri ebbe qui luogo nel vasto Teatro Mauroner un'adunanza popolare (Meeting) alla quale intervennero oltre quattro mila persone, per fare una dimostrazione di simpatia agli eroici sforzi che fa la Francia a difesa della sua indipendenza ed integrità territoriale.

Dopo tre eloquenti discorsi pronunziati dal Dottore Hortis dal Consigliere Municipale Signor Hermet e dal Professore Oddo, l'adunanza popolare adottò la seguente risoluzione:

« La Società del Progresso di Trieste in adunanza popolare, abborrendo la guerra di conquista, riconosce nell'eroica resistenza del glorioso popolo di Francia, l'amore di patria, di libertà, d'indipendenza, ne ammira il magnanimo esempio dato alle genti, esprime il voto che un onorevole ed equo componimento ponga fine all'esecrato conflitto ed afferma la necessità della pace perchè trionfino ovunque i diritti delle nazioni e dei popoli ».

102

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

T. 1556. Firenze, 31 gennaio 1871, ore 16,45.

Je crois avec vous que l'état actuel des choses est préférable pour les puissances occidentales à une disposition qui nous exposerait dans l'avenir à voir la flotte russe de la Mer Noire venir dans la Méditerranée et s'y réunir à celle de la Baltique. Je suis donc d'avis que l'Angleterre doit insister à Constantinople pour qu'elle accepte la formule proposée par l'Autriche et qui consiste à laisser à la Turquie la facul,té d'ouvrir la Mer Noire aux puissances non riveraines. Si comme vous le dites, la Turquie s'est jetée dans les bras de la Russie, elle n'a plus aucun droit de réclamer des garanties spéciales de notre part. Nous pouvons donc la laisser en tete à tete avec la Russie dans la Mer Noire, en laissant les détroits fermés à tout le monde. Veuillez parler dans ce sens à lord Granville et télégraphiez moi ses décisions. Mandez-moi immédiatement par télégraphe ce que le Cabinet anglais aura appris d'Odo Russel sur les négociations de l'armistice et de la paix.

103

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI

T. 1557. Firenze, 31 gennaio 1871, ore 17,30.

Ministre du Roi à Londres mande (l) que la Turquie refuse d'adhérer à une formule proposée par le plénipotentiaire russe à la conférence relativement aux détroits et insiste pour que les puissanees occidentales acceptent une disposition qui tout en étant pour la Porte moins favorable que la rédaction russe laisserait les puissances occidentales exposées à l'éventualité de voir la flotte russe sortir de la Mer Noire et venir dans la Méditerranée, où elle pourrait se réunir à la flotte russe de la Baltique. On craint à Londres un double jeu de la Russie qui tout en se montrant accomodante à Londres ferait soutenir par la Turquie la formule dont je vous ai parlé. Je vous signale cette supposition et je vous prie de vérifier si elle a quelque vraisemblance. Le grand vizir a fait

démentir ici les bruits qui ont couru d'accords secrets avec Ignatieff et nous avons pris acte avec plaisir de ce démenti. Mais, sans y faire directement aucune allusion, vous pourrez laisser comprendre qu'une rédaction qui ait pour

but de laisser à la Porte la faculté d'ouvrir aux puissances non riveraines de la Mer Noire, l'accès de cette mer nous parait répondre mieux que tout autre aux intérets de la Turquie et des pui<;sances occidentales.

(l) Cfr. n. 99.

104

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 128. Lisbona, ... gennaio 1871 (per. il 31).

Ho l'onore di segnar la ricevuta del dispaccio Circolare degli 8 Corrente

Mese (l) al quale andava unita copia d'un Rapporto del Luogotenente Gene

rale del Re a Roma a S. E. il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Conformandomi alle istruzioni di V. E. mi sono fatto premura di dare

comunicazione verbale di tale documento a questo Ministro degli Affari Esteri.

S. E. rimarcò da prima come le passioni politiche eccitate per i recenti avvenimenti impediscano peranco di apprezzare con la debita calma ed imparzialità quanto avviene a Roma ma non dubitare punto che col tempo tutto renderebbesi più facile. Nel medesimo tempo soggiunse che non poteva fare a meno di osservarmi che al Vaticano si era in alcune cose più ragionevole di quanto sarebbesi creduto. In prova di ciò il Marchese d'Avila riferì come il Conte Thomar avessegli già da qualche tempo chiesto delle istruzioni precise sul contegno che dovrebbe serbare allorquando il re Vittorio Emanuele si richerebbe in Roma. In risposta egli, Marchese d'Avila, istruì quell'inviato Portoghese che verificandosi tale eventualità, dovrebbe chiedere una udienza a S. M. e recarsi ad ossequiarla con tutto il personale della Legazione. Il Conte Thomar mostrò tali istruzioni al Cardinale Antonelli, quali S. E. trovò ben naturali nè i rapporti del Ministro di S. M. Fedelissima col Cardinale ebbero perciò a soffrire la menoma alterazione.

Il Marchese d'Avila ripetendo ciò che aveva già altre volte detto, si mostrò soddisfattissimo della scelta fatta per rappresentare il Governo Portoghese in Roma aggiungendo essere egli persuaso che il Conte Thomar potrà essere in grado di rendere dei servigi al Governo Italiano più di qualunque altro personaggio politico o diplomatico Portoghese che si trovasse per avventura a quel posto.

Fregiandomi segnarle ancora ricevuta dei documenti diplomatici NN. 623, 625, e 629, mi valgo...

P. S. -Qui unita una lettera per Sir Augustus Paget con preghiera di farla pervenire al suo indirizzo.

(l) Non pubblicato.

105

L'AGENTE E CONSOLE GENERAILE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 200. Tunisi, 31 gennaio 1871 (per. il 5 febbraio).

Il Generale Sidi Mustafa Khasnadar cui avevo fatto chiedere mercoldi scorso 25 cadente mese una particolare udienza, me l'accordò per l'indomani mattina nella sua casa alla Manuba.

Dopo i complimenti di cui i mori non sono avari, e di avermi egli ripetutamente esternato il piacere di questo nostro incontro entrai senz'altro sull'argomento. Non è quì il caso di riferire a V. E. a lungo e per disteso la nostra conversazione che durò più d'un'ora e mezzo, dirò solamente che messi prima in evidenza i vantaggi che ritrarrebbe la Tunisia dall'amicizia dell'Italia, e come fosse mal fondata la diffidenza che si nutriva a nostro riguardo; enumerati poscia uno ad uno i motivi che avevamo di lagnanza per continui dinieghi di giustizia a cittadini italiani, non meno che per ripetute infrazioni ai trattati; visto pure il disordine nell'amministrazione tunisina, la venaliltà e le angherie delle autorità subalterne, ci trovavamo nella necessità di chiedere dal Bey delle nuove guarentigie che valgano ad assicurare la vita e le sostanze degl'italiani degenti nella Reggenza.

A questo punto il Ministro sorpreso e visibilmente turbato, perchè si lusingava malgrado il mio esordio fossi andato ad annunziargli la ripresa delle nostre relazioni, come n'era stato assicurato, mi dimandò quali fossero le garanzie che si volevano dal Bey, ed io mi sono studiato allora di fargliene comprendere il senso. È grave, mi rispose, quanto chiedete; trattasi nientemeno che di attentare ai diritti del mio Sovrano. Come vedete, non posso oggi darvi una risposta, e dimani essendo Venerdì mi permetterete che mi riservi a Sabbato di farvi conoscere la mente del Bey.

Con tutto che però l'indomani fosse Venerdì, il Conte Raffo ed il Generale

Elias, d'ordine del Bey sono stati in corsa per informare del fatto i Consoli,

specialmente l'inglese che in questo momento n'è il consigliere, e sentire il

loro avviso.

Il Sa;bato, dopo che per altro erano stati da S. A., i Signori Wood e Des

Essards, venne da me il Generale Elias ricercandomi in nome del Bey che

volessi concretare per iscritto la dimanda fatta al suo primo Ministro; e quan

tunque avessi luogo a credere fondatamente che nel consiglio tenutosi la mattina

al Bardo si fossero pronunciati per la negativa, tuttavia mi feci subito ad abboz

zare il progetto di nota da scambiarsi, che ho l'onore di compiegarle, e rimet

terlo allo stesso Generale Elias con raccomandazione di darmi per il Lunedi

seguente in egual modo la risposta, e con diffidamento che in caso contrario

avrei prese tutte le misure richieste dalla circostanza.

Ora siamo al martedì mattina, e non avendo avuto alcun messaggio deggio

ritenere il silenzio del Bardo come un fin de non recévoir.

8 -Documenti di;:>!omatici -Serie II -Vol. II

Non potendo quindi restare a metà strada, e siccome d'altronde in questo frattempo sono avvenuti dei fatti gravissimi, cioè violazione di domicilio italiano in Tunisi con minaccie ed asportazione forzata di oggetti, sequestro indebito di barca peschereccia alla Goletta con maltrattamento ai marinari, tentativo di arresto, offese ed ingiurie alla Guardia della R. Agenzia Consolare in Mehdia (annessi l, 2. 3) (1), nell'intento pur'anco di prevenire più tristi incidenti, e di provvedere alla sicurezza dei tanti cittadini italiani sparsi nella Reggenza, mi propongo di affidarne bell'e dimani la protezione al Consolato di Austria, e consacrare per tal modo la piena rottura delle relazioni ufficiali col Bey di Tunisi.

Il Signor Herzfeld, cui ne parlai poc'anzi, mi disse che ne avrebbe volentieri accettato l'incarico, persuaso com'era, così facendo di fare cosa grata al suo Governo.

Di tal fatta avendo soddisfatto al mio dispiacevole compito, non mi rimane più che ad aspettare le riverite di Lei istruzioni, e nel frattempo ad informarla con tutta esattezza e diligenza dello stato delle cose per ogni via possibile, essendo da una settimana a questa parte rotto il filo telegrafico tra Tunisi e l'Algeria.

Mi permetterò nondimanco di rilevare in oggi la necessità di spedire prontamente un qualche legno di guerra come dimostrazione alla Goletta, e forse anco a Susa per tenere in ogni caso in rispetto le inquiete popolazioni del Sahel.

106

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3478. Costantinopoli, l febbraio 1871, ore 18,30 (per. ore 20,30).

Grand Vizir m'a dit lui etre impossible admettre exception pour les puissances riveraines, car serait pour la Sublime Porte une limitation de ses droits de souveraineté, et il m'a déclaré franchement que le Sultan ne veut pas s'interdir faculté de s'allier avec la Russie dans le cas où la sécurité de ses domaines I'exige; il peut consenter seulement à ce qu'on dise puissances amies ou alliées au lieu de non riveraines. Il a envoyé instructions dans ce sens à Mussurus. Je ne crois pas qu'il y ait aucune entente à ce sujet entre la Turquie et la Russie. L'ambassadeur d'Angleterre m'a assuré que la formule turque a été rédigée d'accord entre lui et le grand vizir à I'insu du général Ignatieff. Il s'étonne qu'à Londres on ne la trouve pas suffisante, car la restriction qu'on a mise à la faculté d'ouverture pour le cas seulement de menace à la sécurité de l'Empire, équivaut presque à I'ancienne qui I'admettait seulement en cas de guerre.

(l) Non pubblicati.

107

IL CONSOLE GENERALE A CHAMBÉRY, BASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 37. Chambéry, l febbraio 1871 (per. il 3).

La notizia dell'armistizio, che giunse inaspettata, e mentre queste popolazioni erano addolorate per le recenti perdite di cui furono vittima i mobili della Savoja fu in generale accolta con viva soddisfazione. Il partito dei puri e degli ammiratori ad ogni costo della dittatura di Bordeaux rimase come colpito di stupore, e recò meraviglia che il Patriota di lunedì sera, organo di lui, fosse tanto moderato.

Intanto si tengono riunioni pubbliche per stabilire nej due campi le liste dei candidati per la Costituente, e con posteriori rapporti farò conoscere a V. E .. ciò che sarà stabilito. Il voto delli 8 corrente sarà certamente l'espressione dell'opinione generale sulla pace, o sulla continuazione della lotta.

La Savoia è stanca non solo della guerra, ma della sua unione alla Francia. Subisce con calma, e rassegnazione le necessità fatali della sua posizione, ma le idee di separazione si vanno generalizzando. Più di quarantamila uomini sotto le armi, ed enormi sacrifici di denaro debbono senza dubbio essere gravosi, quando non vi possono essere convinzioni di patriottismo, e da così poco tempo si appartiene ad un paese per cui non si hanno molte simpatie.

Da molti amici mi si fanno istanze perchè il <rl>verno del Re dia una parola di conforto e fiducia alle aspirazioni di ritorno all'Italia vagheggiato dal commercio, dalla campagna, e forse anche dall'aristocrazia, e dal Clero malgrado tutte le scomuniche. Ma non credo di male appormi quando con tutta franchezza rispondo sembrarmi impossibile, che tale parola si possa ottener,e non potendo l'Italia profittare dell'orribile posizione in cui si trova la Francia per toglierle lacerando un solenne trattato, il prezzo del soccorso datole per acquistare la sua unità, e la sua indipendenza, e per altri motivi di comune interesse. Sarò grato tuttavia all'E. V. se volesse degnarsi di darmi per mia norma un cenno a questo riguardo.

Quanto a me che ammiro la docilità e la costanza con cui queste popolazioni ubbidiscono e fanno il loro dovere vedrei con soddisfazione che tutta la Savoia venisse lasciata neutrale ed indipendente ed unita alla Svizzera, il che sarebbe un vero vantaggio pel nostro Paese.

Arrivano ogni giorno in massa malati e feriti, vittime di una dittatura che con una parola che rimarrà, il Lanfrey in un articolo della Gazzetta del popolo qualificò di dittatura dell'incapacità. La vista di questi infelici storpi, ammalati, malconci e ridotti in uno stato il più deplorabile, e di miseria non è certamente capace di rianimare idee di continuazione di una lotta, che è divenuta impossibile. Forse non si potranno evitare gli orrori d'una guerra civile, ma non sarà di lunga durata.

Ciò che mi preoccupa è il ritorno dei Garibaldini, delle cui i:atenzioni già informai con precedente rapporto di questa serie V. E.; ma posso assicurarla che ho già dato tutte le mie disposizioni, e preparato tutte le mie fila per essere tenuto esattamente al corrente di ogni mossa, di ogni intenzione loro. Veglierò attentamente e renderò contro all'E. V. di ogni cosa. Intanto mi pare non sarebbe inopportuno, che sotto idea di cambio di guarnigione qualche battaglione di bersaglieri venisse spedito alla frontiera e nelle Valli di Susa, dove sarebbero accantonati ed alloggiati nelle <:ase di campagna IJ€r sorvegliare chi passa senza carte regolari. La stagione e le nevi ci favoriscono non essendo possibile passare le montagne che in una sola direzione. Intanto procurerò pure di ottenere, senza avere l'apparenza di farne diretta domanda, che le autorità locali non lascino partire i volontari senza deporre le armi, che loro furono date in Francia.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

T. 1565. Firenze, 2 febbraio 1871, ore 18.

Le droit de souveraineté pleine et entière réclamé par la Turquie me paraìt peu conforme aux principes de droit international pour les grandes voies de communication fluviales et maritimes. Le système actuel de la fermeture absolue des détroits me paraìt bien préférable, car il garantit au moins les puissances occidentales coll'tre le danger de voir la flotte de guerre russe venir dans la Méditerranée et s'y réunir à celle de la Baltique. La Turquie ne peut pas à la fois réclamer des garanties des puissances occidentales contre la Russie et se réserver de s'allier à la Russie contre elles. Je suis donc d'avis que vous vous mettiez d'accord avec lord Granville et Appony pour insister demain dans la conférence. Cependant si vous voyez que l'Angleterre et l'Autriche soient prètes à céder aux exigences de la Turquie, je vous autorise à proposer préférablement d'accord avec Granville la rédaction suivante en insistant pour qu'elle soit prise ad referendum dans la conférence de demain. « Maintien de l'ancien principe de la fermeture des détroits avec faculté à la Porte de les ouvrir en temps

de paix aux flottes des puissances amies et allieés dans le cas où l'exigerait l'exécution des stipulations du traité signé à Uaris le 30 mars 1856 ».

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI

D. 78. Firenze, 2 febbraio 1871.

Le confermo il mio telegramma del 31 Gennaio (l) col quale l'ho informata che il plenipotenziario Ottomano a Londra ricusa di aderire ad una formola proposta dal Barone Brunow relativamente alla chiusura degli Stretti del Bosforo e dei Dardanelli. Dalle informazioni trasmessemi dal R. rappresentante a

Londra, risulterebbe che Mussurus Pacha insiste per ordine della Porta perchè le Potenze abbiano ad accettare un'altra formola che lascierebbe in completa balia della Turchia la facoltà di aprire e chiudere gli stretti a tutte le bandiere da guerra senza alcuna eccezione.

Questa condotta della Sublime Porta potendo probabilmente aprire l'adito a supposizioni meno esatte sulle sue vere disposizioni verso gli antichi suoi alleati, Photiades Bey ebbe incarico dal suo Governo di smentire le voci di segrete intelligenze corse fra la Turchia e la Russia. Siccome noi non avevamo provocato queste spiegazioni, così ne abbiamo riconosciuto di buon grado la spontaneità apprezzandone il valore. Ma noi non potevamo nascondere la sorpresa che provavamo nel vedere la Russia acconsentire ad una formola che esclude in modo assoluto dagli stretti la sua bandiera di guerra in tempo di pace, mentre la Turchia fa prova di un'insolita persistenza nel voler conservarsi la facoltà di chiamare a sua posta anche la flotta russa del Mar Nero nel Bosforo e nei Dardanelli. Da ciò noi eravamo indotti a considerare se, collo scegliere la via nella quale sembra di voler persistere, la Turchia non abbia voluto indicare che separando i suoi interessi da quelli delle potenze occidentali, spera di trovare un compenso alla cessazione della neutralizzazione del Mar Nero in una più completa indipendenza delle sue future alleanze.

Non sarà mai che l'Italia voglia contestare alla Turchia il pieno esercizio di tutti i diritti che competono ad un grande Stato indipendente; ma, mettendoci al punto di vista degli interessi stessi della Turchia, noi non potevamo astenerci dal farle riflettere che il diritto che essa invoca in nome della sua sovranità, mal si concilia da un lato coi principii del diritto moderno che estende la libertà della navigazione a tutte le grandi vie marittime e fluviali di comunicazione internazionale, dall'altro colle garanzie che la Porta domanda alle Potenze occidentali, per il mantenimento dell'integrità dell'Impero ottomano. A Costantinopoli non si deve ignorare che collo ammettere la chiusura degli stretti, le Potenze accettano una deroga al principio di diritto moderno sovra mentovato e conseguentemente hanno il diritto di esigere che gli effetti di una tale deroga non oltrepassino lo scopo per il quale essa è introdotta. Ora non si può mettere in dubbio, a nostro credere, che le potenze le quali, per creare una garanzia speciale in favore della Turchia, si sottomettono spontaneamente agli inconvenienti di una siffatta eccezione, non abbiano il diritto di esigere che loro siano conservati i vantaggi che in certe eventualità potrebbero ritrarne. La chiusura degli Stretti, guarentita da tutte le Potenze, copre le rive russe del Mar Nero da qualunque pericolo di un'a•ggressione esterna per parte delle Potenze occidentali; e queste non saranno desse in diritto di esigere una uguale guarentigia contro l'apparizione d'una flotta russa nell'Ionio o nello Adriatico? L'Italia non annette a queste considerazioni un'esagerata importanza. Essa è lieta anzi di non vedere per il momento in quali casi per lei potrebbero acquistare un pratico valore delle considerazioni che ora le sono suggerite unicamente dalla scrupolosa imparzialità colla quale esamina le questioni sottoposte alla Conferenza. L'amicizia sincera che noi professiamo per la Porta Ottoroana, non meno che il desiderio di conciliare le opinioni divergenti intorno ad un affare che a tutti interessa di prontamente definire, mi indussero ad esprimermi con Photiades bey nel senso di sovra riferito ed a pregarlo di voler insistere presso il suo Governo acciocchè questi consenta a ritirare le istruzioni date a Mussurus Pacha circa alla formola da proporre per la chiusura degli Stretti ed il diritto eventuale della Porta di aprirli in tempo di pace a tutte le bandiere. Ma la risposta che oggi mi ha fatto Photadies Bey, in nome di S. A. Aali Pacha, mi ha convinto che il Governo Ottomano non apprezza forse al giusto loro valore gli argomenti da noi addottigli, nè lo spirito di ·conciliazione e la benevolenza sincera che ce li ha suggeriti. Il Gran Vizir ha incaricato il rappresentante ottomano in Firenze di farci sapere che la Porta non potrebbe aderire ad una formola la quale a suo credere contiene una limitazione dei suoi diritti di sovranità; e Photiades Bey nel farmi questa comunicazione ha soggiunto che il Governo del Sultano spera che le potenze sapranno tener conto di una considerazione tanto importante.

Allorchè le giungerà questo mio dispaccio, è probabile che la conferenza di Londra abbia già avuto occasione di pronunciarsi sulla formola presentata dal plenipotenziario della Turchia. In tal caso, Ella comprende che questo mio dispaccio non può più avere altro scopo che quello di confermarle le istruzioni datele col mio telegramma del 31 Gennaio, da Lei già eseguite, e di prendere atto del rifiuto della Porta di ascoltare il nostro consiglio amichevole di non dipartirsi nelle gravi circostanze presenti, da quella linea di condotta che Le è tracciata dai propri e dai generali interessi.

(l) Cfr. n. 103.

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L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3484. Tunisi, ... (per. ore 9,45 del 2 febbraio 1871).

Bey cherche couvrir refus nos demandes de garanties indispensables exploitation agricule sous des raisons spécieuses. On est persuadé au Bardo que l'Italie ne peut rien faire sans France et Angleterre. Envoi navire de guerre de toute nécessité. Quelque nouveau fait ayant démontré urgence mettre colonie sous protection étrangère je vais m'adresser au consul d'Autriche dis.posé à accepter. Je reçois à l'instant en réponse au projet de note proposé Bardo un long écrit et comme il contient le refus le plus absolu, ne donne lieu à aucune ultérieure négociation.

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IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3489. Londra, 2 febbraio 1871, ore 19 (per. ore 19,47 del 3).

Dans la réunion de demain Granville constatera l'accord de toutes les puissances sur le maintien de la clòture des détroits et la formule Brunow que vous connaissez et dira qu'on n'a pas l'adhésion de la Turquie. On indiquera les autres objets sur lesquels on est d'accord comme confirmation du traité dans les parties non abrogées. Sur cela on renverra la suite à une autre séance. Il est d'une très grande importance de profiter de ce temps pour agir à Constantinople au but de cette déliberation qui isole la Turquie. Dans le conseil des ministres d'hier je sais qu'on a beaucoup discuté et quoique l'avis du Gouvernement puisse encore etre considéré comme douteux je puis vous confirmer mon avis d'hier que si la Turquie résiste invinciblement à la formule de Brunow, le Gouvernement ici ne serait pas disposé à l'y forcer et j'ajouterai que le consei! des minisltres dans sa délibération définitive accepterait bien probablement contre votre avis et le mien la d:ormule turque à préférence de la clòture qui existe depuis le traité de Paris. Je crois pourtant savoir que les avis sont partagés. J'ai raison de croire que Brunow ne soit pas tenu au courant de ce que son Gouvernement fait à Constantinople et il parait qu'il ne soit pas trop bien avec Gortchakoff. Tout cela est très confidentiel.

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IL MINISTRO A BRUXELLES, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 310. Bruxelles, 3 febbraio 1871 (per. il 6).

La grande manifestation catholique en faveur du rétablissement de la souveraineté temporelle du Pape, a eu lieu hier avec un concours assez considérable de sommités du parti et surtout d'habitants de la campagne précédés de leurs curés et portant sur leurs bannières la devise significative de: Vive Pie IX Pontife-Roi.

Le cortège que l'on a évalué à environ dix mille personnes, et s'était formé à la gare du Nord, s'est dirigé processionnellement vers la cathédrale de Sainte Gudule où l'attendaient les Eveques ayant à leur tete le Nonce Apostolique. La Grande Messe solennelle a été suivie d'un discours de circonstance prononcé par Monseigneur Dechamps, Archeveque de Malines, et dans le quel le fougueux prélat a répété avec une violence devenue banale à force d'etre toujours la meme, tout ce qui a déjà été dit si souvent contre l'occupation de Rome.

En résumé, si l'on ne devait en juger que par sa forme extérieure, cette démonstration qui n'avait et ne pouvait avoir aucun résultat pratique, n'a obtenu qu'un simple succès de curiosité éveillé par une plus grande animation dans les rues.

Mais l'incident le plus important, et sur le quel je m'empresse d'appeler l'attention de V. E., est l'interpellation à laquelle a donné lieu hier dans la Chambre des Représentants la manifestation catholique. M. de Fré, l'un des Députés de la gauçhe libérale, se fondant avec raison sur la réduction de tarifs accordée par le Ministre des Travaux Publics pour faciliter le transport des démonstrants sur les chemins de fer de l'Etat, s'est élevé avec beaucoup de force contre cet acte de partialité, qu'il a présenté comme violant les principes d'une stricte neutralité. Le Ministre des Travaux Publics s'est attaché dans sa réponse à prouver qu'il n'avait dans cette occasion accordé d'autre faveur que celle établie par les règlements en semblable occurrence; mais il n'en reste pas moins évident pour toute personne impartiale que, comme l'ont fait du reste observer les députés de la gauche, jamais l'Administration actuelle ne se serait prètée à cette réduction de tarif, si la démonstration eut diì avoir le moindre caractère hostile contre la Prusse ou meme contre la France vaincue.

M. d'Anethan a pris à son tour la parole pour dire que la preuve que la démonstration n'était pas dirigée contre l'Italie, c'est que je n'avais pas protesté au nom de mon Gouvernement; et que du reste en faisant des prières pour l'indépendance du Saint Père, la grande réunion catholique n'avait d'autre biìt que de réclamer ce que le Gouvernement Italien lui-meme s'efforce d'assurer à Sa Saintété. Je laisse à V. E. le soin d'apprécier la valeur de pareilles subtilités. Au reste pour que V. E. soit à meme de bien juger de l'importance et du caractère de la discussion, je crois devoir mettre ici sous ses yeux l'extrait du Moniteur (l) qui en conJHent tous les détails.

Maintenant, si V. E. veut bien me permettre de Lui soumettre ma manière de voir dans cette circonstance, je crois que sans protester comme l'a dit peut etre avec un peu d'ironie M. d'Anethan, l'on pourrait cependant lui exprimer ofjìciellement le regret que le Cabinet dont il est le Chef n'ait pas trouvé le moyen d'empecher, ou du moins de ne pas faciliter une démonstration d'une signification peu courtoise envers un Gouvernement ami, et dont la reproduction pourrait finir par lui paraitre hostile. J'avais bien déjà, il est vrai, quelques jours avant la démonstration, pris l'initiative de parler un peu dans ce sens à M. d'Anethan, qui m'avait répondu par l'impossibilité de s'opposer au droit de réunion et à la liberté illimitée d'expansion des idées religieuses; mais j'ai tout Iieu de croire que cette expression de regrets revètant un caractère officiel, préviendrait, je le répète, la reproduction de faits analogues en rappelant le Gouvernement Beige à une plus juste appréciation de sa situation et des ses intérets politiques qui, dans les circonstances délicates du moment, devraient lui faire comprendre l'importance de la conservation de ses bons rapports avec l'Italie.

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L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 43. Vienna, 3 febbraio 1871 (per. il 6).

Il signor cavaliere Cadorna e il barone di Kiibeck avran senza dubbio intrattenuto l'E. V. sul progetto di Protocollo discusso alla Conferenza di Londra nella seduta del 24 gennaio scorso, e nell'altra confidenziale, non che delle divergenze

(I) Non si pubblica.

sorte tra i plenipotenziari, e degli emendamenti proposti nella redazione di quel documento; sicchè reputo superfluo discorrerne, oltre che le mie informazioni giungerebbero tardi e forse inesatte. Ciò che a me compete pertanto si è di riferire sulla mod1fkazione proposta dalla Cancelleria austro-ungarica, ossia d'aggiungere alle parole puissances non riveraines (articolo II del Protocollo) quelle de la Mer Noi1·e, e il motivo che l'inspira, e sulle disposizioni in generale del conte di Beust circa i punti rimasti in sospeso e quelli da discutere.

L'emendamento di questo Gabinetto non è che un eccesso di chiarezza che si vuol recare nella redazione: ed un premunirsi contro qualsiasi interpretazione dubbia, visto che oltre la Russia e la Turchia non v'ha altre potenze ripuarie nel bacino del Mar Nero; e sarebbe ben probabile che se tutte le parti contraenti accettassero la redazione puissances non riveraines, non si opporrebbe difficoltà alcuna ad ammettere anche le parole de la Mer Noire.

Ma il vero punto di divergenza pel conte di Beust è la modificazione turca: aux fl,ottes des puissances amies et alUées. E al certo non è isfuggita all'E. V. la differenza essenziale di tal mutamento, la quale consiste: esclusione continua ed assoluta della Russia dagli stretti del Bosforo e dei Dardanelli nel primo caso, e nel secondo, passaggio libero per tutte le potenze amiche ed alleate della Turchia, tra le quali non fassi eccezione della Russia. È così che l'emendamento proposto da Musurus Pacha era tale da destare stupore, massime presso questo Governo, il quale non perde d'occhio l'Oriente, e, tra le tante combinazioni che le condizioni di quella regione posson produrre, non respinge la possibilità d'una alleanza franco-russa a danno della monarchia degli Absburgo. Questa congiuntura venne giorni sono enunciata alla Delegazione Cisleitana dal signor Klacko, mentre propugnava il progetto ministeriale del bilancio straordinario della guerra, e non v'ha dubbio che, visti i suoi rapporti d'amicizia col Cancelliere, non fosse da costui inspirato.

Mantenendo la prima redazione puissances non riveraines si veniva implicitamente ad inibire l'entrata delle squadre russe del Mar Nero nel Mediterraneo, del che questo Gabinetto fortemente preoccupasi; a questo proposito il barone d'Aldenburg m'ebbe a dire d'aver il conte Beust fatto sottomettere tale considerazione all'E. V., essendo che l'Italia avendo tanti interessi in quel mare, deve essere, al pari dell'Austria, gelosa dell'influenza che vi esercita.

L'ambasciatore ottomano recossi ieri a Ofen per cercare d'indurre il Cancelliere ad accettare l'emendamento di Musurus Pacha·e per fargli, ad un tempo, intendere che la Sublime Porta non avrebbe giammai acconsentito allo stabilimento d'una stazione navale delle potenze co-segnatarie nel Mar Nero, perchè contrario ai diritti sovrani del Sultano ed alla sua dignità.

Comunicherò all'E. V. l'esito del viaggio di Halil Bey tosto che ne sarò in grado.

Chiesi al barone Aldenburg se, in mezzo a tanti pareri e discrepanze non vi fosse mezzo d'intendersi, annullando tutte le proposte ed adottando una redazione soddisfacente per tutti; n'ebbi in risposta che, sebbene il Cancelliere non si fosse ancora definitivamente pronunziato su di ciò, credeva egli che avrebbe finito per proporre la riconferma della chiusura degli stretti.

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IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 92. Costantinopoli, 3 febbraio 1871 (per. il 10)

Nel ricevere il telegramma delli 31 p. p., (l) mi condussi subito dal GranVizir, a cui esposi il desiderio di V. E. Gli dissi che la formola che si vorrebbe adottare dalla Conferenza di Londra per regolare il passaggio degli Stretti avea già riscosso l'approvazione di tutti i Governi interessati, non escluso quello di Russia. Mancava solo l'adesione della Sublime Porta, ed il Governo del Re sperava che sarebbe stata data senza ulterior-e indugio.

Per telegrafo (2) mi sono affrettato a farle conoscere in succinto la risposta datami da Aali Pacha, ora, a maggiore schiarimento della cosa, le aggiungerò che S. A. si mostrò meco dolente e meravigliato in pari tempo del nuovo giro che si voleva dare o per dir meglio dell'aggiunta restrittiva che si intendeva fare alla sua proposta primitiva. Egli mi ricordò come, fin da quando fu convenuto che la dichiarazione fatta dalla Russia di non credersi più vincolata dalle stipulazioni contenute nell'articolo XIV del Trattato di Parigi del 1856 relativamente alla neutralizzazione del Mar Nero, fosse discussa ed esaminata da una Conferenza da tenersi in Londra, mi significò confidenzialmente che la Sublime Porta avrebbe reclamato in compenso l'esercizio del diritto di aprire e chiudere a sua posta gli Stretti ai navigli da guerra di qualsiasi potenza, diritto del resto, ei soggiungeva, che compete in modo assoluto ad ogni Sovrano possessore delle due rive, e di cui il Sultano non avea mai inteso di spogliarsi, abbenchè in vista di un vantaggio correlativo, avesse consentito che l'uso ne fosse modificato. In tai sensi erano concepite le prime istruzioni da lui date a Musurus Pacha. Ma poscia, in seguito ad osservazioni fatte dall'ambasciatore d'Inghilterra e nell'intento di non dar adito nel futuro a qualsiasi motivo di doglianza o di rivalità tra le varie potenze marittime, il Governo del Sultano si decideva a recedere dal reclamare l'esercizio illimitato di questo suo diritto e si riservava di usarne solo quando la sicu1·ezza della Turchia e i suoi interessi lo avrebbero richiesto. Questo risulta dalle istruzioni inviate posteriormente a Musurus Pacha, che mi sono state comunicate e di cui spedisco copia a V. E.

Aali Pacha credeva che questa sua proposta avrebbe ottenuto il suffragio di tutte le Grandi Potenze rappresentate a Londra.

Ei non :pensava che le potenz-e, non contentandosi di .questa volontaria limitazione impostasi dal Sultano, avrebbero introdotto per soprappiù una clausola restrittiva, umiliante per la Turchia ed odiosa per la Russia. -

Aali Pacha non poteva escludere il caso di una possibile alleanza della Turchia con la Russia, e per conseguenza non vedea ragione alcuna per cui la Porta doversi interdirsi, in qualunque evento, il diritto di ·fare appello alle flotte di quella potenza. E ciò dicendo ei faceva allusione a quanto accadde nel 1833

all'epoca cioè del Trattato di Uukiar Skelessi, quando la Russia prestò il suo braccio alla Turchia per difenoerla dagli attacchi del Vicerè d'Egitto.

In conchiusione ei si mostrò meco irremovibile nel suo proposito, e mi disse, come ho già significato per telegrafo all'E. V., che l'unica concessione che potea fare si era quella che alla frase puissances non riveraines fosse sostituita l'altra di puissances amies ou alliées.

ALLEGATO.

AALI PASCIÀ A MUSURUS PASCIÀ

T. 22 gennaio 1871.

La Sublime Porte désire voir donner à la question des détroits une solution dans le sens suivant:

Par une déclaration à la conférence vous manifesterez le vceu du Gouvernement lmpérial d'ètre dégagé des obligations de la convention relative aux détroits; vous ajouterez que la Sublime Porte prend l'engagement forme! de maintenir son ancienne législation sur la fermeture des détroits des Dardanelles et du Bosphore aux batiments de guerre étrangers sans aucune exception, sauf les navires légers affectés au service des ambassades et du Danube, et qu'elle se reserve, en mème temps, le droit d'ouvrir ces détroits dans le cas seui où sa sécurité et ses intéréts l'exigeront.

La conférence prendrait acte de cette déclaration, qui serait textuellement consignée dans un protocole. L'adhésion et la reconnaissance des puissances seront également stipulées dans ce protocole.

(l) -Cfr. n. 103. (2) -Cfr. n. 106.
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IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RISERVATO CONFIDENZIALE 93. Costantinopoli, 3 febbraio 1871 (per. il l0)

Facendo seguito a quanto ho l'onore di riferire a V. E. col mio rapporto di Serie Politica di N. 92 (l) di questa stessa data, debbo dirle che Sir Henry Elliot si mostra pienamente rassicurato sulle voci corse di accordi esistenti fra la Porta e la Russia. Ei confida pienamente nella lealtà del Governo Ottomano, sopra tutto di Aali Pacha e non può ammettere un solo istante che la loro politica devii dallo antico e retto sentiero.

Per provarmi che non eravi alcun accordo prestabilito tra la Russia e la Turchia sulla quistione del passaggio del B?sforo e dei Dardanelli, d mi raccontava che, avendo risaputo (dunque Aali Pacha non lo avea messo a parte dei suoi progetti) che la Porta avrebbe reclamato nella Conferenza il diritto assoluto di aprire e chiudere gli stretti a suo piacimento, corse subito dal Gran Vizir per fargli intendere quanto improvvida sarebbe una tal misura, che a suo parere equivarrebbe alla libertà assoluta. Ei gli diceva che riconosciuta che fosse al Sultano la faco]tà illimitata di concedere il passaggio a chicchessia e senza neces

sftà di giustificarne la urgenza, ne seguirebbe che non potendo il Sultano rifiutare all'uno ciò che accorderebbe all'altro, la concessione diventerebbe ben presto generale e permanente. Egli è con questo ragionamento che Sir H. Elliot induceva Aali Pacha ad aggiungere la riserva «lorsque la sécurité et les intérets de l'Empire l'exigeraient ».

Egli è sicurissimo che il Generale Ignatiew ha vissuto interamente all'oscuro di tutte queste pratiche.

Io non ho motivo di dubitare che ciò non sia. Credo puranco che tra le due Potenze riveraines non vi siano accordi segreti nè legami. Non può negarsi che siasi operato fra esse, come ho già avuto l'onore di riferirle ne' miei precedenti rapporti, un grande riavvicinamento.

(l) Cfr. n. lH.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

T. 1567. Firenze, 4 febbraio 1871, ore 15.

Je donne à Vienne et à Constantinople l'ordre d'insister pour l'acceptation de la formule de Brunow. Mais si on ne parvient pas à vaincre la résistance de la Porte, je crois que la rédaction que je vous ai envoyé moi-meme est préférable à celle qui donnerait à la Porte la faculté illimitée d'ouvrir à la flotte russe de la Mer Noire l'accès de la Méditerranée. Je vous prie donc de communiquer ma formule à Granville, de lui demander et me communiquer son avis la dessus. Vous avez trop bien exposé vous mème les inconvénients et les dangers de céder aux caprices de la Porte pour que j'aie besoin d'ajouter que le ministère et vous assumeraient [sic] vis à vis du parlement une responsabilité tres-grave en n'épuisant pas tous les moyens d'éviter l'éventualité d'avoir à compter dans la Méditerranée avec une nouvelle puissance maritime. J'accepte la prorogation de la commission ,européenne du Danube. Quant au nouveau péage pour les travaux aux Portes de fer, je dois réserver mon opinion, car il faudrait éviter

d'ajouter de nouvelles charges à la marine marchande italienne qui n'a aucun intérèt à remonter le Danube.

117

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI

T. 1568. Firenze, 4 febbraio 1871, ore 15,15.

Dans la conférence de Londres de hier tous les plénipotentiaires à l'exception de Mussurus ont accepté la rédaction proposée par Brunow, et on a décidé d'insister à Constantinople pour que la Porte l'accepte aussi. Veuillez vous associer aux démarches de vos collègues et faites comprendre qu'il ne s'agit pas de

limiter les droits de souveraineté de la Porte que personne ne conteste, mais de garantir par un prompt accord toute l'Europe contre le danger de compiications éventuelles. Dans le cas où vous et vos collègues ne pourriez pas faire revenir Aali Pacha sur sa détermination, proposez lui d'accepter la rédaction suivante que je serais disposé à recommander, le cas échéant, aussi aux autres puissances: «.Maintien du principe de la fermeture des déltroits avec faculté à la Sublime Porte de les ouvrir en temps de paix aux flottes des puissances amies et alliées dans le cas où cela serait nécessaire pour l'exécution du traité de Paris du 30 mars 185'6 ». Cette formule aurait l'avantage de ne pas établir de différenc,es entre ,certaines puissances et certaines autres, e,t de latsser sous ce rapport entière et sans borne la souveraineté de la Porte. Mais en indiquant le but de l'exception à faire à la règle générale de la fermeture des détroits, cette rédaction préviendrait certaines inquietudes dont l'Europe occidentale a le droit de tenir compte.

118

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI

D. 79. Firenze, 4 febbraio 1871.

Le confermo il telegramma che or ora Le ho diretto (l) per invitarla ad insistere presso Aali Pascià affinchè la Turchia accetti la formola proposta dal Barone Brunow nella conferenza di Londra per determinare il caso in cui s'ammetterebbe anche in tempo di pace un'eccezione alla regola della chiusura del Bosforo e dei Dardanelli. Nella seduta di ieri i Plenipotenziari d'Italia, d'Inghilterra, Prussia e Russia si sono trovati d'accordo per accettare quella formola e fu deciso che i singoli Governi insisterebbero a Costantinopoli per indurre la Turchia a recedere dalla sua opposizione. Invitando la S. V. ad unirsi a questo fine ai passi che faranno i suoi colleghi presso Aali Pascià, ho stimato necessario di accennarle per telegrafo il principale argomento che a nostro credere deve avere per effetto di far sortire la Turchia da un atteggiamento nel quale essa si trova completamente isolata. Noi non contestiamo infatti alla Porta la pienezza dei suoi diritti di sovranità; ma la preghiamo di riflettere seriamente sulla convenienza di guarentire tutta l'Europa mediante un pronto accordo di tutte le Potenze contro il pericolo d'eventuali complicazioni. Quando l'indipendenza della Turchia come Stato sovrano non può formare soggetto di contestazione grandissima diviene la responsabilità che la Porta assume col ritardare la conclusione d'un accordo destinato ad essere un nuovo elemento di tranquillità e di sicurezza per le relazioni internazionali dei Governi che vi prendono parte.

Nutro fiducia nel senno del Gran Vizir e nella prudenza che lo distingue, e

mi lusingo che egli comprenderà tutta l'importanza che i 4 Gabinetti rappresen

tati colla Turchia nella conferenza annettono ad ottenere l'adesione della Porta

che con voto unanime essi sono pronti ad accettare. Ma nel caso in cui questa

nostra speranza dovesse esser delusa io Le ho già accennato, Signor Ministro,

quale nuova proposizione noi saremmo disposti ad introdurre in seno alla con

ferenza qualora potremmo esser certi che la nostra proposta raggiungerebbe lo scopo di conciliare le divergenti opinioni della Turchia e delle altre Potenze.

La nuova formola che noi intederemmo di proporre è la seguente:

« Maintien du principe de la fermeture des détroits avec faculté à la Sublime Porte de les ouvrir en temps de paix aux flottes des Puissances amies e.t alliées dans le cas où cela serait nécessaire pour l'exécution du Traité de Paris du 30 mars 1856 ~.

Nel preparare questa formola ci siamo studiati d'evitare tutto ciò che sembrerebbe creare una differenza di trattamento fra le Potenze amiche della Turchia, conservando così alla Porta, anche sotto questo rapporto l'illimitato esercizio dei suoi diritti sovrani. Ma coll'indicare lo scopo dell'eccezione da farsi al principio generale della chiusura degli Stretti, noi abbiamo avuto di mira di rassicurare completamente anche gli interessi dei Governi dei quali giova pure che si tenga conto.

(l) Cfr. n. 117, a firma Visconti Venosta.

119

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3504. Tunisi, 4 febbraio 1871 (per. ore 22 del 5) (1).

D'après traduction j'ai trouvé le contreprojet du Bardo bardi et presqu'arrogant. On m'assure avoir été rédigé chez le consul anglais qui aurait le premier conseillé résistance d'accord avec le général Kereddin. Il serait question d'une mission extraordinaire du bey à Florence appuyée par le ministre turc. Intrigues sans fin. Notre influence, avenir colonie sont en jeu. Botmiliau arrivé hier.

120

IL MINISTRO DEI LAVORI PUBBLICI E REGIO COMMISSARIO A ROMA, GADDA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. Roma, 4 febbraio 1871.

Qui le cose procedono meno male di quello che si crederebbe. Solo per me la va male, che ho un lavoro che mi toglie il fiato. Coi Cardinali e loro simili io tengo un contegno riservatissimo e lo terrò sempre, finchè essi, per caso non probabile, facciano qualche iniziativa di affiatare noi. Ma nel tempo stesso rispetteremo allo scrupolo i riguardi dovuti alla Chiesa. E a tale proposito in Quirinale si balla o no? Me ne fece richiesta il Cugia, e per far presto ti trascrivo su ciò quanto ne scrivo al Lanza che te ne parlerà. Dammi notizie, istruzioni etc etc. Alla Camera le cose vanno bene come dovevano.

ALLEGATO.

GADDA A LANZA

Il Generale Cugia mi ha tenuto discorso per interpellarmi cosa io ne penserei sul progetto che hanno di fare qualche festa da ballo nel Quirinale. Io subito sentii una prima impressione contraria, e troverei non conveniente che sulle recenti vestigie dei Conclavi si portassero le danze, beninteso non per la cosa in se ma perchè essa si presta all'accusa di sacrilegio, provocazione ecc.

Noi che abbiamo così giustamente addottato il sistema di starne tranquilli e severi nel nostro diritto non dobbiamo prestare il fianco a censure che fuori trovano eco, e che percosse, da lontano s'ingrandiscono.

Il Generale Cugia rispose alle mie osservazioni che le troverebbe buonissime per non andare al Quirinale, ma una volta andati al Quirinale i Principi non vi possono vivere da frati, che essi devono dare quelle feste che sono inerenti alla loro condizion~ e sono della stagione. Che non possono andare alle feste dei signori Romani (come vanno) senza restituire una qualche festa: che ciò è tanto voluto dalle circostanze che il non fare sarebbe interpretato come una paura politica, come una prova d'incertezza nella nostra situazione. Confesso che anche queste ragioni sono buone. Potrei dire che quando si salta un bottone si è costretti a saltare gli altri, ma non lo dirò perchè è cosa fatta, e dal momento che sono in Quirinale forse hanno ragione di volervi stare con libertà di azione.

Ad ogni modo dissi a Cugia che ne avrei scritto a Lei e sentirò volentieri il di Lei parere e dei Colleghi se crederà di sentirli. Mi farà cosa gratissima scrivendomi subito l'animo suo perchè domani o dopo me ne parleranno i Principi.

(l) Il telegramma venne trasmesso da Trapani alle ore 12 del 5 febbraio.

121

IL PRESIDENTE DELLA SOCIETA COMMERCIALE, INDUSTRIALE ED AGRICOLA PER LA TUNISIA, NISCO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. Firenze, 4 febbraio 1871 (per. il 5).

Dalle lettere ricevute questa mattina pel postale di Tunisi si rileva la perseverante ostinazione del Governo del Bey di continuare a sostenere le violazioni commesse contro i trattati, e il diritto delle genti, e di esser negativo ad ogni pratica fatta direttamente e indirettamente dall'egregio nostro Console, per forma che l'amministratore delle nostre coltivazioni nella Tunisia ci scrive ·Che è resa quasi impossibile ogni sua azione, e gli Arabi a lor volta animati dai trattamenti fatti alla nostra Società si son dati a rubare e a devastare ogni cosa. Il detto Amministratore ci fa prevedere prossima la necessità di dovere abbandonare totalmente quel paese ove al presente per garantire la sua vita è costretto di tener una schiera di Europei armati.

V. E. ricorderà senza dubbio che nello stabilire una Società Industriale per la Tunisia si ebbe da essa per scopo di rannodare nuovamente all'Italia le coste affricane del Mediterraneo, e rendere così un segnalato servigio alla patria nostra, ed alla civiltà. E per questo scopo raggiungere la Società non ha tralasciato mezzo per rendersi benemerita di quel paese ed anche di quel Governo fino al punto di non prescegliere per suoi rappresentanti che persone gradite al Kasnadar. Nè poi le operazioni nostre si sono limitate ad una semplice coltivazione; ma bensì non solo con grandissime spese abbiamo spedito colà e aratri e tribbiatrici e seminatoj ed ogni altro istrumento perfezionato dall'arte agronoma, e non solo abbiamo cercato di armonizzare l'elemento arabo coll'Europeo mediante la colonizzazione mista, ma ancora abbiamo speso altre 25.000 lire, spedendo ivi Ingegneri e Canneggiatori Lombardi per il progetto di un doppio canale d'irrigazione.

Un torto solo abbiamo avuto, ed io il riconosco e ne son lieto, ed è questo: La Società che io ho l'onore di presiedere ha disdegnosamente rigettato ogni proposta che fosse dell'indole delle speculazioni alla Levantina, talchè contro di noi si è organata una consorterìa di tristi che ha il suo centro nel Bardo e che aspira alla distruzione di una Società che loro tolga il monopolio dei furti e delle usure mercè una condotta onesta e moralizzatrice.

Sulla fede dei trattati e dell'appoggio che certo non ci verrà meno del nostro Rea! Governo la Società con sicurezza si è lanciata in cotesta impresa, ed ha per essa esposto vistosissimi capitali. Ora abbiamo la coltivazione completamente interrotta, 200 ettari rimasti non seminati, il nostro greggie disperso, e fatto preda dei rubamenti degli Arabi, oltre 200 buovi e vacche tenuti in una specie di chiuso sotto la custodia di uomini armati ed in tale condizione che abbiamo avuto in una settimana 23 capi morti, un deposito di nostre semenze è stato scassinato e predato.

Prima di dare gli ordini che dai miei dipendenti fosse abbandonata dietro solenne protesta la gran tenuta e Anscir della Gedeida, io mi rivolgo a V. E. e Le richiedo fiduciosamente protezione ed ajuto pronto. Cotesta domanda avrei voluto non rivolgerle poichè son convinto che le relazioni commerciali non si fondano stabilmente con mostra di forza ed a colpi di cannone. Nondimeno quando siamo ridotti a questi termini in cui l'elemento barbaresco stimandosi sicuro di vigorosa azione da imporgli rispetto al diritto ed alla giustizia, si lascia a fare da !adrone e peggio, a me non resta, per tutelare gli interessi che mi sono affidati che rivolgermi all'E. V. ed attendere dal Governo la protezione della quale non si potrebbe dalla Società senza colpa disperare.

122

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

T. 1571. Firenze, 5 febbraio 1871, ore 23.

Un télégramme de Constantinople (l) m'apprend qu'Aali Pacha persiste à refuser la rédaction de Brunow, mais il parait disposé à accepter la formule que je vous ai envoyée, et il donnera réponse défìnitive demain. Veuillez communiquer cela à Granville et tachez de lui démontrer que ma formule, est, dans tous les cas, plus convenable aux puissances occidentales, que celle de Mussurus. Priez le de l'accepter et de la recommander à Pétersbourg et à Vienne.

(l) Cfr. n. 123.

123

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3502. Costantinopoli, 5 febbraio 1871, ore 21 (per. ore 22).

J'ai trouvé le grand vizir inflexible. Il m'a dit qu'au pis aUer la Sublime Porte se soumettrait, quoiqu'à regret, à renoncer à toute ·compensation pour l'abrogation de l'art. 14 et préférerait laisser par rapport au régime des détroits les choses telles qu'elles sont plutòt que d'admettre rédaction proposée par Brunow dans laquelle il persiste à envisager une limitation des droits de souveraineté du Sultan. I e voyant tellement décidé je lui ai communiqué rédaction proposée par V. E. qui a fait sur lui assez bonne impression. Il m'a dit qu'il la trouvait bien préférable et, que après avoir entendu avis du conseil des ministres, H me donnerait demain réponse définitive.

124

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 777. Berlino, 5 febbraio 1871 (per. l' 8).

Ainsi que j'ai eu l'honneur de l'annoncer hier, par le télégraphe (1), le Sécrétaire d'Etat a reçu l'instruction de nous exprimer les meilleurs remerciments de l'Empereur et Roi pour les félicitations que V. E. m'avait chargé de transmettre à Versailles au nom de notre Auguste Souverain et du Gouvernement de Sa Majésté.

En m'en donnant avfs, M. de Thile m'a prié de me rendre à mon tour l'interprète de ces remerciments.

125

L'AMBASCIATURE STRAORDINARIO A MADRID, CIALDINI, A VITTORIO EMANUELE II

R. S. N. Madrid, 5 febbraio 1871.

La M. V. conosce meglio di me sotto quali auspici salpava dal Golfo della Spezia S. A. R. il Duca d'Aosta, proclamato Re di Spagna dalle Cortes costituenti. Poco anzi del meriggio del 30 dicembre scorso si gettava l'ancora nel porto di Cartagena, e S. M. il Re Amedeo vi era accolto da una rap!presentanza di persone politiche e militari, assai diversa da quella che si attendeva. Era dessa com

posta del Capitan Generale Concha Marchese del Duero, del Brigadiere Topete, di tutti i direttori Generali delle varie armi, dei Generali più influenti dimoranti

lJ -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. II

a Madrid e parecchi uomini di maggior grido nel campo politico e parlamentare. Il significato sintetico di quel miscuglio inatteso svelava al primo colpo d'occhio un cambio notevole nella situazione della Spagna, giacchè componevasi di .gente più o meno avversa pochi giorni prima alla elezione del Duca d'Aosta. II Brigadiere Topete poi presentandosi come Presidente interino del Consiglio de' Ministri, rendeva l'enigma più grave e meraviglioso.

Durante il tragitto marittimo del Re Amedeo il Maresciallo Prim era stato

vittima d'un attentato in Madrid, e giaceva seriamente ferito, dando però fon

date speranze di guarigione, benchè lontana.

Il primo risultato di quel misfatto fu contrario pienamente ai calcoli degli assassini che lo commisero. Anzichè divenire il segnale di una sollevazione armata, anzichè commuovere e sbrigliare le passioni anarchiche, destò un senso di orrore, produsse il raccoglimento dei partiti, e diede vita ad un senltimento generoso di Nazionale pudore, favorevole al nuovo Re. Tutti intesero forse da quali orrendi pericoli fosse minacciata l'esistenza politica dello Stato, tutti si dissero forse ·Che la proverbiale lealtà del carattere Spagnuolo esigeva che sorgessero a difesa del Giovane Monarca, giunto sulle coste di Spagna, chiamato dal voto delle Cortes, condotto da una Squadra dello Stato.

L'arrivo adunque del Re Amedeo a Cartagena trovava una situazione affatto nuova e sommamente diversa da quella in cui partiva dalla Spezia.

Nella notte del 30 al 31 venne la notizia della morte del Maresciallo Prim, che gettò lo sgomento nell'animo di tutti, persino di coloro che gli furono avversari o nemici. La grande, la vera importanza di quell'uomo politico era altamente riconosciuta e confessata dalla mestizia e dallo sconforto che la Sua morte produsse.

Un'altra e più grave situazione nasceva in poche ore di tempo. Convien dirlo, nulla poteva incoraggiare l'animo del Principe, se Egli non avesse trovato nelle grandi tradizioni dell'Augusta sua casa, e nella dignità istintiva della Sua Razza antica, quella forza tranquilla, quel coraggio sereno che si impongono agli eventi ed arrivano quasi sempre a dominarli. Il Re Amedeo calmo, sorridente ed uguale a Se stesso, in mezzo a quella turba scoraggiata e cupa, discese a terra per visitare il celebre arsenale di Cartagena. Poi contro il parere di quanti lo seguivano profetizzando pericoli e sventure, volle a piedi fare il giro. della Città, che rimase stupefatta, sedo:tta quindi e totalmente vinta dalla Sua impassibile e cortese disinvoltura.

Il contegno del Principe irradiò poco a poco la calma e il coraggio all'intorno, ed a misura che si avanzò verso Madrid la fisonomia del seguito Reale andò rasserenandosi. Malgrado la rigidezza straordinaria della stagione, il popolo era accorso numeroso alle stazioni di transito, ed attese per molte ore sulle neve ghiacciata, il passaggio del nuovo Re, che acclamò spontaneo e plaudente. L'istinto monarchico del Paese, e forse anco il bisogno di ordine e di quiete, erano il significato palese di quelle dimostrazioni.

L'ultima notte dell'anno, fu passata in Albacete, capoluogo della Mancha. La notte del l • al 2 del 1871 nella Villa Reale di Aranjuez a poco più di un'ora. di ferrovia da Madrid. Le notizie della Capitale erano gravi. Temevasi una fredda accoglienza, e fors'anche peggio al nuovo Re. L'ex Reggente Generai Serrano mostravasi oltremodo inquieto e non osava escire da Madrid per venire ad osse

quiare il Re sino ad Aranjuez. Il seguito Reale ripigliò la tetra fìsonomia di due

giorni innanzi, quasi fosse presago di vicino pericolo. Il giorno prima aveva

avuto luogo il funerale del Maresciallo Prim e quella funebre cerimonia, sem

brava aver coperto a lutto la Capitale, sembrava aver ridestato il terrore nel

l'animo di tutti. La natura stessa pareva congiurare a danno della situazione,

giacchè Madrid trovavasi ingombra di neve ghiacciata da un freddo intenso ed

inusitato.

Il Re Amedeo doveva fare il Suo ingresso a cavallo, percorrendo lunghissime

vie sul ghiaccio. E questa circostanza insignificantissima in tutt'altro caso, accre

sceva la difficoltà materiale di pericoli del suo tragitto.

Sua Maestà discese dal convoglio Reale, salì a cavallo e s'incamminò per l'erta che toccando quasi la storica cappella di Atocha, conduce al Prado. Nella cappella di Atocha stava esposta al pubblico la salma del Maresciallo Prim. Fosse scherno crudele del destino, fosse avviso salutare della sorte, una tale tremenda coincidenza non poteva a meno di colpire tutti noi. Fu un momento solenne!

Il Re Amedeo superiore ad ogni emozione col suo solito viso tranquillo e sorridente, colla nota leggiadria di cavaliere avanzava precedendo di alcuni passi il numeroso Suo seguito, e senza essere preceduto da nessuno. Dalla ferrovia al Palazzo delle Cortes, la folla ·che faceva doppia ala, .si mantenne silenziosa e direi quasi sinistra; ma credendo che il Re sarebbe entrato in città preceduto e cinto d'armi e d'armati, la folla rimase compresa di altissimo stupore, che mutossi subito, e divenne grandissima ammirazione quando lo vide procedere solo, a passo lento, con aspetto tranquillo e sicuro, lasciando dietro di se a distanza il numeroso Suo seguito. La notizia del suo nobile contegno, del suo freddo coraggio e della sua personale prestanza, si diffuse come per filo elettrico in tutta Madrid, e cambiò istantaneamente le disposizioni del popolo.

Quindi è che nel Suo secondo tragitto, vale a dire dal Palazzo delle Cortes alla Reggia, il Re Amedeo riscosse applausi grandissimi e festose acclamazioni.

Aggiungasi che le finestre delle case lungo le vie percorse dal Re, vennero imbandierate soltanto dopo che fu conosciuta l'impressione prodotta da S. M. nella prima parte del Suo ingresso, dalla Ferrovia alle Cortes. La funzione del giuramento nell'Aula stessa delle Cortes ebbe importanza somma nei suoi dettagli. Da un lato il Re giurò con voce ferma e vibrata, e con un aspetto da cui spirava una felice mescolanza di altera dignità e di una calma cortese e schietta; dall'altro le Cortes Lo accolsero e congedarono con applausi fragorosi, ripetuti, cordialissimi.

I primi atti del Re Amedeo svelarono tatto e senno moltissimo. Piacque la composizione del nuovo Ministero, la visita del Re al cadavere del Maresciallo Prim, e quindi alla di Lui vedova, ed all'aiutante di campo ferito. Piacque la sua fredda noncuranza di ogni pericolo, che Lo fa escir solo a cavallo, in vettura od a piedi, senza la protezione della scorta consueta. Piacquero le sue sorprese ai quartieri del presidio, agli ospedali militari ed ai vari stabilimenti civili. Piacquero i suoi atti di ben intesa beneficenza, la Sua persona, il Suo sorriso, il Suo modo di essere; come saluta, come monta a cavallo e via dicendo. Questo basso popolo nobile ed immaginoso quanto il Napoletano, ne ha già fatto un eroe da leggenda.

Tuttociò è molto senza dubbio, e devesi tutto alle doti personali del Giovine Sovrano. In ogni cosa è di fausto augurio il cominciar bene, e giova dirlo il Re Amedeo esordì magnificamente. Ma ciò non basta per fondare una Dinastia, nè per assicurare un Regno.

Io temo che la morte del Maresciallo Prim lasci un vuoto difficile assai da colmare. Sta difatto che sicuro dell'Esercito Ei dominava pienamente la situazione. Ora io non veggo uomo alcuno politico che possa succedergli nel dominio dell'Esercito, della situazione e del paese.

È noto che nessun pronunciamento in !spagna presenta condizioni di vita e di sviluppo se l'Esercito, od almeno una parte di esso non vi si associa e non lo sostiene. In primo luogo importa adunque che la nuova Dinastia si assicuri bene l'Esercito, e vuolsi aggiungere anche la Marina, la quale straniera per l'addietro ad ogni sorta di moto politico, ebbe parte attiva e precipua nel pronunciamento del settembre 1868.

Questo compito sarà forse il più facile pel nuovo Re, poichè giovine d'anni, prestante di persona, coraggioso, freddo, volente, affabile e sostenuto nello stesso tempo, con sufficienti conoscenze del militare servizio di terra e mare, Egli eserciterà un ascendente, un fascino superiore di gran lunga a quello di qualsiasi altro Generale od Ammiraglio. La conquista dell'Esercito e della Flotta, la prima e la più importante che il Re deve fare, chiuderà la via ai pronunciamenti, e ridurrà i partiti politici alle lotte meno sanguinose e meno decisive dell'urna e del Parlamento. Per riuscire ad impadronirsene assolutamente ed esclusivamente il nuovo Re non deve riiSparmiare studio, pazienza, nè fatica, da ciò dipendendo che la Sua Dinastia abbia base solida e sicura.

In allora riposando sulla fedeltà delle forze di terra e di mare, il Re Amedeo al coperto di ogni possibile pronunciamento, potrà rispettare le larghe libertà che la Spagna si prese, e scrisse nella nuova Costituzione, potrà assistere senza pericolo alle incruenti battaglie parlamentari di partiti politici, ed esercitare con imparziale criterio la Sua parte di Re Costituzionale.

Ma per giungere a questo risultato si richiede sagacia molta, tatto squisito, volontà perseverante, si richiede sovratutto tempo .sufficiente. n nuovo Re non mancherà, giova sperarlo, della sagacia, del tatto, nè della volontà indispensabili all'uopo. Avrà Egli il tempo necessario per gettare la prima base del suo edificio? Qui sta il nodo della quistione.

Come dissi, il Maresciallo Prim dominava la situazione mercè la ferrea tempra del suo carattere, la somma temperanza delle sue pratiche opinioni, e la straordinaria facilità colla quale Egli sapeva vincere e perdonare ai suoi nemici. Egli potè prepararsi l'Esercito, imporre una nuova Dinastia, e far prevalere sempre, con moderazione di forma, le sue idee. La di Lui morte riconduce la situazione politica della Spagna nel caos da cui l'avea tratta il Maresciallo Prim. Tutti i singoli partiti rialzano il capo, e sperano di nuovo. Il partito progressista inconsolabile di aver perduto il suo Capo, si abbandona al dolore ed alla diffidenza temendo, e forse con ragione, di essere soprafatto. Il partito dell'Unione li:berale quasi non si dà pensiero di nascondere la sua gioia, per la morte del Maresciallo Prim, e si adopera a tutt'uomo ad impadronirsi della situazione. Il partito Democratico poc'anzi capitanato da Ribero può dirsi ormai senza Capo, perchè Ribero preso dalla passione del vino ha perduto ogni resto dell'antico prestigio. Questo partito senza programma chiaro e definito è condannato sin d'ora a scindersi. La parte più avanzata si unirà ai progressisti, l'altra all'Unione Liberale.

Conviene notare che questi tre partiti sono quelli che votarono in favore della nuova Dinastia, e per essere più esatti, convien dire, che l'Unione Liberale al momento della votazione si divise in due campi, dimodochè i partiti veramente favorevoli al Re Amedeo sono: il Progressista, il Democratico ed una parte dell'Unione Liberale.

La salvezza della situazione consiglia dunque di mantenere l'accordo fra i diversi elementi che votarono in favore del Re Amedeo, ed è ciò che avrebbe fatto senza dubbio il Maresciallo Prim. Ma benchè la convenienza di simile politica sia palese ed evidente, dubito molto che il Maresciallo Serrano riesca a praticarla ed a farla prevalere, se pure Egli intende schiettamente di seguirla. La formazione del presente Gabinetto, opera del Re, rappresenta con fedeltà la coalizione dei partiti che lo portò al trono.

Questo Ministero durerà certamente sino alla riunione delle nuove Cortes che avrà luogo ai primi di aprile. Potrebbe andar oltre ed avere vita più lunga guadagnando le Elezioni. Ma vi è luogo a temere che manchi dell'abilità e dell'influenza necessaria, ossia in altri termini, vi è luogo a temere che il Ministero, come tutti i Ministeri di coalizione, porti in seno la malattia che presto o tardi l'ucciderà.

Frattanto i giornali dei partiti avversi consigliano avvedutamente di portare in Parlamento Deputati contrarii alla nuova Dinastia, senza distinzione di partito. Accadrà quindi che in molti collegi i Repubblicani voteranno in favore dei Carlisti, questi in favore dei Montpensieristi etc. etc. poichè la parola d'ordine ammonisce di votare esclusivamente in senso ostile alla situazione. I partiti così coalizzati contro la nuova Dinastia sono cinque. Il Repubblicano Federale, il Repubblicano Unitario, il Montpensierista, l'Alfonsino ed il Carlista. Dei cinque, due hanno molta importanza e sono il Repubblicano Unitario e l'Alfonsino.

La maggior parte della Grandezza di Spagna si mantiene nel campo Alfonsino per debito di gratitudine e per quistione di personale decoro, più ch'altro. Codesta gente non è molto temibile perchè manca di elementi rivoluzionari e di grand'uomini parlamentari e politici. Vuole scimmiottare il Faubourg St. Germain, ma senza dubbio con minor costanza di proposito.

La sua parte Femminina desidera troppo di andare a corte, per cui si crede da molti che quando la Grandezza di Spagna troverà un ponte onorevole per passare il Rubicone, verrà a noi e brucierà le sue navi.

Avvi intanto una parte della Grandezza Spagnuola, già disposta sin d'ora ad unirsi alla nuova Dinastia, e benchè si componga dei titoli più moderni, pur conta qualche gran nome antico, come quello del Duca di Veraguas, del Duca di Freas, del Duca di Gor e d'a]tre stelle minori. iLa prossima venuta di S. M. la Regina di Spagna è destinata ad esercitare una influenza decisiva a pro della Dinastia, nel campo della Grandezza di Spagna e nel campo Cattolico. I sentimenti Religiosi della Regina sono noti e Le preparano lieta accoglienza dal partito devoto, il quale è sempre numeroso e potente assai. Se la nuova Regina vorrà valersi come mezzo di governo della facile influenza che acquisterà sul Clero e sul partito Religioso, la M. S. getterà un'altra solida base su cui la Dinastia potrà appoggiarsi vantaggiosamente. La Regina poi dotata di perspicace ingegno e di straordinaria istruzione, riescirà, ne son certo, a guadagnare le simpatie del mondo Femminile, il che vuoi dire la metà dei suoi sudditi.

Da quanto venni dicendo, la M. V. comprenderà che nell'esordio di questo nuovo Regno vi è del bene e del male come in tutte le umane cose. L'Augusto Figlio di V. M. vinse le prime e terribili prove del suo arrivo in modo splendido e degno di un Principe di Casa Savoia. Ma non è tutto. Altre ed incessanti difficoltà risorgeranno in seguito ad ogni giorno, ad ogni ora, e sino a che la situazione prenda un corso normale, il Re Amedeo dovrà considerarsi come in guerra aperta; manovrare ,continuamente, opponendo alle mosse del nemko, i consigli del senno, del valore, e dell'abilità. Il compito Suo è difficile, ne convengo, ma non impossibile. L'esito dipenderà più dall'esattezza dei criteri, e degli apprez2lamenti, ~anzichè dalla cieca Fortuna.

Sorge un elemento nuovo di governo che converrà utilizzare abilmente, ed è la reazione che si va formando contro il militarismo che sinora ha soverchiato la Spagna. Una volta che il Re sia divenuto il vero Capo dell'Esercito e della Flotta, cosa desiderata dai migliori uomini politici d'ogni partito, i pronunciamenti saranno impossibili, e l'importanza individuale delle grandi gerarchie militari, sarà ricondotta e ristretta nei suoi limiti naturali. Si potrà allora avere in !spagna, Ministeri presieduti da uomini politici non militari, fenomeno quasi sconosciuto in questo paese, ove regna il costume di veder a capo del Governo, un Generale.

Le finanze della Spagna sono in condizioni analoghe alle nostre, se non peggiori, con questa differenza però, che la Spagna potrà uscire d'impiccio qualora rsappia risolversi a vendere una delle sue importanti isole ,che possiede nei mari dell'America e dell'Asia. Questa idea impopolarissima pochi mesi or sono, comincia a farsi strada ed a riunire proseliti. Le nuove e prossime elezioni, saranno una pietra di paragone, da cui si potrà giudicare con qualche criterio sicuro della forza vitale di questa nuova Dinastia.

Riassumendo quant'ebbi l'onore di esporre a V. M., conchiudo col dire: che la nuova Dinastia per reggersi vittoriosamente sul trono di Spagna ha bisogno di assicurarsi l'appoggio dell'Esercito, della Marina e del Clero. Dopo ciò potrà lasciare senza pericolo che lo Stato goda delle sue larghe libertà. Converrà pur sempre che coltivi con amore i partiti che La portarono al trono e procuri di tenerli coalizzati il più che si possa.

La Regina Isabella perdette la stima pubblica per dissolutezza e scialacquo. La nuova Dinastia guadagnerà l'affetto e la riverenza della Spagna intera, offrendo a tutti l'esempio di severi costumi e di un'economica semplicità.

(l) Non pubblicato.

126

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANININI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 90. Belgrado, 5 febbraio 1871.

Debbo ritornare sopra l'impressione che la nota del 23 Novembre scritta dal Conte Beust e pubblicata nel Libro Rosso cagionò sull'animo degli uomini che governano in Serbia. Il fatto è grave a mio avviso perchè con alcune frasl più presto scritte che ripensate si corse a rischio di distruggere il frutto di un paziente lavorio, da tre anni indefessamente continuato dal Signor Kallay, e di togliere alle parole di questo agente ogni carattere di verità e di autorità, perchè le minaccie del Conte Beust vengono a smentire il Signor Kallay quando dichiarava che le sue istruzioni gli commettevano di coltivare l'amicizia della Serbia e di offrirle ogni specie di ajuto e di soccorso non solamente nella condizione presente del Principato ma eziandio per favorirne la futura prosperità.

Più che alla minaccia che in caso di torbidi la forza tutta della Monarchia sarebbe impiegata a reprimerli, si pose mente alla condanna delle «aspirazioni nazionali » : e come sempre accade, cercassi nell'« espressione geografica » alla quale il Principe Metternich rimpiccioliva l'Italia, una nuova simiglianza fra le vicissiltudini ed i destini del Piemonte e della Serbia. La minaccia d'intervenzione non significa nulla, diceami il Signor Ristic, e parmi sia nella ragione: l'intervento austriaco chiamerebbe l'intervento Russo; di più il trattato di Parigi non permette che vi si addivenga senza il consentimento di tutti i sottoscrittori.

Se al Signor Kallay fosse stato ordinato di dare spiegazioni il male sarebbe stato minore: ma invece la pubblicazione ebbe luogo, l'impressione nei popoli è compiuta e l'agente austriaco mantiensi in silenzio.

Ebbi tuttavia confidenziali informazioni sopra questo proposito, e le quali, credo, rappresentano con fedeltà il giudizio che di questo fatto si reca a Pest.

Crede chi mi parlava che non per necessità di politica esteriore ma per guadagnare a se il partito tedesco della Cis-Leitania e la gazzetta sua la Neue Freie Presse che minacciava di vivamente assalire in seno della delegazione la politica da lui seguita, il Conte Beust si sarebbe deciso a scrivere e pubblicare quel dispaccio nel modo stesso in cui esso risolveva di rinunciare a gran parte delle « Spese segrete » inscritte in bilancio. Sembrerebbe che simili errori non sieno infrequenti e che parecchie volte il Conte Andrassy, ebbe ad osservare al Cancelliere dell'Impero che i suoi dispacci erano scritti per fini diversi ed in senso opposto alle risoluzioni prese nel Consiglio.

127

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

T. 1571. Firenze, 6 febbraio 1871, ore 13,45.

La rédaction que je vous ai envoyée a précisément l'avantage de ne pas exclure a priori la Russie, mais en mème temps de ne pas laisser au caprice de la Turquie d'ouvrir à la flotte russe la Méditerranée. Il suffi.t à cet effet de dire que les détroits ne pourront [etre] ouverts aux flottes de toutes les autres puissances que lorsque l'intégrité de l'Empire ottoman serait menacée. Supposez une guerre entre l'Autriche et la Russie pour la Pologne ou la Bohème: si les détroits restent fermés aux russes et aux autrichiens la guerre sera localisée au nord de l'Europe, et l'Italie resterait neutre. En tous cas, si la Porte accepte ma formule je la crois préférable à celle de Mussurus: si elle ne l'accepte pas je crois préférable le principe de la fermeture absolue des détroits sans exception. Il m'est impossible de consentir au nouveau péage sur le Danube sans consulter les ministres de la marine et du commerce. Nos navires ne remontent jamais le Danube, ils sont déjà surchargés de droits de navigation et la chambre de commerce de Genes jetterait les hauts cris si on consentait aveuglement à cette augmentation. Je crois que les travaux à faire aux Portes de fer ne profiteraient qu'aux Etats en amont du fleuve. Le péage devrait donc etre établi non aux embouchures mais au delà d'Isatcha. Pour ces raisons je vous prie de demander que la question du péage soit renvoyée à des négociations ultérieures.

128

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3512. Pera, 6 febbraio 1871, ore 17,20 (per. ore 21,50).

Sublime Porte accepte formule proposée par V. E., et Mussurus aura ordre de l'appuyer à la conférence. Le paragraphe rédigé d'accòrd entre le grand vizir et moi pourra ~tre ainsi conçu: c La Sublime Porte prend l'engagement forme! de maintenir son ancienne législation sur la frontière des détroits, des Dardanelles, et du Bosphore aux bàtiments de guerre étrangers sans qualifier exception, sauf les navires légers affectés au service des missions et du Danube; mais elle se réservera le droit de les ouvrir aux ftolttes des puissances amies et alliées, dans le cas seui où elle jugerait que cette mesure fùt nécessaire pour sauvegarder l'exécution des clauses contenues dans le traité de Paris du 31 mars 18<56 ». Le grand vizir m'a déclaré que si cette formule n'était pas agréable, on persisterait à soutenir celle de Brunow, la Sublime Porte retirerait sa proposition sur la question des détroits et se contenterait du statu quo. Quant'à la proposition autrichienne relativement à l'augmentation illimitée des stationnaires sur le Danube le grand vizir déclare la décliner complètement.

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IL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 61. Washington, 6 febbraio 1871 (per. il 24).

Pel mio rapporto confidenziale del 6 Gennaio u. s., politico, N. 53 (1), ebbi l'onore di sottomettere all'E. V. la preghiera di fare nuovi offici presso il Go

verno di Spagna onde sollecitare una pronta definizione delle pendenze esistenti fra di esso ed il Governo degli Stati Uniti.

Ho ora la soddisfazione di poterle annunziare che il Dipartimento di Stato ricevette nella giornata di jeri un telegramma dal Ministro Americano a Madrid pel quale gli viene notificato che tutte le difficoltà che ancora esistevano furono appianate, e che il Gabinetto Spagnuolo invierebbe al suo Rappresentante presso questo Governo li pieni poteri necessari affine di procedere senza indugio all'esecuzione delle relative stipulazioni nel modo che già ebbi l'onore di significare all'E. V. pei miei precedenti rapporti.

La persona che mi forniva questi dettagli conchiudeva il suo ragionamento nei seguenti termini: «Non v'ha dubbio che la pronta soluzione di questa controversia debbesi interamente ai buoni offici con tanta prudenza ed opportunità interposti dal Governo Italiano, il quale rese per tal modo un grande servigio all'Amministrazione del Generale Grant, e questa gliene professa una viva riconoscenza >.

(l) Cfr. n. 23.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

T. 1572. Firenze, 7 febbraio 1871, ore 15.

Ce n'est qu'après avoir constaté par l'entremise de notre légation à Constantinople le refus obstiné et répété de la Porte d'accepter la formule de Brunow, et après avoir eu par vous la nouvelle qu'Appony et lord Granville étaient prets à accepter la rédaction turque, que nous avons mis en avant une autre rédaction. Celle-ci a été acceptée par la Porte avec des modifications, qui en altèrent un peu la signification. Je crois qu'en relisant mes télégrammes vous verrez clairement que nous étions très contents de la formule Brunow, que nous sommes décidés à refuser la formule Mussurus, que nous n'avons proposé la formule italienne que pour éviter l'acceptation de la rédaction turque, et que si l'Autriche, l'Angleterre, la Russie et la Turquie préfèrent le principe absolu de la fermeture des détroits nous nous en contenterons aussi. Ce qui importe c'est de ne pas laisser absolument au caprice de la Turquie d'introduire, pour tous les cas de guerre offensive ou défensive qui peuvent se produire la flotte russe dans la Méditerranée. Du moment que la Porte ne veut pas faire de distinction entre les puissances occidentales et la Russie, et que le Sultan tient obstinément à ses droits absolus de souveraineté, il est nature! que l'exception à faire au principe de la fermeture des détroits soit bornée au cas qui est seui à prévoir, en ce moment, ·c'est-à-dire à l'exécution du traité de Paris. Du reste je vous répéte que si les autres puissances tombent d'accord pour le maintien de la fermeture absolue des détroits nous en serons aussi très contents car celtte combinaison nous parait préférable à toute autre du moment que la formule Brunow ne serait pas acceptée.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

T. 1575. Firenze, 7 febbraio 1871, ore 18,15.

J'ai reçu avant hier soir votre télégramme par la voie de Trapani (l) sur la réponse arrogante du bey. Veuillez rassurer la colonie italienne ·et faire ·connaitre que le Gouvernement du Roi s'occupe des moyens de sauvegarder efficacement son avenir et l'influence de l'Italie à Tunis. *La situation diplomatique a~tuelle impose certains ménagements. Il faut éviter que la Turquie nous accuse à la ·conférence de Londres d'avoir des projets de ·conquete sur Tunis, et que la question des relations juridiques entre Bey et Sultan soit portée à la conférence et préjugée d'une maniere défavorable. Un retard de huit à dix jours dans l'envoi de bàtiments serait opportun sous ce point de vue, et presque indispensable pour 1combiner moyens d'a:ction * (2). Le ministre d'Angleterre in$iste pour que nous adhérions à l'envoi à Florence d'un agent du Bey. Dites moi votre avis par télégraphe. Diltes moi aussi par télégra~~>he après avoir pris avec la plus ·grande prudence des renseignements soit de vos vice ·consuls, soit d'autres italielliS de toute ·Confiance, si vous pensez qu'une démonstration armée pourrait provoquer des actes de fanatisme des populations indigènes ·contre les européens et surtout les italiens. Je vous signale ce danger qu'il faudrait prévenir à tout prix, car il pourrait avoir des conséquences fort grandes. En attendant, restez dans la plus grande réserve soit avec les autorités locales soit avec vos collègues. Envoyez-moi aussi des renseignements sur consul de France.

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IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3514. Londra, 7 febbraio 1871, ore 0,15 (per. ore 10,10).

Vos nouvelles du refus renouvelé à Constantinople de la formule Brunow sont certtainement antérieures à l'arrivée à Constantinople du résultat de la réunion du trois, qui a duré jusqu'au soir. La réponse définitive n'est pas meme encore arrivée ici à Mussurus; lord Granville a beaucoup regretté l'ouverture faite à Constantinople pour votre formule, car, il croit que la 'Turquie en aura été encouragée au refus de la formule Brunow. J'ai fait tout mon possible pour détruire cette regrettable impression, excluanlt qu'on ait fait autre ·chose qu'une simple exploration confidentielle. Je lui ai de nouveau communiqué votre formule, mais seulement pour le cas de refus définitif de la formule Brunow. Granville trouvait que meme la formule Mussurus lui était préférable. J'ai fait de mon mieux pour combattre cette opinion faisan't res

sortir l'effet de la combinaison des derniers mots avec les paroles «amies et alliées :. ; à la fin il n'a .pas refusé; mais non plus consenti, et la ·Chose serait réservée, car, si demain il y avait un refus de la Tul'lquie de la formule Brunow on renverrait à un autre jour la continuation de la ·conrférence. Granville parait préoccupé de la ,grande importance de la présence de la France, dans le cas qu'on devrait accepter la :formule Mussurus qui bouleverse les bases du 'traité de PaTis. J'ai parlé à Appony de votre formule que Beust aurait jugé heureuse. Appony et son collègue ont voulu etre rassurés que je l'aurais pas mise en avant qu'apl'lès le refus définiti:f de la formule Brunow. Je pense qu'en outre vous ne la proposeriez pas qu'en vous assurant d'avance de l'acceptation de la Turquie.

(l) -Cfr. n. 119. (2) -Il brano tra asterischi è edito in J. GANIAGE, Les origines du protectorat jrançais en Tunisie (1861-1881), Paris, 1959, p. 410.
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L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3515. Vienna, 7 febbraio 1871, ore 16,25 (per. ore 21).

Bien que je doive supposer que V. E. en a été déjà informé par Kubeck, je m'empresse de mander que le comte de Beust a fort apprécié rédaction proposée par V. E ..et que si on n'en reste pas à la formule «puissances non riveraines » le comte Alppony devra se rallier à noltre proposition. Des télégrammes en conséquence ont été expédiés à Florence, Londres et Constantinople. Le chancelier n'arrivera pas avant ce soir.

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IL MINISTRO A BORDEAUX, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3516. Bordeaux, 7 febbraio 1871, ore 15,30 (per. ore 21,10).

M. Etienne Arago est parti pour l'Italie. Il s'est fait donner par le Gouvernement une espèce de mission consistante à l'informer des intrigues que le parti bonapartiste pourrait nouer en Italie. Cette mission est secrète et on ne m'en a pas parlé. Le Gouvernement ne semble pas la considérer comme sérieuse. Je crois devoir néanmoins vous la signaler.

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IL MINISTRO A BORDEAUX, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3519. Bordeaux, 7 febbraio 1871, ore 20 (per. ore 11,30 dell' 8).

Ayant vu aujourd'hui M. de Chaudordy je l'ai interpellé sur le voyage de

M. Arago. Il m'a dit qu'il ignorait absolument ce qu'Arago allait faire en Italie; mais, je sais que l'un des objets de sa mission secrète est de renseigner le Gouvernement français sur l'existence d'intrigues pour l'annexion de Nice à l'ltalie. M. de Chaudordy m'a pr.ié de vous conseiller de suspendre l'envoi d'une frégate à Tunis, en me disant qu'il a envoyé des instructions au consul de France pour amener ... (l) Angleterre arrangement pacifique.

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L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 202. Tunisi, 7 febbraio 1871 (per. l' 11 ).

Mancando nel corriere passato il tempo per la traduzione dall'arabo della risposta del Bardo al progetto di nota che mi era stato chiesto, supplisco con quello di oggi a sottoporne (Annesso No l) il testo a V. E.

Siccome già lo facevo presentire, io mi aspettavo ad un rifiuto, ma meno reciso e concepito in termini più convenevoli. E tale era l'avviso del primo Ministro Si Mustafa Khasnadar; se non che prevalsero sull'animo del Bey i consigli del Generale Khereddin, ed una qualche estera influenza che più del dovere si è intrusa, per solo effetto di politica personale, in questa nostra vertenza. n fatto si è che la risposta suddetta fu compilata in francese, -anzi avrei luogo a credere che la qui unita traduzione siane l'originale.

Da veruna parte poi nè direttamente, nè indirettamente essendomi stato avanzato il più piccolo cenno che lasciasse aperta una via a delle nuove trattative, [o non ho creduto della nostra dignità di replicare colle contro-osservazioni (Annesso No 2) che ad ogni buon fine tenevo preparate.

A sciogliere dunque il nodo non rimane altro che l'azione del Governo del Re. Aggiungerò che non sarà possibile di avere giustizia in mol'ti affari, come p. e. in quelli del risarcimento dei danni dovuti alla Società anonima per la Tunisia, e del pagamento di forniture alla casa del Bey fatte dal commerciante italiano David Nunez (Dispacci N. 72 e 74 bis) (2) senza la presenza alla Goletta di qualche bastimento da guerra.

Intanto la tranquillità regna in paese, come la calma e la fiducia nella nostra Colonia. La misura di collocare temporaneamente la protezione degl'interessi italiani sotto il Consolato di Austria fu accolta con generale soddisfazione. Ed a questo riguardo non tralascio di rassegnare in copia a V. E. (Annessi 3.4.5.) la mia nota al Signor Herzfeld, la sua risposta, e la circolare informativa aHi altri Consolati.

ALLEGATO I.

IL GOVERNO TUNISINO A PINNA

(traduzione)

La nouvelle demande de M. l'Agent et Consul Général d'Italie, tendante à obtenir une extension de l'art. 22 du Traité de 1868, se réduit à ceci: c qu'aucun indigène employé per des italiens dans l'agriculture, le paturage ou dans toute industrie ou art s'y rattachant, ne puisse etre arreté ni recherché à quelque titre

que ce soit par l'autorité locale sans un avis préalable donné à l'officier Consulaire le plus rapproché lequel devra en outre, ètre informé des motifs qui auraient déterminé l'arrestation ou la recherche; que pourtant les droits juridictionne1s de S. A. sur ses propres sujets employés par des Italiens ne devraient subir aucune altération, et que ces sujets ne pourront sous aucun prétexte, se soustraire à l'accomplissement des obligations qu'ils ont envers leur Gouvernement •.

Cette demande doit ètre envisagée au double point de vue pratique et politique.

Au point de vue pratique il serait impossible en l'adoptant d'arriver à un résultat satisfaisant quelconque pour l'exercice de la juridiction de S. A. sur ses propres sujets.

Les territoires possédés ou loués par des italiens sont déjà ~assez nombreux et étendus, et les populations Tunisiennes se rendront en grand nombre dans ces territoires dont les limites ne sont pas assez apparentes pour qu'on puisse facilement les reconnaitre.

Or si toutes les fois qu'il y avait lieu d'arrèter dans ces territoires un sujet du Bey soit pour délit ou crime, soit pour dettes ou autres réclamations privées, soit pour le paiement de taxes, les Agents du Gouvernement ne pouvaient y procéder qu'après en avoir donné avis à un officier consulaire le plus rapproché, la perte de temps, serait telle, pour le moins, que l'individu recherché, pourrait facilement changer de piace et ne plus ètre trouvé. De plus l'Officier Consulaire pourrait se refuser à la demande des Agents et alors, en ["éalité, ,fi serait seul arbitre d'entraver l'exercice de la justice locale; il serait a priori le seui juge entre les particuliers et le seul appréciateur des droits du Bey sur ses propres sujets.

A ces inconvénients pratiques viendrait s'y ajouter encore celui-ci: Que les étrangers possédant à Tunis, devant ètre assimilés aux italiens, les individus recherchés par le Gouvernement pourraient passer d'une propriété italienne dans une autre propriété étrangère, et l'on se trouverait dans ce cas obligé de nouveau de s'adresser à un autre officier Consulaire et mème à plusieurs succéssivement, au détriment de l'action de la justice et du prestige de l'autorité locale.

On voit bien qu'il ne pourrait résulter de ce système que le désordre le plus complet, et que les dommages en seraient ressentis non seulement par le Gouvernement mais aussi par les intérèts de tous les particuliers, les étrangers et les Italiens eux mèmes y compris.

Si malgré tous les efforts de l'administration les étrangers se plaignent de la lenteur de la justice locale dans l'état des choses actuel, quelles ne seraient ces plaintes quand le Gouvernement serait lié par cette nouvelle concession? D'un còté il serait rendu responsable du manque d'activité pour la solution des affaires, de l'autre il serait mis dans l'impossibilité de saisir les délinquants.

Au point de vue politique les inconvénients pour le Gouvernement du Bey ne seraient ni moins gooves ni plus tolérables.

En effet il est de principe que le maximum des concessions dans un traité international c'est l'égalité entre les étrangers et les nationaux. Par les stipulations du traité du 8 septembre 1868, les italiens sont autorisés à posséder comme les tunisiens, et en leur qualité de propriétaires ou concessionaires de terrains ils sont soumis aux lois du pays. Or en accordant ce que demande M. le Consul pour les colons ou autres employés chez des italiens, on violerait l'égalité, vis-à-vis des propriétaires Tunisiens, incontestablement ,les plus forts et les nombreux; on créérait en faveur des étrangers un privilège énorme et impolitique; on étendrait enfin à des particuliers le bénéfice de l'exterritorialité, qui étant odieux de sa nature, doit ètre strictement mesuré mème aux Agents diplomatiques en faveur des quels seulement il a été adopté par les Nations civilisées.

Or une propriété rurale ne saurait ètre comprise dans cette fiction légale, car si cela avait lieu, chaque propriété possedée ou louée par des étrangers deviendrait un refuge inviolable pour tout Tunisien recherché par le Gouvernement, et ce serait à la demande d'un Gouvernement européen très libéral, qu'en plein dix-neuvième siècle on verrait se généraliser en Tunisie et en faveur de particuliers le droit d'asile que la civilisation a aboli en Europe comme une monstruosité du moyen

age. Quelle serait la position du Gouvernement, au point de vue politique, en présence d'une stipulation semblable? Frappé d'impuissance, il ne pourrait plus ni recruter des troupes, ni rendre justice à une partie de ses sujets contre l'autre, ni prélever des impòts, ni meme protéger les intérets des étrangers qui viennent s'établir dans le pays, sans l'appréciation préalable d'un Consul ou d'un Agent Consulaire, et sans que l'un ou l'autre ne puisse, par caprice ou tout autre motif, entraver et meme empècher le libre exercice de ces droits. D'où une confusion telle et une telle déconsidération que le Gouvernement ne pourrait les supporter sans se rénier, car il se condamnerait à la plus complète inaction.

Il est donc évident pour tout homme impartial et éclairé, que la mesure proposée par M. le Consul Général d'Italie ne saurait etre adoptée sans une grande perturbation dans l'organisation intérieure du Gouvernement, et sans l'annihilation de ces memes droits souverains du Bey que la Note de M. le Consul reconnait explicitement devoir etre maintenus en dehors de toute atteinte.

Il faut enfin observer que la demande de M. le Consul d'Italie n'est ni une interprétation meme implicite, ni une conséquence naturelle du traité. Elle n'est en réalité que une demande nouvelle tendant à une extension et à une modification qui d'après les termes mèmes du traité ne pourraient ètre proposées avant l'expiration des sept premières années.

C'est pomquoi, et en se basant sur toutes les considévations qui précèdent, le Bey, malgré son désir habituel d'etre agréable à M. M. les Consuls, se trouve obligé de refuser son consentement à la demande de M. l'Agent et Consul Général d'Italie.

ALLEGATO II.

PROGETTO DI RISPOSTA ALLE OSSERVAZIONI DEL BARDO

Come lo dice lo stesso Governo del Bey, ciò che si chiede è un provvedimento correlativo all'art. 22 del Trattato del 1868, ma non è una nuova concessione: è invece un modus vivendi, è un modo di esecuzione di tale articolo onde non ne restino illusorie le di lui disposizioni a caJ)['iccio d'ogni e singolo agente subalterno del governo locale, è insomma una spiegazione ed interpretazione logica per l'applicazione dell'articolo stesso, onde siano per l'avvenire salvaguardati i diritti degl'italiani previsti in tale articolo e non manomessi capricciosamente come ebbe sin qui a verificarsi con grave scapito dell'agricoltura e degli interessi italiani, al punto di far nascere fondati sospetti che con animo deliberato e con mire di malvolere Si stia facendo una guerra sorda alle concessioni Italiane.

In fatti a che serve che nel Trattato siano· facoltizzati gl'italiani di servirsi degli indigeni per l'agricoltura, pastocizia ed arti affini se dipendente dal capriccio ed arbitrio di qualunque anche subalterna Autorità di distoglierli dal loro impiego o lavoro, imprigionarli senza motivo o preavviso, e soventi con violenza in proprietà itaHane, lasciando così senza braccia la proprietà rurale prima che il proprietario italiano possa provvedersi diversamente?

D~altronde è principio generale che le persone addette ad un servizio rappresentano più o meno la persona del padrone il quale infatti è responsabile dei suoi servi nei limiti dei diritti civili: ed in caso di contestazione lo rappresenta davanti alla di lui autorità quantunque di diversa nazionalità.

Onde ovviare agli inconvenienti verificatisi sin ora per i casi avvenire si è chiesto: che preceda allo arresto degli indigeni impiegati come sopra si è detto per la pastorizia ed agricoltura in fondi italiani, un avviso all'Autorità Consolare più vicina contenente anche i motivi dell'arresto.

Praticamente tale misura dicesi darebbe luogo a grandissimi inconvenienti, ritardi e confusione nell'amministrazione della giustizia e paralizzerebbe l'azione del governo locale, a causa massime che i possedimenti italiani sono già abbastanza

numerosi, e che i mori vi si rifuggierebbero in gran numero e non potrebber<>

venirvi arrestati che con gran perdita di tempo.

Ma ciò che si chiede non riguarda che gli individui indigeni addetti alla c<>ltura.

non già tutt'indigeno che possa rifugiarsi su territorio appartenente a proprietà

italiane. Inoltre il preavviso e l'esposizione dei motivi dell'arresto mentre allonta

nerebbe l'arbitrio e la vessazione per parte massime degli Agenti subalterni, perchè

presterebbe facile modo di verificare efficacemente il vero motivo dell'arresto e

porrebbe in grado i Consoli di chiedere ed ottenere nei casi che lo meritano pronti

schiarimenti all'uopo, dall'altra parte non darebbe ai Consoli la facoltà che mostra

di credere il governo locale, cioè di giudicare a priori e di denegarsi senza alcup

motivo, sostituendo così il proprio arbitrio a quello del Governo.

Per assicurarsi poi se trattasi di impiegati addetti alla coltura di proprietà italiana o di rifugiati basterebbe l'obbligo imposto ai col<>ni di dare la nota nominativa dei loro inservienti sia alloro Console che all'Autorità locale più vidni; ed in tal caso ogni altro individuo potrà essere considerato c<>me rifugiato ed arrestat<> senz'altro; è dunque un sofisma il dire di trattarsi di ristabilire il diritto d'asilo che unicamente si esercita dai mori per i cosi detti luogo del santo.

Trascurerò di notare che è generalmente ammesso in Tunisi e negli altri stati mussulmani della costa d'Africa che non possono g~i agenti della forza locale come neppU['e i dragomanni di altra nazione introdursi nelle case di proprietà italiana e viceversa, senza preavviso: nel caso presente la differenza non sarebbe che per la diversa condizione delle proprietà rurali che in generale non sono protette da stabili chiusure: ma tale differenza di forma non sembra bastare per mantenere un affatto diverso sistema di cui già si constatò il dannoso risultato per l'agricoltura, stante l'abuso per parte massime delle Autorità subalterne.

La misura richiesta poi per nulla attenta alla Sovranità di S. A. il Bey, come viene dichiarato esplicitamente dalle parole stesse dell'Agente e Console Generale d'Italia a cui si rispose, non intralcia l'azione della giustizia, nè menoma il prestigio dell'Autorità locale e nè reca impedimento all'azione regolare del Governo, bensì al solo arbitrio e cap!'iccio, perchè non attribuisce alcuna giurisdizione ai Sudditi di S. A. il Bey.

Del resto poi chi reclama i suoi diritti deve nello stesso tempo adempiere lealmente ai suoi obblighi, ed il contrario è pur troppo sin ora avvenuto al punto che non potendosi più avere alcuna fiducia alle promesse e parole del governo locale contraddette onninamente dai fatti e dalle arbitrarie C'Ontrarietà frapposte agli interessi italiani. Si è quindi dovuto cercare il mezzo di rimediarvi efficacemente per l'avvenire.

I principii della giurisdizione locale ove fossero stati rettamente applicati e· senza preconcetto scopo malevole, non avrebbero mai potuto produrre gli inconvenienti all'agricoltura che si lamentano: e quand'anche potesse portare qualche inconveniente, l'interesse privato dovrebbe cedere davanti alla utilità generale, al quale scopo si eserciterebbe l'Autorità locale, ed a tale scopo sempre sarebbe lieta di concorrere l'Autorità Consolare come pel passato: ma diversa è la cosa quando l'arbitrio ed il malvolere presiede a tale esercizio di diritti e l'Autorità subalterna rimane senza controllo; giacchè allora non si ha in mira l'utilità generale, ma si terrà a fare una guerra sorda alle fatte concessioni e si tenta di annullare cosi tutto il benefico frutto che si attendeva dalle stipulazioni del Trattato favorevoli agli Italiani.

Già si è risposto sopra circa alla questione se sia o no una nuova domanda· quella che si avanza dal Console Generale d'Italia, o piuttosto un modus vivendi ossia un'esecuzione del Trattato stesso, per cui non occorre più oltre confutare la eccezione del Governo locale derivata dal non essere trascorsi i sette anni prima dei quali non si potrebbe fare modificaziond oo aggiunte al Trattato del 1868. Solamente Qui si avverte che l'agire del Governo Tunisino dimostrando all'evidenza come egli intenda eludere la lettera e lo spirito del Trattato del 1868, non si comprende poi come egli invochi a suo favore la clausola del Trattato stesso relativa· ai sette anni. Il rifiuto stesso così esplicitamente manifestato dal governo locale è una prova della poca buona volontà di cercare una soluzione favorevole agl'interessi italiani ed anche ai vari interessi della Reggenza stessa fatta astrazione delle Estere influenze.

ALLEGATO III.

PINNA A HERZFELD

N. 64. Tunisi, l febbraio 1871.

Perdurando lo stato di cose che mi costrinse a rompere le relazioni col Bardo ed alcuni fatti testè accaduti dimostrando la necessità di una protezione per gl'italiani dimoranti nella Reggenza, le rinnovo oggi formalmente e per iscritto quella preghiera che già le :lleci verbalmente al primo insorgere del conflitto, di voler cioè ricevere sotto la protezione di cotesto I. R. Consolato Austro-Ungarico le persone ed i beni dei miei amministrati.

La cortese risposta che la S. V. Illustrissima fece alla mia domanda verbale, ed i cordiali rapporti esistenti fra i nostri due Governi, come fra i due Consolati, mi fanno sperare ch'Ella vorrà accogliere favorevolmente la mia preghiera.

ALLEGATO IV.

HERZFELD A PINNA

N. 12. Tunisi, 2 febbraio 1871.

In riscontro alla Sua pregiatissima Nota d. d. l" Febbrajo a. c. N. 64 ho l'onore d'esternare a V. E. Illustrissima i miei più vivi ringraziamenti per la fiducia in me riposta, e sarà col massimo zelo ch'io procurerò di disimpegnare i miei nuovi doveri, cioè di proteggere efficacemente gli interessi dei suoi Amministrati in questa Reggenza.

Spero che la missione temporaria affidatami gentilmente da V. S. Illustrissima sarà di breve durata, e che ben presto buone ed amichevoli relazioni si ristabiliranno tra il glorioso Regno, ch'Ella rappresenta si degnamente, e questa Reggenza.

Andrò a gara per dar espressione fedelmente ai cordiali rapporti che sussistono felicemente fra i Nostri due Governi, come fra i due Consolati.

ALLEGATO V.

PINNA AI RAPPRESENTANTI DELLE POTENZE ESTERE IN TUNISI

CIRCOLARE. Tunisi, 3 febbraio 1871.

Il sottoscritto ha l'onore d'informare i suoi Colleghi che stante la rottura delle relazioni diplomatiche fra il Governo di S. M. il Re d'Italia e quello di

S. A. S. il Bey di Tunisi, la protezione degl'Italiani nella Tunisia venne affidata all'I. R. Consolato Generale Austro-Ungarico. Il Consolato d'Italia continuerà ad attendere al disbrigo degli Affari interni di amministrazione e manterrà gli attuali rapporti cogli altri Consolati.

Nel fal'e questa partecipazione ai propri Colleghi, il Sottoscritto, profitta della circostanza...

(l) -Gruppo indecifrato. (2) -Cfr. nn. 41 e 90.
137

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 253. Bucarest, 7 febbraio 1871 (per. il 15).

L'imperatore d'Austria ha risposto alla lettera con la quale il princ1pe Carlo gli esponeva i pericoli della situazione interna dei Principati. Codesta risposta lfu ieri ·consegnata a Sua Altezza dal mio collega austroungarico. Tranne quelle del re di Prussia e dell'imperatore d'Austria, nessuna altra risposta è pervenuta a Bucarest, mentre scrivo, dagli altri Sovrani. Accuso ricevimento dei dispacci di serie politica che V. E. mi ha fatto l'onore di dirigermi fino al n. 31 inclusivo. Due giorni dopo l'arrivo di quello segnato al n. 3tl (l) ebbi agio di fare verbalmenlte a S. A. in un'udienza accordatami la comunicazione prescrittami da V.E. Quando dissi che S. M. il re nostro sovrano ed il suo Governo non potendo riconoscersi competenti a giudicare della situazione interna della Rumania debbono astenersi dal pronunziare un giudizio ed un'opinione sull'indole e sulla efficacia dei rimedi da introdurre nell'amministrazione interna del paese, il principe m'interruppe dicendo che prevedendo appunto codesta abbiezione per parte dei Governi esteri egli aveva pregato i Sovrani di agire di un comune accordo. Quando poi gli aggiunsi che nelle condizioni di perfetta sicurezza esterna di cui godono i Principati, noi eravamo lieti di scorgere una guarentigia che assicura al regime di Governo di cui la Rumania è in possesso il mezzo principale per essa di fortificarsi all'infuori di ogni influenza creata da competizioni straniere, Sua Altezza parvemi un momento scossa da codesta riflessione. Ed ai voti che noi formiamo per la di lui prosperità come per quella del paese affidato alle sue cure, il principe rispose che gli erano già note la lealtà dei sentimenti e l'amicizia sincera da cui S. M. il re d'Italia ed il suo Governo furono e sono animati verso la sua persona e verso la Rumania. L'impressione che riportai dal rimanente della conversazione fu che, deciso a non consultare che la propria sua dignità, il principe nutre sempre il progetto di ritirarsi nella vita privata, non appena le difficoltà finanziarie create

dal sospeso pagamento degli interessi delle azioni ferroviarie rumene, gli permetteranno di ciò fare convenientemente.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

T. 1577. Firenze, 8 febbraio 1871, ore 16.

Ministre de Turquie vient de me dire que Mussurus a l'ordre d'insister pour le maintien du statu-quo, c'est à dire le principe de la fermeture des détroits

10 -Documenti di~!omatici -Serie II -Vol. II

sans exceptions. Je vous confirme que j'accepte cette proposition, si elle est acceptée par Granville. Si l'Angleterre ne l'accepte pas, soutenez d'abord formule Brunow et subsidiairement celle que j'ai rédigée moi-meme et qui avait déjà l'adhésion de l'Autriche et de la Turquie. Nous écartons absolument la formule que Mussurus avait proposée il y a quelques jours. J'accepte aussi le péage modéré à établir seulement pour les navires qui remontent le Danube ou le descendent des Portes de fer à la mer. Pour la prorogation de commission européenne, déjà acceptée par tous en princ\pe mettez vous d'accord avec Granville et Appony.

(l) Non pubblicato.

139

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3523. Londra, 8 febbraio 1871, ore 19,55 (per. ore 4,40 del 9).

Je confirme que l'Angleterre et l'Autriche acceptent la formule de la Turquie, quand tout espoir d'acceptation de la formule Brunow de la part de la Turquie sera perdue, et qu'ainsi cette formule n'aura plus de chances dans la conférence. C'est ainsi que je vous ai télégraphié. Quant à la démarche faite par vous à Constantinople, elle a eu pour base de fait la supposition qu'après le refus obstiné et répété du sultan de cette formule, tout espoir fut perdu par la conférence, c'est à dire par toutes les puissances. Au contraire, l'observation que lord Granville m'a faite sur cette démarche a eu pour base le fait que tout espoir n'était pas perdu par la conférence; aussi, dans la réunion de la conférence du 3 courant, d'après une intelligence, on a fait une nouvelle tentative pour isoler la Turquie, en y constatant qu'elle était seule à refuser la formule Brunow. Je vous ai télégraphié cela ... (l) pour agir vivement à Constantinople, et par mon télégramme du soir du 3 (2), je vous ai prévenu que Mussurus Pacha prévenait la Turquie qu'on avait constaté qu'elle était seule. Tout espoir n'est pas perdu pour la conférence, pas meme à présent, car la réponse de Constantinople, arprès la ·constatation de son isolément, n'est pas encore arrivée ici. La cause du malentendu est donc uniquement dans les deux contraires hypothèses de fait susénoncées, et non pas ailleurs, comme il parait que vous le supposez. En fait, on sait parfaitement ici, et on le croit toujours, que vous désirez avant tout la réussite de la formule Brunow que j'ai toujours soutenue, et soutiendrai à outrance. C'est le }er courant que j'ai répondu à lord Granville, d'après votre télégramme. que vous préférez la cloture absolue à la formule turque, laquelle n'est maintenant que la formule Brunow ... (l) par Mussurus comme je vous ai télégraphié le 5 (3). Du reste, 1ord Granville ne m'a plus rien dit à l'égard de notre démarche à Constantinople, et moi j'insiste d'après vos instructions, auprès de lord Granville pour votre formule dans le cas seulement que la formule serait écartée de la conférence, et en cela je suis appuyé par le comte Appony, mais lord Granville ne se décidera pas probablement avant la réponse qu'on attend de Constantinople sur la formule Brunow. Je

dois pourtant répéter que quand la question sera réduite entre la clòture établie par le traité de Paris et la formule Brunow-Mussurus le Cabinet anglais préfèrera et acceptera cette dernière, quelle que puisse ètre l'opinion personnelle de lord Granville. C'est dans la prévision de ce cas, que j'ai demandé par le télégramme du 1er {l) vos ordres, et que le 3 je vous ai télégraphié que, faute de réponse de votre part, j'aurais suivi lord Granville: maintenant que vous m'avez télégraphié absolument que vous ètes décidé à refuser la formule Mussurus, je suis dans la nécessité de vous prier de m'ordonner si je dois l'accepter ou non, dans le cas où lord Granville l'accepte. En définitive, les limitations de mes pouvoirs, et tout ce qui s'est passé, exigent que je vous adresse cette prière pour couvrir ma responsabilité, et ne pas me trouver dans le cas de refuser moi seui une délibération à ce sujet, pour le cas où la seule formule Brunow-Mussurus reste debout. M. de Beust vient d'ordonner au comte Appony de l'accepter avec la condition que la faculté d'avoir un nombre illimité de navires aux bouches du Danube soit admise. Il doit mettre cette condition mème s'il était siìr qu'elle serait refusée unanimement: il est certain qu'elle sera refusée par tous, car elle fait revivre indirectement la première proposition de l'Autriche pour un nombre de navires propor!tionné aux navires de la Russie. Veuillez aussi m'ordonner si je dois voter pour ou contre cette condition. Si elle sera refusée rpar la conférence, le comte Appony acceptera aussi la formule

Brunow-Mussurus.

(l) -Gruppo indecifrato. (2) -Cfr. n. 111. (3) -Cfr. 122.
140

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGL'I ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3524. Tunisi, 8 febbraio 1871 (per. ore 10,10 del 9).

J'ai appris à l'instant que le Général Heussein part demain pour Florence recommandé aux ministres d'Angleterre et de Turquie. A cet égard je prends la liberté d'observer que si une médiation étrangère quelconque était acceptée, notre influence serait grandement compromise.

141

IL MINISTRO A BRUXELLES, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 311. Bruxelles, 8 febbraio 1871 (per. l'11).

Faisant suite à ma dépeche confidentielle du 3 courant (2) relativement à la grande manifestation Catholique du 2 de ce mois, je m'empresse d'informer

V. E. qu'hier soir, à une réception du Ministre de l'Intérieur, le Baron d'Anethan m'a pris à part pour me parler de cet incident et en atténuer autant que possible la portée. Il m'a dit qu'attaqué à ce propos dans la Chambre par les membres de la gauche, il avait bien diì nécessairement se défendre; mais que je devais assez connaitre ses sentiments modérés pour savoir qu'il déplorait une

manifestation à laquelle la liberté illimitée dont jouit la Belgique en matière religieuse et de droit de réunion, avait empeché le Gouvernement de s'opposer. J'ai répondu à M. d'Anethan que plus que personne j'etais partisan du principe de liberté, mais que je croyais cependant qu'elle avait de certaines limites, surtout lorsqu'il s'agissait d'exprimer publiquement une opinion sur des actes politiques d'un Gouvernement étranger.

Je lui ai en outre fait observer que les réductions de tarif accordées par le Ministère des Travaux Publics pour faciliter le transport des démonstrants, constituait [sic] un fait difficile à justifier au point de vue d'une stride neutralité. A cela M. d'Anethan a répliqué que camme l'avait établi son collègue, à la Chambre, ces facilités avaient toujours été accordées en semblable occurrence, quel que fut du reste le caractère politique de la· manifestation à organiser. Enfin M. d'Anethan a terminé en disant avec un air de très grande franchise, et en souriant, qu'il ne pensait pas que de semblables incidents, simplement regrettables, puissent donner lieu à des réclamations internationales.

Tout cela a été dit sur un ton tout-à-fait amicai, et je dois ajouter que l'initiative prise par M. d'Anethan, jointe à l'expression de ses regrets, me semblent à tel point modifier la situation dont je rendais compte dans mon rappor't précédent que, en supposant que V. E. me charge de quelque démarche auprès du Baron d'Anethan, j'attendrai encore cependant Sa réponse à la présente dépeche avant d'y donner suite.

En priant V. E. d'agréer tous mes remerciments pour sa dépeche du 31 Janvier dernier, série Politique N. 40, reservée (1), je saisis...

P. S. -Dans la meme conversation M. d'Anethan m'a parlé de l'incident Mérode, relatif à quelques coups de canon tirés sur un terrain appartenant à Son Eminence, à l'occasion de l'entrée de LL. AA. RR. le Prince et la Princesse de Piémont à Rome. Je lui ai répondu que je ne connaissais de cette affaire que ce qui en avait été raconté par les journaux, mais, qu'à mon avis, c'était encore là un de ces faits envenimés par l'esprit de parti et qui, comme l'incident Roelants, n'avaient en réalité aucune importance. D'après ce que j'ai cru pouvoir comprendre des paroles un peu vagues de M. d'Anethan, il ne serait pas impossible que Monseigneur de Mérode se prévalut de sa qualité de sujet Beige .pour essayer d'obtenir que sa réclamation se fìt jour par la vaie diplomatique. Mais tout ce qui pourrait lui etre accordé, se réduirait à une simple recommandation à M. Solvyns, en laissant naturellement aux Tribunaux du Pays le soin de juger de la question, si question il y a.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 112.
142

IL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 62. Washington, 8 febbraio 1871 (per. il 24).

Pochi giorni sono il Senato approvava all'unanimità una risoluzione tendente ad autorizzare il potere esecutivo a servirsi d'una nave dello Stato per

mandare dal porto di Nuova York in Europa un carico di commestibili a sussidio dei Francesi e Tedeschi, e raccolto per sottoscrizione privata.

La risoluzione essendo venuta innanzi alla Camera, uno dei Rappresentanti di Massachusett propose come amendamento di aggiungere la parola -e Boston -dopo quella di Nuova York, ed uno dei Rappresentanti di Pensilvania propose d'aggiungere -Filadelfia.

E con tali amendamenti la risoluzione passò parimenti all'unanimità. Di modo che fra pochi giorni partiranno dai porti sovra menzionati tre navi allo scopo di portare qualche sollievo alle vittime della guerra che da oltre sei mesi stà cagionando tante miserie in Europa.

(l) Non pubblicato.

143

IL MINISTRO DEI LAVORI PUBBLICI E REGIO COMMISSARIO A ROMA, GADDA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P Roma, 8 febbraio 1871.

Ti dirò subito che la fiera dei vm1 non si terrà nel palazzo della Cancelleria. Al Quirinale probabilmente si farà un ballo prima della fine del Carnevale per le ragioni che ti ho esposte. Il Lanza mi ha scritto in proposito che comprende non si possa evitare. Resta ad assicurarsi che non si faccia fiasco e per ciò vi penserà Cuggia ad assicurare il terreno e non tentare che cosa certa. I Principi continuano ad essere accolti bene e il Principe passa quasi ogni giorno una rivista a qualche Reggimento. Oggi o domani dovrebbe farne una ad un Reggimento che è di stanza prossimo al Vaticano, ma io gli dissi di non passare quella rivista in sulla piazza e portarlo altrove per considerazioni evidenti di convenienza e mi rispose che farà così. Le scene piccole della Messa domenicale ti saranno note e ti daranno una idea del dispetto e dell'ira che va crescendo nel partito vinto. La loro stampa poi segna un grado di caldo che non parrebbe si possa fare di più. I preti cominciano anche dal pergamo a dire frasi d'ingiuria poco equivoche e hanno frequenza di uditori, massime i Gesuiti. Insomma si vede che vogliono attaccare e pare a loro che noi abbiamo piuttosto perduto che guadagnato terreno, e quindi propizio il momento di farsi innanzi. Io non credo che misurano abbastanza con calma la posizione e però penso che il desiderio li illude. Per ora non sono forti e non credo che lo possano divenire senza che gli avvenimenti esterni non si modifichino in guisa da dare a loro un vero ed efficace appoggio. La loro impotenza pertanto io la credo derivare dalla situazione, e dalla maturità della questione, non già dalla forza nostra. Credo che tu non sia illuso e che tu pure pensi come penso io. Noi non abbiamo finora guadagnato terreno in Roma e ne abbiamo invece perduto. Ai clericali abbiamo strappate poche o punte persone di quelle che contino per influenza; e dei nostri abbiamo resi tiepidi tutti quelli che speravano grandi cose per il paese, e noi abbiamo potuto nulla fare, tranne che imporre tasse: abbiamo avversari al Governo, tutti coloro che volevano impieghi, guadagni e simili grazie, che noi non abbiamo per nessuno, e che gli avversari fanno intravvedere e sperare. Ove poi si è formata una nuova classe di malcontenti si è negli impiegati ex-pontificii che furono posti a riposo e che hanno una estesa diramazione di aderenti che fanno echeggiare dappertutto le loro strida. Questo è un guaio serio ed il Governo non trova un cane che lo difenda su questo ,terreno. E quello che vi ha di peggio in ciò si è che il Vaticano invita costoro e li alletta col dare e promettere le differenze di stipendio che perdono. E si aggiunga ancora che le nostre ridotte pensioni non si pagano presto perchè la formalità di liquidazione, di spedizione di mandati ecc. fa sì che in sostanza non sono pagati finora neppure di quel tenue resto che noi loro abbiamo lasciato. È un grandissimo argomento questo degli impiegati ed io tengo oggi appunto una conferenza con alcuni capi di servizio per vedere di studiare questa malattia. Puoi credere che fra queste condizioni la mia posizione non è lieta. La stampa, principalmente rattazziana, mi fa una guerra di ingiurie incessanti. Io non dispero della situazione, ma farei male se te ne dissimulassi la gravità. Ti scriverò presto ancora.

144

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI

T. 1579. Firenze, 9 febbraio 1871, ore 17,30.

Le ministre de Turquie nous a fait connaitre que si toutes les puissances insistent pour la formule Brunow, et refusent d'accepter celle de Mussurus, la Porte proposera le maintien du statu quo. Cette solution nous parait préférable à celle qui laisserait simplement à l'arbitre de la Turquie d'ouvrir les détroits à la Russie. C'est pour limiter en quelque sort cet arbitre et en déterminer au moins l'application que j'avais proposé moi-mème une formule. Cependant je désire connaitre les dernières instructions de Beust à Appony, car, d'après les nouvelles de Londres, le Cabinet anglais serait disposé à accepter de laisser à l'arbitre de la Turquie d'ouvrir ou de fermer les détroits et le préférerait mème à la clòture absolue. Ce n'est pas mon avis, d'autant plus qu'il n'y a pas de probabilité de faire admettre l'augmentation de la force et

du nombre des stationnaires aux embouchures du Danube. Télégraphiez-moi de suite les résolutions définitives de Beust.

145

IL CONSOLE GENERALE A NIZZA, GALATERI DI GENOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 96 (1). Nizza, 9 febbraio 1871 (per. il 12).

Alle sei di questa mattina io scriveva al Signor Sotto Prefetto di S. Remo di telegra'~re all'E. V. che alla mezzanotte si fece sotto le finestre della mia abitazione, ove si trova altresì il R. Consolato, una numerosa dimostrazione, alle grida di Viva Italia, Viva Nizza Italiana.

Pare però che il numero dei dimostranti, a quanto mi venne oggi detto in città, fosse forse il triplo di quello da me indicato al Sotto Prefetto di S. Remo, cioè ben oltre le duemila persone imperciocchè io mi son limitato a saltare giù dal letto a dare in camicia ed in fretta una occhiata dietro le cortine della finestra, senza aver potuto fare, a distanza nell'oscurità della notte, un calcolo .approssimativamente preciso.

I dimostranti cantando inni patriottici, fra cui vogliamo t'Italia libera del 1848, si misero in moto a percorrere la città e ad applaudire alle porte delle abitazioni dei loro candidati all'Assemblea costituente appena che si conobbero a tarda sera le quantità dei voti loro dati in città, e dopo la dimostrazione al Consolato si sciolsero tranquillamente senza alcun bisogno d'intervento della polizia.

I candidati del partito nizzardo italiano sono:

1°) Il Generale Garibaldi, questi è pure portato dai partiti francesi di vario colore politico, che ebbe voti 5.018; 2°) L'Avvocato Piccon 3.971; 3o) L'Avvocato Bergondi 3.848; 4°) L'Avvocato Borriglione 3.67·7.

Il signor Prefetto Dufraisse che è stato portato dal partito nizzardo francese non ebbe che 757 voti nella città di Nizza.

Queste indicazioni di voti si riferiscono solamente alla città di Nizza, ora restano a conoscersi i risultati dei paesi della montagna e delle altre città del Dipartimento che darò in seguito se giungerò a conoscerli prima della partenza del corriere, onde dall'addizione di essi si ricavi quali effettivamente fra i numerosi candidati del Dipartimento siano i quattro che avendo riportato la maggioranza dei voti, abbiano conseguito il mandato di rappresentarlo all'Assemblea di Bordeaux.

(l) Si tratta in realtà del rapporto 97, come risulta dal doc. n. 154.

146

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BRUXELLES, DE BARRAL

D. 41. Firenze, 10 febbraio 1871.

J'ai lu avec intéret le rapport que vous m'avez adressée (l) sur la manifestation catholique en faveur du rétablissement de la souveraineté temporale du Pape qui a eu lieu à Bruxelles le 2 février. J'ai lu aussi avec attention les débats auxquels cet incident a donné lieu dans la Chambre des représentants belges.

Habitué à laisser dans notre pays le champ libre à l'expression des opinions individuelles dans toutes les formes légales, le Gouvernement du Roi s'abstient d'exprimer aucun jugement sur les moyens que des partis hostiles mettent en reuvre à l'étranger pour défigurer aux yeux des populations notre conduite et nos intentions. Le langage violent de la presse beige, bien qu'il produise en Italie une impression facheuse ne m'a jamais décidé à vous charger de faire commencer des poursuites judiciaires, que nous aurions eu le droit de demander à un Gouvernement ami de l'Italie. Je sais que le parti ultra

catholique a beaucoup de partisans zélés en Belgique, mais je sais aussi que la cause libérale y a beaucoup d'amis, et les débats meme de la Chambre des représentants de Belgique dans la séance du 2 en sont la preuve.

.Cependant, le Gouvernement du Roi doit à soi-meme d'empecher que son silence ne soit attribué à d'autres motifs qu'aux sentiments libéraux de large tolérance auxquels sa •conduite s'est toujours inspirée, quelques mots prononcées par S. E. le Ministre des Affaires Etrangères dans la séance dont il s'agit, m'imposent précisément le devoir de lui faire connaitre loyalement dans cette occasion nos impressions. lVI. d'Anethan a dit que si on voulait en Belgique organiser en faveur de S. M. notre Auguste Maitre une manifestation du meme genre que celle qui vient d'avoir lieu dans un autre sens, le Gouvernement beige s'empresserait d'accorder le meme appui et les memes faveurs. Loin de moi la pensée de mettre en doute l'impartialité du Ministre des Affaires Etrangères et de ses collègues, toutefois, lorsqu'il a voulu voir dans la réserve que vous avez sagement gardée à cette occasion, une preuve que la manifestation catholique n'était pas formée dans un esprit hostile à l'Italie il m'a mis, par cela meme, dans la nécessité de rompre un silence, que, sans cela, j'aurais aimé à garder. Des incidents de CE~ genre ne sauraient, en effet, se renouveler sans avoir une certaine infiuence sur les sympathies sincères qu'animent l'Italie pour un peuple qui l'a précédée dans la pratique des institutions libérales, et dont la neutralité est un élément essentiel de prospérité. Des Gouvernements éclairés, et soucieux, comme celui de la Belgique, de prévenir toute cause de diffi.cultés internationales, doivent se préoccuper de maintenir non seulement les bons rapports offi.ciels, mais, aussi, les relations cordialement amicales entre les popu

lations. M. d'Anethan nous a don né déjà dans d'autres occasions trop de preuves de sa haute intelligence, et de son tacte exquis pour ne pas en convenir avec vous, et il suffi.ra que vous appeliez son attention sur ce point pour qu'il admette l'opportunité de faire tout ce qui appartient à des Ministres d'un Roi Constitutionnel pour prévenir le retour de ces facheuses démonstrations. Je sais que son autorité morale est grande soit à la Chambre soit sur l'opinion publique, et c'est là un motif de plus pour nous pour lui demander de l'exercer, ·comme il l'avait fait jusqu'ici, non pas pour ou contre certaines opinions, mais en faveur de la neutralité.

Veuillez donc, M. le Ministre, donner lecture de cette dépèche à S. E. le Ministre des Affaires Etrangères, sans toutefois lui en laisser copie.

(l) Cfr. n. 112.

147

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 78. Firenze, 10 febbraio 1871.

Col mio dispaccio del 12 scorso Gennaio N. 71 di questa Serie (l) io invitavo la S. V. Illustrissima a voler mettere in chiaro e favorirmi dettagliate informazioni sopra alcune circostanze di fatto importantissime a ben giudicare della

~7

)~

condotta del Governo Tunisino verso la Società Agricola Italiana. Il Presidente

di questa Società mi ha ora fatto pervenire copia di un Rescritto Sovrano col

quale il Bey mentre accoglieva la domanda del Signor Castelnuovo d'intrapren

dere la coltivazione della Gedeida, sottraeva detta tenuta alla comune giurisdi

zione, stabilendo che le tasse dovute dalle persone ivi impiegate venissero sod

disfatte per mezzo del loro Procuratore, il quale dovrà pure presentare gli

operai nel caso fossero chiamati al servizio militare.

Questo documento della cui autenticità e valore legale non posso dubitare, dà nuova e maggiore importanza alle circostanze cui sopra accennai ed è perciò ch'io mi rivolgo nuovamente alla S. V. Illustrissfma pregandola a voler verificare:

Se l'autorità Tunisina prima di procedere all'arresto degli operai della Ge

deida ne abbia o no fatta richiesta alla direzione della Società.

Se questa si sia rifiutata di consegnarli.

Se, in ogni caso, prima di procedere a misure coercitive l'autorità locale ne

abbia dato formale avviso a codesto R. Consolato perchè vedesse modo di appianare le insorte difficoltà. Le sarò grato, Signor Commendatore, se con quella sollecitudine che Le è abituale, vorrà favorirmi queste necessarie informazioni.

(l) Cfr. n. 40.

148

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 80. Firenze, 10 febbraio 1871.

Ho ricevuto i di Lei rapporti di Serie Politica segnati coi numeri 200 (l) e 201 (2) in data del 31 Gennaio. Nel primo di essi la S. V. mi ha reso conto della visita da lei fatta, il 25 dello stesso mese, al Generale Sidi-Mustafa Kasnadar per esplorarne le disposizioni relativamente alle nuove guarentigie che l'Italia crede necessarie 1per completare il Trattato del 1868. Ella mi informava, nel tempo stesso della visita che, per ordine del Bey, Le era stata fatta due giorni dopo dal Generale Elias Mussali per chiederle in iscritto la formola di una proposta allo scopo di proteggere gli interessi degli agricoltori italiani contro i danni ai quali possono dar luogo gli arbitrii e gli abusi che dalle autorità locali si commettono contro i pastori e coltivatori indigeni al servizio dei nostri connazionali.

Aderendo a tale domanda la S. V. ha consegnato al Generale Elias un progetto di dichiarazione di cui trovai copia nell'anzidetto rapporto. Al momento della partenza del corriere cioè altri 4 giorni dopo la consegna del sovra mentovato progetto di dichiarazione la S. V. non avea ancora ricevuto alcuna rispo

sta per parte del Bey, e non fu che con un telegramma del giorno 4 corrente (l) che Ella mi ha informato che un controprogetto Le era stato presentato in lingua araba; ma che fattane la versione in lingua italiana, tale progetto Le era sembrato assolutamente inaccettabile.

Aspetto col prossimo corriere di Tunisi il testo di questo controprogetto non meno che le osservazioni colle quali Ella lo avrà certamente accompagnato. Prima di averne preso cognizione debbo naturalmente riservare l'opinione del

R. Governo; ma in ogni caso Ella può stare sicura che il Governo di S. M: prenderà in attenta considerazione il parere ch'Ella avrà emesso in proposito e non s'inspirerà nella sua condotta che agli interessi della colonia affidata alla sua tutela.

(l) -Cfr. n. 105. (2) -Non pubblicato.
149

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 81. Firenze, 10 febbraio 1871.

Ho ricevuto ieri mattina il telegramma del giorno 8 (2) col quale Ella mi annunciava che il generale Heussein era in procinto di partire per l'Italia con una missione del Bey per il Governo di S. M. L'Inviato del Bey giungerà probabilmente oggi o domani a Firenze, e l'accoglienza che mi propongo di fargli dipenderà in gran parte da ciò che intorno alla missione affidatagli, la S. V. mi avrà certamente scritto. Aspetterò dunque anzi tutto di ricevere in mano i rapporti della S. V. per conoscere così l'importanza del personaggio inviatoci dal Bey come l'oggetto ed i limiti della missione affidatagli.

È intenzione del Governo italiano di non accettare discussione sovra i punti da V. S. proposti al Bey nell'udienza dopo la quale Ella si trovò costretta d,nterrompere le sue relazioni con S. A.

Questi punti dovranno essere eseguiti adunque prima che da noi si consenta ad ascoltare ciò che il generale Heussein sarà incaricato di esporci. E dappoichè come Ella accenna per telegrafo, l'inviato tunisino sarà raccomandato ai Ministri di Turchia e d'Inghilterra accreditati a Firenze, così a me non mancherà il mezzo, senza accettare nè declinare alcuna mediazione, di fargli sapere che la trattativa non potrà essere aperta prima che i punti anzi detti non siano stati eseguiti.

A questo partito noi abbiamo tanto maggior ragione di volerei attenere in quantochè basta un atto di buona volontà del Bey perchè sia immediatamente eseguito ciò che V. S. gli ha giustamente domandato. L'evacuazione immediata della casa indebitamente occupata alla Gedeida, la destituzione del Governatore, la punizione esemplare dell'autore degli arresti, fattisi senza ordine superiore fra le persone addette a quel podere, sono tutte cose che possono eseguirsi senza indugio alcuno. Il riconoscimento in massima del risarcimento dovuto per i danni

che furono la conseguenza naturale degli atti arbitrari commessi non può esser negato; come pure il Bey non può rifiutare di promettere solennemente che tutti gli altri affari italiani per i quali il Consolato generale ebbe da molto tempo inutilmente da insistere saranno sollecitamente definiti come la giustizia ed i trattati lo esigono.

La liquidazione dei danni arrecati alla Gedeida e la definizione di tutti gli affari pendenti dovranno certamente aver luogo il più sollecitamente possibile, tuttavia, animato da uno spirito di conciliazione e da sentimenti di benevolenza verso il Bey, il Governo italiano consentirebbe ad ascoltare il generale Heussein appena che a V. S. sarà comunicata ufficialmente l'accettazione del principio del risarcimento dovuto e la promessa di definire gli affari pendenti.

Ho fiducia che il Governo di Tunisi terrà conto della moderazione di cui il Governo del Re fa prova in questa circostanza a suo riguardo, e che egli comprenderà quanto sia importante per lui di approfittare della benevolenza dimostratagli affrettandosi ad accondiscendere11lla domanda che nell'interesse comune dell'Italia e della Tunisia Ella è stata incaricata di presentargli.

P. S. -Le cose esposte in questo dispaccio sono destinate a servirle di norma nel caso in cui, dopo aver ricevuto il corriere aspettato per domani, io non trovassi opportuno di modificare in qualche parte il contegno che mi propongo d'osservare verso l'Inviato tunisino. Ma se dopo aver letto i di Lei rapporti, mi risolvessi a modificare la linea di condotta che ho sovra esposto, la

S. V. sarebbe prontamente informata per telegrafo.

(l) -Cfr. n. 119. (2) -Cfr. n. 140.
150

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. RISERVATO 82. Firenze, 10 febbraio 1871.

Ho osservato che nel progetto di dichiarazione da Lei consegnato al generale Elias si trova una clausola che non era indicata nelle istruzioni datele col dispaccio n. 7,6 di questa serie (1). La formola da noi proposta è questa: «che i coltivatori, guardiani d'armenti, od altri contadini indigeni, al servizio d'Italiani non potranno esser perseguitati giuridicamente senza che l'autorità consolare italiana ne sia immediatamente informata onde proteggere e garantire gl'interessi dei suoi connazionali». A questa formola la S. V. ha aggiunto che il Consolato italiano dovrebbe inoltre essere informato dei motivi determinanti l'arresto o l'inseguimento dell'indigeno impiegato da Italiani per l'esercizio dell'agricoltura e pastorizia o di arti e di industrie connesse colle medesime.

Questa clausola altera sensibilmente l'importanza ed il significato della concessione che noi tendevamo ad ottenere in aggiunta od a complemento del nostro

trattato. Nè io saprei se al R. Governo possa convenire d'impegnarsi a sostenerla nelle sue ulteriori trattative. Nella ipotesi pertanto in cui Ella dovesse ripigliare i negoziati intorno a quest'oggetto, Ella non dovrà insistere che per l'accettazione d'una dichiarazione che sia conforme al testo indicato dal Ministero.

(l) Cfr. n. 92.

151

IL CONSOLE GENERALE A NIZZA, GALATERI DI GENOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3527. Nizza, 10 febbraio 1871, ore ... (per. ore 12,30).

Stanotte dopo le 12 una dimostrazione di seicento persone circa si è recata cantando inni patriottici italiani sotto le finestre del Console di S. M. ove si fermò 10 minuti con grida «Viva l'Italia > e poi si sciolse pacificamente.

152

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3531. Londra, 10 febbraio 1871, ore 18,35 (per. ore 9,40 dell' 11).

Après dernier refus de la Turquie la ,conférence est dans un moment d'arrèt pour concerter ce qu'on doit faire. Ce qui retarde la marche et rend difficile un accord entre les plénipotentiaires c'est, qu'en général leurs instructions fixent non seulement ce qu'ils doivent demander, accepter ou refuser, mais qu'ils sont aussi liés à suivre un ordre dans leur demande au tourne qui leur est fixé d'avance, et est différent pour chaque plénipotentiaire. D'après votre télégramme que j'ai reçu hier matin (1), je devrais soutenir en premier lieu le statu quo, quant aux détroits, et après la formule Brunow. Au contraire il y a de ceux qui, mème acceptant comme nous les deux partis, doivent faire passer la formule Brunow avant le statu quo. De telle manière je doute beaucoup si nous arriverons à nous entendre sur un projet. Hier, d'après le désir de Granville. j'ai eu une longue conversation avec Brunow, et deux avec Granville. Brunow serait disposé à soutenir sa formule refusée jusqu'ici seulement par la Turquie. Granville veut encore consulter ses collègues. Appony n'est pas autorisé à sou

tenir le statu quo. Si l'on se décidait à persister avant tout dans la formule Brunow, d',accord meme avec la Russie, je pense que vous consentiriez que j'y adhère, réservant de soutenir le statu quo après sans inconvénient. Le manque absolu de tout pouvoir discretionnel meme quant aux préférences, donnera toujours raison à la Turquie. Le jour de la réunion prochaine n'est pas fixé.

(l) Cfr. n. 138.

153

IL CONSOLE A FIUME, SEYSSEL DI SOMMARIVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 24. Fiume, 10 febbraio 1871 (per. il 13).

Non sarà forse senza interesse per l'E. V. nel momento attuale l'essere informata che il Console di Russia in Fiume, il quale aveva già sempre apertamente assunta la posizione di fautore del partito Croato mettendosi così in certa qual opposizione coll'Autorità Governativa Ungarica da poco tempo in qua ha spiegata molto maggiore attività a favore della propaganda Slava, che qui come in Ragusa, Zara, Cattaro ed altri punti di questo litorale dell'Adriatico la Russia non ha mai cessato d'esercitare, e di cui oggidì questa Potenza parrebbe voler raddoppiare gli sforzi.

Prova ne fu il fatto che in una delle ultime feste date dal Casino Croato di Fiume si portò, dietro invito a quanto pare del Signor Beresine Console Russo, un brindisi «all'Imperatore delle Russie che solo poteva assicurare col dominio suo la prosperità di questo litorale marittimo » ,che fu accolto con fragorosi applausi. Se 'si congiunge quest'indizio ,alla parte che, se non ostensibilmente, notoriamente almeno, presero Agenti Russi al sollevamento dei Boc,chesi di Cattaro, e le escursioni nel Montenegro e nella Rumenia dei Consoli Russi di Ragusa e Czernovitz, al certo non spiegabili dal numero di navi russe in tali porti dell'Ovest dell'Adriatico poichè tal numero è insignificante come dalle statistiche puossi rilevare (9. tra cariche e vuote giunte e partite nel 1869 p. es. in tutto il litorale austriaco ed l. nel litorale croato ora ungherese) ed aggiungendo a queste osservazioni quella che quasi tutte le navi mercantili russe sarebbero comandate da Capitani della marina di guerra russa con temporaria autorizzazione quando sono di tonnellaggio ragguardevole, non si può negare che l'azione della Russia si fa scorgere chiaramente lungo questo litorale. Quanto a Fiume specialmente, il Consolato russo, vera sinecura dal lato degli affari marittimi, è centro d'azione sulla Croazia del cui malcontento si cerca di trarre partito a profitto delle idee slave.

Non entrando nelle mie attribuzioni il giudicare della portata nè delle conseguenze prevedibili dei surriferiti fatti, mi limito a segnalarli all'attenzione di V. E.

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IL CONSOLE GENERALE A NIZZA, GALATERI DI GENOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 99. Nizza, 10 febbraio 1871 (per. il 13).

Devo cominciare a rettificare due errori di numerazione ai miei rapporti pregando di apporre il n. 97 in cambio del 96 al mio politico in data del 9 corrente (l) ed il n. 98 invece del 97 al mio di questa mane della stessa serie (2).

Recatomi stamane a passeggiare sul teatro dei disordini di ieri, vi trovai effettivamente sfracellati tutti i vetri delle finestre del Palazzo del Prefetto dal lato della via che porta il nome della Prefettura, e tutto il Palazzo circondato da numerose sentinelle di marinari di guerra col fucile al braccio. Ho rimarcato cose poco disciplinari, come sentinelle fumanti il sigaro, altre leggenti il giornale passeggiando col fucile.

Nella notte una massa di marinari di guerra chiamati qua pel buon ordine, forzò le porte del caffè di Genova tenuto da un italiano e si appropriò quanto vi trovò. Il derubato portò querela alla Autorità, la Giustizia informa, veglierò perchè sia fatta.

Per vieppiù precauzionarsi durante la notte il signor Dufraisse ha fatto venire da Villafranca sulla piazza della Prefettura sei cannoni che vi rimasero fino allo spuntare del giorno, ed egli stesso, che di soverchio valore non pecca, si fece da buona scorta di marinari e gendarmi stamattina accompagnare alla ferrovia, per andare in persona a contare l'occorso al Governo di Bordeaux.

Lasciò un proclama in cui dice di avere sospeso il Diritto di Nizza perchè istigava alla rivolta, alla violazione delle leggi e dei trattati e di avere perduto pazienza. Promette di ritornare fra breve se il Governo di Bordeaux approva il suo operato, come spera, e che in allora vedrà di soddisfare i voti dei nizzardi, lasciando loro la facoltà di scegliersi i membri del Consiglio Municipale.

Nel tafferuglio di jeri sera è stato arrestato certo Signor Milon, italiano, Vice Console di Russia a Villafranca. Informato dell'occorso da amici del Signor Milon pregai il Signor Vice Console di recarsi ad assumere informazioni. Il Signor Milon era già stato rimesso in libertà.

Sono al momento ore 5 pomeridiane assicurato che nella giornata si fecero parecchi arresti di nizzardi distinti che di nazionalità acquisita francese manifestano sentimenti italiani.

Ritorno da una passeggiata nella vecchia città e vedo sulla piazza della Prefettura due cannoni, squadre numerose di gendarmi a cavallo, pattuglie di poliziotti di 50 uomini, molte vie impedite alla circolazione dei cittadini, da squadre di marinaj, molte botteghe chiuse, e la popolazione esterefatta che contempla questo apparato di compressione. Una paura senza limiti domina le autorità francesi.

II Barone Elisi di S. Alberto si sarebbe effettivamente dimesso da Capo del Municipio e surrogato al posto dal farmacista Draghi. Mi si dà come sicuro il risultato seguente della votazione pei 4 Membri all'Assemblea: Garibaldi voti 20.314; Bergondi voti 14.271; Piccon voti 1\3.285; Borriglione voti 12.097; Dufraisse voti 11.056. Il Prefetto Dufraisse venendo il quinto sarebbe dunque escluso, e tutti i Membri sarebbero nizzardi per rappresentare il Dipartimento. La posizione si fa grave, e mi pare meritare la seria attenzione del Governo di S. M.

P.S. -Ieri fu sospeso il Diritto di Nizza, oggi doveva comparire la Voce di Nizza. L'autorità arrestò il Gerente responsabile e impedisce la vendita del foglio.

Rassegno preghiera che per mia norma mi si accusi pronto ricevimento di questo e dei precedenti miei rapporti.

(l) -Cfr. n. 145. (2) -Non pubblicato.
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IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. Londra, 10 febbraio 1871 (per. il 20).

Inerentemente alla riserva fattami col telegramma spedito il 7 a sera (l) subito dopo la 4a riunione della Conferenza, mi affretto a dirle succintamente le ragioni che Lord Granville addusse per non accettare (almeno per ora) la formola da ·Lei mandata qui, e proposta a Costantino!Poli. Queste ragioni ·credo di poterle riassumere nel seguente modo:

La tesi di Lord Granville è che codesta formola non è, in sostanza, che la formola Turca, massime se la si considera dal lato pratico, e che ha per di più l'inconveniente di prestarsi a modi diversi di intenderla. (La prego di notare, che quando dico formala Turca intendo di dire la formola Brunnow-Mussurus, cioè la formola Brunnow emendata da Mussurus colla soppressione delle parole Puissances non riveraines, e colla surrogazione delle parole Puissances amies; poichè, mediante questo accomodamento, la Turchia accetta la formala Brunnow, come le ho già telegrafato il 5 corrente) (1).

Granville incominciò a mettere per base, che in tutte queste proposte naturalmente si suppone che la Turchia alla cui facoltà sarebbe lasciato di aprire in certi casi gli stretti, è pur quella che deve ad ogni volta decidere che ne sia venuto il caso.

Ciò posto dire Puissances amies come propone Musurus, ovvero Puissances amies et alliées, secondo la formola italiana, è assolutamente lo stesso per la conseguenza che ne viene che la Turchia può aprire gli stretti a chi vuole, ed anche alla Russia. Questa fin d'ora è, e deve essere considerata come amica della Turchia, poichè è in pace con essa, e si trovano ambedue in buonissime relazioni. La condizione però che la nazione le cui navi si volessero dalla Turchia far passare dagli stretti debba anche essere alleata non mette nessuno ostacolo a che vi possa passare anche la Russia. Di fatto quando la Turchia, e la Russia siano in tali relazioni che la prima lasci andare avanti e indietro pel Bosforo la sua flotta, questo fatto solo proverebbe che sono alleate, e costerebbe poco anche il convenire in qualche cosa da cui si avesse questo risultato. Per altra parte la sola parola puissances amies della formola Turca applicata al consenso della Turchia pel passaggio di navi Russe nel Bosforo inchiude il concetto (praticamente) che la Russia sarebbe alleata della Turchia. Perciò, secondo Lord Granville, la formola Turca e la formala Italiana non differiscono punto ne' loro pratici risultati, nonostante il modo alquanto diverso con cui vi si enunciano le Potenze a cui la Turchia può accordare il passaggio per gli Stretti.

L'altra variante consiste in questo, che la formola Turca per indicare i casi in cui la Porta può aprire gli stretti dice: dans le seul cas où L'intérét de La securité de son empire lui ferait reconnaìtre la nécessité de la présence des batiments de guerre des Puissances etc. e la formala Italiana dice: dans le cas

où l'exigeraient l'exécution des stipulations du traité de Paris dUI 30 mars 1856.

Ora, secondo Lord Granville, queste due formole dicono con parole diverse la stessa ·cosa. Nel Tratttato di Parigi tutte le Potenze hanno garantito in ·comune (compresa la Russia) la indipendenza, e l'integrità dell'Impero Ottomano. Questa stipulazione, e tutte le altre fatte in quel Trattato sono dirette a questo scopo della sicurezza dell'Impero Ottomano. È dunque, in pratica, la stessa cosa il dire, ·che si apriranno •gli Stretti quando lo esiga la sicurezza dell'impero, -o quando occorra di far eseguire il trattato di Parigi. La pecca di queste redazioni, di:ce Granville, è in ciò, che ambedue ammettono che la Turchia può lasciare passare anche la Russia; e che il giudicare quando sia venuto il caso di lasciare passare spetta (com'è naturale) alla Turchia, nel mentre pare che in ambedue le redazioni i casi ai quali la Turchia può usare questa facoltà sono sempre gli stessi, cioè il caso generale della sua sicurezza. Per lasciare passare la Russia la Turchia non ha che da dire, che non si crede sicura dall'Austria, o dal Kedive, e nel caso di una guerra scoppiata, od incominciata tra la Russia, e l'Austria,

o con altra potenza, non ha che da dire che crede che la sua sicurezza stipulata col trattato di Parigi esige, che una flotta Russa passi gli stretti. E ciò lo può fare egualmente con ambedue le formole. Secondo Granville non vi sono che tre sistemi, -o chiudere assolutamente gli stretti a tutti in tempo di pace; od aprirli a facoltà della Turchia a tutti eccettuata solo la Russia; o farle facoltà di aprirli a tutti quando, a suo giudizio, lo esige la sua sicurezza, il che è come dire quando, ed a chi vorrà. Il primo è il trattato di Parigi, il secondo la formola Brunnow, il terzo la formola Turca. Se il primo, ed il secondo non si vogliono non resta che il terzo.

Ma volendo adottare questo terzo sistema (disse Granville) è meglio esprimerlo chiaramente. Invece la formola Italiana è concepita in modo, che è intesa in modo diverso, anzi contrario, come lo provano il modo di intenderla dell'Inghilterra, del Conte Beust e dell'Italia.

Questo è il riassunto ridotto ordinatamente delle parecchie osservazioni fattemi da Lord Granville.

Io non ho mancato di sottoporgli patecchie considerazioni per provare, che sebbene la formola Italiana sia lontana dalla formola Brunnow che l'Italia sosteneva anzitutto, e che non avrebbe abbandonato che allorquando non fosse più sostenuta dalle altre Potenze, pure essa era pur sempre migliore della formala Turca dal punto di vista delle Potenze che volevano almeno diminuire la facilità, e la probabilità del passaggio della flotta Russa nel Mediterraneo. Gli feci notare che, in sostanza, il trattato di Parigi a cui noi ci riferivamo era fatto contro la Russia; che i casi di pericolo per la Turchia che potevano sorgere da una violazione del trattato di Parigi, dovevano per lo più venire da minaccie della Russia; che perciò, se colla locuzione della formola Italiana la Russia non

era esclusa a priori (come Ella dice), cioè in principio, e per massima prestabilità nel Trattato, essa sarebbe stata, per le ragioni dette sopra, esclusa, almeno nella massima parte dei casi, nel fatto; che una alleanza della Russia, e della Turchia non potendo dirsi, che esistesse ora, non era poi neppure molto presumibile. Non posso però tacerle, che non ostante queste, ed altre ragioni da me addotte il Conte Granville non mi lasciò credere che avesse, fin qui, modificata la sua opinione, nè che fosse disposto ad appoggiare codesta di Lei proposta. Ciò non pertanto la sua opposizione non fu espressa in modo così definitivo, che mi possa impedire di insistere presso di lui nel mio assunto, il che non mancherò certo di fare.

Debbo poi soggiungere che il Conte Appony siccome già le telegrafai il 6 corrente mi disse, che il Conte Beust avevagli scritto, che, pel caso che la formola Brunnow fosse assolutamente scartata, egli credeva che la di Lei formola fosse felice, e che gli dava (per quel caso) l'ordine di appoggiarla presso Granville. Di fatto in questa circostanza il Signor Conte Appony, ed anche il Conte Szecen mi appoggiano.

Debbo ora riferirle ciò che riguarda l'impressione provata da Lord Granville per la comunicazione da Lei fatta a Costantinopoli di questa formola. A tal fine debbo fare un passo indietro per riassumere ciò che riguarda questa proposta.

Col di :Lei telegramma del 2 corrente (l) pervenutomi ad l ora antimeridiana del giorno 3 (nel quale doveva aver luogo la terza riunione della conferenza) Ella mi diceva che il diritto di Sovranità piena, ed intiera riclamato dalla Turchia sugli Stretti Le pareva poco ·Conforme ai principi del diritto delle genti per le grandi vie di comunicazione fluviali, e marittime. Il sistema attuale della chiusura degli Stretti Le pareva molto preferibile, perchè guarentiva le Potenze occidentali contro il pericolo di vedere la flotta Russa venire nel Mediterraneo, e riunirvisi a quella del Baltico. La Turchia poi non poteva nello stesso tempo domandare delle garantie alle Potenze occidentali contro la Russia, e riservarsi d'allearsi alla Russia contro di esse. Ella era pertanto d'avviso, che io dovessi metterìni d'accordo con Granville, ed Appony per insistere nella riunione della conferenza di quel giorno. Però nel caso che io avessi veduto, che l'Inghilterra, e l'Austria fossero disposte a cedere alle esigenze della Turchia Ella mi autorizzava a proporre preferibilmente d'accordo con Lord Granville, la seguente formola, insistendo perchè essa fosse, nella detta riunione, presa ad referendum: « Maintien de l'ancien principe de la fermeture des détroits, avec faculté à la Porte de les ouvrir en temps de paix aux flottes des Puissances amies, et alliées dans le cas où l'exigeraient l'exécution des stipulations du Traité de Paris du 30 mars 1856 ».

Sebbene all'una pomeridiana di quello stesso giorno si dovesse radunare la conferenza, pure potei vedere qualche ora prima Lord Granville recandomi alla sua casa. Ed avendo eseguito col medesimo quanto col predetto di Lei telegramma Ella mi aveva imposto, il Signor Conte mi disse che al punto in cui erano giunte le cose, e dopo tante variazioni, e difficoltà non credeva che fosse possibile di fare delle proposte nuove, e che credeva che rimanesse solo di scegliere tra le proposte Brunnow (la facoltà alla Turchia di aJPrire gli Stretti a tutte le Potenze meno la Russia) e la proposta Musurus (quella di aprire gli Stretti a tutte le Po:tenze, sempre a difesa della sicurezza della Turchia). Queste cose io Le notificava col telegramma speditole nel detto giorno subito dopo la conferenza. \Però nel telegramma stesso Le diceva, che nella conferenza si era

11 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. II

constatata per mezzo di dichiarazione fatta da ciascun Plenipotenziario l'accettazione di quattro articoli contenenti la formala Brunnow, l'abrogazione degli articoli 11, 13 e 14 del Trattato di Parigi del '56, e della convenzione speciale inserita nell'art. 14 e la conferma di tutte le parti non abrogate del Trattato. Le soggiungeva, che la sola Turchia non ammetteva le parole in fine della formala Brunnow dicenti: « Puissances non riveraines », volendovi surrogare le parole: « Puissances amies » e che Musurus si era riservato di partecipare a Costantinopoli questo risultato della riunione. Le diceva inoltre che da un telegramma che il Barone Brunnow aveva ricevuto dal Principe Gortschakoff risultava che la Russia aveva raccomandato amichevolmente a Costantinopoli l'accettazione delle parole «non riveraines ». Io la pregava inoltre di voler continuare ad insistere a Costantinopoli, e molto vivamente.

Col mio telegramma del precedente giorno 2 {l) io Le aveva poi già indicato lo scopo a cui miravamo col constatare ufficialmente, che la Turchia era sola nel detto rifiuto. Noi avevamo concertato questo sistema con Lord Granville perchè risultasse dell'isolamento della Turchia, e per poterla indurre ad accettare tutta la formala Brunnow.

Dovendo poi io ad ogni modo tenerlo informato di ciò che avrebbero fatto le altre Potenze nel caso che la formala Brunnow fosse stata rifiutata dalla Turchia non astante il nuovo tentativo che si stava facendo, io le diceva, che se il Sultano avesse persistito nel suo rifiuto la formala Turca sarebbe stata 'accettata da tutte le altre Potenze; che Appony vi era già autorizzato, e le

rinnovava la domanda se io dovessi pur fare lo stesso.

A questo riguardo già Le aveva significato col predetto dispaccio del precedente giorno 2, che, se la Turchia resisteva invariabilmente alla formala èli Brunnow il Governo Inglese non era disposto a sforzarvela, e che il Governo stesso, contro il di Lei avviso, ed il mio avrebbe accettato la proposta Turca a preferenza della chiusura stabilita col Trattato del '56. Io credeva però di sapere, che nel Consiglio dei Ministri i pareri erano stati divisi.

Ella mi replicava col di Lei telegramma del 4 corrente da me ricevuto la mattina del 5 (2) che dava l'ordine a Vienna ed a Costantinopoli di insistere per l'ac.cettazione della formala Brunow. Però, se non si giungeva a vincere la resistenza della Porta, Ella credeva che la sua formala mandatami fosse preferibile a quella che darebbe alla Porta la facoltà illimitata di aprire alla Flotta Russa del Mar Nero l'accesso al Mediterraneo. Ella mi pregava per tanto di comunicare la di Lei formala a Lord Granville, di domandargli, e di trasmetterle il di Lui avviso. Ella cortesemente soggiungeva, che aveva troppo bene esposto io medesimo gli inconvenienti, ed i pericoli di cedere ai capricci della Porta, perchè Ella avesse bisogno di aggiungere, che il Ministero, ed io stesso assumeremmo, rispetto al Parlamento, una responsabilità gravissima non tentando tutti i mezzi per evitare una eventualità che ci avrebbe posti in condizione di dover contare nel Mediterraneo una nuova Potenza marittima.

Io rispondeva tosto a questo di Lei telegramma con mio telegramma dello stesso giorno 5 (1). Le faceva presente che il dissenso che esisteva tra la Porta sola da una parte e tutte le altre Potenze dall'altra si concentrava tutto sulle ultime parole della formala di Brunnow « Puissances riveraines » che la Turchia voleva solo surrogare a queste le parole « Puissances amies » e che, ciò mediante, essa avrebbe accettato tutto il resto della formola Brunnow. Di fatto la sola differenza fra la pretesa della Porta, e la proposta Brunnow accettata da tutte le Potenze consisteva nell'escludere, o non la Russia dal passaggio negli Stretti; e questa differenza veniva appunto espressa dalla sola variazione delle parole ora indicate. Io Le faceva inoltre notare che la di Lei formola l'aveva già comunicata a Lord Granville, e che ne aveva già dato notizia a Lei col mio telegramma del 3 corrente (1), significandole che in allora Lord Granville mi aveva risposto che egli non credeva possibile di fare nuove proposte e che perciò per la sua parte egli non l'aveva accettata nello stesso giorno 3 all'imminenza della 3a riunione della Conferenza. Io mi permetteva inoltre di pregarla a voler considerare che il soggetto del dissenso si riduceva al punto di escludere o non la Russia dagli Stretti. Ciò posto mi si sarebbe inevitabilmente domandato se colle parole della di Lei formola: « Puissances amies et alliées » Ella intendesse di escludere, o non la Russia. Nel primo ,caso la Turchia avrebbe detto, che la di Lei formola era la formola Brunnow; nel secondo caso le altre Potenze avrebbero detto, che era la proposta della Porta. Le soggiungeva che, in seguito ai di Lei telegrammi io non mi sarei creduto autorizzato a proporre la di Lei formola nella Conferenza medesima, se Lord Granville non la sosteneva. Niuno poi certamente avrebbe più di me deplorata l'accettazione della formola Turca per parte di tutte le altre Potenze dopo, massime, la sola resistenza della Turchia; ma pur parevami che nessuno avrebbe potuto accusare l'Italia di non avere persistito essa sola a rifiutarla, nel mentre che il suo Plenipotenziario, anche per l'avviso degli altri, era quello che più efficacemente di tutti aveva promossa, e sostenuta la formola Brunnow. Conchiudevo poi dicendo che, non dovendo io, secondo le di Lei istruzioni, separarmi da Lord Granville avrei fatto, in ciò, quello che egli avrebbe fatto. Per altra parte le soggiungeva, che, se la Turchia insisteva nel suo rifiuto, tutte le altre Potenze, e l'Austria stessa avrebbero certamente accettata la proposta della Porta, il che mi risultava da una dichiarazione fattami, a riguardo dell'Inghilterra da Lord Granville, e, quanto all'Austria, da una confidenziale comunicazione delle sue istruzioni più recenti.

Il mattino del giorno 6 mi perveniva il di Lei telegramma della sera del giorno precedente (2) con cui Ella mi significava che un telegramma di Costantinopoli Le faceva sapere che Aali Pachà persisteva nel rifiutare la formola di Brunnow; ma che esso pareva disposto ad accettare la formola che Ella mi aveva mandata, e che gli avrebbe dato all'indomani una risposta definitiva. Ella mi invitava a comunicare ciò a Lord Granville, ed a procurare di dimostrargli, che la di Lei formala era, in ogni caso, più conveniente alle Potenze occidentali

che non quella della Turchia, e di pregarlo di accettarla, e di raccomandarla a Pietroburgo, ed a Vienna.

Io le replicava nello stesso giorno 6 con telegramma (1), che la notizia del rifiuto ripetuto da Costantinopoli della formola Brunnow che Ella aveva ricevuta doveva certamente essere anteriore all'arrivo in quella Città della notizia del risultato della riunione del 3 della Conferenza. Di fatto avendomi Ella telegrafato il 5 la notizia a Lei diretta aveva dovuto probabilmente partire da Costantinopoli il 4; ed in quel giorno era difficile, che vi fosse già giunta la comunicazione della deliberazione della Conferenza durata sino a notte il 3, e tanto più che il nostro Ministro colà avesse già potuto sapere ciò che, dopo quella deliberazione delle Potenze, Aali Pachà avesse creduto di rispondere. Le soggiungeva che neppure in quel giorno -6 -Mussurus aveva ancora ricevuto da Constantinopoli la risposta di Aali Pachà al risultato della 3a riunione comunicatogli. Si fu con questo telegramma, che io La informava, che avendo io fatto a Lord Granville la comunicazione da Lei prescrittami, egli non mi aveva celato il suo dispiacere di che la comunicazione della di Lei formola, la quale importava un abbandono della proposta Brunnow, fosse stata comunicata a Costantinopoli nel momento stesso in cui per parlte della conferenza vi si faceva un nuovo tentativo per indurre la Porta ad accettare appunto la formola Brunnow. Ciò, egli mi diceva, incoraggerà la Porta nel suo rifiuto della formola Brunnow. Io feci tutto il mio potere per distruggere questa impressione, e gli feci notare, che dal di Lei telegramma risultava solo che si era fatta a Costantinopoli una esplorazione, e non già una proposta. Gli comunicai di nuovo la di Lei formola, ma solo pel caso, che la formola Brunnow fosse definitivamente abbandonata. Granville mi si mostrò sl poco disposto a considerarla come utile, che egli mi disse, che avrebbe ancora preferita la formola della Porta, ossia la formola Brunnow emendata da Musurus. Io feci ogni mio potere per combattere Questa opinione, ed a questo riguardo mi riferisco a quanto ebbi l'onore di dirle al principio della presente lettera sia a riguardo delle mie osservazioni che delle risposte di Lord Granville. Il risultato di questa conversazione non fu che Lord Granville si rifiutasse affatto dall'accettare, per quanto lo riguardava, questa formola, per la quale però ad un tempo non manifestò alcuna adesione; ond'è che questo soggetto rimase in istato di sospensione, e di riserva per ulteriore esame. Ciò non poteva avere inconvenienti per le deliberazioni della 4a riunione della Conferenza che doveva aver luogo l'indomani, essendochè Lord Granville mi disse, che preoccupato del fatto dell'assenza della Francia in sì grave discussione egli avrebbe proposto di rimandare una deliberazione ad altro giorno nel

caso, che fosse giunto un nuovo rifiuto della Porta; poichè la proposta Turca capovolgeva, ed alterava troppo profondamente il trattato. Avendo poi io conferito col Conte Appony, e col Conte Szecen essi mi dissero aver ricevuto notizie della di Lei formola dal Barone Beust il quale l'aveva trovata felice. Però sì l'uno che l'altro vollero essere da me rassicurati che io non l'avrei posta innanzi se non quando la Conferenza avesse ritenuto di dovere, pel rifiuto della Turchia, abbandonare la formola Brunnow.

Rispondendo alle comunicazioni fattele coi miei precedenti telegrammi Ella mi significava con telegramma del 6 da me ricevuto il giorno 7 (l) che la di Lei redazione aveva precisamente il vantaggio di non escludere a priori la Russia, ma nello stesso tempo di non lasciare ai capricci della Turchia l'aprire il Mediterraneo alla flotta Russa. Bastava a questo effetto il dire, che gli Stretti non potrebbero essere aperti alle flotte di tutte le altre Potenze, che allorquando l'integrità dell'Impero Ottomano fosse minacciata. Per fissare il punto del dissenso tra Lei, e Lord Granville noterò, che questi risponde, che la sicurezza dell'Impero Ottomano è appunto la condizione che anche la formola Brunnow (adottata da Musurus in ciò) pone per legittimare l'apertura; senonchè, egli soggiunge, che la di Lei formola è anche eguale in quanto apre gli Stretti in questo caso anche alla Russia, che è pure garante della Turchia nel Trattato del '56. Ella soggiungeva, che, supposta una guerra tra l'Austria, e la Russia per la Polonia, o per la Boemia se gli Stretti erano chiusi ai Russi, ed agli Austriaci la guerra sarebbe stata localizzata al nord dell'Europa, e l'Italia potrebbe rimanere neutrale. Avendo io approfittato di questo esempio con Lord Granville in un successivo colloquio egli mi rispose, che non poteva ammettere che in tal caso la di Lei formala chiudesse gli Stretti alla Russia, ed all'Austria; la Turchia avrebbe diritto di vedersi minacciata dall'Austria, ed avrebbe diritto perciò di aprire gli Stretti alla Russia sola. Per ultimo Ella faceva osservare, che, in ogni caso, se la Porta accettava la di Lei formala ella la credeva preferibile a quella di Musurus. Che se essa non l'accettava ella credeva preferibile il principio della chiusura assoluta degli Stretti senza alcuna eccezione. E veramente se m'è lecito esprimere il mio avviso dirò che se si mira allo scopo di non lasciare entrare la flotta Russa nel Mediterraneo, non vi sono che due sistemi, cioè od ammettere la facoltà della Turchia di non aprire gli Stretti che alle Potenze occidentali, ad esclusione della Russia; ovvero chiudere gli Stretti sempre, ed a tutti in tempo di pace.

Ella ritornando sulla impressione che aveva fatto a Lord Granville la comunicazione fatta a Costantinopoli della di Lei formala con telegramma del 7 pervenutomi il giorno 8 (2) mi diceva, che non era che dopo di aver constatato col mezzo della nostra Legazione a Costantinopoli il rifiuto ostinato e ripetuto della Porta di accettare la formala di Brunnow, e dopo di aver avuto da me la notizia che Appony e Granville erano awtorizzati (3) ad accettare la formala Turca che Ella aveva messo avanti un'altra redazione. Questa era stata accettata dalla Porta con delle modificazioni che ne alteravano un poco il significato. Ella mi diceva credere, che, leggendo i suoi telegrammi, io vedrei chiaramente che Ella era contentissima della formala di Brunnow, che era decisa a rifiutare la formala di Musurus, e che non aveva proposta la formala Italiana che per evitare l'accettazione della redazione Turca; e che se l'Austria, l'Inghilterra, la Russia, e la Turchia preferivano il principio assoluto della chiusura assoluta degli

Stretti, Ella se ne contenterebbe. Ciò che importava era di non lasciare al capriccio della Turchia l'introdurre in tutti i casi di guerra offensiva, o difensiva che potrebbero prodursi, la flotta Russa nel Mediterraneo. Dappoichè la Porta non voleva far distinzione fra le Potenze occidentali, e la Russia, e che il Sultano era impegnato a volere i suoi diritti assoluti di Sovranità era naturale, che l'eccezione a farsi al principio della chiusura degli Stretti fosse limitata al caso, che è solo da prevedersi in questo momento, cioè all'esecuzione del Trattato di Parigi. Del resto Ella mi ripeteva ,che, se le altre Potenze cadevano d'accordo nel mantenere la chiusura assoluta degli Stretti Ella ne sarebbe stata assai contenta, perchè questa combinazione Le pareva preferibile a qualunque altra se (l) la formola Brunnow non fosse accettata.

Questo telegramma mi lasciava temere che Ella credesse che il dispiacere mostrato da Lord Granville pel passo fatto a Costantinopoli per la di Lei farmola provenisse da che lo stesso Granville avesse ritenuto che questo passo vi fosse stato fatto per mettere ostacoli alla accettazione della formola Brunnow per parte del Sultano. Perciò il giorno 8 corrente Le spediva un lungo telegramma (2) diretto a chiarire quale fosse stato il vero motivo dell'impressione, e del giudizio di Lord Granville, quale fosse stata la causa del dissenso, e per escludere poi affatto che Lord Granville avesse trovato, o veduto una intenzione di contrastare la formola Brunnow. Io pertanto appoggiandomi alle dichiarazioni che Lord Granville mi aveva fatte sulle deliberazioni del suo Gabinetto, ed alle confidenziali comunicazioni del Conte Appony le diceva, che confermava ancora che l'Inghilterra e l'Austria accetterebbero la formola della Porta (Brunnow-Musurus) allorquando ogni speranza di accettazione della formola Brunnow per parte della Turchia fosse perduta dalla Conferenza, e che perciò questa formola non avesse più possibilità di riuscita. Ora il passo da Lei fatto a Costantinopoli aveva avuto per base la supposizione che il rifiuto ripetuto, ed ostinato di questa formola per parte del Sultano, e di cui Le aveva telegrafato il nostro Ministro a Costantinopoli, avesse tolto alla Conferenza ogni speranza della riuscita della formola stessa. Per l'opposto l'osservazione fatta da Lord Granville aveva avuto per base il fatto contrario, cioè che ogni speranza non era perduta. Diffatto nella conferenza del 3 corrente in seguito alle intelligenze qui prese si era fatto un nuovo tentativo per isolare la Turchia constatando in essa officialmente che essa rimaneva sola a rifiutare la formala Brunnow. Io Le aveva appunto telegrafato ciò la vigilia della detta riunione (cioè col telegramma sovra riferito del 2) (3) facendole notare l'importanza di approfittare del tempo per agire vivamente a Costantinopoli, e coll'altro mio telegramma della sera del 3 (4) (pure sopra riferito) l'aveva resa avvisato che Musurus Pascià preveniva la Porta che nella conferenza si era constatato che essa era sola a rifiutare la formola Brunnow. Le soggiungeva che la speranza non era qui

perduta neppur nel giorno che le telegrafava (giorno 8) poichè la risposta di Costantinopoli dopo la cognizione per parte di quel Governo della constatazione fattasi qui del suo isolamento, non era ancora arrivata qui. La causa dunque del malinteso era unicamente riposta in ciò, che si era partiti dalle due contrarie ipotesi di fatto sopra enunciate, e non era in qualsivoglia altra ragione, come pareva che Ella avesse supposto. Dirò ora che si era appunto verifi.cato ciò che io aveva previsto col mio telegramma diretJtole il giorno 6 (l) (sopra riferito) cioè che le notizie del persistente rifiuto della Porta della formola Brunnow da Lei ricevute da Costantinopoli erano anteriori all'arrivo colà della notizia delle deliberazioni della riunione del 3 della Conferenza. Ad escludere poi che il malinteso fosse attribuibile ad altro io Le significava inoltre che Granville sapeva benissimo, e credeva pur sempre che Ella desiderava anzitutto la riuscita della formola Brunnow, la quale io aveva sempre sostenuta, e che sosteneva a tutto mio potere. Egli era poi sin dal l<> corrente che io aveva, in seguito al di Lei telegramma sovra riferito pervenutomi lo stesso giorno (2), ,signtficato a Lord Granville che Ella preferiva la chiusura assoluta alla proposta Turca, la quale (io notava) ora non era, che la stessa formola Brunnow emendata da Musurus, siccome già le aveva telegrafato il giorno 5 (1). E questa dichiarazione ebbi occasione di ripetere a Lord Granville di poi, e parecchie volte. Del resto poi Lord Granville non mi aveva più detto nulla a riguardo del passo da Lei fatto a Costantinopoli, ed io continuava ad insistere, inerentemente al di Lei ordine, perchè, nel solo caso, che la formola Brunnow fosse abbandonata dalla Conferenza, la di Lei formola fosse accettata, nel che era appoggiata dal Signor Conte Appony. Le soggiungeva, che, probabilmente Lord Granville non si sarebbe deciso finchè non fosse giunta la risposta, che ancora aspettavasi da Costantinopoli. Ed io le ripeteva che, allo stato delle cose in quel giorno, rimaneva pur fermo, che, allorquando la questione fosse ridotta fra la chiusura assoluta stabilita dal Trattato di Parigi, e la formola BrunnowMusurus, il Gabinetto Inglese avrebbe preferito, ed accettato quest'ultima, qualunque pur fosse l'opinione personale di Lord Granville, il quale non mi aveva confidenzialmente celata la sua preferenza, per quel caso, della chiusura assoluta.

La notizia dell'ultimo rifiuto della Porta di accettare la formola Brunnow, e della sua disposizione a mantenere la chiusura assoluta degli Stretti, cioè il Trattato di Parigi, giunse qui poco prima, che io ricevessi il di Lei telegramma dell'8 pervenutomi il 9 (3), che mi significava, che Ella pu11e già la conosceva. Non e·ssendosi presa finora nessuna deliberazione limito questo mio rapporto al soggetto fin qui discorso, riservandomi di ripigliare l'esposizione dei fatti relativi alla conferenza in altro rapporto che farà seguito al mio precedente ultimo del 16 corrente (1).

Mi voglia però permettere, che prima di chiudere questa lettera io Le esprima il mio avviso personale, il quale, qualunque esso sia, non impedirà

mai che io faccia ogni sforzo per seguire la linea che mi è tracciata dal Governo, e che è mio stretto dovere di eseguire. Per mio avviso, i due soli sistemi opportuni, e convenienti sono la formala Brunnow, e la chiusura assoluta degli Stretti. La prima ha il vantaggio di dare nella questione Orientale, e per le attuali concessioni che si fanno alla Russia una specie di equivalente nella preponderanza delle Potenze Occidentali nel diritto di passare gli Stretti a facoltà della Turchia. La seconda non ha questo vantaggio, lascia le cose come sono, e fa, che le concessioni fatte alla Russia ora sono veramente senza alcuno di quegli equivalenti di cui si era menato tanto rumore, e che erano stati posti come una condizione sine qua non. Però c'è modo di difendersi dicendo, che fu la Turchia stessa che rifiutò la formala Brunnow. L'altro scopo importantissimo di non aprire il Mediterraneo alla Russia è pure tutelato da ambedue questi sistemi; ma esso è affatto perduto con tutte le altre proposte, ed anche (mi perdoni la confidenziale mia franchezza) colla di Lei formala. Io sono dell'avviso di Lord Granville, a questo riguardo, per le sue ragioni che Le ho riferite in principio di questa lettera. La Russia è in perfetto antagonismo coll'Austria in Oriente e quest'antagonismo esiste ugualmente tra la Turchia, e l'Austria. Perciò la Russia, che ha pur garantito nel Trattato di Parigi l'Impero Turco, è già anch'essa alleata della Turchia in dritto, e lo può essere di fatto in ogni momento che la Turchia abbia più paura dell'Austria. E si tratterà sempre dell'osservanza del Trattato di Parigi quando l'Austria, e la Russia essendo in guerra tra loro, od una di esse, od ambedue con altre Potenze, la Turchia avendo paura dell'Austria dirà, ed avrà diritto di dire (poichè è dessa che lo deve decidere) alla Russia che Le lascia il diritto di passare per gli Stretti. Noti che nel rifiuto della Porta della formala Brunnow la paura, ed il sospetto dell'Austria c'entrano per molto. Ond'è che, praticamente, avverrà che quando alla Russia converrà di passare, un po' con le buone, un po' colle insinuazioni contro l'Austria, un po' per la paura che la Turchia ha dell'Austria, ed un po' per causa delle circostanze, essa passerà, e verrà a trovarci nel Mediterraneo, e chi troverà che ciò non sia ammessibile, se vorrà farla ritornare nel Mar Nero dovrà dichiararle la Guerra. Per non lasciare uscire la Russia dal Mar Nero è necessario che gli Stretti le siano assolutamente chiusi, od a Lei sola od a tutti. Granville è venuto pienamente nel mio avviso quanto al pericolo che vi era ad aprire alla Turchia l'adito nel Mar Nero, sebbene da principio non la pensasse così, e mi pare che ora ne sia persuaso, e convinto quanto me. Non posso celarle, che dopo di aver scritto la seconda facciata di questo foglio Granville mi disse che erano i Gabinetti stessi, che avevano incoraggiata la Turchia a persistere nel suo rifiuto della formala Brunnow. L'Austria, mi disse, fece sapere alla Turchia che avrebbe accettata anche la di Lei proposta se essa consentiva alla proposta Austriaca di ammettere alle bocche del Danubio un numero illimitato di Bastimenti da guerra. Voi, soggiunse, le avete detto che avevate un'altra vostra formala, la quale apre gli Stretti alla Russia; e la Turchia vedendoci così poco uniti ne ha approfittato. Io credo, mi soggiunse, che se fossimo stati ben uniti nell'azione, e che se tutti i plenipotenziarii avessero avuto un po' più di libertà di apprezzamento, noi qui ci saremmo intesi, avremmo proceduto d'accordo, e che saremmo riusciti. Noti che Granville mi

diceva ciò, nel mentre so che, fin qui, il Gabinetto ,Inglese, nel caso che non possa riuscire la formola di Brunnow, preferisce la stessa proposta Musurus alla chiusura assoluta. Però mi ha detto, che prima di serrare i gruppi vuoi convocare ancora il Gabinetto. Vedremo dunque se questo non vorrà modificare il suo avviso almeno nel senso di accettare il principio della chiusura assoluta, cioè lo status quo, il che deplorerei, quanto a me, grandemente, perchè l'affare finirebbe, a mio avviso, con poco decoro per le Potenze, e con nuovi danni, oltre la diminuita sicurezza in Oriente. In questo caso non sarebbe poco probabile che la di Lei formola fosse preferita, dappoichè Beust la appoggia, e, naturalmente, anche in questo caso, io farò scrupolosamente il mio dovere.

(l) Non pubblicato.

(l) Cfr. n. 108.

(l) -Cfr. n. 111. (2) -Cfr. n. 116. (l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 122.

(l) Non pubblicato.

(l) -Cfr. n. 127. (2) -Cfr. n. 130. (3) -Cifra sbagliata [No.ta del documento]. (l) -Cifra sbagliata [Nota del documento]. (2) -Cfr. n. 139. (3) -Cfr. n. 111. (4) -Non pubblicato. (l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 10?.. (3) -Cfr. n. 138.
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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI

D. 81. Firenze, 11 febbraio 1871.

Photadies Bey mi ha comunicato un telegramma di Aali Pascià col quale gli venia ordinato di dichiararci che la Sublime Porta non avendo mai rinunciato ai suoi diritti di sovranità sulla Tunisia, non avrebbe potuto astenersi dal prendere una parte diretta alle vertenze di quella Reggenza quando l'Italia intendesse ricorrere contro la medesima a mezzi di coazione materiali. L'Inviato ottomano ha particolarmente insistito perchè le difficoltà insorte fra il R. Governo ed il Bey di Tunisi siano composte mediante l'intervento della Porta.

Mi attenni sostanzialmente nelle mie risposte a quanto ebbi già occasione di scriverle. Feci osservare all'Inviato Ottomano che allorquando trattavasi di far valere a Tunisi le ragioni dei creditori stranieri della Reggenza, la Turchia non avea mostrato alcun desiderio di intervenire e lo pregai di riflettere che quando un Governo è in possesso di una completa autonomia amministrativa come quella di Tunisi non può essergli permesso di declinare la responsabilità dei suoi atti. Ove fosse altrimenti, il Governo Tunisino godrebbe d'una assoluta immunità che noi non siamo in alcuna guisa disposti a riconoscergli. Trattando direttamente colla Reggenza gli affari degl'italiani colà stabiliti noi non entriamo in discussione sulla posizione politica della Tunisia rispetto alla Turchia, ma intendiamo seguire la tradizione costante della nostra diplomazia e di quella delle altre Potenze europee.

Cionondimeno ho detto al Signor Photadies che noi non contestavamo ad alcuna Potenza il diritto di far sentire alla Tunisia i proprii consigli ed anzi soggiunsi che se quelli che da Costantinopoli saranno mandati al Bey, saranno come non ne dubito, nel senso d'aderire alle nostre giuste domande, noi saremo grati alla Porta d'aver adoperato in questo senso la propria influenza. Insistetti però sempre nei miei discorsi col Photadies sovra questo punto che cioè l'Italia intende regolare direttamente con Tunisi gli affari ai quali dan luogo gl'interessi della sua colonia in quel paese.

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L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 93. Belgrado, 11 febbraio 1871 (per. il 18).

Già al primo promulgarsi della costituzione serba che regge al presente il Principato, ed inviandone la traduzione al Ministero con alcune osservazioni, io mi fermai all'articolo quarantottesimo, il quale esclude dal numero delle persone eleggibili alle funzioni di Deputato tutti gli impiegati attivi o pensionarii, gli ufficiali dell'esercito regolare e gli avvocati: il Principe ha solo il diritto di sceglierli e comporre con persone che appartengono a queste classi il numero di deputati che lo Statuto gli concede di nominare direttamente.

Lo studio del progresso della legislazione interna negli stati occidentali è meno importante a mio avviso che quello che riflette i popoli orientali: perchè dal modo col quale questi si accingono ad essa puossi con sufficiente sicurezza giudicare del grado di civiltà al quale sono giunti e dedurne la misura dell'ascendente ed, in pari guisa, del diritto all'egemonia che acquisteranno sui popoli di una stessa schiatta: e se nella legislazione loro politica si trova alcun provvedimento che opponga un ostacolo insuperabile al progresso è mestieri l'indicarlo, e se ciò fosse stato fatto con successo contro alcuni articoli della costituzione Ellenica forse quel paese si sarebbe educato alla libertà e non

avrebbe al contrario veduto spegnersi nella misura stessa in cui cresceva lo sgovernarsi suo all'interno, l'importanza dell'ascendente suo sui popoli della Tessaglia e dell'Epiro.

Temo assai che l'articolo 48 dello Statuto Serbo non sia l'uno di questi ostacoli: esso consacra il diritto all'ignoranza e col pretesto che gli uomini di legge sono, perchè tali, mestatori pericolosi alla quiete dello Stato furono condannati a priori all'ostracismo e con essi è chiusa la porta a qualunque onesta ed indipendente cooperazione delle persone intelligenti al governo del paese. Il provvedimento parmi essere il non plus ultra dell'oscurantismo e non mi sovvengo che fra le tan'te costituzioni elaboratesi fin qui, una sola contenga uno sproposito di tale fatta.

La conseguenza prima e la quale già comparve nell'ultima Assemblea (dei lavori di essa invierò una particolareggiata relazione a V. E.) si fu di estendere l'influenza della classe commerciale, che per la natura sua richiede in chi la esercita un certo grado di coltura. Non v'ha in Serbia, come in Rumania, la classe di proprietarii territoriali o di armatori e navigatori come in Grecia: non v'ha istruzione superiore e dal ginnasio di Belgrado tutt'al più escono mediocri maestri primarii; l'immigrazione di persone istrutte e colte e ricche non avviene che in piccole proporzioni ed incontra gelosia e malevolenza. Quindi accade che nell'Assemblea non essendo che ignoranti contadini e piccoli negozianti di mezzana educazione, il Governo è spinto ed anche costretto se debole ad unirsi a questi e di indietreggiare ogni volta si presenta una questione che accenna a progresso, e che forse i governanti vorrebbero saviamente sciolta, ma la quale ferisce l'interesse pecuniario dei commercianti.

Così se il Governo desiderava l'emancipazione degli Israeliti quella classe vi si oppose e vi si opporrà sempre; così si resiste a tutti i provvedimenti che chiamerebbero nel paese capitali ed industrie, perchè i commercianti non vogliono che ciò sia a loro personale e passeggiero discapito; e così non varrà o difficilmente il Gov,erno a far risolvere l'assemblea ad acconsentire all'abolizione o modificazione delle capitolazioni, se ciò dovesse essere pagato colla concessione di dimora e di un diritto di proprietà agli stranieri: e non servirà a nulla il far suonare alto l'umiliazione e la diminuzione d'indipendenza che la giurisdizione consolare infligge alla Serbia. Finchè la Scuptcina sarà così formata si dubiterà perfino di favorire la costruzione di ferrovie: la minima spesa produttiva sarà respinta ed il paese che ha in se poca intelligenza, poca attività e pochissimo capitale e che a queste ricchezze quando volessero venire dall'estero oppone una muraglia chinese, cadrà in letargia se non sarà potentemente scosso.

Se si venisse a convincimento della necessità di abrogare l'articolo quarantottesimo, i mali ch'io descrivo sarebbero evitati: e se ciò sarà possibile lo sarà allorquando il Principe diventerà maggiore di età e piglierà a governare. Questo rimedio non sarà probabilmente abbracciato perchè porrebbe a rischio la popolarità di quel giovine Sovrano; potrebbe forse, in opposizione al ceto commerciante, formarsi un gruppo fra i deputati Principeschi e se questi fossero a ciò spinti dal Governo stesso potrebbero forse nell'animo incolto dei contadini contrabbilanciare l'ascendente interessato dei commercianti.

Questo disgraziato articolo (ed è perciò principalmente che io mi vi fermai forse troppo lungamente) fa sentire la sua forza necessariamente anche nelle relazioni della Serbia colle provincie nelle quali essa vuoi far giungere il suo ascendente. Invece di allargare la cerchia nella quale tutte le attività di tutti gli Slavi del sud possano esercitarsi a profitto loro comune, ma a profitto eziandio del paese che solo loro ne offrirebbe il modo, il Governo e le Assemblee ristringeranno quel circolo e della loro potenza useranno solo l'uno per mantenersi popolare e le altre per allontanare ogni concorrenza che minacci i membri suoi di vedere i guadagni loro diminuiti.

Che ciò sia lo veggiamo ogni dì: ad esempio il bisogno di buoni ufficiali per l'esercito, più che il bisogno la necessità, non valse a che la qualità di serbo del di fuori assicuri l'uguaglianza e la giustizia nelle promozioni: così in tutti i rami del servizio amministrativo.

Non vorrei che dalle osservazioni che precedono si inducesse ch'io non permanga ciò non di meno fisso nel credere che nella condizione presente dell'Oriente, a questo solo Stato spetterebbe il diritto di essere centro di attrazione dei popoli di una stessa stirpe: le mancanze legislative ch'io segnalai sono passeggiere mentre il diritto che spetta agli Slavi del Sud di scegliere il centro intorno al quale si vorranno radunare è di diritto permanente ed immutabile. La Serbia che possiede la quasi indipendenza ed è stato politico Yugo Slavo ha quasi sciolto il primo nodo e superato il primo ostacolo che incontrano gli aggruppamenti di nuove nazionalità. Solo vorrei aver mostrato che la Serbia non usa dei modi legittimi, numerosi e potenti che potrebbe porre in opera per appropriarsi l'egemonia alla quale aspira, spingendosi coraggiosamente e malgrado alcuni possibili ma temporanei sacrifici nella via del progresso. E da questa reluttanza nasce per sicuro un considerevole ritardo nel compimento della missione che il Principato si propone, e chi potrebbe dire se fra alcuni anni non ne conseguirà uno spostamento a Zagabria del centro nazionale che già da alcun tempo, se gli invocati esempi del Piemonte venissero imitati, dovrebbe essere irrevocabilmente fisso a Belgrado.

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L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 255. Bucarest, 11 febbraio 1871 (per. il 18).

Nella tornata di ieri la Camera decise doversi mandare un indirizzo di congratulazione al Parlamento italiano che votò testè il trasferimento della capitale a Roma. Nominò quindi una commissione composta di cinque membri, cui fu dato l'incarico di redigere il relativo progetto. A far parte della commissione furono eletti i signori Bratiano e Costaforo, il quale come Presidente dell'assemblea si associò alla proposta fatta, salutando il trono di « Traiano, illustrato dal sommo giureconsulto Giustiniano imperatore, trono sul quale siede ora il re Vittorio Emanuele ».

L'iniziativa fu presa dai deputati Ghitzu e Ionesco appartenenti al partito libero indipendente, che oggi sembra dover acquistare una certa preponderanza in Parlamento. Conosciuto sotto la denominazione di frazione, esso è una gradazione del partito radicale.

Scopo di questa dimostrazione è di affermare solennemente la nazionalità rumena al cospetto di tutta l'Europa in un momento in cui essa è violentemente impugnata nella stampa di Vienna, la quale mal frenando le sue impazienze si adopera a provare, con parole che trascendono sovente i limiti della moderazione, che i rumeni non hanno alcuna comunanza di razza con la gente latina.

Non appena ne riceverò la relazione ufficiale, manderò a V. E. una traduzione dei dibattimenti della seduta di ieri. Mi limito oggi a questo cenno, aggiungendo che il saluto di simpatia mandato all'Italia dalle sponde del Danubio, anzichè essere l'amplesso di una nazione sorella o di figli sperduti della gran Roma, come esclamarono i deputati Ghitzu e Ionesco, non è altro che il grido del naufrago al quale ogni speranza di salvarsi venga meno.

Il signor Ionesco ha egli stesso brillantemente ritratto questa mia osservazione con le seguenti parole «codesta dimostrazione è nazionale, patriottica, opportuna. Quando una delle più grandi sorelle della gente latina, la Francia, è minacciata da disorganizzazione, come non potremmo noi non presentare i nostri omaggi al re galantuomo? Esprimendo i battiti del nostro cuore nel veder sventolare sul Quirinale lo stendardo di Roma, avremo la protezione dell'Italia nei Consigli dell'Europa dove essa siede per aver versato un nobile sangue».

Ciò non astante non posso non riconoscere una certa abilità nella decisione presa ieri dalla Camera rumena.

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L'INVIATO TUNISINO A FIRENZE, HEUSSEIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

Firenze, 12 febbraio 1871 (per. il 13).

Son Altesse le Bey de Tunis m'ayant ordonné de me présenter à V. E. pour l'entretenir des faits relatifs à la pendance existante entre les deux gouvernements, je m'empresse, dès mon arrivée à Florence, de vous transmettre la lettre ci jointe du Premier Ministre relative à ce sujet, et en meme temps je prie V. E. de vouloir bien m'accorder une audience pour me mettre en mesure de remplir la mission qui m'a été confiée.

ALLEGATO.

MUSTAFÀ A VISCONTI VENOSTA

(traduzione)

16 Zil Caadé 1287.

Louanges à Dieu seul!

A l'Excellence de celui qui est orné de qualités distinguées, et louables, à celui qui est la gioire des Ministres éminents, dont la renommée est en tout lieu, l<' héros des champs de la perfection, et du savoir, et dont les qualités sont au dessus de tout éloge, S. E. M. Visconti Venosta, Ministre des Affaires Etrangères de

S. M. le Roi d'Italie. Fasse Dieu qu'il soit toujours à la tete des personnages éminents, et que le Ministère soit guidé par sa sage politique.

Après avoir présenté les actes de convenance dus à la dignité, et à la haute position de V. E., nous avons l'honneur de porter à la connaissance de V. E. que l'amitié si heureusement existante depuis si long temps entre le Gouvernement de S. A. notre Auguste Souverain, et celui de S. M. le Roi d'Italie, amitié dont les sentimens 'sont gravés dans le plus profond du coeur, a exigé que nous écrivions à V. E. pour lui faire part de toute la peine qu'a causé à S. A. notre Auguste Souverain l'altération, sans motifs de la part de son Gouvernement, des relations entre les deux Etats.

Son Altesse désirant vivement le maintien et meme la consolidation des bonnes relations qui sont basées sur ses sentimens d'amitié profonde et sincère pour votre Gouvernement, a envoyé le Général de Division Heussein Directeur de la seconde section du Ministère d'Etat pour exposer la vérité aux yeux de V. E. afin qu'elle soit convaincue de la ,sincérité de ce que nous vous avons ci-dessus exposé de ,la manière la plus vraie, et la plus juste. Cet envoyé étant un des fonctionnaires les plus considérés, et les plus dévoués au Gouvernement de S. A. nous nous flattons que V. E. daignera préter atention à ce qu'il lui exposera, et que bien informée par lui des faits, elle voudra bien concourir au rétablissement des relations sur leur ancien pied et plus intimement encore.

Nous prions Dieu qu'il conserve V. E., et perpétue son bonheur.

Ecrit par celui qui a pour V. E. la plus haute considération, le pauvre devant son Dieu, le Général de Division Mustapha Premier Ministre et Ministre des Affaires Etrangères.

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IL MINISTRO DEI LAVORI PUBBLICI E REGIO COMMISSARIO A ROMA, GADDA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Roma, 12 febbraio 1871.

Riceverai ufficialmente una mia breve nota in cui espongo le prime armi corse per la occupazione dei conventi. Sono i primi sintomi di un male che ci darà grandi seccature. Io credo però che con prudenza e fermezza noi andremo fuori anche da questi guai. Mi dirai se credi si prosegua così e quali suggerimenti hai a dare. Scrivo per salvare se posso, almeno per alcuni anni, la Consulta al tuo Ministero rispetto ai locali nobili. Sono belli come sai, in località magnifica, e non si potrebbe subito aver altro per te di convenievole senza mandarti al Palazzo Madama, che è troppo grande, che non è in bella località, che ha molta minore apparenza e che può servire benissimo per altre Amministrazioni. La Consulta sia pure nel definitivo suo destino assegnata alla lista civile, ma per alcuni anni si può differire la consegna. Intanto un Ministero importante sarebbe ben collocato e dopo con agio e ponderando Io sviluppo che prenderà la città, si potrà stando su luogo ponderare e scegliere bene. Io unisco copia della lettera che scrivo a Sella, onde tu possa esaminarla e condurti di conformità se Io credi. Avete fatto benissimo a porre la questione Ministeriale sulla immunità dei locali Pontifici. Diavolo! L'avevamo detto a tutto il mondo.

ALLEGATO

GADDA A SELLA

Roma, 12 febbraio 1871.

Dalle tue lettere e dalle ufficiali di Saracco rilevo che definitivamente la Consulta è assegnata alla Lista Civile. Io nulla soggiungo sul passaggio definitivo di tale palazzo, ma ti proporrei, come cosa opportunissima al nostro graduale insediamento, di lasciare che il piano nobile fosse per qualche anno goduto dal Ministero degli Esteri. Gli infiniti locali di servizio e di abitazione che sono in questo Palazzo, le grandissime scuderie (oltre ottanta cavalli), quelli potranno utilizzarsi subito per la lista civile, ed è ciò che più reclamano d'urgenza quei signori; ma per un periodo non lungo, la parte nobile del palazzo rimanga agli Esteri per lasciar tempo di preparargli conveniente sede altrove. È un concetto insito alla situazione che credimi studio giorno e notte. Per dirti tutte le considerazioni che confortano in questo giudizio, dovrei essere troppo lungo. Anche al Visconti scrissi nello stesso senso, e con lui certo ti intenderai.

161

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

T. 1583. Firenze, 13 febbraio 1871, ore 14.

Je vous autorise à proposer ma formule dans la conférence, avec la seule condition que vous soyez d'avance sur, par des communications confidentielles, qu'elle sera acceptée par vos collègues, en vous abstenant de faire dans la conférence des propositions pour le statu quo. Je vous autorise aussi à rédiger en forme d'artide, d'accord avec Granville et Appony, ma formule, dont je vous ai envoyé de nouveau le texte hier. Naturellement vous m'enverrez aussitòt par télégraphe le texte de l'artide, car je désire le connaitre avant la nouvelle réunion de la conférence, s'il n'y a pas urgence. Je préférerai.s qu'avant de mettre en avant notre formule, le refus de la Turquie de consentir aux mots puissances non riveraines de la formule Brunow fut constaté dans la conférence meme. Je vous enverrai par la poste la preuve matérielle que nous avons insisté jusq'au dernier moment à Constantinople pour l'admission des mots puissances non riveraines. Je ne me suis décidé à proposer ma !formule qu'après avoir constaté l'opiniiì.tre refus de la T11rquie, et le danger signalé par vous de voir Angleterre et Autriche consentir à laisser à l'arbitre absolu du sultan l'ouverture des détroits.

162

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3541. Londra, 13 febbraio 1871, ore 14 (per ore 9,40 del 14).

Granville croit qu'il serait utile que votre formule fut proposée à la conférence par Mussurus meme comme si c'était une proposition de la Turquie meme. Je le croirais aussi convenable. D'ailleurs les puissances savent que la proposition est italienne. Veuillez me dire si je puis adhérer au désir de Granville dans le cas que Mussurus le désire aussi. La prochaine réunion aura lieu probablement le 16 courant. Veuillez m'excuser si je vous fais remarquer que mon télégramme du dix (l) n'a pas soulevé le doute inexcusable ni sur votre acceptation de la formule Brunow, ni sur votre refus de la formule de la Turquie, étant lié par vos télégrammes en un ordre de préférence dans l'appui que je devais donner aux différentes propositions acceptées toutes pas vous. Je vous ai interpellé uniquement et expressément à l'égard de cet appui préalable. Veuillez remarquer que cela m'était indispensable car, d'après vos plus anciens télégrammes, je devais appuyer avant tout la formule Brunow, pendant que, d'après votre télégramme du 8 reçu le 9 (2), je devais au 'contraire appuyer la formule Brunow en seconde ligne, et en premier lieu la clòture absolue qui était acceptée par la Turquie. Vous disiez, si l'Angleterre ne l'accepte pas soutenez d'abord la formule Brunow et subsidiairement cette que j'ai rédigée aussi d'après mon interpellation télégraphique d'hier. Reçu hier ... (3) remet la formule Brunow en premier lieu comme c'était avant votre télégramme susdit du 8. Tout cela est maintenant inutile après que le Cabinet de S. James a écarté ensemble la formule Brunow et la dOture absolue, et n'admet que votre proposition comme je vous ai télégraphié hier (4).

(l) -Cfr. n. 152. (2) -Cfr. n. 138. (3) -Gruppo indecifrato. (4) -Non pubblicato.
163

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

T. 1585. Firenze, 14 febbraio 1871, ore 16,40.

Je n'ai pas de difficulté à ce que la formule que je vous ai envoyée soit proposée officiellement à la conférence par la Turquie. Je dois cependant vous prévenir que Aaly Pacha, tout en acceptant ma formule, en avait modifìé la rédaction en ce sens que ce serait à la Turquie seule de décider si pour l'exécution des stipulations du !traité de mars 1856 il était nécessaire d'ouvrir les détroits. La formule que je vous ai envoyée, par sa rédaction impersonnelle n'excluait pas tout à fait les délibérations des puissances occidentales. Veuillez faire cette remarque à lord Granville pour qu'il en tienne compte dans la rédaction de l'artide.

164

IL MINISTRO A BORDEAUX, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3547. Bordeaux, 14 febbraio 1871, ore 20,20 (per. ore 10,10 del 15).

Général Garibaldi est parti hier au soir pour Marseille. On prete intention a MM. Charette et Cathelineau d'organiser un corps de volontaires pour faire une expédition à Rome. Je vous signale cette intention pour toute bonne fin et avec réserve. M. de Chaudordy est allé à demander à lord Lyons au nom du Gouvernement actuel et meme au nom du Gouvernement futur de prier lord Granville d'ajourner la conférence. Il a déclaré qu'un des premiers actes du nouveau Gouvernement sera de nommer un plénipotentiaire auprès de la conférence.

165

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3548. Londra, 14 febbraio 1871, ore 18.20 (per. ore 10,30 del 15).

Pour ne pas causer un arret à la conférence je me suis décidé à proposer à Granville, sous ma responsabilité personnelle, une rédaction de votre formule en un article conservant votre texte selon vos ordres. J'ai reservé de vous la communiquer. Elle a été agréée par Granville sans observations. Veuillez me dire si vous n'exigez pas des changements. En voilà le texte: «Le principe de la clòture des détroits des Dardanelles et du Bosphore telle qu'il a été établi par le traité séparé du 30 mars 1856 est maintenu avec la faculté à S. M. I. le sultan d'ouvrir les dits détroits en temps de paix aux flottes des puissances amies et alliées, dans le cas où cela serait nécessaire pour l'exécution du traité de Paris du 30 mars 1856 ». Puisque le traité séparé des détroits ne doit pas

etre abrogé, j'aurais préféré comme chose la p:us simple, prudente et naturelle de le réviser uniquement pour y introduire l'exception au principe de la clòture qui y est déjà établie, la quelle est exprimée par la seconde partie de votre formule. Tant qu'il est possible il faut éviter les nouvelles rédactions, mais, puisque meme n'abrogeant pas le dit traité, ou veut faire un article exprès dans le nouveau traité, et qu'on veut aussi y énoncer le principe de la clòture en termes généraux, je pense qu'il est important de dire qu'il est maintenu « tel qu' il a été établi par ce traité » c'est à dire obligatoire aussi pour la Turquie. Le traité séparé des détroits ne laisse aucun doute à cet égard à cause de ces stipulations expressément bilatérales, à cause de son intelligence pendant 15 ans et meme parceque les actes d'inexécution allégués par la Russie lui ont donné lieu à accuser la Turquie de violation du traité.

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IL MINISTRO A BORDEAUX, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1406. Bordeaux, 14 febbraio 1871 (per. il 19).

La prima seduta pubblica della Assembla nazionale ebbe luogo ieri alle 2 p.m. sotto la Presidenza del Conte Benoist d'Azy, chiamato al seggio presidenziale in ragione della sua anzianità. Dopo alcune osservazioni sulla necessità di procedere rapidamente nella costituzione definitiva della Assemblea e sui mezzi di farlo, il Presidente diede lettura d'una lettera del Generale Garibaldi a lui diretta del seguente tenore ;

« Come un ultimo dovere da rendere alla causa della Repubblica francese, io venni a portarle il mio voto che depongo nelle Vostre mani. Rinuncio al mandato di deputato del quale fui {)fiorato dai diversi Dipartimenti».

L'assemblea diede atto di questa dichiarazione.

Il ministro degli affari esteri, Signor Giulio Favre, prese quindi la parola e depose i poteri del Governo della Difesa nazionale nelle mani dei rappresentanti del paese. Egli dichiarò nel tempo stesso che i membri del cessante Governo resterebbero al loro posto per mantenere l'ordine e l'esecuzione delle leggi fino a che siano regolarmente esonerati. Il Signor Favre informò poi l' Assemblea che le circostanze l'obbligavano ad abbandonare di nuovo Bordeaux onde negoziare una continuazione dell'armistizio, già ammessa in principio.

« A parer mio, egli disse, questa prolungazione deve essere quanto più breve possibile. Non dobbiamo perdere un minuto. Non dobbiamo dimenticare le nostre sventurate popolazioni schiacciate dal nemico senza che sia possibile, malgrado ogni nostro sforzo d'attenuare la loro situazione. Siate sicuri che le loro lagrime i loro sacrifici pesano gravemente, non dirò sulla mia coscienza, giacchè innanzi a Dio io ne sono innocente, ma sulla mia responsabilità, e che non ho altra premura fuori quella di giungere al termine delle nostre miserie».

Il Presidente rispose al Signor Favre dicendo che egli credea es.c;ere interprete dell'Assemblea intiera nell'affermare l'unanimità del pensiero e del desi

1~ -Documenti di:r>lomatici -Serie II -Vol. II

derio ardente di porre un termine alle sventure del paese e nella risoluzione

di fare il proprio dovere colla fermezza di animo e colla generosità di sensi che

animano tutta la Francia.

Il Presidente dando poscia atto delle demissioni mandategli separatamente

da ogni singolo membro della difesa nazionale, annunziò che sarebbe quanto

prima provveduto alla reconstituzione del Governo di Francia e che l'Assemblea

si pronunzierà a tale riguardo tosto che avrà avuto luogo la verificazione dei

pdteri.

Sulla proposizione del Signor Cochery l'Assemblea adottò per suo regola

mento interno quello che funzionò dal 1848 al 1851, a titolo provvisorio.

Alla fine della seduta il Generale Garibaldi, che vi era personalmente inter

venuto, domandò la parola. Numerose voci obiettarono tosto che egli si era

dimesso e che quindi non poteva più prendere la parola. Un'effervescenza comin

ciando in seguito a questo incidente a prodursi nelle tribune politiche, il Presi

dente risalì col capo coperto sul suo seggio e diede l'ordine che fossero tosto

evacuate, ordine che fu accolto cogli applausi dell'Assemblea.

Il Moniteur d'oggi pubblica una lettera con cui il Generale Garibaldi dà

pure al Governo della Difesa nazionale le sue dimissioni di comandante della

Armata dei Vosges, «vedendo oramai finita la sua missione». I membri del

Governo gli risposero accettandole e dichiarando che la Francia non dimenti

cherà che egli combatté gloriosamente con i suoi figli per la difesa del suo

territorio e per la causa repubblicana.

Il Signor Giulio Favre partì jer sera pel quartiere generale prussiano a

Versaglia. Si crede che l'armistizio sarà prolungato per un termine di 10 o

15 giorni.

La lista esatta delle elezioni di Parigi non è tuttora pubblicata, ma pare che gli eletti appartengano in grande maggioranza alla opinione repubblicana più avanzata.

P. S. -Accludo al presente due lettere del R. Console Generale a Parigi che mi furono trasmesse oggi da un Segretario dell'Ambasciata d'Austria qui ritornato dalla capitale. Una è destinata all'E. V., l'altra al Ministro del Re a Berlino cui La prego di volerla far pervenire, il mezzo di trasmissione più diretto parendomi tuttora meno celere e sicuro.

Unisco pure una lettera per S. A. R. la Principessa Maria Clotilde che mi fu raccomandata pel ricapito e che La prego di far pervenire alla sua destinazione a Prangins.

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IL MINISTRO A STOCCARDA, GREPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 208. Stoccarda, 15 febbraio 1871 (per. il 17).

I partiti estremi il radicale cioè e l'ultramontano posero allo studio la questione se convenisse ad essi di partecipare alle imminenti elezioni della Dieta Imperiale.

Nella riunione tenutasi dai radicali in Stuttgard alli 5 corrente riunione

nella quale erano rappresentati pressochè tutti i Circoli democratici del Wiir

temberg si fece palese il disordine e la confusione penetrati nel partito dopo la

restaurazione dell'Impero Germanico. La maggioranza dei delegati si pronunziò

per l'astensione appoggiandosi ora alla mancanza di un adatto candidato, ora

al voto popolare avverso alle tendenze del partito radicale.

II contrario avviene nei circoli clericali ove osservasi una intensa attività.

Essi presero per motto d'ordine che i cattolici come tali debbono partecipare

alle elezioni. Per ora il partito ultramontano nasconde lo scopo a cui attende

sotto la formola generale «progresso degli interessi cattolici». Non mancano

però alcuni fogli clericali imprudentemente d'isvelare il loro segreto, come non

ha guarì avvenne in una circolare del Comitato Cattolico Assiano, ove è detto:

che presentandosi la discussione sulla questione Romana i deputati Cattolici

debbono pronunziarsi per il ristabilimento del potere temporale dei Pontefici.

Gli organi del partito tedesco (già Prussiano) raccomandano di tutto porre in opera per impedire che la frazione clericale accresca di forze nella Dieta Imperiale, per togliere così di mezzo il pericolo che si ricorra agli Stati Germanici per ristabilire il Pontefice nella Signoria temporale. Debbonsi quindi favorire soltanto quei candidati cattolici, i quali diano guarentigie che non appoggeranno le trame dei Gesuiti, che anzi respingeranno qualsiasi ingerenza della Dieta Imperiale nella questione romana.

Un giornale assai accreditato di questa capitale la Gazzetta del Popolo Svevo così conchiude un suo articolo sulle elezioni: «Piuttosto eleggasi un arrabbiato particolarista, come per esempio un Mohl (uno dei più ardenti tribuni del partito della Gran Germania) anzichè un ultramontano. I primi non possono più produrre gran danno, gli ultimi un grandissimo, ed in questi critici istanti l'uomo saggio tra due mali sceglie il minore».

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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. P. S. N. Berlino, 15 febbraio 1871 (per. il 21).

Plus la situation se prolonge, plus les affaires se concentrent à Versailles, d'où de temps à autre il arrive ici quelques bribes de nouvelles par la voie des journaux ou par I'entremise de M. de Thile, lorsque le Comte de Bismarck consent à lui délier la langue. Ainsi, c'est par l'agence télégraphique Wolff que nous venons d'apprendre, qu'en date du 20 janvier échu, une depeche de Lord Granville avait manifesté le désir que le Cabinet de Berlin voulut exprimer ses vues sur les conditions de paix. Je ne fais mention de cette circonstance, que pour établir, une fois de plus combien il est difficile, pour ne pas dire impossible, d'etre bien renseigné. Mes collègues sont unanimes à reconnaitre que leur role est des plus effacés, et ne cessent d'appeler sur ce fait l'attention de leurs Gouvernements, ne serait-ce que pour fair appel à l'indulgence. On nous tient, autant que possible, systématiquement à l'écart, de crainte, sans doute, si l'on

agissait autrement, d'ouvrir peut-etre la porte aux bons offices, à une intervention des Puissances tierces.

Quoiqu'il en soit, je ne néglige aucune occasion de sonder le terrain sur les dispositions de la Prusse à l'égard de l'Italie. Nous sommes compris dans le dédain aff·ecté pour les neutres, sauf pour la Russie. A maintes reprises, nos intentions ont été suspectées. Les sympathies de certains organes de la presse à l'endroit de la France ont excité beaucoup de défiance, comme si ces sympathies étaient l'expression de la majorité du pays. On ne nous sait pas assez gré d'une condui!te .qui a contribué à localiser une guerre, qu'.il n'eiìt dépendu que de nous de rendre générale. L'équipée du Général Garibaldi a produit un redoublement de mauvaise humeur, lors meme qu'on ne m'ait jamais laissé entendre qu'on rendit en quoi que ce soit notre Gouvernement responsable des faits et gestes de ce Général et de ses partisans. Ses derniers combats devant Dijon, la prise d'un drapeau, le fait qu'il a réussi à se dérober à la poursuite des allemands, tout cela a eu pour effet de nous aliéner un peu de l'ancien bon vouloir. On nous en veut peut-etre aussi pour notre marche en avant dans les affaires de Rome, d'avoir préparé des embarras au nouvel empire où les catholiques s'organisent en parti, avec lequel il ·faudra compter davantage que sous l'ancienne constitution.

Bref, je crois remarquer que M. de Thile est moins confiant que par le passé. Les organes principaux de la presse nous ménagent peu, meme dans le camp libéra·l. Ou la Prusse désire, ou Elle ne désire pas, un prétexte pour chercher maille à partir avec nous. Si Elle le désire, ce que je ne puis admettre, car après une guerre aussi rude, elle y songerait à deux .fois avant de s'embarquer de ·sitòt dans de nouvelles complications -il faut bien se garder, autant qu'il dépend raisonnablement de nous, de lui fournir un pretexte. Si Elle ne le désire pas, il faut chercher à la ramener dans de meilleures dispositions, en feignant d'ignorer ses susceptibilités. Quand les passions que cette lutte a diì, nécessairement faire engendrer, se seront calmées, la raison reprendra le dessus.

Au reste, je puis me tromper dans mes appréciations, basées sur ce que je vois, et j'entends ici. Ce ne sera que lorsque le Comte de Bismarck reviendra à Berlin, que nous saurons à quoi nous en tenir sur ce point important.

En attendant il convient, je le répète, de se garder de preter le flanc d'une manière quelconque. Aussi je crains que le retour du Général Garibaldi en Italie ne donne lieu à des manifestations regrettables. Les acclamations d'un parti qu'il a derrière lui sont autant de degrés pour monter au sommet de ses espérances. Il conviendrait, sans tarder, de chercher à réagir contre ce courant. Les prétendus succès de Garibaldi sont plus que problématiques, car il est avéré qu'à la tete de vingt à vingt cinq mille hommes il a été tenu en échec par une brigade prussienne d'environ six mille hommes, tandis qu'en manoeuvrant habHement et en soutenant l'aile gauche de l'armée en retraite du Général Bourbacki, il eiìt pu éviter qu'elle ne fiìt réfoulée ·en Suisse. Il n'est pas moins facheux au point de vue de notre Gouvernement, que les garibaldiens aient eu quelque apparence de succès, car ils n'en deviendront que plus entreprenants, si on ne leur inculque pas la conviction que l'autorité ne tolèrera aucun écart de la loi. Une autre circonstance facheuse de cette guerre, .a été que non seulement le Général, mais Menotti et Ricciotti, ont gagné quelque prestige aux yeux des gens superficiels ou intéressés à perpétuer des chefs gagnés à leurs vues démagogiques. Ce n'est que par une conduite décidée, qui par-là meme qu'elle ne laisse aucun doute sur nos intentions, et qu'elle doit satisfaire la partie sage et éclairée du pays, que le Gouvernement aura la force nécessaire pour triompher des entrainements camme des résistances des partis extrèmes.

S'il y a ici quelques bouffées de mécontentement, il fallait s'y attendre, car le ròle des neutres a, en tout temps, été fort ingrat. On ne nous rendra justice que plus tard, quand on se rendra mieux compte qu'en préservant l'Italie des maux de la guerre, nous avons rendu, du meme coup, un service aux intérets, bien entendus, de l'Empire.

169

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BORDEAUX, NIGRA

T. 1591. Firenze, 16 febbraio 1871, ore 15,45.

Angleterre parait décidée à reconnaìtre le nouveau Gouvernement français, aussitòt qu'il sera constitué d'une manière légale. Je vous autorise, dès à présent à en faire de meme, soit d'accord avec lord Lyons, soit séparément si vous le croyez préférable.

170

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

T. 1592. Firenze, 16 febbraio 1871, ore 16.

J'ai eu une premtere entrevue avec Heussein. Bien qu'il conteste les faits sur lesquels portent les réclamations de la société italienne, je crois qu'en insistant nous obtiendrons les réparations demandées. Je lui ai déclaré que je consentirai à traiter avec lui sur les garanties que le Bey doit nous donner pour l'avenir, mais que, ainsi que je vous l'ai écrit, j'exige, avant tout, que les trois points que vous avez formulés soient acceptés par le Bey. Vous pourrez faire connaìtre cela au Bardo par le moyen qui vous paraitra convenable.

171

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3554. Tunisi ... (per. ore 11,55 del 16 febbraio 1871).

Bardo se confiant sur la mission du général Heussein et sur l'appui de la Porte et de l'Angleterre a refusé notre proposition, modifiée d'après votre dépeche n. 76 (1). Il ne reste donc qu'une action plus efficace du Gouvernement du Roi pour aboutir au résultat que nous poursuivons, et pour lequel sont engagé notre honneur et l'avenir de la colonie italienne.

(l) Cfr. n. 92.

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IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 137. Berna, 16 febbraio 1871.

Essendo andato ieri al Consiglio Federale per conferire con alcuno dei Dipartimenti di cose concernenti il servizio del Re fui avvertito che il Ministro Pioda aveva chiesto al Consiglio Federale di essere autorizzato a trasferirsi a Roma, quando il R. Governo vi abbia preso sede, e di fare quindi le spese necessarie per questo traslocamento.

Mi fu detto che la lettera del Signor Pioda era ancora in circolazione fra i componenti il Consiglio Federale, ma che non era da rivocarsi in dubbio che questa domanda non fosse accolta.

Il Signor Welti, che conserva sempre una grande autorità nel Consiglio, ebbe a dirmi in quest'occasione che la Svizzera aveva già riconosciuto il Governo Regio in Roma, quando gli fece chiedere l'exequatur pel Signor Schlatter, anteriormente stabilito come Console della Confederazione in rquella città; non poteva quindi avere difficoltà per autorizzare il suo Ministro a seguire il Re nella nuova Capitale del Regno.

Questo Magistrato reputa che gli altri Stati d'Europa non esiteranno a farne altrettanto; secondo lui, come ebbe già ad osservare il Signor Dubs, l'interesse che l'Italia ha a mantenere l'indipendenza spirituale del Santo Padre dovrà bastare a rassicurare le popolazioni cattoliche, e ciò malgrado il men favorevole effetto che possono fare sopra di esse certi discorsi che si fanno ora in Parlamento su ciò che concerne le guarentigie da accordarsi al Sommo Pontefice; e malgrado le intemperanze di una parte della stampa italiana allo stesso riguardo.

Nell'atto riprodotto da tutti i giornali Svizzeri, con cui il Consiglio di Stato del Cantone di Vaud esclude da un mandamento di Monsignor Marilley le parole offensive alla persona del Re ed al suo Governo, l'E. V. avrà visto come lo spirito cui si informa la condotta del Consiglio Federale nelle sue relazioni con l'Italia, animi egualmente i Governi Cantonali, e come non sia per ciò a temersi che si possano mai cominciare da questo paese imprese dirette a scalzare come che sia la nostra situazione a Roma.

Confermo il telegramma di ieri (l) col quale annunciavo a V. E. l'armistizio

di Belfort, pervenutomi dal Dipartimento Federale della Guerra, cui era stato

diretto dal Comandante delle forze Svizzere a Purrentrug.

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L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST. FAVA. AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 257. Bucarest, 16 febbraio 1871 (per. il 24).

Lo scopo precipuo che la Camera rumena si prefisse votando un indirizzo di congratulazione al Parlamento italiano 1pel trasferimento della capitale a

H.oma, era quello di affermare il principio della nazionalità rumena vigorosamente attaccato dal giornalismo di Vienna.

Scorgendo inoltre che la stampa di tutti i paesi fu unanime nel riconoscere la giustezza degli appunti che il principe Carlo addebitava loro nella lettera pubblicata dalla Gazzetta d'Augusta, i rumeni sentivano che il favore della pubblica opinione veniva loro meno.

Ridotti a non poter oltre contare sull'appoggio della Francia, si adoperano ora ad a.ssicurarsi ·quello dell'Ualia facendo appello alla pretesa comunanza di origine per muoverla a stender loro una mano che valga a salvarli dal naufragio.

Io non so in verità quanta e quale eco questa tardiva ed interessata manifestazione di simpatia possa trovare nel nostro Parlamento e fuori. Sento però il dovere di indicarne la portata al Governo del Re, il quale vedrà poi se sarà il caso o pur no di illuminare la nazione.

Al punto ove giunsero le cose in Rumania; non sarebbe egli opportuno che in Italia si rammenti come i rumeni farebbero opera commendevole pensando piuttosto a riorganizzarsi, ad assestare le loro finanze, a smettere le loro gare, a non conculcare il diritto delle genti negli interessi degli stranieri e quindi degli italiani qui dimoranti, dandoci così guarentigie di saviezza, anzichè votare delle manifestazioni di una natura equivoca in un momento in cui le conseguenze della guerra operano in Francia una trasformazione politica, diplomatica e forse anche territoriale?

Un avvertimento benevolo in questo senso che venisse loro dato dalla pretesa sorella di origine sarebbe forse proficuo ai rumeni, e tarperebbe le ali alla disordinata fantasia di certi sognatori politici che in questi giorni ebbero perfino l'insania di pronunziare sommessamente il nome del duca di Genova qual successore desiderato del principe Carlo di Hohenzollern.

Aggiungo che codesta manifestazione di simpatia per l'Italia è interpretata dai miei colleghi di Austria e Prussia, e lo sarà vieppiù a Vienna ed a Berlino, come una nuova protesta antidinastica ed antitedesca; giacchè fra i motivi che la dettarono primeggia il vieto concetto delle razze latine contrapposte alla razza germanica da cui emana il principe regnante.

Non essendo stata ancora pubblicata una relazione ufficiale della seduta del 10 febbraio, ne trasmetto un riassunto in francese dato dal Journal de Bukarest. Meglio delle mie parole codesta traduzione è sufficiente ad indicare la portata delle simpatie italiane della Camera rumena.

(l) Non pubblicato.

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IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Londra, 16 febbraio 1871.

Ieri ho avuto una lunga conversazione affatto privata col Signor Gladstone sulle cose di Roma. Avendolo interpellato sulla annunziata mozione alla Camera dei Comuni mi disse che ~apeva da Manning che questi non la approvava non credendola dell'interesse del suo partito. Soggiunse che non avea nulla da

temere da parte del Parlamento, il cui spirito vi era favorevole. Soggiunse, a

conferma di quanto gli dissi sullo stato delle cose a Roma, che le notizie che

davano tutti gli Inglesi che venivano di là, confermavano pienamente quanto

gli diceva sullo stato regolare, libero, e di quiete, che vi regnava.

Mi disse che era al corrente di quanto si faceva al nostro Parlamento, e

che se gli rimaneva un dubbio, od un timore, esso era che noi fossimo troppo

larghi, a riguardo dei Vescovi. Mi fece notare che tutto il nostro sistema era

basato sul principio di separazione, e (fatta questa) di libertà applicata leal

mente; che non credeva che la legge in discussione fosse l'ultima applicazione

di quel principio, e che quelle successive avrebbero procurato, colle compiute

applicazioni del sistema stesso, i rimedii alle conseguenze che egli temeva. Le

richiamai le cose dettegli altre volte a questo riguardo, la cui relazione voglio

sperare che Ella abbia ricevute.

Io persisto a credere che qui non sia a temersi nulla nè per parte del

Governo, nè del Parlamento quantunque il Governo abbia sempre mantenuto

una grande riserva.

Se mi è lecito dire qui, come membro del Parlamento, il mio avviso in generale sulla legge delle garanzie che è in discussione, dirò che mi pare che s'è fatto benissimo a provvedere alla libertà religiosa anche all'interno dell'Italia, e che non si deve scompagnare la seconda parte della legge dalla prima. Ma mi duole, che questa libertà all'interno non sia data ir.tiera; che si facciano cessare le restrizioni soltanto, che pesano sui Preti, e non le violazioni di libertà, che la legge Civile mantiene a danno di tutti i Cittadini, mantenendo gli enti morali benefiziarii e tanti altri enti Ecclesiastici di creazione civile per i quali il laicato è, pel fatto della immistione della legge civile, spogliato della libertà che gli spetta sulle temporalità della Chiesa. Questo fatto di creazione civile si può definire la istituzione per fatto dello Stato, della tirannia dei Preti sui laici, e lo spoglio dei Cittadini della libertà religiosa. Dando ogni libertà ai Preti, e lasciando sussistere ciò che toglie la libertà a tutti gli altri Cittadini è uno dei modi coi quali lo Stato si mescola ancora nelle cose religiose; e farà si che una legge giusta e liberale nelle sue basi diventerà (per essere solo stata applicata a mezzo) nei suoi effetti non meno peggiore della famosa legge Dumonceau, che dava espressamente tutte le temporalità della Chiesa nelle mani degli Ecclesiastici quantunque le intenzioni fossero veramente liberali. La legge è basata sul principio che i Preti soli sono la Chiesa; che la Chiesa Gerarchica (ossia i Preti) è in faccia allo Stato, un Potere le quali basi giuridiche sono del tutto erronee; nel mentre che invece l'Autorità Ecclesiastica non ha in faccia allo Stato diritti proprii, ma li deriva tutti dal diritto religioso di tutti i membri delle Società religiose come Cittadini verso lo Stato. Negare la libertà religiosa dei Cittadini mettendoli (per fatto, ed in mischianza della legg.e civile) nelle mani dei Preti, è negare la base stessa giuridica dei diritti dall'Autorità religiosa verso lo Stato. La legge è giusta liberale, per il suo intento; e riesce ad essere la negazione della libertà pel modo incompleto col quale applica il principio sul quale è basata. Questa è la profonda convinzione, che mi permetto di

e1sprimere, e che aveva redatta in uno scritto, che mi astenni dal pubblicare prima che la legge sia votata, perchè non voglio concorrere a creare difficoltà; eppoi san certo che le conseguenze che verrano poi la faranno completare. Le proposte Boncompagni, e soci hanno sentito ciò; ma non vi rimediano che

imperfettamente assai, ed anche (a quanto parmi) poco logicamente. La parte

buona e, credo, la creazione del1e Congregazioni Diocesane, e parrocchiali,

le quali sono una necessità, e la parte non buona, è il modo con cui le com

pongono e l'assoluta assenza d'una disposizione che ridoni alle loro mani tutte

le temporalità della Chiesa, e che diano norme alle facoltà amministrative di

quei Corpi dal solo punto di vista civile, e per gli effetti civili.

Noterò che se sarebbe assurdo che la legge civile stabilisse che la nomina

dei Parrochi, e dei Vescovi spetta alle popolazioni, è altrettanto singolare una

legge, la quale (partendo dal principio di libertà) mantenga col suo fatto pro

prio tutte le temporalità nelle mani dell'Autorità Ecclesiastica spogliando, col

fatto suo proprio, tutti i laici di ogni naturale ingerenza nelle dette nomine. È

l'assolutismo introdotto nella Società Ecclesiastica pel fatto della legge civile.

Con ciò il principio della separazione, e della libertà è affatto dimenticato.

Mi scusi se, cercando davvero la più larga applicazione del principio di

libertà, ed avendo da 20 anni studiato con molto amore questa materia espongo

schiettamente la mia opinione.

Io credo che bisogna abolire le personalità civili di tutti i benefizii, Par

rocchiali, Diocesani, Seminari etc. che ancora restano, e che sono opera, e

mescolanza della legge civile, che non bisogna toccare un centesimo di tutti

questi beni -che di essi tutti (fatto un riparto equo) deve essere a divenire

proprietaria tutta la Chiesa (laici e Preti), e che essa deve essere per questo

solo oggetto temporale rappresentata da un Corpo (Congregazioni Diocesane,

e Parrocchiali) nominato a base elettiva nella Chiesa; che nessun deve poter

aver diritti, o godimenti su questa temporalità, che non siano loro attribuiti

da queste amministrazioni; che queste devono essere libere da ogni ingerenza

civile, e libere nei loro rapporti coll'autorità della Chiesa e soggette solo a

norme civili e conservatorie come tutti gli altri Corpi di creazione civile, ed

in tutto del resto, e per la loro amministrazione, e pei loro atti soggetti unica

mente alle leggi civili comuni.

Sono convinto che fuori di ciò si nega la libertà pur volendola applicare, e che aumentato da una parte il monopolio delle cose temporali presso i chierici soli, e tolta dall'altra ogni tutela della podestà civile a pro dei laici (la quale non è secondo il principio di libertà, ma che è almeno compenso ad un sistema che la viola) si andrà incontro al più insopportabile fra tutti i despotismi, e si finirà a screditare presso il generale il principio stesso della libertà applicata alle materie religiose.

Io supplico il Governo di volere ben pensare a queste cose, ed a non volerle permettere, e lo supplico in nome di quella libertà che egli pure vuole lealmente applicare, a non voler creare per l'avvenire delle nuove difficoltà alla nuova e difficilissima questione Romana, a carico della quale saranno messe le con~eguenze di una incompleta, ed erronea applicazione di un principio giusto.

Voglia, la prego, e se lo crede, ,comunicare queste mie considerazioni che Le sottopongo a Lanza, a Sella, a Raeli che ,con esse mi pare di soddisfare, secondo le mie deboli forze ad un obbligo di coscienza.

P. S. Mi scusi pel precipizio col quale sono costretto a scriverle.

175

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL' AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 83. Firenze, 17 febbraio 1871.

Il giorno 21 corrente giungeva in Firenze il Generale di Divisione tunisino Heussein, e tosto mi faceva direttamente recapitare una domanda d'udienza (l) nella quale trovai compiegata una lettera di Si-Mustafa, Kasnadar, intesa ad esporre l'oggetto della missione affidata dal Bey a quel suo Generale.

Dopo aver espresso il dispiacere che prova il Bey per l'avvenuta interruzione delle sue relazioni coll'Italia, il primo Ministro definisce il mandato affidato ad Heussein. È questi incaricato d'informarci dei fatti accaduti, e di procurare, per tal modo, di persuaderei a ristabilire le relazioni ufficiali con Tunisi dimostrandoci che il Bey non ha dato alcun motivo all'interruzione dei medesimi. Non è fatto alcun cenno di poteri affidati ad Heussein per entrare in trattative circa le maggiori guarentigie da noi domandate, bensì nella lettera si contengono le più ampie e formali proteste del desiderio del Bey di mantenere, e consolidare i rapporti del suo paese .coll'Italia.

Feci rispondere verbalmente al Generale Heussein che lo avrei ricevuto privatamente il mattino del 16, ed all'ora indicatagli egli si trovò al convegno. Parlammo a lungo; ma, dal canto mio, non cessai dal fargli intendere chiaramente non essere mio proposito di accettare una discussione sui fatti che condussero alla rottura dei nostri rapporti con Tunisi; doversi anzi tutto, dal Bey eseguire i punti proposti dalla S.V.; quando questi fossero eseguiti, essere io disposto ad accogliere ufficialmente le dichiarazioni del Governo Tunisino e ad intavolare i negoziati relativi alle aggiunte da farsi al Trattato del 1868, nello interesse comune dell'Italia e della Reggenza.

La lettera del Kasnadar, presentatami dal Generale Heussein, non contiene, per verità, i poteri che a quest'ultimo sarebbero necessarii perchè io possa con lui aprire delle trattative sopra le guarentigie future che noi domandiamo alla Tunisia; ma, se la missione affidata al Generale deve avere qualche esito, converrà che tali poteri gli siano attribuiti giacchè soltanto sovra questo argomento il Governo del Re si propone di accettare una discussione.

Come Ella vede, io mi sono attenuto a quella linea di condotta che già Le avea segnalato col mio dispaccio del 10 corrente (2), ed io mi lusingo che, mediante la nostra fermezza non disgiunta dalla calma e dalla moderazione necessarie, noi otterremo dal Bey le soddisfazioni e le maggiori guarentigie che siamo in diritto di chiedergli.

176

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3560. Pietroburgo, 17 febbraio 1871 (per ore 16,20).

Hier à un bai de cour l'empereur m'abordant avec une gracieuseté particulière m'a dit que « grace à nous » et à la rédaction proposée par nous à la

conférence la solution de la question des détroits paraissait assurée. Il m'a chargé de faire parvenir au Roi l'expression de la satisfaction qu'il en éprouve. Me parlant ensuite de Rome il m'a dit que le prince Humbert avait fait un accueil très affable au chargé d'affaires de Russie, «si on peut l'appeler ainsi:. et que S. A. appréciait parfaitement l'importance de la situation.

(l) -Cfr. n. 159. (2) -Cfr. n. 149.
177

VITTORIO EMANUELE II ALL'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A MADRID, CIALDINI

L. P. Pisa, 18 febbraio 1871.

Par les. rapports que je reçois du Ministère, je crains que Vous ne soyez pas content de Votre position à Madrid ou que Vous ayez quelque sujet de mécontentement, ceci me fait de la peine. Je vous prie de m'éclairer à ce sujet, je suis étonné que Vous ne m'ayez jamais télégraphié depuis Votre départ. Dites moi ce que Vous désirez et je tacherai, comme toujours de Vous ètre agréable.

178

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

D. 74. Firenze, 18 febbraio 1871.

L'invio di Tchong-Ho in qualità di Ambasciatore in Francia ha determinato la Camera di Commercio di Shang-hai a dirigere al Presidente del Comitato dei negozianti di China in Londra una lettera, della quale il Console di Italia in quella residenza ha trasmesso copia al R. Ministero. Scopo di quella lettera è di protestare contro l'invio di quell'Ambasciatore, così per la scelta della persona, come per lo effetto che la missione affidatagli potrà produrre in China. Le cose esposte dalla Camera di Commercio di Shang-hai confermano in gran parte gli apprezzamenti del Console italiano intorno ai fatti di Tien Tsin ed alla condotta dello Incaricato d'Affari di Francia in quella occasione. Dalla lettera dei negozianti di Shang-hai si scorge quale ·Carattere sia stato dato alle riparazioni concesse dal Governo Chinese, in quanto concerne la punizione dei colpevoli, ed il risarcimento pecuniario per le offese arrecate alle corporazioni religiose. Osservano giustamente i negozianti di Shang-hai che la pena pecuniaria avrebbe dovuto colpire per quanto era possibile, la città dove i delitti erano stati commessi ed essere retributiva nella forma, e preventiva nei suoi eff,etti; ma che invece così non è, perchè la maggior parte dei fondi assegnati pel risarcimento anzidetto sarà prelevata dalle tasse pagate dal commercio estero a Shang-hai ed a Canton, e sulle percezioni della dogana estera di Tien Tsin. La quale considerazione è degna di tanta maggior attenzione in quanto che sembra che le

somme pagate dalla China a titolo di risarcimento per gli ordini religiosi, si elevano per i soli Lazzaristi a quasi due milioni di franchi, e che altre somme siano state assegnate anche ai gesuiti che non ebbero quasi nessun danno.

L'Italia ha in China interessi soltanto incipienti, non le appartiene quindi di pigliare alcuna iniziativa in questo affare. Cionondimeno, la ricerca del seme di filugelli che da alcuni anni chiama nelle contrade dello estremo Oriente non pochi viaggiatori e negozianti italiani, è tale industria per la quale, più che per molte altre richiedesi quella perfetta sicurezza delle persone che può essere fondata soltanto sopra un sentimento generale di benevolenza degli indigeni verso gli stranieri. Perciò, vivamente ci commuove il sentire che la Camera di Commercio di Shanghai abbia denunciato l'esistenza di una fazione potente formatasi in China nella classe dei letterati e dei funzionari, la quale nutre un odio profondo contro gli stranieri e si lusinga di attenerne l'espulsione. Noi desideriamo vivamente di sapere quale impressione abbia prodotto a Londra la lettera indirizzata al Comitato dei negozianti della China, ed a questo fine vorrei che V. E. si intrattenesse in via riservata e confidenziale col Conte Granville, e mi procurasse po·scia informazioni precise sul contegno che in presenza delle circostanze sovra esposte il Gabinetto di Londra si prefigge di osservare.

179

IL MINISTRO A BORDEAUX, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1411. Bordeaux, 18 febbraio 1871 (per. il 22).

Ieri dopo la seduta in cui l'Assemblea nazionale nominò il Signor Thiers capo del potere esecutivo della Repubblica francese, conformandomi alle istruzioni che l'E. V. m'impartì per telegrafo, mi recai in compagnia di Lord Lyons, ambasciatore di S. M. Britannica, presso lo stesso Signor Thiers e gli annunziai che il Governo di S. M. il Re d'Italia per mio organo riconosceva il nuovo Governo che la Francia si era dato per mezzo dei suoi rappresentanti all'Assemblea nazionale.

Lord Lyons fece la medesima dichiarazione a nome del Governo della Gran Bretagna.

Poco dopo nella sera stessa il Principe di Metternich andò egualmente a fare al Signor Thiers una comunicazione non molto dissimile per parte del Governo d'Austria-Ungheria.

Il Signor Thiers disse a me, non senza commozione, come disse ai miei colleghi d'Inghilterra e d'Austria, che questo buon procedere dei Governi da noi rappresentati contribuiva assai a dargli la forza necessaria per adempiere il penoso e gravissimo compito che la Francia per mezzo dei suoi rappresentanti gli aveva imposto. Egli poi mi disse che domani sarebbe partito per Versaglia al fine di cominciare senza ritardo i negoziati di pace col Conte di Bismarck.

180

VITTORIO EMANUELE II ALL'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A MADRID, CIALDINI

T. Firenze, 19 febbraio 1871, ore 20,30.

Lus vos rapports je vous en remercie, je me réserve de vous faire une réponse. Vous saurez déjà que la Reine est malade à Alassio. Elle a eu trois fièvres ce matin a voulu recevoir sa·crements. Quoique docteur Bruno dise que nécessaire, il n'y a rien de bien grave mais je crains quelque complication. Je

vous prie de féliciter Zorrilla de ma part d'avoir échappé à ·ce nouvel attentat. Reçois à l'instant votre dernière dépeche (1). Bien des souhaits.

181

L'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A MADRID, CIALDINI, A VITTORIO EMANUELE II

T. Madrid, 19 febbraio 1871.

Je viens de voir Zorrilla que l'on avait attiré cette nuit dans un guetapens sous prétexte de lui faire révélations importantes relativement assassinat Prim et dont il est sorti miraculeusement sain et sàuf. Veuillez Sire engager Roi Amédée suivre conseil prudence raisonnable et de ne pas risquer sa vie sans but sans nécessité comme 11 fait malgré tout ce qu'on lui dit. S. M. n'écoute personne.

182

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BORDEAUX, NIGRA

D. 295. Firenze, 19 febbraio 1871.

Le notizie trasmesse al Governo del Re da V. S. e quelle che per diverse vie giungono dalla Francia fanno ritenere per certo che un Governo legale e con forme definitive sta per essere costituito in codesto paese. Desideroso di non frapporre indugio a che si stabiLiscano rapporti diplomatici regolari fra l'Italia ed il potere chiamato a rappresentare la nazione francese, ho l'onore, signor Cavaliere di incaricarla a nome del Governo del Re di annunciare al rappresentante del Governo creato dall'Assemblea Nazionale francese il riconoscimento ufficiale della sua costituzione per parte dell'Italia.

È nostra intenzione di non tardare, come compimento ed esecuzione di tale riconoscimento, a munire V. S. di lettere credenziali di S. M. il Re N. A. S. pel Capo del nuovo Governo. Tutto indica che a quest'alta dignità è chiamato il signor Thiers, ma la corrispondenza di Lei non ci ha peranco fatto conoscere

il titolo ufficiale di cui quel personaggio sarebbe investito le ho quindi spedito oggi stesso un telegramma col quale la pregavo di volermi procurare in proposito le esatte indicazioni che sono necessarie per far preparare fin d'ora le credenziali che intendo sottoporre alla firma di S. M.

In attesa di un suo riscontro, mi pregio segnarle ricevuta della sua corrispondenza di Serie Politica, che mi giunse regolarmente fino al n. 1408.

(l) Cfr. n. 181.

183

L'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A MADRID, CIALDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. Madrid, 19 febbraio 1871.

On a voulu assassiner Zorrilla qui rentrait chez lui deux heures après minuit. Coup comp1ètement manqué Zorrilla n'ayant pas été bléssé. Je prie V. E. de communiquer ·cette nouvelle à S. M.

184

IL MINISTRO A BORDEAUX, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1413. Bordeaux, 19 febbraio 1871 (per. il 23) (1).

Ho ricevuto il dispaccio di serie politica n. 293 col quale l'E. V. volle trasmettermi un rapporto statole indirizzato dal R. Console generale in Nizza sulle condizioni di quella città, nonchè un secondo rapporto del cavaliere Galateri in data del 12 febbraio (l) pervenutomi sott'altro piego.

Nel ringraziare l'E. V. per la comunicazione di queste importanti relazioni, credo di non doverle tacete che a parer mio sarebbe difficile di prendere o trovare in questi momenti alcun provvedimento il quale avesse virtù di far cessare prontamente lo stato di cose narrato e lamentato dal cavaliere Galateri. Allorquando trattisi d'alcuna violazione di diritti individuali commessa a danno di

R. R. sudditi, ogni più energica reclamazione è ammissibile ed io certo non mancherò di farmene l'interprete presso il Governo francese per ogni caso speciale che l'E. V. vorrà segnalarmi. Ma credo che per porre un argine ad eccessivi e superflui rigori delle autorità locali contro l'intiera popolazione d'una città che oggi trovasi sotto la sovranità francese, altro io non possa tentare che rimostranze amichevoli, verbali ed ufficiose, facendole in nome del R. Governo e dichiarando ch'esso m'incarica di farle appunto perchè è lungi dall'approvare quelle tendenze contro le quali eccessi di rigore male reagirebbero e perchè vivamente desidera che ogni agitazione presto scompaia e che più. concilianti sensi predominino.

Sottometto all'E. V. la proposta d'un tale modo di procedere e la prego di volermi additare se ella giudichi ch'io debba seguirlo.

(l) Non pubblicato.

185

L'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A MADRID, CIALDINI, A VITTORIO EMANUELE II

T. Madrid, 20 febbraio 1871.

J;lrince Carignan vient de télégraphier Roi Amédée d'une manière inquiétante peut-étre de la part de la Reine meme. Roi Amédée voulait partir sur le champ pour Italie, mais il s'est calmé après réflexion et prière ministère. Il serait fort à désirer que V. M. 'conseille prince Carignan grande circonspection, et télégraphie Roi Amédée d'agir avec calme, car départ précipité Roi Amédée amènerait immanquablement grande révolution en Espagne, dont il serait impossible prévoir conséquence.

186

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3567. Tunisi, 20 febbraio 1871, ore 10,05 (per. ore 12,35).

Arrivée de Malta de canonnière anglaise. Consul de cette nation travaille sous main pour inspirer crainte du fanatisme arabe, à la colonie européenne mais tout le monde est tranquille et population indigène ne demande pas mieux qu'un changement de système au Bardo. On disait la meme chose du temps départ de l'expédition sarde et à l'époque de la dernière révolution et bien que conditions régence fussent différentes rien de tel n'a été à regretter. Italiens mal impressionés que dans les circonstances actuelles les pavillons étrangers flottent à la Goulette, au lieu du notre. Cependant, ils sont tranquilles et confiants dans l'action du Gouvernement du Roi. J'apprends à l'instant que navire anglais va partir pour Marseille, et corvette américaine arrivée en rade.

187

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3511. Londra, 20 febbraio 1871, ore 16,39 (per. ore 23,10).

Mussurus d'après ses instructions est disposé à présenter lui-meme notre formule à la conférence. Quelque plénipotentiaire a fait une remarque sur le mot « cela » qui est dans votre dernière rédaction contenue dans votre télégramme du 12 courant (1), laquelle, suivant vos ordres j'ai répété textuellement dans l'article que vous avez approuvé. On trouve ce mot familier peu convenable pour un traité. Pour éviter de vous demander des instructions dans les derniers mo

ments pour une question de rédaction, je prie V. E. de me dire si vous autorisez la subrogation de votre première rédaction disant « ou l'exigerait l'exécution ou l'intéret de l'exécution du traité de Paris du 30 mars 1·856 ». iLa locution serait toujours impersonelle quoique, à mon avis, cela n'empechera qu'on reconnaisse à la Turquie le droit de juger de l'existence de la nécessité d'ouvrir les détroits après qu'on aurait donné à elle seule la faculté de les ouvrir, laquelle ne serait pas une faculté si son exercice devait dépendre du consentement des autres puissances et meme de celles auxquelles elle ne voudrait pas ouvrir les détroits dans un cas donné. La portée pratique de ce système consiste toute, à mon avis, dans la faculté donnée à la Turquie seule, d'ouvrir les détroits aux uns et de les fermer aux autres. Le cas de la nécessité plus ou moins fortement exprimée n'aurait pas, le cas échéant, une importance effective et pratique.

(l) No.n pubblicato.

188

IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, MIGLIORATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 216. Monaco, 20 febbraio 1871 (per. il 22).

Il conte di Tauffkirchen giunto da Roma da pochi giorni in seguito ad un congedo motivato da ragioni di famiglia ha ricevuto avant'jeri l'ordine di restituirsi al suo posto avendo S. E. il Conte di Bismarck fatto conoscere al Governo bavarese che il Conte d'Arnim dovendosi recare in congedo gli affari di interesse federale presso il Papa dovevano essere affidati al rappresentante bavarese.

È naturale che il Gabinetto di Monaco abbia accolto con premurosa sollecitudine l'invito venutogli dal Cancelliere imperiale relativamente ad una questione cui il Conte di Bray sembra annetta una speciale importanza giacchè implica una sanzione di fatto a favore di uno dei privilegi che vengono accordati a questo paese dai recenti trattati conchiusi a Versailles. Ho veduto un istante il Conte di Tauffkirchen e da quanto dissemi sembrommi ch'egli abbia recato da Roma impressioni non troppo soddisfacenti sull'attuale ordine di cose tanto parlando dell'attitudine del Governo di S. M. verso il Vaticano, quanto del contegno della popolazione e specialmente della società romana verso di noi; appena udite le prime parole del Conte di Tauffkirchen mi riproposi di essere con esso piuttosto riservato, ossia di non fargli l'impressione che io volessi indagare gl'intimi suoi concetti, e così riservarmi a sapere meglio le cose dal Signor Conte di Bray, che procurerò di vedere in questi giorni: dal colloquio ch'ebbi col prelodato diplomatico ritenni le parole seguenti « Il Papa è male in salute e tutto accenna il prossimo termine del suo Pontificato; nel Sacro Collegio vi sono due partiti dai quali potrà sorgere vivo contrasto per la scelta del luogo ove dovrà riunirsi il Conclave; tali discrepanze potrebbero dare luogo ad una dobbia [sic] elezione; in fine a Roma tutto è provvisorio».

Non debbo nascondere all'E. V. che il Conte di Tauffkirchen è in generale considerato come impressionabile e mi permetterei di dire pur anco un po' faiseur; egli segue forse il metodo di dimostrare grave la situazione onde aumentare l'importanza del suo mandato.

Ho creduto non dover nascondere all'E. V. queste notizie onde possano se

non altro servirLe di confidenzialissima norma nelle apprezziazioni di Lei, men

tre mi riservo di recare alla di lei conoscenza quanto mi verrà fatto di conoscere

in proposito.

189

IL CONSOLE GENERALE A ROUSTCHOUK, DURANDO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 8. Roustchouk, 20 febbraio 1871 (per. il 5 marzo).

Ebbi l'onore di ricevere il dispaccio di V .E. in data 14 gennaio ultimo,

n. 3 serie politica (1) assieme ai 185 documenti diplomatici e ne porgo ringraziamenti.

Non ho più trasmesso dal 20 ottobre scorso a V. E. alcun mio rapporto di questa serie, perché d'interesse poco rilevante e affatto locale sarebbero state le notizie, ed ho pensato che in momenti sì straordinari testè trascorsi non vi era prezzo a riferirle.

I casi di Francia hanno profondamente messo sopra pensiero le autorità turche, e tutti quelli cui il parteggiare pel Governo turco è loro esistenza. I bulgari per contro ne sono soddisfatti. Sperano essi che il Governo della Porta non più fiancheggiato dall'assistenza di Francia abbia ad andare in sfascio. Calcolano moltissimo, anzitutto dalla Russia senza essere però nullamente inclinevoli a ,cadere nel dominio di questa Potenza.

lo vedo qui pure avverarsi il sentimento generale dei jugoslavi, che se non si avesse bisogno del1a Russia sarebbe contro essa principalmente e dirò quasi solamente che l'istinto nazionale avrebbe più diffidenza. Ma come nei jugoslavi d'Austria tanto più nei bulgari vi è la necessità del contrario perchè fra gli stati che sotto lo specioso nome d'influenza :tentano padroneggiare la Turchia, la Russia è il solo che si presenti loro protettore e nemico del loro nemico.

Da quasi otto anni che ho passati tra gli slavi di Turchia, ove ebbi pure occasione di avere relazioni con quelli d'Austria, io ho constatato in tutte le loro famiglie un sentimento deciso di particolarità, per cui si può fin d'ora predire che il primo fatto di loro rivolgimento sarà la confederazione. Se vi saranno annessioni anch'esse saranno particolari ed avverranno in modo seguendo le tradizioni, gli interessi, le religioni da costituire tre gruppi distinti, i croati i serbi i bulgari.

lo venivo di scrivere le precedenti considerazioni quando ebbi per le mani il foglio del Levant Heratd di Costantinopoli del 26 gennaio ultimo dove trovasi nella parte scritta in inglese un interessante articolo sulla questione jugoslava. Io ho creduto non cosa affatto inutile l'inviarne a V. E. una traduzione (1). Fo riflettere che le considerazioni di questo articolo circa il movimento e le aspirazioni dei jugoslavi sono in generale quasi istesse di quelle che nei rapporti degli anni passati io ebbi l'onore di riferire a codesto Ministero. Quanto poi al modo di risolvere il problema jugoslavo il corrispondente del Levant Herald lo

13 -Documenti dipLomatici -Serie II -Vol. II

fa pensare e desiderare all'inglese vale a dire per non distruggere il dogma

dell'integrità della Turchia, fa consigliare alla medesima di rendersi l'iniziatrice

e la protettrice sovrana della confederazione jugoslava, la quale comprenderebbe

la Bulgaria la Servia, la Bosnia, l'Erzegovina, il Montenegro, la Croazia e la

Dalmazia. Io dubito assai che autore di questo progetto sia un jugoslavo. Ad

ogni modo lo stimo quasi un'utopia. Non è accettabile dai jugoslavi perchè essi

credono la cessazione del dominio turco come la base del loro risorgimento. Non

sarà accettato dalla Turchia, perchè ora è divenuto siccome principio ineluttabile

della Porta la resistenza a qualsiasi diminuzione di sovranità o di territorio.

Oltre a ciò se i jugoslavi sdegnerebbero per fierezza la volontaria soggezione alla

turca barbarie; d'altra parte la Turchia è sostanzialmente e moralmente inca

pace d'intraprendere l'ardito progetto.

Io credo per contro che al progresso del movimento jugoslavo corrisponda

il regresso della potenza turca, per cui è affatto cosa impossibile direi quasi

contro natura che i jugoslavi si possano concordare colla Turchia. Ciò posto im

porterebbe il ricercare quali siena gli elementi e il punto attuale del progresso

dei primi e se vero sia il regresso della potenza ottomana. Tanto l'una che l'altra

questione non sono di mia competenza; e tutto al più mi è dato in quanto con

cerne le famiglie jugoslave di non discorrere che della bulgara, e per ciò che si

riferisce al Governo della Porta di restringermi ad esporre l'andamento dell'am

ministrazione di questo Vilaget del Danubio.

Sullo stato politico dei bulgari, ebbi l'onore di riferire nel mio rapporto

in data 18 maggio 1870 n. 4 Serie politica. D'allora in poi niente è avvenuto

di straordinario. La questione loro col Patriarcato di Costantinopoli, malgrado

il favorevole firmano della Porta si è di nuovo intoppata in discussioni e con

ferenze; e tutto porta a credere che i nazionalisti bulgari saranno assai delusi

sulle speranze che per un momento erano loro balenate.

Tra i giovani e i vecchi si manifesta sempre più il dissenso pel loro indi

rizzo nazionale. Dai vecchi si guarda alla Russia; da quelli più all'occidente e

vorrebbero appoggiarsi ai serbi. I giovani capiscono che si debbono preparare:

spingono all'istruzione; in tutte le principali città di Bulgaria fondarono gabi

netti di lettura al doppio scopo d'intendersi e leggere. Ciò non va a sangue del

vecchio partito che teme le idee nuove e l'istruzione che corregge la cieca som

messione e favorisce la tolleranza e l'indipendenza in religione.

I bulgari emigrati hanno rallentato il lavoro dei comitati; però da quanto mi viene assicurato da fonte russa, si tratterebbe ora di riprendere l'azione, onde con quaLche impresa dar noja al Governo della Porta ed eccitare l'agitazione in paese. Pare a me che gli emigrati s'ingannino sulle condizioni politiche della loro patria. Che in tutti i bulgari o agiati o poveri o mercatanti o contadini sia unanime il desiderio di essere sbarazzati del Governo turco è un fatto incontestabile, ma quanto al Iiberarsene la gran ma,ssa non vi pensa, perchè Io accetta e lo sopporta come ineluttabile necessità, come si sopporta il rigore del clima. I pochi, che ne comprendono il bisogno, parte sono rattenuti da quella codardia abituale a' popoli lungamente oppressi, parte poi, e sono gli intelligenti vedono realmente per ora l'impossibilità dell'impresa; e giustamente credono che i folli conati anzkhè avanzare la loro emancipazione, usano e isperdono quelle poche forze che gradatamente pertinacemente raccolte condurranno un

giorno a vittoria. Di questi intelligenti ve ne sono ben pochi; Ìna è pure un fatto che aumentano man mano di numero: ed è ivi che sta a mio credere il vero carattere e il progresso del movimento bulgaro.

Il Governo della Porta nulla fa per sviare questo movimento, o quanto meno per dirigerlo nel suo interesse. Pare anzi che a bello studio si sforzi di rendere la sua amministrazione in Bulgaria ogni giorno meno accettabile, e più irregolare sotto ogni rapporto. Amministrati e amministratori sono più che mai separati, e gli uni invisi agli altri. Donde ne segue uno stato di cose il più precario che sia mai avvenuto, e basterebbe un picciol urto per tutto rovesciare.

Può essere che il Governo della Porta altrove sia in buona fede, applichi le riforme che si pubblicano in Costantinopoli e migliori nel suo personale, ma da due anni che risiedo in questa provincia, io ho dovuto constatare un grandissimo regresso da ciò che quanto meno apparentemente aveva inaugurato Midhat Pascià. Ormai non è punto esagerare se si caratterizza l'attuale amministrazione di questa provincia un vero sgoverno. Coll'attenersi a questo sistema la Sublime Porta si perde nell'affezione di quei bulgari, e sono forse i più, che sarebbero anche disposti a coordinare volontariamente la loro libertà colla sovranità del Sultano; accresce l'odio e il desiderio di novità in tutti, e finalmente danneg.gia sè stessa dimostrandosi incapace a mantene,re in una provincia tanto importante un Governo, di cui forse ben a maggior diritto si dovrebbe dire, che ne è la negazione.

(l) Nc.n pubblicato.

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L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL MTNISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 260. Bucarest, 20 febbraio 1871 (per. il 17 marzo).

Nella tornata del 17 volgente la Camera approvò il progetto di indirizzo al nostro Parlamento pel trasferimento della capitale a Roma.

Ne trasmetto la traduzione.

Finita la lettura l'ex Ministro Epureano osservò che alcune parole, ad esempio la parola costa gli sembravano ridicole, ed il deputato Lahovari aggiunse che in generale questo documento avrebbe dovuto essere redatto in uno stile più semplice e più preciso. Rispondendo, il signor Cogalniseano disse che i membri della commissione conoscevano la lingua rumena almeno cosi bene come il signor Lahovari, ma dovendosi l'indirizzo tradurre in italiano la commissione ha creduto poter adottare le frasi che le parevano più atte (!).

La Presidenza della Camera si concerta ora col Ministero per quanto con

cerne il modo di trasmissione, ed il principe Jon Ghica, che me ne tenne parola

ieri l'altro, me ne parteciperà le decisioni.

Pel caso in cui il Governo princlpesco si rivolgesse a questa R. Agenzia,

sarei grato a V. E. se volesse compiacersi dirmi telegraficamente se posso pre

starmi a trasmettere codesto documento al R. Ministero.

Nei precedenti miei rapporti additai lo scopo della manifestazione che ci vien fatta. Esclamando che Roma è il legame della loro nazionalità, e che il

principio della solida1·ietà delle razze sarà il simbolo di fede delle nazioni romane, questi discendenti dalle legioni di Traiano e dalla costa del popolo-re che finora non s'inchinarono che alla Francia, implorano oggi l'Italia qual loro genio tutelare per opporlo alla furia dei barbari!

ALLEGATO

INDIRIZZO DELLA CAMERA RUMENA AL PARLAMENTO ITALIANO

La Camera dei deputati della Rumenia saluta con entusiasmo il voto del Parlamento Italiano, il quale ha consacrato il cambiamento definitivo della sede del Governo dell'Italia Unita nella Città Eterna.

I Rumeni-Daci sorti da una costa del popolo-Re, trapiantati dal Divo Trajano a vigile custodia dei lontani confini del mondo romano, nel corso di circa 18 secoli agitandosi contro le tenebre dei tempi e delle vicissitudini avverse, serbarono intatte le tradizioni, i costumi, la lingua, i nomi, e non si stancarono di volgere un momento solo gli occhi ed il cuore verso Roma focolare del prisco incivilimento.

I figli dell'Italia moderna, rigenerati dalla libertà, menati dal genio politico del grande Cavour, e sotto un augusto ed eroico Re versarono il loro sangue generoso a lato ai grandi popoli dell'Occidente per l'indipendenza dell'Oriente.

Questo sacrificio fecondò lo spirito di emancipazione politica e sociale nel cuore della Colonia Trajana del Danubio, e fece rinascere a nuova vita da due stati rumeni apparentemente divisi una Rumania unita e libera sotto la garanzia delle grandi potenze, fra le quali l'Italia accanto alla Francia fu come una provvidenza tutelare per la piccola sorella dell'Oriente.

D'allora in poi il cuore dei rumeni ha battuto all'unisono con quello dei suoi fratelli d'Occidente. L'Italia unita, Roma capitale, furono sempre uno dei desideri più ardenti dei rumeni.

Raggiunto questo scopo delle aspirazioni italiane, la nostra speranza è che il principio della solidarietà delle razze sarà d'ora innanzi il simbolo di fede di tutte le nazioni romane. Discendenti dalle legioni di Trajano della Dacia, cogli occhi sempre rivolti alla colonna imperitura la quale ha bravato e le ingiurie del tempo e la furia dei barbari per attestare autentica la nostra origine, speriamo che questo monumento secolare parlerà di noi più eloquentemente di quanto può farlo la nostra debole voce.

Viva l'Italia, ed il suo Re!

Viva Roma capitale! Roma il legame della nostra nazionalità.

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L'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A MADRID, CIALDINI, A VITTORIO EMANUELE II

T. Madrid, 21 febbraio 1871.

Sire. Zorrilla remercie infiniment V. M. des félicitations dont il est très reconnatssant.

Puiosque la maladie Reine d'Espagne va retarder encore son arrivée içi veuillez bien, Sire me permettre rentrer en attendant en Italie. Après m'avoir écouté V. M. déterminera ce qui bon lui semblera.

Madrid n'est pas Turin ni Florence. Ici il est inconvenant pour un ambassadeur rester longtemps dans un méchant hotel. J'ai ainsi mal dépensé partie argent qui devait servir à mon établissement. Ayant été en outre forcé vendre tous les chevaux et les voitures voilà position que l'on m'a porté. Je m'empresse de supplier V. M. vouloir bien m'en tirer et de me permettre regagner Italie.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 84. Firenze, 21 febbraio 1871.

Le conversazioni avute col generale Heussein mi hanno persuaso ,che questo funzionario tunisino non ha poteri sufficienti per negoziare col Governo del Re in ordine alle guarentigie che questi deve chiedere per assicurare in avvenire agli Italiani il libero esercizio dei diritti che furono loro riconosciuti nel trattato di commercio del 1868. L'inviato tunisino persiste a volerei dare spiegazioni sui fatti avvenuti alla Gedeida ed a dichiarare che il Governo del Bey è animato dei sentimenti della maggior benevolenza verso gl'Italiani stabiliti nella Reggenza. A questo riguardo il generale Heussein ci ha ripetutamente proposto un'inchiesta sui fatti rimettendo a noi la scelta del modo di provvedervi. Egli ha inoltre a parecchie riprese formalmente impegnata la parola del Bey che gli Italiani che si dedicano alle imprese agricole troveranno a Tunisi lo stesso trattamento che è fatto agl'indigeni più altolocati e più benevisi dal Sovrano. Ma contemporaneamente il generale tunisino ha insistito nelle forme le più convenienti perchè il Governo del Re volesse considerare che i punti formolati dalla S. V. non erano sinora stati presentati in iscritto al Bardo, che essi erano stati fatti verbalmente al Bey in un'udienza che V. S. avea avuta, e che perciò poteasi ancora venire sui termini dei medesimi a componimento da parte nostra senza offendere la dignità del R. Governo ed anzi dimostrando quanto noi siamo solleciti di accogliere benevolmente le spiegazioni che un piccolo paese manda ad offrirei.

Le risposte che abbiamo date al generale Heussein furono costantemente intese a persuaderlo di chiedere poteri al suo Governo per trattare con noi sulle future guarentigie, e di far sapere intanto al Bey che noi non intendevamo recedere dalla domanda fattagli circa l'esecuzione dei punti formulati da V .S. Ed affinchè in questo senso l'inviato del Bey abbia a scrivere al suo Sovrano, io gli ho fatto consegnare ieri due semplici note contenenti i punti anzidetti e le guarentigie che l'Italia domanda. Ella troverà in questo dispaccio copia testuale di quelle due note (1).

Però io non debbo nasconderle che trattandosi di domandare la punizione di alcuni individui, riesce impossibile ad una nazione civile qual'è l'Italia di ricusarsi d'ammettere che alla punizione preceda un'inchiesta sui fatti ed un

giudizio. E la ripetuta dichiarazione del generale Heussein che il Bey lascia a noi la scelta del modo di procedere a tale inchiesta contiene in sè stessa una non indifferente soddisfazione perchè è un appello diretto alla nostra giustizia nella quale S. A. dimostra d'aver la massima confidenza.

Sotto un altro aspetto peraltro io non potrei consentire alla formazione d'una commissione d'inchiesta quand'anche in essa fosse fatta alla R. Agenzia e Consolato generale la parte la più larga, perchè non ignoro le difficoltà e gl'inconvenienti senza fine che dall'adozione di un tal partito non tarderebbero a na·scere.

Il Governo del Re per far prova d'uno spirito di conciliazione e d'una moderazione di cui quello di Tunisi dovrà essergli grato, sarebbe di preferenza disposto ad autorizzare la S. V. a prendere in considerazione i punti a Lei proposti dal Console generale d'Inghilterra in nome del Bey.

Il primo punto si avvicina abbastanza a quello formulato dalla S. V. perchè sia facile lo intendersi. Noi vorremmo però che ci si introducesse la parola

immediatamente.

Noi saremmo anche disposti ad accettare il secondo ed il terzo punto come sono proposti nella nota del signor Wood o con quelle modificazioni di forma che a Lei sembrassero necessarie.

Ma la sostituzione di questi punti a quelli verbalmente domandati da V. S. al Bey dovrebbe avere due corrispettivi: cioè:

1° il riconoscimento per parte di S. A. il Bey dell'obbligo di risarcire i danni effettivamente toccati alla società della Gedeida in seguito agli atti arbitrari che vi .furono commessi, rimettendo l'accertamento e la liquidazione di quei danni ad un giudi:I'Jio d'arbitri se intorno ai medesimi non si potesse altrimenti statuire.

2° l'accettazione immediata per parte del Bey delle guarentigie domandategli per l'avvenire.

Circa il modo di procedere nelle domande che la S. V. dovrà formolare, il

Governo del Re preferirebbe ch'Ella incominciasse dal far sapere al Bey che

le istruzioni impartitele Le impongono di chiedere:

1° l'esecuzione dei punti già da Lei formolati ed ora stati consegnati per

iscritto al generale Heussein in Firenze.

2<> la concessione delle guarentigie di cui il R. Governo ha parimenti

fatto conoscere all'inviato tunisino il testo preciso.

Poscia la S. V., facendo valere l'affezione particolare ch'Ella nutre per

il paese dove da vari anni risiede e le buone relazioni ch'Ella ebbe con il Bey

ed il suo primo ministro potrebbe far sentire d'essere disposta a consigliare

personalmente al Governo del Re di dare una prova di benevolenza per la

Tunisia e per il suo sovrano col rinunziare in parte ai punti da Lei posti verbal

mente al Bey e d'accettare invece quelli contenuti nella nota comunicatale dal

Sig. Wood in nome di S. A. Ella aggiungerà però di non poter arrischiarsi a

fare al R. Governo una simile proposta se non avendo la certezza che il Bey

acconsenta a spedire immediatamente al generale Heussein i poteri per firmare

il protocollo da noi presentatogli e per impegnare il Governo di Tunisi relati

vamente alle altre guarentigie che noi gli domandiamo.

Il protocollo è redatto in termini così chiari che appena può aver bisogno

di spiegazioni. Per esso si viene soltanto ad introdurre una guarentigia contro

gli atti arbitrari degli agenti subalterni dell'autorità locale, senza menomare in nessuna guisa la giurisdizione del governo tunisino sugl'indigeni. L'estensione dello articolo 15 del trattato del 1868 anche all'industria agricola non costituisce un cambiamento nelle disposizioni del trattato, ma ne interpreta una delle principali disposizioni in conformità dei nuovi bisogni ·che sorgono nella nostra colonia. Col protocollo che noi proponiamo si riduce a sistema permanente ciò che in recenti casi, secondochè il Bey i:stesso ebbe ad osservare, era stato praticato per l'arresto d'un indigeno ricoveratosi presso ·certi coltivatori italiani. Infine questo sistema è conforme al regime in vigore per tutti i tunisini addetti al servizio degli stranieri con questa differenza che quando i tunisini sono nelle case degli stranieri non vi possono essere arrestati senza l'intervento personale d'un delegato del consolato, mentre invece quando si tratterà d'un indigeno riconosciuto come addetto al servizio di coltivatori italiani, basterà che il consolato sia avvisato perchè i coltivatori possano altrimenti provvedere alla tutela dei proprii interessi. Il metodo proposto per la formazione delle liste degli indigeni addetti al servizio degli Italiani per i lavori agricoli e la pastorizia contiene d'altronde una seria guarentigia reciproca che potranno ,essere evitate molte ·cause di contestazione imperocchè, quando il protocollo sia lealmente applicato, gli Italiani, troveranno in esso un mezzo di essere assicurati 'Che fra i loro pastori e contadini non si nascondono individui rice,rcati

dalla giustizia locale ed i tunisini vi troveranno un freno contro qualsiasi abuso che potrebbe verificarsi. Noi ci lusinghiamo che lo spirito d'equità e la moderazione dei termini nei quali è espresso il protocollo saranno apprezzati dal Bey; ma bisogna che

S. A. non ignori che, qualora alla S. V. non riuscisse di ottenere la pronta adesione alle moderatissime nostre domande, il Governo del Re si vedrà costretto di far tosto conoscere al generale Heussein che l'oggetto della sua missione non può più esser conseguito, e conseguentemente rifiuterà di ricevere da lui qualunque altra comunicazione.

(l) Non pubblicate.

193

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA

(Ed. in Le Carte di Giovanni Lanza, vol. VII, pp. 61-62)

L. P. Roma, 21 febbraio 1871.

Mi giunge, da varie parti, la voce che il partito ultra clericale, sempre nell'intento di far partire il Papa da Roma, spera di indurlo a riaprire il Concilio fuori d'Italia e che, a quest'uopo, il Governo austriaco sarebbe stato interpellato sulla possibilità di radunare l'assemblea in questo stato. Non so quale fondamento serio abbia questa voce e cercherò di verificarlo. Si dice anche che alcuni Vescovi, e fra questi dei Vescovi napoletani, abbiano ricevuto una circolare per avvertirli della possibilità che il Concilio si convochi fuori d'Italia.

Se ciò fosse, non sarebbe forse ,impossibile, anche col mezzo di D'Affiitto, di verificare a Napoli la realtà del fatto.

194

IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, MIGLIORATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 217. Monaco, 21 febbraio 1871 (per. il 23).

Ieri mentre stava firmando il mio rapporto N. 216 di questa serie (l) essendo stato informato che S. E. il Conte di Bray dovea partire stamane alla volta di Versailles per prendere colà parte ai negoziati di pace, mi recai subito presso di lui onde augurargli un felice viaggio e prendere comiato. Trovai S. E. che stava per uscire di modo che non ebbi che il tempo di scambiare con esso poche frasi. Mi confermò l'ordine che avea dato al Conte di Tauffkirchen di recarsi a Roma per le ragioni accennate nel mio rapporto d'jeri. Intorno allo stato delle cose in Roma dissemi sembrargli che la situazione non abbia in questi ultimi tempi migliorato, ch'essa era forse maggiormente tesa in seguito all'emendamento introdotto nella legge sulle franchigie da accordarsi al Papa relativamente alle Gallerie e Musei del Vaticano i quali essendo dichiarati proprietà nazionale saranno custoditi da impiegati del Governo italiano; che ciò pareva contrario al concetto primitivo del Governo del Re il quale sembrava avesse dapprima l'intenzione di rispettare più largamente il principio di astensione verso il Vaticano come dimora del Papa. Il Conte di Bray mi espresse di volo queste idee senza però farmi l'impressione di esserne grandemente preoccupato; è possibile che il Conte di Tauffkirchen ritardi però di alcuni giorni la sua partenza per Roma aspettando da un momento all'altro il parto di sua moglie.

Intorno alla partenza del Conte d'Arnim corrono qui voci non so con quale fondamento secondo le quali egli sarebbe stato richiamato dal suo Governo a causa di propositi imprudenti che sarebbero stati pronunziati da una Signora della società romana, propositi contro i quali l'Eminentissimo Antonelli avrebbe mosse lagnanze presso il Gabinetto di Berlino.

195

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 207. Tunisi, 21 febbraio 1871 (per. il 25).

Confermo a V. E. il mio telegramma delli 18 andante via di Trapani (2), ed oggi deggio informarla che dopo l'arrivo del vapore di jeri essendosi sparsa la voce che la nostra vertenza era stata regolata col Generale Heussein Inviato del Bey a Firenze, la più grande agitazione regna in questa Colonia italiana, la quale al punto in cui sono le cose, si preoccupa maggiormente dell'amor proprio nazionale, che de' suoi interessi. Ed infatti continuando tuttora ad essere occupata la casa della Gedeida, come pure restando pendente la vertenza del Signor Mainetto a Susa, e proibita in isfregio del Trattato la vendita in

dettaglio dell'oglio agli italiani che diedero luogo ad altrettanti protesti del

Consolato, essa trova in questo contegno un deciso mal volere del Bardo verso

dell'Italia, e per quanto io abbia fatto non sono riescito ad inspirare nella

medesima la fiducia che in ogni qualunque caso prima cura del Governo del

Re sarebbe stata di salvaguardare in un colla propria dignità gli interessi

nazionali. Aggiungerò che non potendo spiegarmi apertamente, anzi dovendo

tenermi nella massima riserva, comincio ad essere guardato da taluni con occhio

di diffidenza. Del resto s'intriga da tutte le parti, ed al Bardo certamente non

ne mancano i mezzi; in quanto a me però non mi commuovo punto, e solo desi

dero che da tutto ciò ne ridondi del bene alla Colonia, e con essa a tutto il

paese.

Il Signor di Botmiliau mi disse jeri l'altro che coll'ultimo vapore francese

avendo ricevuto istruzioni da Parigi di trovar modo presso del Bardo di appia

nare le nostre differenze era stato una seconda volta dal primo Ministro del

Bey :e dal Generale Khereddin, ma che entrambi persistevano nel rifiuto di accet

tare che sia inserto nel nostro Trattato il medesimo articolo che venne stipulato

col Marocco riguardo ai coltivatori e pastori indigeni addetti al servizio degli

italiani, adducendo sempre per ragione il ritornello che per tal modo si veniva

ad esautorare il Governo del Bey, come se questo possa chiamarsi Governo, e

come se al punto in cui sono giunte le cose non si fosse in diritto di esigere

maggiori e più reali garanzie. Che se Sir Gladstone qualificava quello di Napoli

sotto i Borboni la negazione di Dio, non saprei invero trovare nel dizionario

termini adatti a deffinire il Governo di Tunisi.

(l) -Cfr. n. 188. (2) -Non pubblicato.
196

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A BORDEAUX, NIGRA

T. 1599. Firenze, 22 febbraio 1871, ore 17.

Pour donner immédiatement les dispositions nécessaires pour prévenir désordres à la frontière de Nice par suite du retour des volontaires garibal

diens, ministre de l'intérieur désire savoir à peu près le nombre de ces volontaires dirigés sur J.'Italie. Tàchez de vous procurer des renseignements à cet égard.

197

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BORDEAUX, NIGRA

D. 296. Firenze, 22 febbraio 1871.

Ella fu già da me informata dei passi ai quali l'<Italia si è associata allo scopo che la Conferenza, riunita a Londra per la revisione di alcuni articoli del trattato di Parigi del 30 Marzo 1856, non avesse a pigliare definitive deliberazioni senza il concorso della Francia. Quel diplomatico consesso, mentre

non ha creduto di poter senza inconvenienti soprassedere maggiormente a costituirsi, ha però adottato un modo di procedere che rinvia la sottoscrizione degli atti, contenenti le sue finali deliberazioni al tempo in cui, le condizioni della guerra franco-germanica, permetteranno che anche il Plenipotenziario francese vi apponga la sua firma.

L'armistizio conchiuso a Versailles fra le parti belligeranti, le ristabilite comunicazioni con Parigi, la riunione di un'Assemblea constituente a Bordeaux, e la formazione di un potere esecutivo, rappresentante il governo legale della Francia, permettono ora a codesto paese di farsi rappresentare senza indugio nella Conferenza di Londra, e noi ci felicitiamo di avere saputo che tale è infatti l'intenzione del Governo Francese.

Reputo perciò che sia venuto il tempo di informare V. S. per sommi capi dello sviluppo che ebbero i varii punti di quistione già ventilati in seno della Conferenza e nelle riunioni preparatorie dei plenipotenziari.

Furono tutti d'accordo i Gabinetti rappresentati a Londra nello accettare che la neutralità del Mar Nero e la limitazione delle forze navali degli Stati litorani di quel mare, siano abolite e che il principio della chiusura degli Stretti del Bosforo e dei Dardanelli sia invece mantenuto. Però nella formala determinante le condizioni della chiusura, la conferenza fu d'avviso che si dovesse trovare un compenso all'abrogazione degli articoli del Trattato del 1856 che, in vista di un interesse generale, aveano creato nel Mar Nero uno stato di cose affatto eccezionale.

Nelle riuniont preparatorie dei plenipotenziari tre partiti furono discussi.

Il primo, formato sulla base delle istruzioni date dall'Austria al suo plenipotenziario, fu, dopo uno scambio di idee, fra i varii gabinetti, ridotto dal barone Brunow nella formala seguente:

« il Sultano in forza del diritto di sovranità che esercita sugli stretti del Bosforo e dei Dardanelli si riserva in tempo di pace la facoltà di aprirli a titolo di eccezione transitoria alle potenze non ri.puarie nel solo caso in cui la sicurezza del suo impero gli facesse riconoscere la necessità della presenza di bastimenti di Stati non ripuari ».

A questo formala il plenipotenziario d'Austria ha voluto si aggiungesse alla fine le parole «del Mar Nero».

La formala Brunow avea di già riunito i suffragi di tutti i Gabinetti, ad eccezione soltanto di quello di Costantinopoli, il quale insisteva perchè da Musurus Pacha si facesse accogliere un diverso partito da lui espresso nei termini che seguono:

« Mantenere l'antico principio della chiusura degli Stretti con facoltà alla Porta di aprirli alle Potenze amiche nel solo caso in cui i suoi interessi e la sua sicurezza lo esigerebbero».

Ma non volendo l'Austria accondiscendere a tale partito, i Governi particolarmente interessati a conciliare le divergenti opinioni diedero opera a ricercare i termini di un equo componimento accettabile tanto dalla Turchia quanto da tutte le altre potenze.

Nei convegni preparatori venne messo innanzi il progetto di confermare puramente e semplicemente il principio della chiusura assoluta ed incondizionata degli stretti in tempo di pace a tutte le bandiere da guerra lasciando che la Turchia e la Russia aumentino a loro posta le loro forze navali nel Mar Nero. Con ciò si manteneva in sostanza lo stato attuale di cose relativamente agli stretti senza che le nuove stipulazioni contenessero alcun compenso per l'abrogazione di quegli articoli del Trattato del 1856 che aveano stabilito la limitazione delle forze marittime degli Stati litoranei del Mar Nero.

Le istruzioni da noi date al plenipotenziario italiano a Londra permettevangli subordinatamente di accettare anche questa ultima proposizione, ma soltanto nel caso in cui gli fosse provato che la Porta Ottomana, persisteva a rifiutare la formola del Barone Brunow. Noi volevamo anzi tutto che fossero esaurite a Costantinopoli le pratiche tendenti a rimuovere la Turchia dalla sua opposizione alla formola preparata dal Barone Brunow.

In seguito alle istruzioni telegrafiche impartitegli, si condusse infatti il Ministro del Re a Costantinopoli presso il Gran Vizir e gli espresse il nostro desiderio, conforme a quello delle altre Potenze, di stabilire un accordo generale di tutti i Governi intorno alla formola Brunow. Nello stesso senso Photiades Bey mi promise che avrebbe telegrafato al suo Governo. Però le risposte avute da Costantinopoli non ci lasciarono dubbio che la Porta persisteva a considerare nella formola Brunow una limitazione della propria indipendenza come Stato sovrano avente la piena facoltà di stringere tutte le alleanze che convengono ai suoi interessi.

Persuasi dunque che la formola preparata dal plenipotenziario di Russia non avrebbe ottenuto l'adesione della Turchia e vedendo che un'uguale opposizione avrebbe incontrato non solo per parte nostra ma anche per parte di altre potenze l'adozione della formola di Musurus Pacha, parve a noi fosse venuto il momento di farci avanti con un'altra formola di cui abbiamo dato preventivamente notizia ai varii Gabinetti.

Questa nostra formola è così concepita:

«Maintien de l'ancien principe de la fermeture des détroits, avec faculté à la Porte de les ouvrir, en temps de paix, aux ftottes des Puissances amies et alliées dans le cas où l'exigerait l'exécution des stipulations du traité signé à Paris le 30 Mars 1856 ».

La semplice lettura di questa formola ed il raffronto che Ella ne farà con le altre due di sovra accennate, basteranno certamente a farle palese il pensiero che ce l'ha suggerita.

Noi ·Ci siamo prefissi anzitutto lo scopo di evitare che in seno della Conferenza si manifesti un antagonismo di interessi e di idee che aggraverebbe le condizioni già tanto turbate dell'Europa. Noi avevamo dichiarato, nel prender posto nella Conferenza, che l'opera nostra sarebbe stata un'opera di conciliazione; noi mantenevamo quindi la promessa fatta adoperandoci ad appianare le difficoltà che da una divergenza assoluta di opinioni fra alcune Potenze avrebbero potuto derivare.

Per ciò fare era mestieri trovare una formola nella quale si tenesse conto della indipendenza assoluta invocata dalla Turchia per le sue alleanze, e nel tempo stesso si avesse riguardo alle giuste esigenze imposte agli altri Gabinetti dalla cura dei loro propri interessi. Nella formola che noi abbiamo proposto non si è pertanto stabilita alcuna limitazione alla facoltà che la Porta intende riservare a se stessa di aprire gli stretti a tutte indistintamente le bandiere da guerra delle potenze sue amiche ed alleate; ma ·contemporaneamente si è ristretto l'esercizio di tale facoltà ad un solo caso; a quello cioè in cui l'esecuzione delle stipulazioni del Trattato di Parigi del 1856 lo richiedesse. Così mentre si faceva sparire ogni incertezza sull'uso che la Turchia potrebbe fare del1a facoltà di aprire gli stretti anche quando la quistione d'Oriente non fosse agitata, si conservava il vero carattere di una guarentigia europea alla deroga che, in vista di un interesse comune, le Potenze consentano di fare al principio della libera navigazione delle grandi vie di comunicazione marittime e fluviali.

Le notizie pervenuteci dopo la comunicazione della nostra formala ai varì Gabinetti, ci hanno persuasi che questi si sono perfettamente penetrati del concetto che ce l'ha suggerita.

Le legazioni di S. M. a Vienna, Berlino e Pietroburgo ci hanno già comunicato l'adesione di quei governi alla formola da noi proposta. Se ne mostrarono particolarmente lieti il Gabinetto di Vienna e quello di Pietroburgo; piacque anzi a S. M. l'Imperatore di Russia di tenerne egli stesso discorso al marchese Caracciolo esprimendosi in termini molto lusinghieri per noi.

A Costantinopoli, S. A. Aali-Pacha ha parimenti aggradito il partito da noi proposto ed in un convegno fra il R. rappresentante ed il Gran Vizir fu tosto convenuta l'accettazione in massima della nostra formala con questa differenza soltanto che la Porta avrebbe voluto riservare a se sola il diritto di giudicare se e quando l'esecuzione del Trattato del 1856 richiederebbe l'apertura degli Stretti, mentre invece colla forma impersonale da noi adoperata, un tale diritto è conceduto tanto alla Porta quanto alle altre Potenze.

Lord Granville non avendo potuto sulle prime rendersi conto del modo col quale noi avevamo proceduto verso la Porta sembrò credere che tutti i mezzi di persuasione non fossero stati esauriti a Costantinopoli per indurre la Turchia ad accettare la formola Brunow. Il Ministro degli affari esteri pensava che l'opposizione del Governo Ottomano non avrebbe perdurato se questi non avesse avuto la speranza che in seno alla Conferenza si sarebbero introdotte altre proposte. Avendo noi però messo in grado il Ministro del Re a Londra di dare a Lord Granville tutte le spiegazioni desiderabili a questo riguardo, siamo persuasi che, anche sotto questo aspetto, ogni dubbio non tarderà a svanire e che Sua Signoria, riconoscerà l'opportunità e la convenienza del nostro modo di procedere per effetto del quale si evitarono le complicazioni che sarebbero nate quando i partiti ventilati nella Conferenza avessero incontrato l'opposizione irremovibile dell'una o dell'altra delle Potenze rappresentate a Londra.

Mentre si discutevano nelle riunioni preliminari dei plenipotenziari le varie formale relative alla ,chiusura degli stretti, furono, per iniziativa dell'Austria, consultati i vari Gabinetti intorno ad alcune modificazioni che quel Governo desidera introdurre nelle disposizioni del Trattato del 1856 relativamente al Danubio.

I punti sui quali sembra ormai stabilito in massima un accordo fra tutti i

governi sono questi:

l) prorogazione del mandato affidato alla Commissione europea del Danubio;

2) fissazione d'un pedaggio sui bastimenti che oltrepassano le porte di ferro;

3) estensione dei poteri affidati alla Commissione suddetta anche al disso

pra di Isatcha.

Sul primo di questi tre punti noi fummo subito d'accordo con quelli fra

gli altri gabinetti che opinavano doversi ammettere la prorogazione del mandato della Commissione europea. Per rispetto dei diritti degli Stati ripuari del Danubio chiamati dalle stipulazioni anteriori a comporre la Commissione che avrebbe dovuto succedere a quella attualmente ancora in carica, l'Italia si sarebbe certamente astenuta dal prendere l'iniziativa di una simile proposta; ma dappoichè l'Austria e la Turchia vi aderivano, noi non potevamo esimerci dal tener conto delle gravi ragioni che hanno già fatto prolungare l'esistenza della Commissione europea, ragioni che nella massima parte sussistono tutt'ora.

Sul termine da ,fissarsi per la proroga, che nessuna potenza sembra voler che sia indefinita, un accordo potrà facilmente stabilirsi e se gli altri Gabinetti accetteranno, come pare, il termine di 12 anni, noi vi aderiremo dal canto nostro senza difficoltà.

Sul secondo punto noi avevamo fatto sentire da principio la necessità di non imporre nuovi pesi sulla navigazione del Mar Nero. Rammentava il Governo di S. M. le petizioni sportegli da varie Camere di Commercio per la riduzione delle tasse già esistenti e trovate soverchiamente gravose per la marina nazionale. Ma il Ministro del Re a Londra avendoci fatto sapere che il pedaggio che si sarebbe stabilito alle porte di ferro sarebbe stato riscosso soltanto sovra le navi transitanti in quel punto del fiume, il fondamento principale delle nostre obiezioni veniva meno e noi abbiamo potuto autorizzare il plenipotenziario italiano alla Conferenza ad accettare un pedaggio moderato da stabilirsi però soltanto sui bastimenti che risalgono o discendono il Danubio passando alle Porte di ferro.

Finalmente sul terzo punto noi abbiamo riconosciuto in gran parte la convenienza di estendere anche al dissopra dell'Isatcha il mandato della Commissione europea almeno per ,quella parte delle attribuzioni che in mancanza di una Commis,sione litoranea debbono essere da quella necessariamente esercitate.

Varie altre proposte furono o ritirate o eliminate nelle preliminari entrature, e fra queste, è bene ch'io Le accenni, quella di aumentare il numero dei bastimenti che ora a norma del trattato del 1856 le potenze che lo sottoscrissero hanno diritto di tenere alle foci del Danubio. A questo riguardo non sembra probabile che venga introdotta alcuna proposizione in seno della Conferenza.

Avendole io esposto sommariamente lo stato dei lavori della Conferenza di Londra intendo di aver messo la S. V. in grado di sapere quale atteggiamento i!l essa ha preso il Governo italiano e quali opinioni egli ha adottato circa le varie quistioni che si sono sin qui presentate.

Delle cose sovra esposte Ella potrà valersi qualora a Lei si porga l'oppor

tunità di tenerne discorso con codesti uomini di Governo.

198

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BORDEAUX, NIGRA

D. 297. Firenze, 22 febbraio 1871.

Dopo averle esposto succintamente l'andamento delle trattative di Londra circa la revisione di alcuni articoli del Trattato di Parigi del 1856, mi resta a

spiegarle le principali ragioni che ci guidarono nella via da noi prescelta e

seguita finora.

Dai documenti che il Ministero Le ha comunicato in copia la S. V. ha

potuto agevolmente scorgere come, sino dal momento in cui la Russia mani

festò alle Potenze i suoi intendimenti circa i cambiamenti da introdursi nella

situazione creata dal Trattato del 30 Marzo 1856, la Turchia sia stata fra tutti

i Governi quello che sembrò meno sorprendersi di tale pretesa ed il più incli

nevole ad accettare dei temperamenti. Altri indizi si aggiungevano sin d'allora

per far supporre che la Sublime Porta, insospettitasi della politica dell'Impero

Austro-Ungarico almeno quanto se non più di quello .che sino agli ultimi tempi

mostrava d'essere degli intendimenti del Gabinetto di Pietroburgo, ascoltava

volontieri i consigli della diffidenza ricercando con cura particolare, e certa

mente insolita la benevolenza della Russia. Conviene riconoscere che ai sospetti

che la Turchia mostrava di nutrire verso l'Austria, il Gabinetto di Vienna dava

nuovo alimento elevando pretese che doveano avere per effetto di spingere

sempre più la Porta nelle braccia della Russia.

Una situazione di tal fatta non poteva perdersi di vista al momento in cui,

riunitasi la Conferenza a Londra, i plenipotenziarii dovettero farsi ad esaminare

la formola secondo la quale doveva essere regolata l'apertura o la chiusura

degli Stretti del Bosforo e dei Dardanelli in tempo di pace; ed è giuoco forza

riconoscere che nel contegno assunto, anche in questo periodo delle trattative,

dalla Turchia e dalla Russia si trovò la conferma delle supposizioni alle quali

il precedente loro atteggiamento apriva l'adito.

Il Gabinetto di Vienna avrebbe voluto che l'apertura degli Stretti in tempo

di pace compensasse il vantaggio che la Russia ritraeva dall'abrogazione del

trattato del 1856, nella parte che ne limita l'armamento nel Mar Nero. A questo

fine il Governo Austro-Ungarico, faceva varie proposte nelle quali trasparivano

le preoccupazioni inspirategli dalla situazione particolare dell'Austria rispetto

alla Russia. Escludere quest'ultima potenza dal beneficio di poter eventual

mente essere chiamata dalla Turchia ad entrare negli Stretti in tempo di pace;

controbilanciare la potenza Russa nel Mar Nero mediante la presenza perma

nente in quel mare d'un numero corrispondente di bastimenti da guerra appar

tenenti alle potenze occidentali; facilitare i mezzi a se stessa di crearsi nel

Danubio una posizione militare assai migliore di quella di cui sinora ha potuto

disporre; tali furono le note caratteristiche della condotta dell'Austria, condotta

che se era unicamente diretta a premunirsi contro la Russia poteva però facil

mente ingenerare nuovi sospetti e diffidenze a Costantinopoli. Quindi si è ve

duto il plenipotenziario di Russia alla Conferenza accettare e far sua una for

mala che avrebbe consacrato il principio dell'apertura degli stretti in certi casi

anche in tempo di pace a beneficio esclusivo delle potenze non litoranee, ossia

a tutte le potenze meno che alla Russia. Ma per contro non si tardò a sapere

che la Porta Ottomana invocando per se la piena libertà delle alleanze rifiutava

la formola consentita dalla Russia ed a questa come ad ogni altra potenza voleva · essere libera di chiedere appoggio secondo le proprie convenienze.

La chiusura degli stretti che la Turchia sembra persistere a volere consi

derare come una conseguenza del suo diritto di sovranità sui medesimi, costi

tuisce invece agli occhi nostri un'eccezione al principio generale della libertà delle grandi vie di comunicazioni marittime e fluviali. A parer nostro una simile eccezione non può essere consentita dalle potenz.e europee che in vista di un grave e comune interesse. Ed infatti la chiusura del Bosforo e dei Dardanelli fu sanzionata nelle convenzioni internazionali dell'Europa soltanto quando questa incominciò a trovare nella conservazione dell'integrità dell'Impero Ottomano una delle condizioni essenziali della propria sicurezza e del riposo di tutti. Malgrado le profonde alterazioni che hanno subito negli ultimi tempi le condizioni politiche dell'Europa, questo interesse comune esiste tutt'ora ed esso non potrebbe essere abbandonato in balia della Turchia. La chiusura degli stretti mentre non solo conserva alla Russia tutte .le ,sue forze difensive, ma anzi le accresce, limita considerevolmente le forze aggressive di quel vasto impero e ne impedisce l'azione preponderante che questi acquisterebbe in tutte le quistioni continentali se gli fossero aperti gli accessi al Mediterraneo. È dunque una guarentigia comune per tutte le potenze occidentali e per l'Austria poi in particolare che la neutralità della Turchia basti ad impedire alla flotta russa l'accesso del Mediterraneo. Anche per l'Italia in certe eventualità, che non importa enumerare, una simile guarentigia potrebbe avere un valore reale il quale accrescerebbe ancor più se fra la Russia ed una delle potenze occidentali si stringessero quegli speciali vincoli che persone di grande autorità nei due paesi sembrano patrocinare.

Noi non potevamo dunque fare astrazione dagli interessi particolari dell'Italia nella questione dell'apertura eventuale degli Stretti, e ci siamo francamente accostati a ·quelle potenze che dichiaravano di voler accettare la formola preparata dal Barone Brunow perchè questa limitava alle sole potenze non ripuarie la facoltà di poter entrare in certi casi, anche in tempo di pace, colle loro flotte negli stretti. E siccome noi accettavamo que,sto partito perchè rispondeva appunto agli interessi particolari dell'Italia così noi ci dichiaravamo nel tempo stesso disposti ad accettare anche la chiusura assoluta del Bosforo e dei Dardanelli in tempo di pace a tutte le bandiere da guerra senza distinzione, imperocchè, se la Turchia avesse accettato questa proposta, le condizioni del rimanente dell'Europa rispetto alla Russia non sarebbero state alterate.

Volendo evitare il pericolo che la flotta russa del Mar Nero entri nel Mediterraneo i due soli partiti da adottarsi erano, quello proposto nella formola Brunow, o quello della chiusura assoluta degli stretti. All'infuori di questi due partiti non si potevano trovare che dei temperamenti. Li resero necessari la persistenza della Turchia nel rifiutare la formola Brunow abbenchè sapesse di trovarsi isolata, almeno apparentemente, nella Conferenza, e la esitanza dell'Inghilterra la quale dichiarava di non voler imporre alla Turchia l'accettazione della formola da tutte le altre potenze accettata. Al tempo stesso l'Inghilterra e l'Austria si opponevano alla continuazione dello statu quo per la chiusura degli stretti, perchè da questo sistema risultava che la Russia si era svincolata dalle stipulazioni relative al Mar Nero senza che la Conferenza avesse ritrovato alcun equivalente. Verificata dunque l'assoluta ed irremovibile opposizione della Turchia all'accettazione della formola Brunow, che noi le avevamo vivamente raccomandata, e conosciuta l'intenzione dell'Austria e dell'Inghilterra di accogliere in mancanza d'altre combinazioni e preferibilmente allo statu quo puro e semplice la proposta della Turchia, noi abbiamo stimato opportuno di consultare i

varii Gabinetti sovra una nuova formala la quale a parer nostro, se non esclude

tutti gli inconvenienti che si possono paventare, ha però il merito di conciliare

le opinioni divergenti delle Potenze rappresentate nella Conferenza.

La nostra formala, quale io ebbi ad indicarla alla S. V. in un precedente dispaccio, tiene ,conto delle ragioni invocate dalla Porta per mantenere la libertà delle sue alleanze; ma contemporaneamente sottrae all'arbitrio di questa Potenza la facoltà di turbare a piacer suo le condizioni dell'equilibrio delle forze degli altri Stati europei. La dicitura da noi adoperata nello esprimere il concetto contenuto nella nostra formala basta ad indicare che gli Stretti potranno essere aperti soltanto in un caso, in quello cioè nel ,quale tutti i Governi che firmarono il Trattato del 1856 hanno uguale interesse e diritto di approfittarne per proteggere l'integrità della Turchia. Lo apprezzare quando un tal caso si verifica, non può essere cosa lasciata in arbitrio della Porta; bensì a questa come a tutte le Potenze che assunsero l'obbligo di garantire l'integrità dell'Impero Ottomano, deve essere concesso un sì fatto apprezzamento. Ciò esprime chiaramente la forma impersonale da noi adoperata per esprimere questo concetto.

In sostanza il temperamento da noi proposto ci sembrava poter rispondere alle esigenze di tutti i Gabinetti e, come ebbi già ad esporle in altro mio dispaccio, noi abbiamo ora la soddisfazione di vedere che non ci siamo ingannati.

199

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI MINISTRI A BORDEAUX, NIGRA, E A LONDRA, CADORNA

D (1). Firenze, 22 febbraio 1871.

Con questo dispaccio Le trasmetto copia di varii documenti che fanno seguito a quelli già a Lei pervenuti circa le nostre vertenze colla Tunisia. Dai medesimi Le sarà agevole scorgere che se l'affare che ha dato motivo alla rottura dei nostri rapporti con quel paese ha per se stesso una certa gravità, esso è rimasto però sinora entro i limiti di una contestazione relativa ad interessi privati senza avere propriamente il carattere di una quistione di politica internazionale. Ma per altra parte non isfuggirà all'accorgimento di V. S. che gli atti arbitrari commessi a pregiudizio della Società Agricola Industriale Italiana nella Tunisia non sono che una più palese manifestazione di una opposizione sistematica che si fa a Tunisi contro lo sviluppo dell'industria agricola esercitata dagli Italiani, e contro l'incremento che ne deriva alla nostra colonia.

Per dimostrare l'esistenza di una tale sistematica opposizione converrebbe entrare nella specificazione di una quantità di fatti dei quali, per chi non è del luogo, riesce difficile rendersi conto. Ma anche soUanto dai fatti i più importanti de' quali Ella fu informato, non meno che dalle dichiarazioni del R. Agente e Console Generale e dalla testimonianza dei notabili della colonia, si può arguire quale sia il vero spirito dell'amministrazione tunisina negli affari concernenti gli averi degli Italiani.

A questo proposito giova ricordare che per effetto di disordinata ammini

strazione, ma forse anche più in conseguenza di sfrenato monopolio, eretto a

sistema 'in favore di pochi favoriti, la Tunisia era caduta cosi basso nelle sue con

dizioni economiche che qualunque sorgente di commercio sembrava ormai quasi

inaridita. Vi davano soltanto qualche alimento le produzioni naturali del suolo

e quelle della pastorizia; ma anche queste scemavano in proporzione dello spa

ventoso decrescimento della popolazione indigena tunisina e dell'abbandono delle

considerevoli ricchezze che contiene il territorio della Reggenza. Tale stato di

cose influiva naturalmente sulla condizione della nostra colonia forse maggior

mente ancora che sovra le altre, perchè gli Italiani stabiliti da molte generazioni

nelle città della Tunisia, dediti a serii ed operosi traffichi, non prendevano

generalmente una parte molto attiva nelle operazioni di credito col Governo, e

continuavano a preferire i loro antichi negozi cogli abitanti dell'interno e sovra

tutto cogli agricoltori e pastori indigeni.

Giunse però un momento in cui, per difetto di un vero movimento commerciale, il mercato di Tunisi si trovò invaso quasi unicamente dagli speculatori intenti a trarre partito dalle angustie finanziarie del paese ed i Governi principalmente interessati negli affari della Tunisia, dovettero alla fine intendersi fra di loro e provvedere. Ma le preoccupazioni del Governo italiano non potevano fermarsi agli accomodamenti finanziari del Tesoro tunisino con i suoi creditori. Noi possiamo anzi dire !francamente che questo interesse sarebbe stato da noi considerato come affatto ,secondario; se lo assesto della finanza del paese non ci fosse sembrato cosa indispensabile per conseguire un miglioramento nelle .condizioni economiche della numerosa e languente colonia italiana. A questo ha provV1edurto il Governo del Re collo stipulare con Tunisi un Trattato di commercio che porta la data del 30 dicembre 1868 e col promuovere lo sviluppo dei nuovi interessi per la tutela de' quali quella Convenzione era stata conchiusa. Ed il Governo di S. M. ebbe la soddisfazione di raccogliere, nei pochi anni trascorsi dalla data di quel Trattato, il frutto dell'assidua assistenza da lui prestata agli interessi degli Italiani stabiliti nella Tunisia. L'importanza dell'industria agricola esercitata dagli Italiani ha acquistato in così poco tempo uno sviluppo che sarebbe appena credibile, se da documenti recenti non ci risultasse che malgrado tutte le contrarietà suscitate dall'amministrazione locale, gli Italiani hanno seminato nell'anno corrente ben quattro mila ettolitri di grano e che ne avrebbero seminato forse il doppio se le imprese agricole non fossero state così manifestamente osteggiate dall'autorità locale. A questi lavori agricoli non sono soli del resto i nostri connazionali ad applicarsi. Con essi approfittano degli stessi vantaggi i Maltesi stabiliti nella Reggenza, i quali formano la quasi totalità della colonia inglese nella Tunisia. È cosa notevole anzi che fra i coltivatori addetti alle proprietà italiane, molti siano maltesi, e che il numero di questi vada ognor crescendo coll'arrivo di nuove famiglie appositamente chiamate da quell'isola. A noi non si appartiene di apprezzare gli interessi che l'Inghilterra può avere in questo movimento dei Maltesi; dobbiamo però tenerne conto perchè esso dimostra, anche sotto questo rapporto, l'esistenza di un interesse comune fra l'Italia e l'Inghilterra.

Dalle cose sovra esposte apparirà manifesto alla S. V. che l'Italia, tutelando come ha fatto sinora e come intende di fare in avvenire gli interessi che i suoi

H -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. II

connazionali hanno impegnato nell'industria agricola della Tunisia, non provvede ad un esclusivo suo bisogno, bensì fa cosa che ridonda a comune vantaggio di tutti i paesi che hanno una numerosa colonia in quella Reggenza. La protezione efficace che noi diamo all'incremento dell'agricoltura in un paese fertilissimo e troppo vasto per una popolazione il cui decrescimento si calcola in pochi anni di quasi due terzi, è cosa che torna ugualmente a profitto del Governo del Bey, il quale, quando fosse meglio inspirato, non tarderebbe a riconoscere i benefizi che da tal fatto derivano non foss'altro per l'aumento della produzione ed il conseguente accrescimento delle entrate che gli assicurano le imposte fondiarie ed i dazi di esportazione.

Ma a turbare questi calcoli entra il monopolio di pochi che dopo aver ridotto il paese nelle più tristi condizioni, ora vorrebbe mantenersi anche a costo di precipitare il Governo del Bey in serie difficoltà internazionali.

Gli ostacoli che sin qui furono suscitati contro lo estendersi delle imprese agricole degli Italiani, sono di due sorta. Essi consistono nel mettere in opera ogni mezzo che valga ad allontanare gli indigeni dal servizio degli agricoltori italiani, e nel frapporre ogni specie di difficoltà alla definizione degli affari che potrebbero favorire l'acquisto di nuove terre per parte dei nostri coloni.

Coll'intimidazione, effetto naturale degli atti arbitrari e violenti commessi contro gli indigeni addetti alle proprietà degli Italiani, si è ottenuto in gran parte il primo effetto. Il secondo si ottiene lasciando indefinitamente in sospeso le quistioni di proprietà, di possesso e di ipoteche che gli Italiani sono costretti a sostenere in via giudiziaria od amministrativa davanti le Autorità del paese. Un terzo mezzo indiretto esisterebbe ancora per osteggiare lo sviluppo dell'industria agricola della nostra colonia e questo consisterebbe nello elevare siffattamente i dazi di esportazione sui prodotti naturali del suolo della Tunisia, da renderne improficua la coltivazione; e noi possiamo temere che a questo mezzo si voglia ricorrere se, approfittando delle concessioni fatteci dal Bey, gli Italiani si applicassero alla coltivazione di nuovi prodotti del suolo come sarebbero ad esempio i tabacchi.

Questo stato di cose impone al Governo del Re il dovere di assicurare alla sua colonia a Tunisi le guarentigie necessarie perchè i diritti riconosciuti nel Trattato del 1868 non diventino illusori nella pratica. Il Governo di S. M. ha usato tutta la moderazione conciliabile coll'adempimento di questo suo dovere, ed ha esaurito tutti i mezzi che i suoi sentimenti amichevoli verso la Tunisia gli suggerivano. Non mancarono da parte nostra i consigli e le esortazioni a recedere da una linea di condotta che avrebbe inevitabilmente fatto nascere delle complicazioni fra l'Italia e la Tunisia, e la nostra longanimità andò sino al punto da lasciare al Bey ed al suo Governo tutto il tempo necessario perriflettere sulle conseguenze dell'atteggiamento da essi adottato a nostro riguardo.

L'E. V. ben sa che se le difficoltà presenti furono preparate da una serie di fatti contro i quali abbiamo dovuto continuamente protestare, l'alterazione dei nostri buoni rapporti con Tunisi fu da noi preveduta in molte comunicazioni fatte al Bey, alcune delle quali risalgono alla data di quasi tre mesi. A Lei, che conosce i sentimenti di moderazione che ci animano, e che ci allontanano dall'uso de' mezzi coercitivi, di cui ci sarebbe pur facile valerci, non recherà meraviglia che anche nell'affare della Gedeida dove, stando alla dichiarazione stessa del Bey, una casa italiana è indebitamente occupata dall'autorità tunisina, noi abbiamo lasciato trascorrere già quaranta giorni prima di imporre al Bardo il rispetto dei nostri diritti. Quella casa è tuttora occupata dai Tunisini non essendone stato ordinato lo sgombero e neppure questo primo atto di deferenza e di giustizia è stato eseguito in così lungo lasso di tempo.

* Ella può dunque comprendere, Signor Ministro, la sorpresa che mi ha cagionato il ricevere jeri dall'Incaricato d'Affari d'Inghilterra la comunicazione di un telegramma di Lord Granville nel quale è detto che il Governo britannico vede con dispiacere la pressione che l'Italia esercita sopra il Bey di Tunisi * (1).

Quando la E. V. avrà avuto la opportunità di dare a Lord Granville (Jules Favre) tutte le informazioni necessarie sul vero stato delle cose a Tunisi e sul contegno da noi serbato, sono persuaso che S. S. (S. E.) vedrà che difficilmente un altro Governo avrebbe spiegato in tutto questo affare maggiore calma e moderazione. Desidero anzi che a maggior prova della giustizia delle nostre domande Ella sia in grado di informare il Governo Inglese (Francese) del tenore delle medesime.

Nell'udienza che il R. Agente e Console Generale ebbe dal Bey, ed in seguito alla quale :furono interrotte le relazioni ufficiali, il Cavalier Pinna avea domandato:

l) che la casa appartenente alla società italiana delle Gedeida fosse libera nella giornata (13 gennajo); 2) che l'autore degli arresti eseguiti alla Gedeida senza ordine superiore fosse punito esemplarmente in vista sopratutto del danno arrecato ai fittaiuoli;

3) che il Governatore della Gedeida fosse immediatamente destituito.

Di questi tre punti noi abbiamo domandato l'esecuzione prima di accettare ulteriori trattative. Il Bey ha invece fatto proporre al Cavalier Pinna per mezzo del Signor Wood, decano del corpo consolare, un componimento sulle seguenti basi: l) che la casa occupata alla Gedeida sarà evacuata e messa a disposizione della Società Italiana; 2) che il Governatore della Gedeida sarà destituito dal suo impiego e rimpiazzato da un altro funzionario;

3) che il Governatore di Tunisi e suoi contorni farà una visita all'Agente e Console Generale d'Italia ed in presenza degli Ufficiali del Consolato darà delle spiegazioni sugli ordini da lui dati per l'arresto degli indigeni impiegati nei lavori agricoli di quel podere. Rimaneva inteso inoltre che gli altri affari pendenti sarebbero stati definiti nel frattempo.

Il Governo del Re, come Ella ha ben potuto comprendere, non si preoccupa meno del modo di far rispettare le ragioni della società agricola italiana della Gedeida, che della necessità di prevenire il pericolo che altri fatti analoghi abbiano a ripetersi. Noi siamo dunque disposti a restringere le nostre domande nei più stretti limiti in tutto ciò che non tocca gli interessi materiali della Società danneggiata, nè le guarentigie indispensabili per l'avvenire.

Il Bey ci ha fatto offrire delle spiegazioni 'sui fatti accaduti; il Generale Heussein, che fu all'uopo inviato a Firenze, ha voluto entrare con noi nell'esame

dei medesimi, e ci ha proposto di formare una Commissione di inchiesta nella quale una parte larghissima sarebbe fatta alla R. Agenzia e Consolato Generale. Ma noi non ignoriamo l'esito che possono avere simili inchieste nelle quali si trovano a fronte le deposizioni le più contraddittorie e che non approdano ad alcun esito pratico. Offriamo bensì a nostra volta al Bey di rimettere ad un giudizio d'arbitri la JJ.quidazione dei danni cagionati alla <Società Italiana, chiedendogli soltanto di riconoscere in massima l'obbligo di risarcire i danni effettivamente sofferti dalla Società.

Le guarentigie poi che noi chiediamo per l'avvenire sono le seguenti :

l) firma di un protocollo cosi concepito: c: A tenore ecc. » (vedasi Annesso al n. 37);

2) esecuzione dell'art. XI del Trattato ecc. (vedasi idem);

3) promessa formale del Governo di Tunisi di terminare ,gli affari pendenti fra il medesimo ed i Consolati italiani.

Il protocollo è ridotto in termini cosi chiari che appena può aver bisogno di spiegazioni. Per esso si viene soltanto ad introdurre una guarentigia contro gli atti arbitrari degli agenti subalterni dell'autorità locale, senza menomare in nessuna guisa la giurisdizione del Governo Tunisino sugli indigeni. L'estensione dell'art. 15 del Trattato del 1868 anche all'industria agricola non costituisce un cambiamento nelle disposizioni del Trattato, ma ne interpreta una delle principali disposizioni in conformità dei nuovi bisogni che sorgono nella nostra colonia. Col protocollo che noi proponiamo si riduce a sistema permanente ciò che in recenti casi, secondo che il Bey stesso ebbe ad osservare, era stato praticato per l'arresto di un indigeno ricoveratosi presso certi coltivatori italiani. Infiine questo sistema è conforme al regime in vigore per tutti i Tunisini addetti al servizio degli stranieri con questa differenza che quando i Tunisini sono nelle case degli stranieri non vi possono essere arrestati senza l'intervento personale di un delegato del Consolato; mentre invece quando si tratterà di indigeni riconosciuti come addetti al servizio di coltivatori italiani basterà che il Consolato sia avvisato perchè i coltivatori possano altrimenti provvedere alla tutela dei propri interessi. Il metodo proposto per la formazione delle liste degli Indigeni addetti al servizio degli Italiani per i lavori agricoli e la pastorizia contiene d'altronde una seria guarentigia reciproca che potranno essere evitate molte cause di contestazione, imperocchè, quando il protocollo sia lealmente applicato, gli Italiani troveranno in esso un mezzo di essere assicurati che fra i loro pastori e contadini non si nascondono individui ricercati dalla giustizia locale; ed i Tunisini vi troveranno un freno contro qualsiasi abuso che altrimenti potrebbe verificarsi.

Le altre due guarentigie domandate rispondono come il protocollo ai bisogni che si sono manifestati e nulla contengono che non sia ragionevole e possibile di concedere ad un Governo che sia sinceramente animato dal desiderio di non incagliare l'esercizio di diritti che egli ha riconosciuti nei coloni stranieri.

Noi ci lusinghiamo che la E. V. valendosi delle cose sopra espresse, potrà facilmente convincere Lord Granville (Jules Favre) della legittimità delle nostre domande non meno che della moderazione della nostra condotta in tutto questo affare.

(l) A Bordeaux il dispaccio fu inviato col n. 298 e a Londra col n. 75.

(l) n brano fra asterischi fu trasmesso solo a Londra.

200

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. P. CONFIDENZIALE 520/194. Londra, 22 febbraio 1871 (per. il 26).

S. A. I. il Principe Gerolamo Napoleone recatosi a Londra nell'ottobre scorso venne a visitarmi il 10 di quel mese, come ebbi a prevenirnela in modo privato e confidenziale il 17 dello stesso mese.

In quella circostanza ed allorquando fui ad ossequiarlo mi feci un debito di pormi personalmente ai suoi ordini per tutto ciò che potesse riflettere il suo personale servigio.

Avendo egli poscia lasciato Londra vi ritornò nel Gennaio scorso, ed ebbi il 21 di quel mese un'altra sua visita in occasione della quale gli rinnovai la stessa offerta.

Il 30 dello stesso gennaio egli mi pregò di far ricapitare in Parigi un suo biglietto aperto diretto al suo uomo d'affari, nel quale gli diceva unicamente di recarsi presso di lui, al che accondiscesi mandandolo aperto ed in un plico aperto al Signor Commendatore Cerruti a Parigi, perchè ne procurasse il recapito e servendomi a tal fine del corriere particolare, settimanale per Parigi, che aveva qui la Legazione degli Stati Uniti d'America.

Due o tre giorni dopo il Principe mi pregò di far sapere per mezzo di un telegramma al Cavaliere Nigra ad un signore che era a Bordeaux, che Egli aveva ricevuto le sue lettere e che sarebbe stato lieto di vederlo e vi accondiscesi, trattandosi di comunicazioni di carattere affatto privato.

Ieri poi venne da me il suo aiutante di campo ed a nome del Principe mi disse che avendo egli bisogno di mandare una persona a Parigi con sue lettere e desiderando che potesse entrare ed uscirne sicuramente e senza molestie di visite ed altro, mi pregava di volergli fare una dichiarazione, che questa persona era spedita dalla Legazione portatrice di dispacci della Legazione stessa; onde fosse coperta dalla guarentigia diplomatica.

Risposi che ne ero dolentissimo, ma che non era in mio potere l'accondiscendere a questo desiderio. S. A. sapeva che io mi teneva personalmente ai suoi ordini per poterlo in modo privato servire, ma la spedizione di persona con carattere ufficiale e sotto la garanzia di Corriere di Gabinetto per cose che non riguardavano il ,servizio del R. Governo io non mi credeva autorizzato a farla.

Mi sono limitato ad addurre questo motivo sebbene ve ne fossero altri assai gravi e delicati che non poteva dire, ma che in verità parmi che si dovessero sentire. Di -fatto ciò che mi si chiedeva era che io dichiarassi Corriere o staffetta di Gabinetto una persona, che non lo era; una persona che non sapeva nemmeno chi fosse; che la dichiarassi portatrice di dispacci della Legazione, il che non era vero, e che facessi tuttociò per coprire colla garanzia ufficiale il porto di dispacci privati del Principe, i quali non sapeva che cosa contenessero.

Sebbene non debba prestar fede alle voci sparse in questi giorni qui dai giornali e dai giorna.li del Belgio (ove il Prindpe fu or sono otto giorni) di intrighi dinastici, massime che esse furono dal Principe stesso smentite or ora nei giornall di Londra, le cose sopradette bastavano perchè non dovessi aderire alla sua domanda.

Procurai pertanto di persuadere l'aiutante di ·campo del Principe della realtà e ragionevolezza dell'ostacolo che poneva alla sua domanda e del dispiacere che ne provavo, ripetendogli che io personalmente per tutto ciò che potesse essere da lui desiderato pel suo personale servizio mi teneva sempre ai suoi comandi, ed il predetto Signor Aiutante mostrò di esserne persuaso ed accettò l'incarico di riferirne al Principe.

Ho creduto opportuno di tenerla informata per ogni evento di quanto sopra e gradirei molto che Ella volesse compiacersi di indicarmi le norme che io debbo seguire nelle mie relazioni con S. A. I. in simili circostanze, onde possa uniformare il mio contegno al desiderio di S. M. e del suo Governo.

201

IL MINISTRO A BORDEAUX, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3521. Bordeaux, 23 febbraio 1871 (per. ore 9,40)

Je me procurerai renseignements demandés (1). En attendant je puis vous dire d'après calcul sommaire que les garibaldiens d'origine italienne sous les armes sont environ 2 mille. Ce chiffr9 m'est donné par Frapolli.

202

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 85. Firenze, 24 febbraio 1871.

Il Generale Heussein Pacha mi fece pervenire nella giornata di ieri nuove proposte le quali modificano la situazione quale io ebbi ad esporle nel mio dispaccio del 21 corrente (2). Mancandomi però il tempo di riassumere in un solo dispaccio le fasi anteriori del negoziato e quella che ha principio colle nuove proposte di Heussein Pacha, stimo utile di spedirle tal quale il dispaccio del 21, e di !imitarmi, nel presente dispaccio, ad aggiungere quanto si riferisce al nuovo stadio nel quale sono entrate le trattative.

Il Generale Heussein ha consentito a chiedere al suo Governo i pieni poteri necessarii per addivenire ad accordi definitivi e tali da porre un termine soddisfacente alla vertenza.

Però egli ha presentato una nuova formola sia per rispetto ai punti che concernono più direttamente la riparazione dovutaci per il fatto della Gedeida sia per rispetto alla stipulazione relativa all'applicazione dell'art. 15 del trattato

del 1868 all'industria agricola. Non ha invece presentato variante alcuna per rispetto, ·sia all'esecuzione dell'art. 11 del Trattato, sia alla pronta ,soluzione degli affari pendenti, i quali due argomenti formarono oggetto del 2° e del 3° punto nella nota di guarentigie ch'io avea rimesso ad Heussein Pacha il 20 febbraio, e che trovasi annessa al mio dispaccio del 21 febbraio. Ella troverà, qui unite, copie così delle varianti proposte dal Generale Heussein ai punti relativi alla riparazione sul fatto della Gedeida, come per la variante proposta per la stipùlazione relativa all'applicazione dell'art. 15 del Trattato all'industria agricola.

Basterà ch'Ella prenda in esame la sostanza delle nuove proposte di Heussein Pacha per convincersi che esse potevano fornire la base di un conveniente accomodamento. Tale fu il mio pensiero. Epperò, stringendo il tempo, stimai conveniente di riassumere in un sol documento tutti i punti di accordo, quali sono definitivamente proposti dal R. Governo, avvertendo Heussein Pacha questa essere redazione perentoriamente presentata alla pura e semplice accettazione di S. A. S. il Bey ed essere ferma nostra risoluzione di rompere il negoziato qualora col corriere di sabato prossimo, non gli giungano i pieni poteri per una <formale ed assoluta adesione. Qui unita Le invio copia di tale documento, del quale altra copia sarà spedita con questo stesso corriere da Heussein Pacha al proprio Governo.

Il raffronto del progetto de ma presentato oggi ad Heussein Pacha, colle proposte stesse formulate ieri da quest'ultimo, deve porgerei la fiducia che il Governo del Bey non esiterà ad inviare al suo rappresentante i pieni poteri per l'accettazione. Infatti i primi 3 articoli sono conformi nella sostanza ai corrispondenti articoli quali furono proposti da Heussein Pacha, e se ne scostano solo nella forma, perchè ci parve più •conveniente di adottare per essi, la redazione del Signor Wood la quale avea già avuto il ,previo assenso del Bey. Il 4° articolo non è che la riduzione a forma concreta dell'offerta spontaneamente fa.ttaci fin da principio dall'Inviato Tunisino di procedere ad un'inchiesta sui fatti per indi punire i colpevoli se ve ne siano. Il ·5° articolo è ·sostanzialmente conforme alla proposta di Heussein Pacha con questa sola variante che non si stimò di fare nuovo riferimento alla condizione che si tratti di atti arbitrarii, dal momento che già all'uopo provvede l'articolo speciale relativo all'inchiesta, e parve al:tresl ·conveniente di non parlare di reciprocità per parte della compagnia italiana dappoicchè non fu mai detto che l'operato di questa abbia recato un danno quaLsiasi al Governo tunisino. Il 6o articolo riproduce il protocollo speciale relativo all'industria agricola, quale era stato proposto da Heussein Pacha, con queste due .sole varianti: 1°, soppressione della riserva del tutto 'superflua che il Generale Heussein avea creduto di formulare per rispetto all'efficacia dell'art. 15 del Trattato, il quale articolo si tratta non già di derogare ma sibbene di convenientemente interpretare. 2°, sostituzione alla formola proposta da Heussein Pacha per riservare la piena giurisdizione del Bey sugli indigeni, di altra formula la quale è in sostanza conforme alla chiusa della nota che Ella aveva rimesso su tale argomento al Generale Elias. Infine gli articoli 7, 8 e 9 non hanno mai sollevato obb1ezione alcuna per parte di Heussein Pacha.

Ella potrà valersi delle indicazioni contenute nel presente dispaccio, per dimostrare, ove sia opportuno, quanta sia la moderazione delle domande nostre. Ma Ella dovrà del pari non 1a·sciar ignorare che l'acchiuso documento segna il limite massimo delle nostre concessioni e che noi facciamo assegnamento sull'immediata accettazione per parte del Governo del Bey.

P. S. -Col Generale Heussein è stato verbalmente convenuto che quando gli giungano i pieni poteri saranno firmati invece di un solo, due protocolli dei quali l'uno comprenderà gli art. 1, 2, 3, 4 e 5 e l'altro i rimanenti.

(l) -Cfr. n. 196. (2) -Cfr. n. 192.
203

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A BORDEAUX, NIGRA

(Eredità Nigra)

L. P. Firenze, 24 febbraio 1871.

Da lungo tempo ti volevo scrivere ma mi mancarono sempre e l'occasione sicura ed il tempo. Ora si presenterebbe il mezzo di conversare un po' con te senza il timore che la lettera cada in altre mani. Visconti mi dice infatti che egli vuole spedirti un corriere domani o doman l'altro e !asciarlo a tua disposizione perchè tu possa scrivere a lui ed a me con calma e piena libertà. Ma anche ora io debbo lasciare a lui di spiegarti completamente il suo pensiero e sulle questioni di politica generale, e su altre questioni che ti toccano più da vicino. Parto fra poco per Asti per fare una visita a mia madre che non ho veduto da gran tempo. Starò in Asti due giorni soli: piglio questo momento di lucido intervallo, in cui non vi sono le Camere, e Visconti può lasciarsi annoiare in vece mia dal Corpo Diplomatico. Ti scrivo dunque in gran fretta ed assai più per rammentarmi alla tua amicizia, e dirti che non sono mutato da quel ch'era prima, che per altro scopo. Tu hai in Visconti un amico che vale infinitamente più di me: ma se, nella nuova condizione fatta a tutti noi dallo svolgersi degli avvenimenti posso giovare in qualche guisa a te ed a Ressman, disponi di me nel modo che più ti piace.

Nell'ultima tua lettera tu mi dicevi che per ora e per qualche tempo almeno noi non avremo imbarazzi dalla Francia per la questione romana. Il nuovo Governo creato dalle elezioni non ha egli modificato il tuo giudizio su ciò? E se v'ha !Pericolo che si rimetta in campo la Convenzione di Settembre, che il partito clericale abbia il sopravvento, quali sono i mezzi che tu consigli per prevenire questi pericoli? Naturalmente è questo il più ·grave dei nostri pensieri. Ma non mancano altre preoccupazioni. La neutralità ci lascia, com'era a prevedersi, in una specie di forzato isolamento. Siamo in buoni rapporti con tutti, ma da nessuno potremmo sperare appoggio efficace e sicuro. Non perciò io rammarico d'aver desiderato che l'Italia non prendesse parte alla guerra. La Francia rimarrà forse come una bella statua mutilata d'un braccio: all'Italia l'urto degli avvenimenti politici e militari dell'anno scorso avrebbe costato l'unità e la vita. Abbiamo salvato la nostra esistenza: ma convien pensare a rinvigorire con buoni ordinamenti mili'tari e savie alleanze il filo di vita che ci è rimasto. La soluzione della questione romana ha scemato assai le interne difficoltà: la Camera è buona, sarebbe docilissima ad un Ministero energico ed autorevole. Il paese non è in cattive condizioni economiche: anche le pessime tasse cominciano a fruttare, e forse basterà la buona amministrazione ad allontanare il pericolo di disastri finanziari. Se la pace dura alquanto, se potremo armarci, la nostra alleanza può valer qualche cosa, può essere non inutile la nostra influenza. Ma la questione delle alleanze è decisa per noi dalla questione romana. Chi non ci vuole a Roma è ormai il peggior nemico della nostra unità. A noi è .d'uopo saper subito quali sono gli amici ed i nemici nostri.

Visconti ti dirà queste ed altre cose molto meglio di me. Io mi limito a

darti una stretta di mano da trasmettersi anche a Costantino II.

204

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BORDEAUX, NIGRA

(AVV)

L. P. Firenze, 26 febbraio 1871.

La nuova situazione politica che la pace fa all'Europa e all'Italia e la gravità degli interessi nazionali che possono essere impegnati in tale situazione mi impongono ora il debito di porre al completo la nostra rappresentanza diplomatica all'Estero e di provvedere ai posti vacanti.

Prima di far ciò, lasciate che riprenda con voi quello scambio di idee che già ebbe luogo fra noi, con quel carattere che si conviene al colloquio affatto confidenziale di due amici e che ritorni sull'argomento della lettera che vi scrissi da Torino. La vostra risposta mi fece gran piacere perchè viddi da essa che nessun dubbio poteva rimanere nell'animo vostro, intorno alle intenzioni dalle quali era mosso. Voi mi esponeste le ragioni assai gravi per le quali vi sarebbe doluto, in quelle circostanze lasciare la Francia e riserbavate le vostre determinazioni all'epoca in cui si sarebbe stabilito dopo la guerra, il nuovo ordine di cose, poichè, in certe eventualità, avreste preferito di servire il vostro paese altrove che in Francia. La vostra lettera fu una delle cagioni per le quali mi indussi a continuare nel provvisorio.

Ora forse vi è dato di poter giudicare le eventualità dell'avvenire e le stesse vostre preferenze personali più che non fosse possibile il farlo quando, nello scorso Novembre, mi scrivevate da Tours. Ed è appunto per questo che, prima di fare un movimento diplomatico diventato ora indispensabile, vengo di nuovo a interpellarvi e a chiedervi il vostro consiglio.

Allo stato attuale delle cose e prima di aver preso alcun provvedimento potrei porre a vostra disposizione quella delle grandi Legazioni che meglio vi aggrada, meno Londra che voi forse preferireste, dove io sarei lieto di nominarvi ma dalla quale, per riguardi che comprenderete, non posso rimovere immediatamente Cadorna senza potergli offrire una posizione corrispondente che gli sia adatta nell'interesse del servizio.

Ma frattanto, e senza pregiudizio di quella futura destinazione che vi potesse nel seguito riuscire più accetta, quand'essa riesca possibile, potrei proporvi al Re e al Consiglio de' Ministri, per Vienna o per Pietroburgo dove credo pure che sareste accettissimo. Non vi parlo di Costantinopoli che ad abundantiam perchè credo che la vostra preferenza non sia per la Turchia.

Quando vi fosse grato di lasciare la Francia per accettare uno di questi posti, io regolerei sulla vostra scelta il movimento diplomatico da farsi e che mi offre una certa latitudine di combinazioni poichè anche il Generale Cialdini lascierà Madrid e ritornerà in Italia.

È vero che, nella vostra lettera, mi dicevate essere vostro desiderio quando lasciaste il vostro posto attuale, di ritornare in Italia con un congedo abbastanza lungo, per avere un po' di riposo ben meritato. Ma questo congedo potreste prenderlo ugualmente. Se lo prendeste prima d'aver una destinazione potrebbe darsi che al suo spirare, non vi fosse un posto che vi convenisse. Come amico vostro non potrei darvi questo consiglio. Ditemi francamente, come è vostro uso, il vostro pensiero, e credetemi...

205

IL CONSIGLIO D'AMMINISTRAZIONE DELLA SOCIETA COMMERCIALE, INDUSTRIALE ED AGRICOLA PER LA TUNISIA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

Firenze, 26 febbraio 1871 (per. il 3 marzo).

Due civili scopi si proponeva la Società nostra nel costituirsi: quello di rannodare, mercè i vincoli sicuri degli interessi, le relazioni dell'Italia con la Tunisia la quale, collocata a poche leghe dalle nostre coste forma la parte meridionale e centrale del gran bacino del Mediterraneo ove di nuovo ritorna a svolgersi il movimento commerciale del mondo: quello di ridestare in quella bella contrada dell'Affrica, una volta emporio di commercio e di ricchezza, l'amore del lavoro, da cui soltanto può derivare la rigenerazione di genti cadute nella miseria e quindi nella barbarie.

E per cotesti scopi raggiungere la Società ha scelto il mezzo più atto per quelle popolazioni, e che naturalmente le si offriva: trasformare cioè via via con gli elementi stessi locali innestandoli gradatamente agli europei, l'agricoltura delle nomadi tribù moresche in industriale.

Cosi metteva a base della sua costituzione la coltivazione di una grande Tenuta di circa tremila ettari attraversata dal fiume Medjerda e che per un canone annuale le era concessa in possesso per 30 anni dal primo Ministro il Kasnadar, e con indefessa attività si dava ad eseguire fabbriche opportune, ad installare una intelligente amministrazione e direzione di lavori agricoli, a colonizzare Arabi, ed Europei, ad acquistare numero egregio e svariato di bestiame da lavoro e da trasporto, ed eletto gregge, ad inviare dal Lucchese e dal Napoletano uomini atti per la coltura degli ulivi, delle vigne, dei frutteti, del tabacco e dei bachi da seta.

Mercè tutto il concorso di cotanta attività, e di cotanta spesa verso il dicembre già erano completamente seminati 600 ettari di terreno, molte piante di frutta collocate ed il progetto d'arte di due canali d'irrigazione perfettamente eseguito da squadre d'Ingegneri italiani sotto la suprema direzione del Commendator Pera; e quando s'incominciava appena la coltivazione cogli aratri americani, molti arnesi rurali perfezionati, e macchine diverse ivi giungevano, 75 coloni erano per partire dal Napoletano, e si preparava a metter mano ai lavori pel canale d'irrigazione, siamo stati sorpresi da una serie di atti arbitrarj del Governo Tunisino da produrre danni gravissimi presenti ed ancor più gravi per l'avvenire.

La Società ha compreso tutti i pericoli che le venivano da questa reazione impreveduta ed inqualificabile del Governo del Bey, che si direbbe suicida ed ingrata, se non fosse barbaresca. A noi è toccata la sorte di tutti i civilizzatori; però ne abbiamo anche il coraggio. I soprusi ripetuti non ci hanno fatto abbandonare il nostro posto, ed il nostro proposito, nè perdere la calma e la prudenza. Non appena si cominciò a molestarci coll'arresto arbitrario de' nostri pastori i rappresentanti locali della Società si rivolsero, a forma del diritto internazionale, al Consolato, da cui chiesero consiglio e protezione. Nessun atto è stato iniziato senza il previo avviso dell'onorevole nostro Console Generale, e secondo le norme da lui prescritte i nostri agenti hanno proceduto per redimere la Società da maggiore abuso del Bardo, quello di tenere nelle nostre terre un Colonnello, famoso favorito, che sotto il titolo di comandare in casa nostra demoralizzava la nostra gente colla sua ubriachezza, le sue ladronerie, e le sue infami libidini.

Non è d'uopo ritornare sulla enormità ed esattezza di questi atti arbitrarj. Sarebbe ciò una irriverenza; chè il fatto di avere il Console rotte le relazioni fra il nostro Governo ed il Tunisino, e meritato in Parlamento l'approvazione di V. E., ci dispensa da ulteriori disamine.

Nondimeno per dare al Governo di S. M. un concetto esatto e reale di tutti i danni cagionati alla Società, e delle misure di tutte le provvidenze a prendere onde siano nell'avvenire prevenuti, crediamo nostro indispensabile dovere, in omaggio alla fiducia giustamente riposta nella E. V., il trasmetterle copia della relazione fattaci dalla direzione della nostra Impresa agricola in Tunisi, e di tutti i documenti che l'accompagnano.

Perciocchè la protezione che noi abbiamo il diritto, e che senza dubbio non ,ci verrà meno, è quella appunto di assicurare i nostri effettivi interessi. La Società non può nè deve entrare, per la sua qualità semplicemente industriale e per rispetto che porta alla E. V., a ragionare del compito esclusivamente governativo circa le esigenze dell'onore nazionale, e del modo di far valere l'autorità della nostra bandiera all'estero. Noi rispettosamente ci fermiamo nel campo assegnatoci dalla nostra istituzione, con la ferma coscienza di saper resistere di fronte al Governo arbitrario del Bey a tuttociò che si oppone a quanto ci viene garantito da solenni trattati internazionali.

Laonde le nostre istanze riverenti presso il Governo di S. M. hanno una meta semplice e precisa: fermare la liquidazione de' danni su modo certo, e prestabilito di soddisfazione onde non resti illusoria e meni Società e Governo in complicazioni ulteriori: definire tutte le quistioni nel senso dell'Art. 24 del trattato vigente con Tunisi, sì nell'applicazione razionale dell'Art. 15 di questo trattato medesimo chè per l'applicazione degli altri articoli relativi alle espropriazioni per opere di pubblica utilità alle tariffe doganali di esportazioni alla piantagione del tabacco ecc.

Al Governo di S. M. non può sfuggire la osservazione che se il trattato di commercio e di amicizia non fosse stato già innanzi stabilito tra il Regno d'Italia e quello di Tunisi nel modo che oggidi è una legge internazionale fra i due paesi, e se non fosse stata in noi, com'è, inalterabile la sicurezza che sotto l'autorità della bandiera italiana i trattati non sarebbero mai lettera morta, la Società non si sarebbe costituita nè avrebbe messo a rischio i suoi capitali, e la sua rispettabilità in uno Stato barbaresco.

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VITTORIO EMANUELE II ALL'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A MADRID, CIALDINI

T. Firenze, 27 febbraio 1871.

Reine d'Espagne quasi guérie j'espère qu'elle pourra partir bientot. Si vous avez patience attendre son arrivée, vous me ferez plaisir, mais si par hasard elle retardait encore quelque temps son départ, je dirai à Visconti Venosta de vous rappeler au plutot, pour adhérer à vos désirs. J'étudie le présent et l'avenir, je crois que l'Italie aura encore un grand role à jouer, et vous pourrez rendre des grands services à la nation et à moi. Bien de souhaits.

207

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BORDEAUX, NIGRA

D. 301. Firenze, 27 febbraio 1871.

Già fin dalla prima notizia che io ebbi della elezione del signor Thiers a capo del potere esecutivo della Repubblica francese, le impartii per telegrafo e le confermai indi per la via ordinaria la istruzione d'annunciare ufficialmente il vkonoscimento di codesto nuovo Governo per parte dell'Jtalia. V. S. Illustrissima ha eseguito questo mio incarico fin dalla sera del 17 febbraio, ed io mi lusingo che codesto Gabinetto avrà ravvisato nella nostra dichiarazione non solo il desiderio d'entrare con esso in rapporti immediati nel momento in cui si dibattono tra le varie potenze gravissime questioni, ma altresì e sopratutto una manifestazione della cordiale amicizia che l'Italia nutre per la Francia.

Mosso da questi stessi sentimenti S. M. il Re non ha voluto frapporre indugio a rendere ufficialmente regolare la posizione di lei rimpetto al Governo della repubblica, e nelle lettere sovrane, che qui le accludo congiuntamente alle copie d'uso, la accreditò presso la persona del capo del potere esecutivo testè eletto dall'assemblea nazionale. Queste lettere ella vorrà, signor Ministro, rimettere nelle mani del signor Thiers, conformandosi all'uopo al cerimoniale stabilito per siffatta circostanza e rinnovando in tale congiuntura l'espressione dei sentimenti che animano il Re ed il suo Governo verso la Francia.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BORDEAUX, NIGRA

(AVV)

L. P. Firenze, 27 febbraio 1871.

Vi spedisco un Corriere che lascio a vostra disposizione, perchè mi possiate poi fare con sicurezza le vostre comunicazioni ora che colla pace e colla elezione di una Assemblea conservatrice e colla costituzione del Governo presieduto da Thiers, si apre in Francia una nuova fase politica.

Una nuova situazione si apre anche per l'Italia. Finora tutto fu coperto dal frastuono delle catastrofi francesi. Ora che si rifà silenzio in Europa e che si dissipa il fumo della battaglia, ogni Governo getta intorno lo sguardo per riconoscere questa nuova Europa e per esaminare in quali condizioni si trovi nella situazione che succede a così grandi vicende.

Di tutti gli Stati l'Italia è quella che è naturalmente condotta ad accertarsi delle sue condizioni internazionali con un sentimento di maggiore ansietà e col timore che i pericoli più vicini possano essere i suoi. Colla caduta dell'Impero si è scomposta la base antica e nota delle sue alleanze; il non aver accomunato nella guerra le nostre sorti a quelle della Francia ha certamente lasciato nell'animo dei Francesi un profondo sentimento di rancore contro di noi; gli uomini e i partiti che gli eventi portano al Governo della Francia ci furono sempre noti per la loro ostilità; come sempre avviene alla neutralità succede uno stato di isolamento; se la Francia ci rimprovera la nostra attitudine, la Prussia non ce ne sa grado e le simpatie evidenti dell'opinione italiana per la nostra sventurata vicina hanno offeso i sentimenti germanici. Per quanto siano ottimi i nostri rapporti coll'Austria, coll'Inghilterra e anche colla Russia, sulla solidarietà delle potenze neutrali non si può troppo contare dopo lo spettacolo d'impotenza e di torpore che ci diede l'Europa durante la guerra. Di più, al ritorno della pace, ci troviamo impegnati nella quistione romana, in una quistione da cui dipende tutta la nostra sicurezza avvenire, che può mettere in dubbio la nostra stessa esistenza, che non è suscettibile di fatti sollecitamente compiuti e che ci rende più che mai ostile in Francia quella parte cosi considerevole di opinioni e di influenze sociali che avranno oramai per qualche tempo il sopravvento e il governo di quel paese.

All'interno la nostra situazione non è punto cattiva. I partiti rivoluzionari sono disarmati, e la nuova Camera offre, per tutta la sua durata, una base assicurata alla ~olitica moderata. A Roma, dal punto di vista interno, ·certo vi sono le difficoltà insuperabili della situazione, le difficoltà che si incontrarono sempre in tutte le annessioni, complicate dal fatto nuovo della presenza del Principe spodestato, ma l'ordine è completo, checchè se ne dica, e agli inconvenienti e ai malumori che si destarono abbiamo in serbo un rimedio più che sufficiente coi compensi che porterà seco la capitale. I Principi che risiedono colà da qualche tempo sono contenti della situazione in cui si trovano.

L'Italia, in una parola, non ha bisogno che di una cosa sola, della sicurezza e della pace. Le sue inquietudini, i suoi pericoli non le possono venire che dall'estero, e per la quistione romana, dalla Francia ed è di queste complicazioni ch'essa si preoccupa ora e si andrà sempre più preoccupando perchè esse gettano un elemento d'incertezza nel suo avvenire.

Durante la guerra, nessuno s'è fatto illusione in Italia e tutti hanno pensato che, a guerra finita, il punto nero sul nostro orizzonte sarebbe stato quello dei futuri rapporti fra l'Italia e la Francia. Per questo, ora veramente può dirsi, che, colla pace, comincia una nuova fase di previdenza e di operosità per la nostra diplomazia; per accertarci della nostra reale situazione e per provvedere. Si tratta del nostro avvenire e di tutta la nostra esistenza, la quale potrebbe essere rimessa in quistione.

Voi sapete quali furono le circostanze che ci impedirono di venire in soccorso della Francia. Gli avvenimenti della guerra si svolsero in modo tale che l'Italia, la quale conosceva lo stato incompleto del suo ordinamento militare, dovette avere, ad ogni fase, la convinzione profonda ch'essa avrebbe forse potuto prolungare la lotta, ma che la conclusione ultima sarebbe stata quella di aggiungere, inutilmente per la Francia, ai suoi disastri un nostro disastro. All'infuori di un concorso militare, abbiamo cercato di fare per la Francia quanto ci era possibile. Nessun paese serbò verso la Francia un'attitudine più benevola, nè fece maggiori sforzi perchè l'Europa agisse in suo favore, nel solo modo efficace, vale a dire collettivamente. La situazione in Europa rimase sempre la stessa. In realtà la Germania ebbe un'alleata nella Russia. L'attitudine della Russia paralizzò l'Austria, e l'Italia, sola, si sentì ed era impotente. Se avessimo voluto prendere degli impegni che legassero la nostra libertà d'azione in modo, anche solo indirettamente ostile alla Francia, credo che avremmo ottenuto delle condizioni e dei compensi. Negli affari di Nizza scoraggiammo apertamente la agitazione. Quanto al paese, le sue simpatie, di mano in mano che si svolse la guerra, furono così palesi, che il solo rimprovero che ci muove la Germania è appunto questo delle manifestazioni della opinione pubblica e della stampa.

Ma ora, checchè ne sia, non possiamo aspettare che il pericolo si faccia immediato e ci sorprenda. Se l'attitudine della Francia ci si facesse ora ostile, oppure le sue riserve ci lasciassero intravedere le immancabili ostilità dell'avvenire e il progetto, appena ristorate le forze, di rivolgere contro di noi i primi tentativi di rivincita, noi non avremmo ad esitare. Accetteremmo la posizione fattaci dana Francia stessa e ,cel'cheremmo, anche a costo di sacrifici, la base di alleanza nei nostri rapporti colla Germania. Ne saremmo ancora a tempo perchè la quistione del sistema d'alleanze che la Francia cercherà di ricostruire, non può essere indifferente alla Germania.

Noi siamo ora talmente impegnati nella quistione di Roma che non ci è più possibile il retrocedere. Prima della fine di Marzo, la Camera avrà votato la legge sulle guarentigie del Papa e sulla libertà della Chiesa. Malgrado una discussione lunga e penosa, la prima parte fu votata dalla Camera press'a poco come il Ministero la propose, compresa l'immunità assoluta delle residenze del Pontefice. Il voto infelice sui Musei, dovuto più che ad altro, a una sorpresa, sarà corretto dal Senato.

Quale attitudine prenderà il Signor Thiers, colle sue opinioni conosciute, col forte partito clericale dell'Assemblea sulla quistione di Roma? Il nuovo avviamento delle cose in Francia ha ravvivato tutte le speranze del Vaticano. Al Vaticano non si vuole che una cosa sola, la ristaurazione pura e semplice del potere temporale mediante la guerra all'Italia. Questa lusinga si è fatta ora più forte che mai e per spingere a questa eventualità è possibile che ora si cerchi di indurre il Papa a un partito al quale egli ripugna, quello di partire da Roma. Il giorno in cui il Papa comprendesse ch'egli può contare su ogni simpatia, e su ogni appoggio in suo favore, meno quello d'una ristaurazione del potere temporale colla forza, le sue disposizioni verso l'Italia diventerebbero assai più concilianti, mentre ora la politica dei Consiglieri di Pio IX consiste nel rendere la situazione più violenta che sia possibile. In una vacanza, che non può essere troppo lontana, della sede Pontificia, un nuovo Papa potrebbe intendersi coll'Italia e si finirebbe col creare uno stato di cose meno allarmante pei cattolici e che questi finirebbero col riconoscere. Ma la condizione di tutto ciò è che non si mantengano illusioni al Vaticano. Ora si dice che a Roma il Segretario dell'Amba,g'Ciata di Francia ebbe incarico dal Signor Thiers di chiedere al Papa quale persona gli potrebbe essere più accetta in qualità di nuovo Ambasciatore di Francia. Si parla del Signor de Corcelles, al quale proposito i giornali osservano ch'egli era l'Ambasciatore della spedizione del 1849, o del Signor Cochin.

Viddi pure che il Signor Thiers designò ai posti principali presso le grandi potenze dei personaggi assai noti del mondo politico. Non so che cosa si conti fare per Firenz.e e se si intenda di confermare quì la scelta del Signor Rothan. Questi non presentò ancora le sue antiche credenziali. Quando gli giunsero, il Re era assente; ritornato il Re a Firenze, venne la nuova della capitolazione di Parigi e dl Signor Rothan chiese nuove .~struzioni, esitando egli stesso a presentare delle credenziali dategli dalla Delegazione ormai disciolta. Noi non abbiamo obbiezioni contro Rothan, benchè, per i suoi antecedenti, non potrà avere una grande autorità personale, come non ne avrà molta presso il Governo francese. Ora avviene talvolta che si preferisca lasciare un agente di non molta autorità 1 appunto in quei paesi verso i quali si vuoi conservare la libertà d'una politica che contiene ogni specie di riserve.

Avrete veduto dai miei dispacci qual'è lo stato delle cose alla Conferenza di Londra. Pur troppo i primi effetti di questa guerra si fanno sentire e il risultato della spedizione di Crimea è grandemente compromesso. Noi non abbiamo fatto la nostra proposta che quando ebbimo la certezza che nè la formola che riserbava il passaggio degli Stretti alle sole potenze non riveraines del Mar Nero, nè il mantenimento dello statu quo non avevano alcuna probabilità d'essere accettate. Ma la nostra proposta non è .per noi che un pis-aUer che non esclude, in modo assoluto, la possibilità di vedere, in dati casi, passare la squadra russa nel Mediterraneo. Non comprendo come l'Inghilterra e l'Austria non abbiano preferito lo sto;tu quo per gli Stretti, sacrificando un interesse reaie

alla apparenza d'aver ottenuto un equivalente. Non so quali istruzioni abbia

il Duca di Broglie giunto ora a Londra. Non so se il Signor Thiel's vorrà ripren

dere in esame il lavoro già fatto dalla Conferenza, oppure fare semplice atto

di presenza, prima che si concluda. Probabilmente il Signor Thiers vorrà non

indisporre la Russia, perchè suppongo che egli vi farà calcolo per le future

alleanze della Francia. Il suo linguaggio, quando fu a Firenze, me lo lascia

supporre. In questo caso non vorrà sollevare obbiezioni contro quanto la Confe

renza ha fatto o sta per fare.

Comprendo che il Signor Thiers non vorrà ora addentrarsi nel fondo delle

quistioni che vi ho accennate, ma forse non vi sarà difficile avere da lui qualche

indicazione generale dei principii suoi e delle sue viste nelle quali troveremo

una prima norma per la nostra condotta futura.

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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 787. Berlino, 27 febbraio 1871 (per. il 4 marzo).

J'ai demandé au Secrétaire d'Etat s'il était exact que le Comte d'Arnim fut attendu à Berlin. S. E., en me répondant affirmativement, m'a dit que ce diplomate avait sollicité et obtenu un congé.

M. d'Arnim est assez ambitieux, et je ne serais nullement surpris qu'il vint ici pour chercher une nomination à un poste plus important, et mème pour supplanter son collègue à Florence. Il m'a paru opportun, de mettre, pour autant qu'il dépendait de moi, quelque obstacle à la réalisation d'un tel projet, s'il existait réellement. Le Ministre du Roi Guillaume à Rome n'aurait pas en effet les qualités requises pour diriger une Légation, où la tache du titulaire n'est certes pas des plus faciles; il lui manquerait le tact nécessaire, et ses allures hautaines ne tarderaient pas à lui aliéner toute sympathie. Sans vouloir m'immiscer dans les décisions éventuelles du Cabinet de Berlin, je croyais cependant de mon devoir d'exprimer l'avis, tout-à-fait personnel, qu'il serait très-désirable que son représentant en Italie fut du mème moule que le Comte Brassier qui, en maintes circonstances délicates, avait su remplir son devoir sans altérer en rien les bons rapports que les Gouvernements s'appliquent à conserver entre eux.

Si j'ai parlé dans ces termes, c'était aussi parce que, dans une autre circonstance, M. de Thile avait laissé entendre qu'entre les deux représentants de la Prusse en Italie, il y aurait un steeple chase, une sorte de gageure, à qui évincerait l'autre, dans le cas où les deux postes n'en formeraient, un jour, qu'un seul.

M. de Thile ignorait si un tel projet était réellement sur le tapis, mais j'ai parfaitement vu qu'il ne pensait pas autrement que moi sur le caractère très-peu conciliant du Comte d'Arnim.

Les affaires de Rome agitent, sans désemparer, les catholiques en Allemagne. Après la clòture des Chambres prussiennes, les députés de cette confession ont signé une adresse au Roi, pour lui demander d'exercer son infiuence en faveur du Pape. Le Parlement fédéral, qui se réunira le 16 mars, n'est pas compétent en matière religieuse, mais il est assez vraisemblable que les membres catholiques de cette assemblée signeront à leur tour, et à titre privé, une requete dans le meme but. En meme temps ils SE:' grouperont de manière à créer des embarras au pouvoir fédéral, s'il ne fait pas quelques concessions à leurs tendances bien connues. Sous ce rapport, j'ai lieu dP croire que le clergé travaille aussi à obtenir que les Etats du Sud de l'Allemagne soient appelés à bénéficier de la meme législation que la. Prusse, où les catholiques jouissent de plus d'avantages que dans la Bavière nommément.

Les journaux parlent d'une seconde tentative faite en novembre dernier par le Pape, auprès du Roi de Prusse, comme auprès de la délégation à Tours, pour amener la réconciliation entre la France et l'Allemagne. M. de Thile se disait dans une ignorance complète à ce sujet.

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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 788. Berlino, 27 febbraio 1871 (per. il 4 marzo).

C'est aujourd'hui, par un télégramme du Roi à la Reine, que le Département fédéral des Affaires Etrangères a appris la signature des préliminaires de paix, sous réserve de l'assentiment de l'Assemblée Nationale. J'ai cru qu'il était superflu de la télégraphier à V. E. C'eùt été faire double emploi avec l'Agence Wolff, et d'ailleurs la nouvelle devait arriver plus promptement à Florence par la voie de Bordeaux.

M. de Thile ne semblait pas mettre en doute que les préliminaires ne fussent acceptés avant le 6 mars per l'Assemblée de Bordeaux. Sans émettre un avis sur les conditions généralP~ de la paix, il pensait que la restitution de Belfort souleverait quelques critiques, le siège de cette piace ayant coùté la vie à bon nombre de soldats de la landwehr. Pour réagir contre cette impression, \es journaux officieux cherchent à démontrer qu'un tel abandon ne compromet pas sérieusement la sùreté des frontières allemandes. Le défi.lé des débouchés étroits de la Franche-Comté, vers la Vallée du Rhin, présentera toujours de graves obstacles, et d'ailleurs les forteresses de Neu-Brisach, de Mortier, de Schlettstadt et Strasbourg, qui restent entre les mains de l'Allemagne, offrent de ce ·còté des garanties suffisantes. Ces memes journaux .s'appliquent aussi à prouver que, si les conditions de paix peuvent paraitre dures à un peuple dont la fibre nationale est si sensible, elles ne dépassent pourtant pas une juste mesure et ne blessent pas le véritable honneur de la France.

Le chiffre de l'indennité ne serait nullement en disproportion avec les dépenses et les sacrifices causés aux allemands par cette guerre. Quant à l'entrée de.s troupes impériales dans Paris, elle est devenue une nécessité, sans quoi les français n'auraient jamais la conscience de leur défaite complète.

Je me borne à mentionner les observations de la presse. En attendant, ici, dans le monde diplomatique comme au Ministère des Affaires Etrangères, on croit généralement que l'Assemblée Nationale ratifiera

15 -Documenti di!llomatici -Serie II -Vol. II

les arrangements signés par MM. Thiers et Favre et approuvés par la Commission des quinze. On est bien obligé de subir les faits accomplis, quand on n'a poinrt su prévenir les événements ou .les conduire. Après avoir donné libre cours à la critique des fautes IPassées, il faudra bien en venir à tenir compte de la réalité et des obligations qu'elle impose au Gouvernement comme à la Chambre des Représentants.

V. E. se souviendra que je n'ai pas varié depuis 1867, époque de mon retour à Berlin, sur les chances de victoire de la Prusse et de l'Allemagne, en cas de conflit armé avec la France. Lorsque il a éclaté, je n'ai pas hésité à affirmer que le succès final serait pour ce Pays. C'était à mes yeux le soleil levant. Je n'avais aucun mérite dans mes prévisions, car elles étaient basées sur une série d'observations, que j'entendais émettre ici par les hommes les plus compétents, sur la supériorité militaire de la Prusse, observations dont une longue résidence à Berlin me permettait de controler, au moins dans une certaine mesure, l'exactitude. Personne ne pouvait, il va sans dire, s'attendre à une déroute aussi complète. Si la guerre de 1866 avait eu déjà des révélations foudroyantes, il avait fallu cependant à la Prusse, pour réussir, l'alliance de l'Italie, alliance doublée de l'inaction complaisante ou calculée de la France. En 1870, c'est l'Allemagne entière qui est entrée en lice, gràce aux fautes de ceux 'qui ont lancé la France dans une partie, aussi mal engagée que mal préparée. Le coté unique de la France qui ne fiìt pas limité par l'obstacle d'une barrière naturelle, celui de l'Alsace et de la Lorraine, s'est maintenant fermé sur elle par la masse d'un Etat puissant et dont la population s'accroit cinq fois plus rapidement, ainsi qu'il résulte des tableaux statistiques.

Après le désastre de Sedan, il était devenu de toute évidence, sans meme que le Comte de Bismarck l'eiìt indiqué dans les circulaires, que les exigences de l'Allemagne seraient inflexibles. Les capitulations de Metz et de Paris, les échecs infligés aux armées improvisées par le Gouvernement de la Défense Nationaie, mettaient de plus en plus la France à la discrétion du vainqueur. Celui-ci a d'ailleurs le sentiment que le Cabinet de Paris, républicain ou monarchique, n'aura, quelles que soient les conditions de la paix, d'autre pensée que celle de guetter une revanche, quand il aura repris ses forces et qu'il se sera assuré une alliance sur le continent. Dans ces circonstances, on a jugé à propos de tenir la dragée très haute, au risque meme de lui fournir le prétexte de déclarer un jour qu'une semblable paix ne saurait etre qu'une trève.

Si en effet le patriotisme des français sera désormais la haine contre la Prusse placée à la tete de l'Allemagne, il y a là un danger pour l'avenir, que nous ne saurions perdre de vue. Le moment viendra où la France essaiera de nous entrainer dans son orbite. Si le Cabinet de Berlin, comme il faut l'espérer en tenant compte de la perspicacité du Comte de Bismarck, ne tombe pas dans la meme faute de l'Empereur Napoléon et de ses conseillers maladroits qui étaient trop enclins à régenter l'Europe, nous n'aurons aucun motif de nous joindre à ses adversaires. Nous avons au contraire bien des motifs pour nous concilier son amitié et pour ne pas Iier notre sort à celui de la France. L'Italie est assez forte, si elle veut l'etre, pour se tenir en dehors des complications européennes qui ne toucheraient pas directement ses propres intérets. C'est en suivant, comme dans la crise que nous venons de traverser, une politique exclusivement italienne, que nous découragerons nos vo1sms de toute tentative de nous méler à leurs querelles et de s'immiscer, le cas échéant, dans nos affaires intérieures. Tout en ne négligeant rien pour vivre aussi en bons termes avec l'AHemagne, je n'ai pas besoin d'ajouter, si jamais eUe voulaH exercer chez nous une influence anormale, que je serais le premier à conseiller une certaine raideur, pour opposer une cmgue à une prétention quelconque, de sa part ·comme de ceLle de tou:te autre Puissance. Avec un caractère tel que le Comte de Bismarck et des hommes d'Etats qui seraient formés à son école, on se perd par une condescendance au delà des limites du juste et du raisonnable: et, son premier mouvement d'humeur passé, il ne tarderait pas à reconnaitre que notre attitude indépendante lui offrirait les meilleurs garanties dans les conditions générales de l'Europe.

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VITTORIO EMANUELE II ALL'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A MADRID, CIALDINI

T. Firenze, 28 febbraio 1871.

Vous pouvez prendre vos dispositions pour partir j'envoie ordre Venosta de vous reppeler, Blanc n'ira pas à Madrid.

212

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

T. 1602. Firenze, 28 febbraio 1871, ore 16,40.

Le Ministre de France m'à lu un télégramme de M. Jules Favre annonçant les conditions de la paix. Dans ce télégramme on nous prie d'appuyer auprès du Gouvernement anglais les démarches que le Gouvernement français fait à Londres pour obtenir une déclaration de la conférence qui donnerait un arppui moral à la France. Je n'ai pas pu saisir la portée de la proposition faite à Londres par M. Jules Favre. Veuillez vous informer auprès de lord Granville au sujet des instructions que M. de Broglie a reçues à cet égard et des intentions du Gouvernement britannique.

213

IL MINISTRO A BRUXELLES, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 319. Bruxelles, 28 febbraio 1871 (per. il 5 marzo).

Les grossières injures lancées récemment dans ses mandements par l'Episcopat Belge contre le Roi d'Italie, on:t fourni à un député libéral, dans la séance d'aujourd'hui, l'occasion de demander si depuis l'avènement du parti clérical, la

loi qui punit les offences contre les souverains étrangers avait été abolie, et s'il y a en Belgique une catégorie de personnes privilégiées qui sont au dessus de la loi. Développant son interpellation, M. de Fré, après avoir constaté l'application qui déjà avait été faite antérieurement de cette loi, a ajouté avec autant d'à propos que de raison qu'une pareille politique était de nature non seuiement à aliéner les sympathies de l'Italie envers la Belgique, mais encore à nuire aux intérets matériels du pays, en pouvant amener l'Italie à dénoncer le traité de commerce qui fournit à la Belgique un débouché de 46 millions de francs pour ses produits d'exportation.

Le Ministre de la Justice auquel s'adressait plus particulièrement l'interpellation s'est mon:tré visiblement 'embarassé d'y répondre. Evitant avec grand soin d'aborder le fond de la question qui ne portait en réalité que sur l'application d'une loi positive, il a invoqué piteusement la liberté de la presse, qui, a-t-il prétendu, a donné lieu à des attaques aussi violentes contre le Pape que contre le Roi d'Italie. M. Bara l'ancien membre du Ministère précédent, a bien voulu ramener la ·question sur son véritable terrain, mais malgré tous ses efforts, la majorité cléricale a tenu à bien vite étouffer la discussion en prononçant la clòture par 48 voix contre 30.

Ainsi que j'ai eu souvent l'honneur, de le dire à V. E. je laisse à sa haute sagesse le soin de décider jusqu'à quel point il est convenable de pousser la longanimité en laissant s'écouler sans daigner y prendre garde, ce torrent d'injures. Je tiens cependant à informer V. E. que M. Rogier l'ancien Ministre des Affaires Etrangères, avec lequel ses sincères sympathies pour l'ltalie me mettent souvent à meme de parler des événements du jour, m'a dit encore hier à propos de l'incident parlementaire en question: « Je ne vous conseillerai jamais de réclamer officiellement contre les injures de la presse Catholique et encore moins contre celles des Eveques; vous en feriez des martyrs, et ce serait là le point de départ de nouvelles manifestations qu'il serait impossible d'empecher ».

214

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 208. Tunisi, 28 febbraio 1871 (per. il 4 marzo).

Non saprei dire come sia avvenuto, il fatto si è però che solo col corriere di jeri mi è pervenuto il riverito dispaccio di V. E. N. 83 delli 17 Febbrajo (l) che avrei dovuto ricevere la settimana scorsa, e che con questo mi vedo dippiù mancare l'altro dispaccio segnalatomi col telegramma delli 24 stesso mese (2).

Nelle attuali circostanze questo contrattempo m'avea grandemente impressionato dovendomi da una parte riferire alle inesatte notizie dei giornali sul ricevimento fatto da V. E. al Generale Heussein, e dall'altra ignorando la linea di condotta che dopo le spiegazioni avute dal suddetto Generale intendeva Ella

di seguire nella nostra vertenza col Bey; ma edotto oggi su tutto quanto riguarda l'uno e l'altro di questi punti mi affretto a rendernele i dovuti ringraziamenti.

Il Signor Hertzfeld cui mi sono rivolto per conoscere se dal Bardo erano già stati conferiti al Generale Heussein i poteri necessari per negoziare a Firenze la questione delle garanzie, dOtpo di essere stato jeri stesso dal Generale Mustafa Khasnadar mi riporta che non si pensa punto a ciò fare la sua missione restringendosi al solo oggetto di dare delle spiegazioni sui fatti che aveano dato luogo alla rottura delle nostre relazioni, e nullamente ad intavolare discussioni in materia di garanzie cui avrebbe sufficientemente provveduto il Trattato del 1868. In somma si persiste sul rifiuto di ogni qualunque concessione a questo riguardo. Il mio Collega di Austria osservando allora che l'Italia non si fermerebbe a metà strada, il Ministro dspose: In quel caso abbiamo degU amici, ed alla peggio siamo disposti di appoggiarci alla Turchia. Contate anzi tutto -avrebbe replicato il Signor Hertzfeld -su di voi, ed in quanto l'appoggio che cerchereste in Costantinopoli, non dimenticate che per tal modo andereste forse incontro ad un pericolo maggiore, seppure uno siavene nella dimanda dell'Italia.

Non sarebbe difficile per altro che siasi cambiato di avviso, e ciò dopo di un gran Consiglio che fu tenuto jeri stesso al Bardo in seguito all'arrivo dell'Ajutante di campo del Generale Heussein, il quale riparte domattina per Firenze.

Comunque siasi, è da notare che i Consoli, compresovi pure quello d'Inghilterra, convengono non solo sulla necessità di un cambiamento di sistema nell'amministrazione della giustizia, ma ben anco sul diritto che abbiamo di esigere certe determinate garanzie che nel servire agl'interessi degl'italiani, comuni del resto a tutti gli europei e da tutti egualmente desiderate, non ledano però la piena giurisdizione del Bey sopra i suoi sudditi.

(l) -Cfr. n. 175. (2) -Non pubblicato.
215

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 210. Tunisi, 28 febbraio 1871 (per. il 4 marzo).

Appena scritto l'altro rapporto n. 208 (l) di questa serie è stato da me il Signor di Botmiliau per dirmi che avendo veduto nella mattina il Khasnadar gli era sembrato di trovare nel medesimo delle buone disposizioni di finire all'amichevole le nostre differenze, o per dir meglio di negoziare sulla portata delle garanzie che abbiamo ,chieste. Sarebbe già un punto di guadagnato; ma dall'altra parte il Generale Mustafa pretenderebbe che si ristabilissero prima le relazioni, e poi siccome le stesse garanzie si estendono di pien diritto a tutti gli europei, si avesse a discutere la questione in Tunisi in una coi Consoli delle altre Potenze.

In questa indiretta proposta io vedo un nuovo intrigo del Console inglese, per cui nel sottometterla alla saviezza di V. E. non saprei dispensarmi dall'os

servare umilmente come sia pericolosa l'ingerenza de' miei Colleghi, e come in ogni caso serva meglio a conservare il nostro prestigio di ottenere una piccola parte da soli che il tutto col loro concorso.

(l) Cfr. n. 214.

216

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 35·40. Bucarest, l marzo 1871, ore 21 (per. ore 9 del 2).

Président du conseil me prie de faire parvenir au Gouvernment de S. M. l'adresse de félicitation de la chambre des députés roumains au parlement italien. Je prie V. E. de me télégraphier si je puis me charger de cet envoi.

217

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNIJSI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3543. Tunisi, 2 marzo 1871, ore 14,55 (per. ore 21,30).

Bardo n'est plus aussi siìr de son affaire. Il est disposé à nous faire des concessions, mais il importe avant tout qu'il soit tenu compte des légitimes réclamations de nos nationaux, ce qui ..... (l) serait la première et la satisfaction.

218

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 50. Vienna, 2 marzo 1871 (per. il 6).

È già alcun tempo che la stampa viennese ha impreso a far pronostici di mal'augurio sui futuri rapporti tra Francia e Italia; i giornali che sperano l'abbassamento e la rovina del nostro paese, insistono con maligne insinuazioni sulla necessità in cui si troverà il Governo francese di chiederci conto della occupazione di Roma, facendone 11ivivere la questione e rivendicando di bel nuovo i suoi diritti manomessi da noi mentre le armi francesi erano battute. I fogli poi a noi favorevoli considerano il ritorno alla questione romana siccome un pretesto che sarà messo innanzi allorchè la Francia, risanata un po' delle profonde ferite e spinta dal bisogno di rilevare il morale dell'esercito e della nazione tutta, nell'impotenza di prender una rivincita sul feritore, darà libero sfogo alle ire alimentate dalla nostra pretesa ingratitudine: in somma tutti gli organi prevedono difficoltà tra i due paesi e probabilmente una lotta.

Questa eventualità diventa ogni giorno più l'argomento favorito dei Circoli feudali-clericali, i quali gioiscono già del nostro annichilamento, considerandolo il solo compenso alle sventure francesi.

Non ho pertanto tenuto parola di ciò col Conte Beust perchè senza istruzioni dell'E. V., ma non mi parrebbe inopportuno di scandagliare confidenzialmente il Cancelliere su quanto gli si riferisce da Parigi a questo proposito e, forse, sulle disposizioni dell'Austria ove mai il Governo francese volesse effettivamente recarci molestia.

In attesa degli ordini che l'E. V. si compiacerà favorirmi .....

P. S. Unisco qui insieme un articolo del Tageblatt di jeri intitolato • Il Pagamento della Ingratitudine» (l) siccome misura dei giornali più modera'ti a nostro riguardo.

(l) Gruppo indecifrato.

219

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 527/498. Londra, 2 marzo 1871 (per. l'8).

Ho intrattenuto ieri il Signor Conte Granville sul soggetto del di Lei dispaccio del 22 febbraio p. p. n. 75 Politica (2), relativo all'incidente in corso •col Bey di Tunisi, del quale Le accuso ricevuta, e gli ho esposto quanto si conteneva nel detto dispaccio. Il Signor Conte mi disse che gli pareva che ciò che noi domandavamo al Bey fosse lesivo della sua autorità e che gli pareva che ciò che era stato proposto colla mediazione del Console Inglese conducesse allo scopo che il Governo Italiano si proponeva.

Essendomi parso che Sua Signoria confondesse le tre domande fatte dal Signor Pinna colle guarentigie che Ella si proponeva di domandare e che si stabilirebbero con un Protocollo, io Le feci notare innanzi tutto come questi soggetti fossero distinti e diversi.

Le tre domande fatte dal Signor Pinna erano quelle il cui rifiuto per parte del Bey aveva dato luogo alla rottura delle relazioni ufficiali e la di cui accettazione a farsi innanzi tutto, Ella metteva come condizione del ripigliamento di queste relazioni. Le altre erano le guarentigie a darsi dopo perchè non si rinnovassero i fatti deplorabili che si erano continuamente andati ripetendo e nè le une nè le altre mi pareva contenessero nulla di straordinario.

Quanto alle tre domande del Signor Pinna feci notare a Lord Granville che il Bey stesso aveva esplicitamente ammesso ed anzi dichiarato che la violenta invasione ed occupazione della casa della Società Italiana della Gedeida e gli arresti erano stati fatti senza suoi ordini e senza ordine del suo Governo.

Lessi a Sua Signoria il passo della Nota del Cavalier Pinna da cui ciò risultava. Ciò posto gli domandai se non credesse giusta e moderata la domanda che questa casa arbitrariamente invasa e la cui occupazione era mantenuta da ben 45 giorni fosse immediatamente resa libera dall'occupazione (il che era il 1° articolo del Signor Pinna); se credeva meno giusto che il colpevole di questo atto

violento e degli arresti riconosciuti arbitrari ed illegali fosse punito come ogni altro colpevole e reso responsabile dei danni cagionati (il che costituiva il 2° articolo del Signor Pinna); e se infine credeva che non fosse giusta la domanda della destituzione del Governatore locale connivente e forse operante in tali illegalità confessate dal Bey il quale al postutto ammetteva questa terza domanda fatta dal Cavalier Pinna. Che se queste domande evidentemente giuste e moderate erano state dal Bey rifiutate, dopo la lunga pazienza e moderazione del Governo Italiano, parevami del tutto giusto che questi minacciasse l'uso di quei mezzi che soli gli rimanevano per eseguire l'obbligo che gli incombeva di tutelare le ragioni dei suoi Cittadini. Non parevami poi possibile il supporre che un Governo possa farsi scudo della propria debolezza per violare impunemente i diritti dei Governi più forti di lui.

Che se le proposte del Bey fatte col mezzo del Signor Pinna non avevano potuto essere accettate egli è perchè esse non fissavano un breve termine allo sgombro della casa, la qual cosa era indispensabile massime ·con quel Governo; perchè non parlavano neppure della giusta punizione del coLpevole e dell'obbligo dell'indennità a cui era naturalmente soggetto.

Al riguardo poi delle guarentigie ch'Ella intendeva di domandare per l'avvenire esaminandole ad una ad una, addussi le ragioni che escludevano a mio avviso che esse fossero eccessive o lesive dell'Autorità del Bey. A tal fine notai come esse non fossero che od una giusta interpretazione del Trattato esistente, od una lieve estensione delle sue prescrizioni pienamente conforme al suo spirito ed alle sue •stipulazioni e resa necessaria dai fatti intervenuti, od una applicazione di usi già vigenti per gli stranieri nella Tunisia.

Il Signor Conte mi disse che certamente la debolezza di un Governo non gli dava titolo di mancare ai suoi doveri; ma che egli aveva notato che si domandassero al Bey alcune cose che parevano esautorarlo il che se si facesse da tutti i Governi stranieri non si saprebbe quale confine potesse avere.

Avendo però io insistito nel sostenere anche colla scorta del di Lei dispaccio che nulla di ciò verificavasi nelle nostre domande, il Signor Conte mi domandò se non aveva difficoltà di !asciargli il di Lei dispaccio onde poterlo esaminare riposatamente, ove non avessi preferito di fargli una memoria sulla base del medesimo.

Dissi al Signor Conte che io non vi ero autorizzato; ma ove ritenesse questa come una semplice comunicazione verbale e confidenziale prendeva sopra di me di aderire al suo desiderio; il che feci avendo egli pure aderito alla mia dichiarazione.

Ho creduto di prendermi questa libertà in vista delle continue relazioni confidenziali che esistono con Lord Granville e perchè mi parve che questa comunicazione, assai utile in se stessa, non presentasse alcun inconveniente.

Allorquando io aveva fatto allusione nella mia conversazione agli arbitrii ed alle prepotenze del Bey, ed alla longanimità del Governo Italiano, Lord Granville domandò se gli Italiani residenti nella Tunisia non avessero poi essi pure dato al Governo locale dei giusti motivi di lagnanze.

Replicai al Signor Conte che ciò punto non mi risultava, e che l'assenza di reclami a questo riguardo per parte dello stesso Governo Tunisino escludeva poi perentoriamente questa supposizione.

Debbo soggiungere che Lord Granville mi disse che sapeva essersi allegato che il Rappresentante Inglese colà fosse un po' intrigante; ma che la verità era che egli non aveva fatto altro che eseguire gli ordini del suo Governo. Replicai tosto che ciò che egli mi diceva riuscivami affatto nuovo, poichè in tutta la corrispondenza ch'io conosceva, compresavi quella del nostro Console colà, non eravi neppure una parola che alludesse a ciò; al che egli rispose ringraziandomi di ciò che gli aveva detto, e dicendomi che ciò gli faceva piacere.

Lasciando Lord Granville insistetti sulla convenienza per tutti i Governi Europei di ·concorrere a ciò che parevami essere indubbiamente un interesse comune.

Voglia ora l'E. V. permettermi di palesarle la impressione da me riportata da questa conversazione e principalmente da ciò che Lord Granville mi disse intorno alle voci corse sul conto del Console Britannico a Tunisi ed al nostro rifiuto delle proposte fatte da codesto Console come mediatore ed offerente i suoi buoni uffici. A me pare che debba esservi qualche cosa di mezzo a creare difficoltà e malintesi indipendenti dagli ostacoli che possano trovarsi nella natura stessa delle nostre domande. Ella vedrà, secondo ciò che Le potesse risultare a questo riguardo, anche rispetto alle relazioni personali fra di loro degli Agenti Consolari a Tunisi, se persistendo nel persuadere il Governo Inglese della giustizia delle nostre domande, l'intervento del Console Britannico non si potesse utilizzare con frutto e con soddisfazione di questo Governo onde fare accettare dal Bey le nostre domande e se ciò non potrebbe per avventura allontanare altre difficoltà.

Non sarà poi certamente sfuggito alla considerazione di Lei la relazione che parrebbe avere colla seconda delle domande del nostro Console quanto esso scrisse posteriormente nel suo rapporto del l 7 gennaio p. p. (l) cioè che il Generale Sy Selim Governatore della Città di Tunisi di cui non si poteva contestare l'autorità aveva ordinato egli stesso gli ultimi arresti alla Gedeida indipendentemente del Bey e del suo primo Ministro.

La raccolta dei Trattati esistenti in questa Legazione non giungendo che a tutto il 1864 prego V. E. di volermi mandare una copia del Trattato 30 dicembre 1868 col Bey di Tunisi la quale mi riesce indispensabile.

(l) -Non si pubblica. (2) -Cfr. n. 197.
220

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3544. Londra, 3 marzo 1871, ore 19,40 (per. ore 10 del 4).

Brunow est venu me rendre une visite pour me dire, meme officiellement, que son Gouvernement a apprécié l'esprit de l'action conciliante du Gouvernement italien lequel par le moyen de votre proposition à l'égard des détroits a

tout contribué à établir une entente et à conduire à bonne fin la conférence. J'attends votre réponse à mon télégramme du 28 février (1), n'étant pas autorisé par mes instructions à accepter l'article y contenu et qui constitue une proposition nouvelle

(l) Cfr. n. 56.

221

IL MINISTRO A BORDEAUX, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1430. Bordeaux, 4 marzo 1871 (per. il 7).

Ho l'onore d'accusare ricevuta del dispaccio di serie politica che l'E. V. volle indirizzanni 'sotto Ia data del 22 febbra,io ultimo (2), allo scopo di tenermi al corrente dell'andamento della vertenza tra il R. Governo e la Tunisia.

Ho preso accurata notizia delle informazioni da Lei favoritemi e mi studierò nelle mie conversazioni cogli uomini del Governo francese di convincerli della legittimità delle nostre domande, ove ciò 'fosse d'uopo, come pure della moderazione della condotta del R. Governo.

222

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 789. Berlino, 4 marzo 1871 (per. il 9).

J'ai félicité aujourd'hui le Secrétaire d'Etat qu'un terme fut mis aux hostilités, en exprimant le vreu que la signature des préliminaires fut suivie d'une paix durable. S. E. m'a dit, à son tour, que c'ètait là aussi le vreu le plus sincère du Cabinet de Berlin.

La conversation ayant pris un caractère tout à fait privé, j'en ai profité pour chercher à savoir quelles étaient les impressions de M. de Thile. Il n'a pas été très explicite, et c'est plutòt par ses répliques à mes observations, que j'ai pu tirer quelques inductions sur sa manière de voir. Il semblait croire que de sitòt la France ne serait pas en mesure d'entrer nouvellement en lice. Mais il paraissait peu confiant dans une longue durée de la paix, laquelle ne serait dès lors qu'une treve.

Lors meme que les conditions eussent été moins sévères, le vaincu ne se

résignerait pas à vivre en bonne et constante intelligence avec le vainqueur.

C'est sa défaite elle meme, que la France ne pardonnera jamais. Aussitòt que

faire se pourra, elle cherchera des alliés pour l'aider à relever son prestige et à

prendre une revanche. Mon interlocuteur a fait une allusion à l'éventualité d'une

entente à cet effet avec la Russie, tout en s'empressant d'ajouter que, sous le

règne de l'Empereur Alexandre, une pareille combinaison n'aurait pas de chan

ces de se réaliser.

11) Non pubblicato.

Sous ce rapport on a beaucoup rémarqué ici, dans le Corps diplomatique, le soin de l'Empereur Roi de s'adresser au Tsar, pour lui marquer sa reconnaissance d'une attitude qui avait empeché que la guerre ne prit des proportions plus étendues. Il est à supposer che le Comte de Bismarck n'a pas été consulté sur une telle manifestation, au moins inopportune. Aucun Cabinet n'avait mis en doute qu'un certain accord avait existé, durant cette crise, entre les deux Cours du Nord. Il devenait inutile de l'accentuer davantage à la face de l'Europe, au risque d'indisposer les Puissances tierces, et surtout l'Autriche dont la neutralité avait été commandée par une pareiHe entente. C'était attribuer à la Russie une de ces neutralités complaisantes, analogue à celle de la Prusse durant la guerre de Crimée. On raconte que, dans sa dernière maladie, l'Empereur Nicolas en avait fait témoigner sa gratitude à Frédéric-Guillaume IV. Le télégramme de Guillaume I, télégramme livré à la publicité, ne serait-il qu'un rendu pour le certificat de bonne conduite donné à son prédécesseur? Dans ce cas on serait quitte de jeu.

La réponse de l'Empereur Alexandre est plus réservée que le langage de son Oncle. Et meme il ne serait pas improbable que le Cabinet de S. Pétersbourg, ou ses journaux officieux, ne s'empressassent de mettre adroitement une sourdine aux commentaires qui ne manqueront pas de se produire sur cet incident, à Paris surtout. Dans cette direction, la Russie a bien des intérets à ménager en vue du voisinage, assez incommode pour elle, d'une puissante Allemagne. Elle tiendra, plus que jamais, à attirer dans son giron l'ancienne alliée de l'Angleterre. Et, quant à l'Europe en général, le Cabinet impérial regrettera peutetre d'avoir été l'objet d'éloges un peu compromettants, lors qu'une question celle de la Mer Noir -est encore en suspens à la Conférence de Londres.

Quoi qu'il en soit, il est évident que la perspective de complications ultérieures, et inévitables dans l'esprit du Comte de Bismarck, à en juger par ses cii'culaires dès api'ès la capitula:tion de Sedan, il est évident, dis je, qu'en suite de cette perspective, l'opinion a prévalu, au quartier général de Versailles, de chercher des sfiretés, non dans les dispositions du peuple française, mais dans des garanties matérielles, par de meilleures frontières à l'Ouest, et par une indennité financière si écrasante que la France ne pourra à moins que de réduire ses dépenses militaires. La dure nécessité sera, pour quelques années du moins, un obstade à la poursuite de son idéal de la gioire et des conquètes vers le Rhin.

En attendant, le télégra.phe nous apporte le texte des préliminaires. On ne reprochera certainement pas à l'Empereur d'Allemagne d'avoir travaillé pour le Roi de Prusse. Les négociations pour rédiger l'instrument définitif de la paix vont incessamment s'ouvrir à Bruxelles. On ne sait point encore ici quels seront les négociateurs du còté de la Confédération. On croit que le Comte de Bismarck confiera cette tache à quelques diplomates.

Dans ce cas, le Chancelier Impérial reviendrait à Berlin dans une huitaine de jours. Le Roi Guillaume ne serait pas attendu avant le 19 mars. Le 21 aura lieu l'ouverture du premier Parlement A:llemand, pour lequel les élection:s ont été faites hier. Le résultat en est encore inconnu. Mais ce n'est pas au lendemain de victoires aussi éclatantes, que le prestige de l'autorité peut etre mis en danger par les écarts d'un libéralisme, meme exagéré.

La conclusion de la paix va naturellement amener un changement de résidence de l'Empereur Napoléon. Les conjectures ne font pas défaut. M. de Thile n'a pu me fournir aucune indication à cet égard.

P. S. Ci joint un pli contenant deux lettres particulières pour V. E. (1).

(2) Cfr. n. 197.

223

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. Berlino, 4 marzo 1871 (per. il 9).

En voie particulière, M. de Thile m'a parlé aujourd'hui d'un rapport confidentiel du Comte Brassier sur son audience chez Notre Auguste Souverain, à l'occasion de la notification du titre impérial. S. M. aurait laissé tomber quelques mots sur l'éventualité d'une guerre de la France contre l'ltalie, à propos des affaires de Rome.

Le Secrétaire d'Etat pensait que, d'après l'humeur plutòt belliqueuse du Roi, ce n'était là qu'une manière de s'exprimer qui Lui était habituelle. S. E. me demandait mon avis.

Je lui ai rappelé que plus d'une fois, durant la crise amenée par les hostilités entre la France et l'Allemagne, je lui avais manifesté l'opinion de V. E. sur les difficultés de notre situation, en vue précisément de nos rapports avec un nouveau Gouvernement Français. Oes difficultés ont du donner au Cabinet de Berlin la clef des quelques malentendus qui ont semblé se produire dans nos rapports avec la Prusse, lors mème qu'elle ne pouvait mettre en doute notre ferme intention de maintenir avec elle les meilleures relations, dans le présent et dans l'avenir. Certainement la France est trop à la baisse aujourd'hui, pour vouloir nous attaquer de vive force, mais, à part cette violence, elle pourrait viser à nous susciter de sérieux embarras, en exploitan:t pour ses propres ·convenances l'opposition qui se manifeste contre nous chez les catholiques dans ce pays-ci et à l'étranger. Quoiqu'il arrivat, j'avais lieu de croire que nous étions décidés à ne pas admettre d'ingérence pour tout ce qui touche au còté national de cette question, liée si essentiellement à notre indépendance. Quant au còté international, aux garanties à accorder au chef de l'Eglise Catholique, le Gouvernement connaissait toute l'étendue de ses devoirs, et saurait les remplir.

Au sujet du Pape, il me revient de très bonne source un propos tenu tout récemment par Sa Sainteté. Elle aurait laissé entendre, à ne pas s'y méprendre, qu'Elle quitterait Rome, le jour où Notre Auguste Souverain y transporterait sa résidence. Lors mème qu'un Congrès Européen lui donnerait le conseil de rester, le Pape ne changerait pas d'avis.

Je crois de mon devoir d'en informer V. E., qui avisera dans sa sagesse, pour le mieux des intérèts engagés dans cette affaire si délicate. Si j'avais à

me prononcer, il me semblerait qu'il serait préférable de ne rien précipiter, et maintenant que l'HaHe est délivrée de toute occupation étrangère, d'attendre les combinaisons qui pourraient surgir à l'élection d'un nouveau Pontife.

(l) Annotazione marginale: • Rimesse le due lettere particolari al Ministro •.

224

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

T. 1604. Firenze, 5 marzo 1871, ore 14,40.

Firmato un atto comprendente due protocolli. Il primo contiene i numeri 6 e 7 degli articoli da lei già conosciuti. Il secondo comprende gli altri. Al numero 6, in fine, si sono aggiunte le parole «dont le cours ne pourra etre arreté ou suspendu ».

È convenuto che le relazioni saranno riprese, appena scambiate le ratifiche dell'atto (1).

HA DATO LUOGO ALL'INTERRUZIONE DEI RAPPORTI UFFICIALI FRA I DUE PAESI

Son Excellence le Général de Division Heussein Envoyé en mission spéciale de Son Altesse Sérénissime le Bey, Possesseur du Royaume de Tunis, et Son Excellence le Ministre des Affaires Etrangères de Sa Majesté le Roi d'Italie, s'étant réunis aujourd'hui pour terminer à l'amiable le différend qui a donné lieu à l'interruption des rapports officiels entre le Gouvernement tunisien et l'Agent et Consul Général de Sa Majesté le Roi d'ltalie, aprés avoir échangé leurs pleins pouvoir, trouvés en bonne et due forme, sont convenus des deux protocoles suivants:

PREMIER PROTOCOLE

lo Par analogie à ce qui est établi par l'article 15 du Traité en vigueur pour l'exercice de l'industrie manufacturière Son Altesse Sérénissime s'oblige à ne pas permettre ou tolérer que soit empeché, amoindri ou suspendu l'exercice légitime de l'industrie agricole des Italiens établis dans la Tunisie.

A cet effet l'Agent et Consul Général d'Italie et les autres Consuls et Agents Conswlaires de Sa Majesté en Tunisie, communiqueront chaque année aux autorités locales compétentes la liste des cultivateurs, gardiens de troupeaux et autres paysans indigènes qui se trouvent, moyennant contracts réguliers au service des ltaliens résidants dans les Etat.s de Son Altesse Sérénissime le Bey.

Les cultivatewrs, gardiens de troupeaux et autres paysans indigènes ne pourront étre poursuivis juridiquement sans que l'autorité consulaire italienne en soit immédiatement informée afin que le propriétaire italien puisse pourvoir à la sauvegarde de ses propres intérets.

Il est bien entendu cependant pour éviter toute interprétation erronée que les droits de iuridiction de Son Altesse Sérénissime le Bey sur ses sujets employés de la manière swsindiquée par des Italiens, demeureront intacts et que ces indigènes ne pourront sous aucun prétexte se soustraire ni etre soustraits aux obligations qu'ils ont envers leur Souverain ni à l'action de la justice locale. dont le cours régulier ne pourra etre arreté ou suspendu.

2• Le Gouvernement du Bey s'engage à procéder immédiatement à l'exécution de l'article 11 du Traité de 1868 moyennant la formation d'un tarif établissant.

A) l'obligation de la part du Gouvernement de Tunis de ne pas élever les droits d'exportation au-de-là du taux actuellement établi sans un accc.rd préalable avec le Gouvernement italien, soit pour les droit perçus, au poids et à la mesure soit pour les droits perçus

ad valorem.

B) la fixation du droit d'exportation sur les tabacs de toute qualité produits en Tunisie proportionnellement aux droits actuellement établis sur les autres produits du sol twnisien destinés à l'exportation.

DEUXIÈME PROTOCOLE

l o La maison occupée par le • Ukil • de la ferme de la Gedeida sera vidée et mise à la disposition de M. Castelnuovo.

2• Le Colone! El Tuiboen sera destitué de cet emploi et remplacé par un autre.

3• Le Général Si Selim, Gouverneur de la ville de Tunis et de ses environs fera une visite à M. le Représentant d'Italie qui le recevra assisté par MM. les Officiers de son

(l) PROTOCOLLI PER TERMINARE AMICHEVOLMENTE LA QUESTIONE CHE

225

IL MINISTRO A BORDEAUX, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3548. Bordeaux, 5 marzo 1871, ore 18 (per. ore 9 del 6).

J'ai présenté lettre de créance à M. Thiers et j'ai causé longuement avec lui. Je vous rendrai compte de ma conversation par lettre. Pour ce qui regarde question romaine il s'est bien montré préoccupé de l'irritation croissante du Pape et de ce que l'on appelle au Vatican nos mauvais traitements mais il a pris son parti, croyez-le bien, de la chute du pouvoir temporel et il m'a dit que Rome est assez grande pour contenir le Roi et le Pape. Il nous recommande de ménager Sa Sainteté. Il a terminé en me chargeant de dire au Roi qu'il trouvera en lui un bon et loyal voisin.

226

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3551. Londra, 6 marzo 1871, ore 17 (per. ore 24).

Voilà les deux articles que l'Autriche et la Turquie viennent de concerter à l'égard du Danube: « Les conditions de la réunion nouvelle de la commission riveraine établie par l'art. 17 du traité de 1Paris du mars 11856 seront fixées par des ententes préalables entre les puissances riveraines, sans préjudice pour les clauses du traité de Paris relatives aux Principautés danubiennes, et, en tant qu'il s'ag.irait d'une modification de l'art. 17 du d:it traité, par une convention spéciale entre les puissances cosignataires. Les puissances riveraines de la partie du Danube où les cataractes et les portes de fer mettent des obstacles à la navigation se réservent de s'entendre entre elles à l'effet de faire disparaitre ces obstacles. Les hautes parties contractantes leur reconnaissent dès à présent le droit de percevoir une taxe provisoire sur les navires de commerce sous tout pavillon qui en profiteront désormais, jusqu'à l'extinction de la dette contractée pour ,rexécution des travaux, et elles déclarent l'art. 15 du traité de Paris de 1&56 inapplicable à cette partie du fleuve, pour un laps de temps

Consulat pour donner à M. Pinna !es explications au sujet des ordres qu'il avait donné

pour l'arrestation des indigènes employés dans la susdite ferme.

4° Son Altesse Sérénissime le Bey fera procéder à une enquéte sur Ies faits qui ont

donné lieu à la contestation pour punir s'ils le méritent Ies auters des actes, dont il s'agit.

5° Son Altesse Sérénissime accepte en principe l'obligation de parfaire à la Société

agricole le montant des dommages. La liquidation de ces dommages pourra étre soumise à

un arbitrage, dans le cas où on ne pourrait statuer autrement au sujet de ces mémes

dommages.

6° Le Gouvernement du1 Bey s'engage formellement à terminer de suite dans l'esprit le

plus équitable Ies affaires pendantes entre lui et le Gouvernement italien.

Les relations officielles seront reprises avec le cérémonial d'usage aussitòt après l'échange

des ratifications qui aura lieu à Tunis dans l'espace de quinze jours ou plus tòt si faire se peut.

Fait à Florence en double originai le 5 Mars 1871.

signé: HussEIN VISCONTI VENOSTA

(Ministero degli Affari Esteri, Trattati, convenzioni e accordi relativi all'Africa, vol. III, 1841-1873, Roma 1943).

nécessaire au remboursement de la dette en question ». Il n'est pas moins presque certain que cette rédaction sera acceptée par les autres plénipotentiaires. Veuillez me dire votre déliberation. Le due de Broglie vient d'expédier pour cela un courrier à Bordeaux.

227

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 219. Pietroburgo, 6 marzo 1871 (per. il 14).

L'opinione dei diarii Russi è unanime nel mostrarsi poco satisfatta della severità delle ·Condizioni di pace imposte ,alla Francia dal vinc.itore.

La Gazzetta di Mosca parlando dei preliminari di Versailles, dice che la Prussia mise la Francia .nella situazione di una Potenza astretta ad accettare senza far contrasto, qualsiasi più dura condizione. « La Francia, son parole di quel foglio, è rovinata e senz'armi, ha perduta qualcuna delle sue più ricche provincie, essa è colpita da un'enorme contribuzione. Ma tutto ciò non basta. Ha bisognato toglierle financo l'ombra della sua indipendenza; toglierle non pure qualunque possibilità di aggredire l'Impero Germanico; ma eziandio impedirle di disobbedire a questa Alemagna, o di imprimere pure nella sua mente il pensiero della partecipazione che essa, la Francia, potrebbe avere in una eventualità di guerra Europea..... ella cessa non solo di essere un grande potentato; ma diviene in effetti una terra conquistata..... Ove è dunque l'Europa, finisce con dire il giornale, gli stati neutrali possono eglino restare indifferenti nel cospetto di un simile risultamento? E gli interessi medesimi di ciascuno di quelli non sono essi minacciati ed offesi per condizioni siffatte? Non hanno eglino un diritto ed una ragione bastevole di levare in alto la voce loro in una simile occasione? Lasciamo stare, che una parte del territorio fu conquistato alla Francia; ma si potrà egli ammettere, che la Francia intera cada sotto il dominio del potente Impero germanico? Bisognava innanzi che !'·Europa intera entrasse mallevadrice del debito imposto alla nazione Francese, che tollerare questa soggezione, questo vassallaggio della Francia all'Impero.

E qual mai può essere dopo tuttociò la significazione delle parole che i Ministri Inglesi proferirono al Parlamento? Quali furono adunque le condizioni di pace che formarono argomento della sollecitudine delle potenze neutrali? Con quale accento d'ironia non suonano che in oggi le parole qui appresso, con cui il Signor Gladstone terminò il suo discorso alla camera dei comuni il 17 febbrajo: l'Inghilterra avrebbe acquistata una insigne e grande gloria se avesse potuto inscrivere nel catalogo dei suoi atti più celebri la facoltà di contribuire nei termini del poss~biJ.e ad un alleviamento deHe condizioni, di necessità incresciose e rigide, che dovranno colpire dopo la guerra una delle più nobili contrade del mondo? ».

Nè molto dissimile, nè gran fatto men vivo, è il linguaggio del Golos sul medesimo soggetto; ed ecco un saggio della polemica di questo diario sull'argomento dei preliminari di pace, tolto da un articolo del 17 febbrajo-1 marzo. << Il

vincitore fu spietato. Non si tenne pago d'aver ridotto la Francia al grado di potenza secondaria, le irrogò un'ultima ed inutile ingiuria stipulando il diritto di fare una mostra militare nelle strade di Parigi. Che mai si potrà egli chiedere di più a questa vittima? L'avvenire deila Francia starà tutto nel vedere se Ella riuscirà a mettersi sulla via dell'interno riordinamento. Ma pur troppo la pace testè conchiusa ha grandemente messo in forse tale speranza. Era mestieri per fermo di molta rinuncia d'animo, e di molto coraggio per consentire ai patti dettati da Bismarck, pure una così tremenda sindacabilità fu assunta da uomini che col Signor Thiers appartengono ai componenti della miglior cittadinanza francese. Questi uomini resero forse un gran servigio alla patria loro, che continuando la lutta in così disperate emergenze, non avrebbe che aggravato i suoi infortuni, senza cansare il pericolo. Ma certo è, però nondimeno, che il paese a loro non perdonerà giammai questo atto, qual egli pur sia, ch'essi ora compiscono. Essi dannarono ciò facendo all'impopolarità, non solo i propri nomi, che non sarebbe dopo tutto il più gran male possibile; ma travolsero in quella stessa impopolarità tutta quanta la parte moderata a cui appartengono, e fuor di cui non v'ha salvezza per il popolo di Francia. Ecco oggimai che un ampio agone fu dischiuso ai rivoluzionari d'ogni maniera, ed è levato in alto il terribile flagello che tanti dolori ha già occasionato a quel malarrivato paese. Ei sarà pure al Conte di Bismarck che la Francia andrà debitrice di quell'anarchia e di quel disordine che vi si mettono a casa per lungo tempo. E di ciò non maravigliamo: gli organi di ,quel Ministro non pretendono es&i ad unanimità che per la Francia è da preferire la repubblica all'avvenimento, per esempio, degli Orleanesi? ».

La Gazzetta della Borsa dice che i Tedeschi tentarono più volte durante la guerra di calunniare i Francesi, attribuendo loro atti che li avrebbero disonorati nel cospetto dal mondo civile. Con la Gazzetta della Croce ebbe non ha guarì ad annunziare che mercè una delle ultime risoluzioni del Ministro Crémieux, la libertà era stata impartita a Beresoski, condannato ai lavori forzati a perpetuità.

L'intendimento di tal notizia sparsa falsamente, e con malevoglienza da tutti i giornali Alemanni, era manifesto, voleasi cioè armare la Russia contro la Francia sconfitta ed umiliata.

Ma questa notizia era falsa e non tardò ad essere smentita da una nota ufficiale.

228

IL MINISTRO A BORDEAUX, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Bordeaux, 6 marzo 1871.

Col ritorno del corriere Villa rispondo alla vostra importante lettera del 27 Febbraio (1), e tenterò di farlo quanto più ·chiaramente potrò. Voi mi ponete un'interrogazione che m'ero già fatto a me stesso, ma a cui non avrei potuto

rispondere prima che avessi avuto un colloquio col Signor Thiers. Questo colloQuio l'ebbi jeri ed eccone il risultato.

Il quesito è questo: La Francia ha preso o no il suo partito sull'unificazione dell'Italia e specialmente sulla caduta del potere temporale? La sua attuale acquiescenza ai fatti compiutisi nella 'penisola è unicamente l'effetto d'un'impotenza passeggi•era che cesserà colla cessazione di questa impotenza? In altri termini: Quando la Francia colla pace e ·con un Governo ordinato avrà riacquistato in parte o totalmente la forza perduta, rivolgerà essa questa forza, a guisa di pflimo ·esperimento, contro l'Italia rper ristorarvi il potere temporale?

Per rispondere a questo quesito bisogna rendersi conto di due ordini di fatti, cioè delle intenzioni e delle tendenze del Governo che la Francia s'è dato, e in secondo luogo della situazione reale della Francia stessa considerata anche all'infuori dell'azione del Governo. Io dissi ierj molto francamente al Signor Thiers il mio e il vostro pensiero a questo riguardo. Cominciai col dirgli: «Voi avete dato al vostro paese la pace; ma colla pace voi dovete dargli l'ordine e la sicurezza, e poi pensare a circondarlo colle amicizie e le simpatie, forse più tardi colle alleanze delle potenze Europee. Fra queste potenze l'Italia, per molti rispetti deve specialmente attirare la vostra attenzione». La conversazione rivolta su questo tema speciale pigliò un andamento più vivo ed il Signor Thiers mi segui volontieri nel discorso. Avendo egli fatto una allusione al soccorso ch'egli andò a domandare e che non ottenne a Firenze, io gli esposi per intiero la nostra condotta, valendomi spesso delle stesse vostre parole. In sostanza la mia risposta fu questa: Soli, noi eravamo impotenti. Il nostro concorso armato da per S'è solo avrebbe forse potuto ritardare ma non mutare il risultato finale della lotta, salvochè in questo caso l'Italia sarebbe stata travolta nella rovina anch'essa. Ogni altro concorso, all'infuori dell'armato, no1i ve l'abbiamo dato, e ve lo abbiamo dato in proporzioni maggiori che ogni altra Potenza. Negli affari di Nizza la condotta del Governo

del Re fu quella d'un ·leale vicino. Ad un'osservazione incidentale del Signor Thiers intorno all'ostilità dell'opinione pubblica dell'Italia verso la Francia, risposi con un'esposizione veritiera dei fatti, constatando che il gran partito moderato nazionale dell'Italia era sinceramente simpatico e favorevole alla Francia, purchè questa accettando i fatti compiuti fosse egualmente favorevole all'Italia. Aggiunsi che la frazione ostile alla Francia apparteneva all'estrema sinistra e notai che uno dei gravami a noi fatti dalla Prussia era appunto quello delle manifestazioni dell'opinione pubblica e della stampa in favore della Francia. Ma, dissi al Signor Thiers, tutte queste favorevoli disposizioni, queste simpatie, questo terreno cosi propizio, tutto ciò è a una condizione, cioè che l'Italia sia ben persuasa che la Francia non pensa e non penserà a venire a ristorare colla forza il potere temporale dei Papi. Il Signor Thiers che m'ascoltava con molta attenzione, mi rispose, alzando le spalle: «In verità abbiamo ben altre cure nell'animo e ben altri affari sulle brac·cia. Roma è abbastanza grande per contenere il Re e il Papa. Ma, per carità, adoperatevi in ogni modo per rendere a Pio Nono la vita possibile e .tollerabile. Egli è in uno stato d'irritazione crescente. Un'infinità di piccoli particolari lo ferisce e lo irrita. I suoi palazzi, i musei, le sue congregazioni, le formalità pei pagamenti, le guardie, ed altre simili cose, che in verità non ho ancora esaminato, lo preoccupano vivamente e suscitano le sue continue querele in tutto il mondo cattolico. Dovete fare

l•' -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. II

ogni cosa, anche sacrifizii, perchè il Papa possa starsene a Roma. Se il Papa lasciasse Roma, voi sareste molto imbarazzati, ed anche noi lo saremmo». Io osservai che la Francia poteva esserci utile in ciò e servire i comuni interessi, e non esitai ad esprimere l'avviso che se il Vaticano non può contare sopra un'assicurazione data dalla Francia di ristorare il potere temporale, il Papa non lascierà Roma. Il Signor Thiers mi disse che certamente il Governo Francese non darebbe nè questa assicurazione nè qualsiasi consiglio che possa spingere il Papa al partito di lasciar Roma. In conclusione, dalle precise parole del Signor Thiers, come dal tuono con cui furono dette e da quello generale di tutta la conversazione, risulta per me evidente il fatto che il pensiero d'una futura ristorazione del potere temporale colle armi della Francia non esiste nel cervello del Signor Thiers. Si può domandare se il Signor Thiers, parlandomi come mi parlò, fu sincero. Io non ne dubito. Nè sarà per dubitarne chi per poco conosca l'uomo. Thiers ha qualità e difetti, gli uni e gli altri non comuni. Fra i difetti i suoi nemici gli appongono una grande ristrettezza d'idee, l'ostinazione nel propugnare sistemi antiquati, certi storti giudizii, preoccupazione della propria personalità, odii ed irritabilità eccessivi ed altre cose ancora. Ma non ho mai inteso dire che potesse essere accusato di doppiezza e di falsità. Thiers non è dissimulatore. Quello che pensa lo dice nelle Assemblee, nei suoi e negli altrui saloni, lo ripete nei colloqui intimi, lo ridice a tutti e dappertutto, per guisa che spesso i suoi discorsi alla Camera sono la riproduzione esatta di quelli

dei quali assai tempo prima ha riempito i privati ritrovi della città.

Prima di finire il colloquio, raccomandai con insistenza al Signor Thiers la scelta dei due rappresentanti che la Francia deve av,ere a Roma, uno presso il Re ed uno presso il Papa. A questo proposito insistei specialmente su due punti: 1° perchè presso il Re sia accreditato un personaggio che abbia autorità ed influenza (Non mancai però di fare i meritati elogi del Signor Rothan, del quale dissi che non avevamo se non a lodarci). 2° perchè i due rappresentanti francesi a Roma vadano possibilmente d'accordo fra di essi. Il Signor Thiers mi promise d'occuparsi di queste due scelte importanti e delicate. Ma la cosa non è facile. Non si trova agevolmente un ambasciatore di Francia presso la

S. Sede che sia gradito al Papa e che ad un tempo sia gradito all'opinione pubblica in Italia, ed è egualmente difficile il trovare un personaggio d'autorità che consenta ad accettare il posto secondario di semplice Inviato presso il Re, e ciò in presenza d'un suo Collega avente titolo d'Ambasciatore presso il Papa. Comunque però sia, il Eignor Thiers mi promise di pensarci seriamente. Ho insistito su questo argomento con una certa vivacità perchè credo che veramente dalle scelte che saranno fatte dipenderà in gran parte il carattere delle nostre future relazioni colla Francia.

Passo al secondo termine della questione. All'infuori delle intenzioni del Signor Thiers e del suo Governo, che possono cedere le redini dello Stato da un momento all'altro, qual è il sentimento della Francia? Quali potranno essere le sue tendenze future e i suoi propositi in un avvenire più o meno vicino? Anzitutto due osservazioni. L'Assemblea attuale, nella quale si trovano da 150 a 200 legittimisti ed oltre 300 antichi Orleanisti, non è come ben potete pensare un'Assemblea normale, nella quale certamente non figurerebbero quei due elementi in sì gran proporzione. Quest'assemblea è il frutto d'una dura necessità.

Essa nasce da una reazione contro l'Impero e da una reazione contro la dittatura di Gambetta che voleva la guerra ad oltranza. Dal momento in cui non era possibile lo eleggere gli elementi che in un modo o nell'altro si rannodavano coll'Impero, e che tennero il Governo e i pubblici Uffizii e le influenze per 22 anni, la scelta di 750 rappresentanti riesciva oltremodo malagevole. Si mandarono gli uomini che più s'erano pronunziati per la pace, eccettuate ben inteso le elezioni di Parigi e di qualche altra città che ebbero un altro significato. Adunque non bisognerebbe prendere l'Assemblea presente come base ad un giudizio sulle tendenze permanenti del popolo francese. La seconda oservazione è che il Signor Thiers, diventato Capo della Repubblica francese, cessò d'essere il Capo degli Orleanisti. È chiaro ch'egli preferisce avere dei Ministri, all'essere egli stesso Ministro d'un Principe. La forma repubblicana può sola riunire e tenere insieme gli elementi stranamente divergenti di cui si compone il Governo e l'Assemblea. Per ora quindi non v'è nessuna probabilità prossima d'una ristorazione della Casa d'Orléans. La condotta dei Principi d'Orléans fu del resto molto indecisa, timida, tentennante. Vennero a Parigi e se ne andarono. Vennero a Bordeaux e se ne andarono. Furono a Libourne, ora sono a Biarritz. La professione di fede del Duca d'Aumale ebbe ciò di singolare che in essa il Principe dichiarò di non pronunziarsi sulla sola quistione per cui si convocava principalmente l'Assemblea, quella cioè di pace o di guerra.

Ciò premesso, rispondo. Non può dubitarsi che la popolazione francese serba un vivo rancore contro l'Italia per la negata alleanza. Una parte di essa ha questo rancore più specialmente per la distruzione da noi operata del potere temporale. Questo è un fatto che nessun argomento, nessun discorso, nessun ufficio può distruggere per ora. Il tempo che rimena la calma negli spiriti e colla calma il sano giudizio degli uomini e delle cose, e la vicenda delle circostanze potranno a poco a poco modificare questo sentimento e farlo sparire di poi. Ma veramente per noi la questione non sta in ciò. Noi non possiamo nè in verità vogliamo pretendere che i Francesi siano contenti di ciò che accadde in Italia. A noi basta che il loro scontento non si trasformi in atto, e che ci lascino tranquilli. A noi basta che non venga loro in capo di fare una terza spedizione Romana, la quale ora dovrebbe prendere proporzioni ben altrimente gravi. Or bene io non esito ad affermare che la Francia, dopo le dure esperienze che ha fatto, dopo la spaventosa guerra da cui esce insanguinata, lacera e povera, coll'occupazione forestiera in casa per uno, due o forse tre anni, colla rivoluzione che erge il capo nella sua capitale, coll'esercito disordinato, colla Finanza scomposta, coll'agricoltura e coi commercii e colle industrie in uno stato d'esaurimento deplorevole, non vuole nè può pensare a far la guerra all'Italia per ristaurare il potere temporale.

La guerra presente segna per la Francia un'epoca nuova, e la segna anche per l'Europa e per noi.

Novus ab incoepto saeculorum nascitur orda. Avvenimenti come quelli di cui fummo testimonii nello scorso e nel presente anno lasciano una traccia profonda e durevole, e sono un grave insegnamento pei popoli. Prima che la Francia tiri la spada per altro che pel suo territorio correrà molto tempo.

Vi ho tracciato la situazione quale sembra a me che sia in questo momento e per un dato tempo. Se voi mi domandate che cosa potrà nascere fra uno, due

-o tre anni, esiterei a rispondervi, e per meglio dire risponderei che non ne so nulla e mi riserverei di rispondere in modo più adeguato fra qualche tempo. Chi un anno fa avrebbe potuto prevedere ciò che è accaduto negli ultimi otto mesi? Bisogna adunque lasciar molto all'imprevisto, ben inteso nelle congetture, e per contro nell'ordine dei fatti lasciare il meno che si può al caso. Conchiudo adunque esortandovi a fare ogni possibile concessione per tenere il Papa attuale a Roma, a pensare fin d'ora al successore, ad avere confidenza nel nostro diritto, senza trascurare però, come misura di prudenza, e secondo il consiglio di Cromwell, di tenere asciutte le polveri. P. -S. -Il Signor Thiers mi disse, !asciandomi: «Fate sapere al Re che egli avrà in me un buono e leale vicino ».

(l) Cfr. n. 208.

229

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Pietroburgo, 6 marzo 1811.

Comincio dal ringraziarti della tua lettera e delle istruzioni che vi si contengono rispetto alle cose di Roma espresse con quel senno e con quella lucidità che ti son proprie. Appena io l'ebbi ricevuta, mi condussi dal Principe Gortchakoff per iniziare qualche ragionamento sulla Questione Romana con l'intendimento da te indicatomi, togliendo occasione dalle altre cose che avevo a comunicargli conformemente ai dispacci ufficiali ricevuti col medesimo Corriere. Gli dissi della soddisfazione che S. M. il Re avea provato nell'apprendere i sentimenti significatimi dall'Imperatore quanto all'ingresso del Re a Roma, e quanto alla parte da noi assunta nella Conferenza di Londra. Gli accennai le difficoltà che noi avevamo dovuto superare per tenerci in quei limiti di imparzialità e di moderazione, da cui durante la guerra non ci eravamo discostati. Gl'indicai altresì che nel tutto insieme la politica conciliatrice da noi seguita aveva dovuto riuscire gradita alla Russia, e corrispondente ai consigli ch'Egli ci avea dati, e soggiunsi che noi speravamo, siffatta bene augurata conformità di vedute non dover discontinuare nell'avvenire relativamente ad altre questioni.

Il principe mi rispose ch'egli avea piena fiducia nella prudenza e nel senso politico del Governo d'Italia, il quale non avea mestieri di altrui consigli; che quanto a lui, credeva richiedersi un po' di tempo e di paziente osservazione prima di formar giudizio definitivo sul modo come i grandi negozi e i rapporti fra le Potenze si determinerebbero; e che intanto dovea ciascuno Stato restringersi nei provvedimenti risguardanti l'interna amministrazione, che avea per tutti non lievi imbarazzi.

Quest'ultima avvertenza mi porse naturalmente l'adito a toccar di Roma. Il Cancelliere nel parlarmene si mostrò alquanto più esplicito e meno dubbioso che non fosse stato fin ora, e mi disse, secondo che già riferii nel mio tele

gramma, che la Russia nella vertenza Romana era imparziale, non legandola vincolo ufficiale di sorta con la Corte Pontificia, ma che per sua propria esperienza avea per altro avuto prima occasione di conoscere, quanto fosse duro e malagevole il trattare con essa, e non credea che per concessioni che noi le facessimo sul terreno della Sovranità Spirituale, sarebbe mai per uscire dal suo eterno non possumus, della quale cosa egli era dolente. Gli domandai, qual sarebbe per suo !vviso l'attitudine del nuovo Governo di Alemagna rispetto a Roma, mi rispose che senza più egli non credeva che il Conte di Bismarck si sarebbe fatto sostenitore del dominio temporale; e che quantunque sovra questo punto le sue informazioni non avessero fin'ora carattere di certezza, pur avea buone ragioni da credere ancora che il Governo di Berlino non avrebbe consentito a favorire l'evasione del Papa da Roma e il trasferimento della Sede Pontificia in qualche terra di Germania: che in somma egli avvisava, non doversi temere che i clamori del Partito Cattolico Tedesco avrebbero tratto il Governo della grande Alemagna a secondare le sue pretese. Più di questo non mi parve di dover chiedere da un primo colloquio, massimecchè io non avea nulla di particolare e di preciso da formulare; ma penso che questi primi cenni possano, a un bisogno riuscir sufficienti a riprendere il dis.corso più tardi, specialmente se le dichiar,azioni che il Cancelliere Imperiale Tedesco sarà per fare riuscissero tali da richiedere i buoni uffici del Gabinetto di Pietroburgo, per

modificarle e volgerle in qualche modo altrimenti in nostro favore.

Quanto alla situazione generale di questo paese, l'antagonismo fra la Corte e il Partito Nazionale in presenza della guerra e rispetto alla scelta delle alleanze è innegabile, qual'io ebbi a descriverlo in più d'uno dei miei rapporti, incluso l'ultimo che spedisco oggi (1). Ma cosiffatte considerazioni non hanno un valore pratico immediato. Come molto acutamente tu osservi, l'ipotesi più probabile è il mantenimento delle cordiali relazioni tra Russia ed Alemagna; anzi è più che un'ipotesi, è un fatto manifesto, e nulla fin ora annunzia che tal fatto sia per 'Cessare. Un ,carteggio diplomatico dee ·per mio avviso render conto di tutti quegli elementi che si contengono nello stato complessivo della politica di un paese, eziandio per prevedere discosto i successi avvenire, ma si vuoi distinguere quel che dee giovare ·come semplice informazione, da quel che debba fornire argomento di pratiche effettive, e di presenti combinazioni politiche. Ora in ragione di questo senso pratico, ciò che tu dici è perfettamente vero: quei cordiali rapporti saranno essi coronati da una stipulata alleanza? Qui se ne dubita nei circoli bene informati; e il temperamento personale del Principe Gortchakoff non mi sembra consentaneo ad una politica che legasse senza più la Russia al carro della nuova Germania, ed io credo piuttosto che egli, ove duri al potere, procurerà di serbare nei suOli portamenti una certa l1ibertà di azione. Ad ogni modo l'azione scambievole fra i due Governi sarà grandissima, e l'amicizia del Gabinetto di Pietroburgo diventa più che mai preziosa per l'Italia; come di potenza naturalmente mediatrice in favor nostro presso la sua potentissima vicina, segnatamente nella vertenza Romana, per la quale la Russia non può avere impegno o interesse alcuno suo proprio che avversi la causa nostra.

Io fui lietissimo, come ben puoi immaginare, di ricever la tua lettera, e di poterti riscriver questa mia: e vorrei, quando altre convenienze noi vietassero, che almeno una volta al mese regolarmente l'arrivo di un corriere a Pietroburgo rendesse possibile il ripeter questo modo di corrispondenza più riservata.

P. S. -È mia intenzione di chiedere un congedo di un mese, appena sia firmato il Trattato di estradizione: ti prego di non rifiutarmelo, perchè in verità avrei dovuto partire per Napoli (vi è ora la mia famiglia) fin dal luglio scorso, e gli affari miei più essenziali e più urgenti vi reclamano per qualche settimana almeno la mia presenza.

(l) Cfr. n. 227.

230

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

(ACS, Carte Visconti Venosta)

L. P. Firenze, 7 marzo 1871.

Le spedisco un corriere che pros.seguirà il suo viaggio a Pietroburgo e quindi di ritorno a Berlino, si tratterrà a sua disposizione. Suppongo che il Conte di Bismarck ritornerà presto a Berlino ed Ella avrà occasione di vederlo e di avere con lui qualche colloquio che ci permetta di giudicare sulla situazione politica dell'Italia nei suoi rapporti colla Germania. Questo giudizio non era agevole il formarselo finchè il Cancelliere germanico era a Versailles e la diplomazia non avea altra risorsa che quella dei colloqui col signor de ThHe. Ora che la pace è fatta e che si è dissipato il fumo ed il frastuono della battaglia, tutti i governi devono esaminare quali sono le condizioni di questa nuova Europa, quale la guerra l'ha fatta, e quale è la loro reciproca situazione. Nessun paese, quanto l'Italia, è chiamato a fare questo esame con un sentimento di maggiore ansietà. I risultati della guerra, la caduta dell'impero, i rifiuti alle domande di alleanze fatteci ripetutamente dalla Francia, hanno mutata l'antica e conosciuta base delle nostre alleanze; -la neutralità ha risparmiato all'Italia le più grandi sciagure ma, come sempre avviene, alla neutralità succede uno stato d'isolamento, -di più, al ritornare dell'Europa nelle sue condizioni normali, noi ci troviamo impegnati in una gravissima quistione, nella quistione romana che tocca a tanti interessi ed a tanti sentimenti, che solleva tanti nemici all'Italia e che è ormai diventata per noi una quistione di esistenza nazionale e nella quale non possiamo a qualunque costo indietreggiare. La quistione romana domina la nostra politica, e, per necessità delle cose, per la forza del sentimento pubblico, finchè non sarà chiusa, regolerà la nostra condotta in Europa. Nella sua corrispondenza ufficiale e confidenziale Ella, signor Conte, ha più volte trattato due argomenti, -quello delle impressioni del governo e della nazione germanica riguardo alla condotta tenuta dall'Italia in questi ultimi

mesi, -quello delle difficoltà che l'opinione cattolica in Germania sollevava al governo del nuovo impero e di cui questo governo doveva tenere gran conto.

Che la neutralità di uno Stato non appaghi alcuno dei belligeranti, è questa una legge comune a cui alcun paese neutrale in una guerra ha mai potuto sottrarsi. Dirò di più che l'opinione germanica, nel giudicare la condotta dell'Italia, ha mostrato una tendenza esclusiva e un poco anche intollerante, nè apparve disposta a tener conto delle difficoltà grandi e reali createci da un complesso di vincoli e di tradizioni che da molti anni costituivano, può dirsi, la nostra politica.

V'è una verità incontrastabile che il Conte di Bismarck, ora che, chiusa la fase della guerra, l'equità del giudizio retrospettivo può essere maggiore, non vorrà disconoscere. Ed è che, di tutti i paesi di Europa, l'Italia era quello per cui era più difficile resistere alle pressioni della Francia e conservare la neutralità; come pure di tutti i paesi di Europa, l'Italia è quello per cui la neutralità mantenuta potrà costare maggiori pericoli e trarre seco più gravi conseguenze. La condotta di un governo, durante una lunga complicazione, si giudica ad opera finita e dai suoi risultati. Può darsi che vi fu un momento, e il più difficile per noi, nel quale era in potere dell'Italia il generalizzare la guerra, se noi fossimo usciti dalla neutralità, avremmo trascinati altri e reso generale il conflitto. Ora a chi giovò la guerra localizzata, al vincitore o al vinto? -In presenza di questi fatti mi pare che i lamenti mossi per l'attitudine di una parte della stampa italiana, abbiano un'importanza molto secondaria. Chi conosce l'Italia sa bene che -la stampa è, da noi, affatto indipendente dal Governo, che non ha in essa alcuna azione. D'altronde in Germania si notavano i giornali ostili, senza contare quelli che simpatizzavano per essa. Si può dire che in tutti i campi, tanto nel campo radicale, come nel moderato, c'erano giornali che, colle loro simpatie, parteggiavano per la Francia o per la Germania. Quanto al modo col quale abbiamo osservato le leggi della neutralità, non parmi che siano stati formolati contro di noi seri lamenti. In una lunga guerra, durante la quale la Francia cercava di trarre in ogni modo delle risorse dallo stato neutrale vicino, è impossibile che qualche reclamo non sia sorto, ma credo poter affermare che, per lo meno, la Germania formolò assai minori reclami, di questo genere, verso l'Italia che verso gli altri paesi vicini della Francia. Ella mi scrisse che i passi fatti dall'Italia perchè le Potenze neutrali interponessero i loro buoni uffici per affrettare la pace produssero una poco buona impressione in Germania. Era naturale che un sentimento di umanità, diviso da tutta l'Europa, ci facesse desiderare di veder posto un termine alle calamità dell'Europa. Quando l'Italia riceveva continue sollecitazioni dalla Francia, alla quale rifiutavamo ogni altra specie di aiuto, non era possibile il rifiutarci a fare, nel campo della diplomazia, qualche tentativo e qualche passo in favore della pace. Ci siamo sempre negati a qualunque manifestazione isolata perchè poteva essere questo un principio per impegnare la politica dell'Italia in una linea che potesse poi discostarsi da quella di un'assoluta neutralità. È naturale che le traccie di ogni passo fatto da noi si trovassero nel Blue Book inglese. Sarebbe stato difficile il trovarne in ogni altra pubblicazione di altri governi, perchè noi non abbiamo mai consentito a far altro che a rivolgerei al Governo inglese, ed abbiamo sempre dichiarato che il concorso del governo inglese era per noi la condizione di ogni atto al quale avressimo potuto unirei. Il concorso del Governo inglese era, per di sè, una garanzia e toglieva a una azione diplomatica di

questo genere ogni carattere di parzialità, di pressione o di impegni in qu~lle ulteriori responsabilità che ben si sapeva l'Inghilterra non era disposta ad assumere.

Infine che cosa la Germania poteva chiedere all'Italia? Ciò che abbiamo fatto, vale a dire di mantenere la neutralità: l'Italia, persistendo in questa condotta, mostrò di sapere adempiere quella missione che è il fondamento delle sue buone relazioni colla Germania, mostrò cioè di essere una potenza moralmente autonoma ed indipendente nel concerto europeo, e se la Germania le saprà dare qualche prova effettiva di saper riconoscere ed apprezzare questo fatto, essa ne trarrà quella forza morale che le è necessaria per persistere in una politica che sarà un pegno non indifferente per la pace futura e per la tranquillità dell'Europa. Vedo che alcuni giornali di Germania designano i partiti che, naturalmente, esistono in Italia col nome di partito francese, di partito tedesco. Nulla di più falso e se la politica del gabinetto di Berlino verso l'Italia adottasse questo criterio, cadrebbe negli stessi errori della politica francese. La verità è la seguente. In Italia tutta la situazione politica, nei rapporti internazionali, è dominata dalla quistione romana. L'Italia è un paese la cui più grande aspirazione è la sicurezza e la pace; essa ne ha bisogno, dopo le sue lunghe agitazioni, per costituire le sue forze politiche, sociali, ed economiche, e nei pochi anni che decorsero, dopo la liberazione del Veneto, fu grandissima l'operosità che cominciò a manifestarsi e lo svolgimento della ricchezza pubblica e del progresso sociale. Roma unita all'Italia è l'ultima tappa del nostro faticoso viaggio. L'Italia che ha dovuto affrontare la quistione romana, sente che nello stato attuale di cose, questa quistione è un elemento di incertezza nel suo avvenire. Essa è inquieta per l'avvenire dei rapporti colla Francia offesa della nostra neutralità e dove gli avvenimenti portano al potere i partiti che ci furono sempre avversi nella quistione di Roma. -Uscire da questa incertezza, assicurare la situazione dell'Italia contro i possibili pericoli esterni che ci possono venire dalla quistione romana, ecco l'intento comune nel nostro paese, il programma di qualunque governo, ed il criterio supremo della nostra politica estera. -È questo lo stato della pubblica opinione. Finora i Governi, senza sollevarci contro delle proteste negli affari di Roma, adottarono un'attitudine di riserva e questa riserva non fu certo minore, se pure non fu maggiore da parte della Prussia. Mi basti ricordarle la risposta alle comunicazioni da lei fatte al signor de Thile. Al primo atto che giungesse dalla Germania e che provasse come il nuovo impero non intenda sollevare imbarazzi all'Italia per gli affari di Roma e che pur mantenendo la maggiore sollecitudine per l'indipendenza e per la dignità del Santo Padre, pure esso non revoca in dubbio gli avvenimenti compiutisi a Roma, sotto l'aspetto politico e territoriale, a un atto ed a una politica di questo genere risponderebbe nel nostro paese, una manifestazione dello spirito pubblico che assicurerebbe i futuri rapporti dell'Italia e della Germania. Ella avrà, senza dubbio, l'occasione di intrattenersi delle cose di Roma col Conte di Bismarck e di conoscere il pensiero dell'illustre uomo di stato che sinora preferì di serbare in proposito il più completo silenzio.

A Roma, malgrado le difficoltà inerenti ad un così profondo mutamento di cose, difficoltà accresciute dal fatto, nuovo nei rivolgimenti politici, della presenza del principe spodestato, le cose procedono regolarmente. L'ordine è completo, i Principi sono soddisfatti della loro situazione. A questo proposito il Conte di Arnim che lasciò Roma da poco tempo avrà potuto informare il Conte di Bismarck. La Camera ha votato la prima parte della legge delle guarentigie per l'indipendenza del Pontefice press'a poco come fu proposta dal Ministero, compresa l'immunità assoluta del Vaticano persino per l'arresto dei ricercati dalla giustizia. Il voto, effetto, più che altro, della sorpresa, sui musei e sulla biblioteca del Vaticano, sarà senza dubbio corretto dal Senato. Domani si comincerà la discussione sulla seconda parte della legge relativa alla libertà della Chiesa, quand'anche la proposta ministeriale non passasse nella sua integrità, quanto sarà votato dalla Camera basterà a far sì che l'Italia sarà, col Belgio, il paese di Europa dove la Chiesa si troverà in possesso di condizioni più larghe, sarà più libera e più indipendente dallo Stato.

È vero che in questi ultimi tempi, s'è andata creando intorno al Vaticano un'atmosfera di irritazione sempre crescente. La causa ne è chiara. Cessata la guerra, si sono ravvivate al Vaticano le speranze di un'azione dell'Europa contro l'Italia e per eccitare quest'azione, per rendere più viva dovunque l'agitazione cattolica, è d'uopo far sì che la situazione appaia più tesa, più violenta che mai. La curia romana non chiede e non vuole che una cosa sola, -la guerra all'Italia per restaurare con un intervento militare, il potere temporale. Sarebbe un gran beneficio per tutti se i Governi dissipassero al Vaticano queste illusioni. Se il Vaticano si ·convincesse che le ·sollecitudini dell'Europa non vanno al di là delle guarentigie dovute alla indipendenza religiosa del Pontefice, e che la tesi del potere temporale è irrevocabilmente perduta in Europa, il Pontefice sentirebbe la necessità e la convenienza, se non di accordarsi coll'Italia e di riconoscere i fatti compiuti, che è un chiedere troppo, per lo meno di mitigare di fatto i reciproci rapporti, di non rifiutarsi a quei modus vivendi che non compromettono i principii e che permetterebbero al governo italiano di assicurare anche meglio i riguardi dovuti al Santo Padre. Tolta la speranza di una restaurazione violenta del Potere temporale, il partito estremo, i Gesuiti che ora circondano e dominano Pio IX perderebbero la loro autorità. Vi è, a Roma, un partito di cardinali e di prelati che si preoccupa degli interessi religiosi più che degli interessi politici, che sentono i vantaggi di un'attitudine più conciliante, che ora non osa mostrarsi, nè parlare, ma che diventerebbe il padrone della situazione il giorno in cui, colla speranza di un intervento straniero, si dileguerebbe l'influenza della parte fanatica che ora domina al Vaticano. Si guadagnerebbe del tempo, elemento importantissimo nella quistione romana. L'età di Pio IX lascia supporre una vacanza non lontana della S. Sede. Un nuovo Papa, sorto in condizioni nuove, potrebbe più facilmente adattarsi ad esse. E allora sarebbe scongiurata e terminata la crisi prodotta dalla caduta del potere temporale. Io credo che sia nell'interesse dei futuri rapporti fra l'Italia e la Germania che la quistione romana non rimanga, dal punto di vista dei fatti compiuti, come un elemento continuo di incertezza per l'Europa e per l'Italia, e che la situazione internazionale dell'Italia nella nuova fase europea che sta per aprirsi, rimanga pienamente assicurata. In fatto di politica estera non bisogna credere che vi siano dei pregiudizi e dei sistemi preconcetti nell'animo del popolo italiano. L'Italia è impegnata nella quistione romana in modo da non potere, a qualunque costo, retrocedere, essa desidera la sua sicurezza ed è disposta a cercarla dove

la troverà, dove le sarà possibile di costituirsi un sistema di amicizie solide e sicure e una solidarietà efficace di interessi. La quistione romana è stata il vincolo che ha diminuito la nostra libertà di azione, ed ha reso dipendente, per lungo tempo, la nostra politica, dalla politica francese. Ora questo vincolo è rotto, è nell'interesse di tutti che esso non abbia a riannodarsi. La quistione romana sciolta, la neutralità conservata durante questa guerra, hanno reso indipendente la situazione politica dell'Italia e questa indipendenza, lo ripeto, non è un pegno indifferente per la futura tranquillità dell'Europa.

Nei colloqui ch'Ella potrà avere col Conte di Bismarck, Ella potrà accertarsi delle sue disposizioni ed i risultati di queste conversazioni potranno essere la base delle ulteriori communicazioni ch'io potrò farle.

Ella, signor Conte, durante questo periodo difficilissimo, ha reso dei segnalati servizi al paese colla sicurezza delle sue informazioni e delle sue previsioni. Ella è chiamata dalla situazione politica dell'Italia e dell'Europa a renderne nell'avvenire anche di maggiori. La causa dei rapporti cosi importanti fra l'Italia e la Germania non potrebbe essere affidata a mani migliori. Nella nuova fase che si apre, l'Italia deve più che mai contare sulla previdenza e sulla operosità della sua diplomazia per uscire dalle difficoltà presenti ed assicurarsi l'avvenire. È una nuova campagna diplomatica che si apre per noi.

P. S. -Il Conte di Beust disse al nostro incaricato d'affari che a Versailles fra il Conte di Bismarck ed il signor Jules Favre si era parlato di Roma. La cosa mi pare poco probabile e Le trasmetto questa voce a titolo di pura informazione. Sarei desideroso di sapere le ragioni della pa·rtenza di Arnim da Roma. Tanto in Italia, quanto a Monaco il Conte di Tauffkirchen ha tenuto, a nostro riguardo, un linguaggio poco amichevole.

231

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 209. Tunisi, 7 marzo 1871 (per. l' 11).

Col corriere di jeri mi sono pervenuti i dispacci di V. E. ai N.rl 84 Confidenziale e 85 di questa Serie in data delli 21 e 24 Febbrajo scorso (1), comprensivi gl'indicati annessi, come altresì ho ricevuto per mezzo del Prefetto di Cagliari il telegramma delli 5 andante (2), e nel ringraziarla delle importanti comunicazioni fattemi colla detta corrispondenza pregola in pari tempo di aggradire le più sentite mie congratulazioni per il modo con cui furono regolate le nostre differenze col Governo tunisino.

Non dubitando punto che il Bey non sia per ratificare gli accordi intervenuti tra V. E. ed il Generale Heussein, mi permetterei per altro di osservare come per la lunga esperienza che ho fatto della malafede del Bardo, sia necessario prima di ristabilire le relazioni che gli affari pendenti col Consolato siano

almeno nella maggior parte risoluti, onde non incontrare poscia delle lungaggini e delle nuove difficoltà nel loro regolamento. Del resto la lezione è stata buona, e voglio sperare che quind'innanzi i nostri giusti reclami saranno accolti non solo con più di premura e deferenza, ma che il Generale Khereddin e gli altri funzionari della sua scuola si guarderanno bene per reagire contro gli europei di toccare agli interessi italiani, cui sovratutto si visa per ferire indirettamente quelli delle altre nazionalità.

Ravviserei altresi conveniente che per dare più di risalto alla cerimonia del rialzamento della bandiera si trovasse alla Goletta un qualche legno di guerra, atteso che la sua presenza nel contribuire ad accrescere il nostro prestigio risponderebbe pur'anco al desiderio della Colonia (1). Se quindi il medesimo legno avesse l'ordine di fare una comparsa nelle acque di Susa, non v'ha dubbio che produrrebbe un ottimo effetto tanto sulle autorità locali che su quelle popolazioni.

In ogni modo, al primo avviso che mi perverrà, sarà mia cura che il ristabilimento delle nostre relazioni col Bardo abbia luogo con tutta la pompa voluta in questi paesi, in cui si fa gran caso delle forme e dell'apparenza.

Prima di finire devo rapportare a V. E. che il giorno 2 corrente nel discorso che il primo Ministro del Bey è solito tenere al Corpo Consolare in occasione del ricevimento per il Courban-Bayram, ha notato con rincrescimento la mancanza del Rappresentante d'una Potenza amica a causa di alcune differenze seco-lui insorte, ma che queste non essendo di grande importanza aveva luogo a credere sarebbero quanto prima amichevolmente appianate.

(l) -Cfr. nn. 192 e 202. (2) -Cfr. n. 224.
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L'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A MADRID, CIALDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. MENSILE. Madrid, 8 marzo 1871 (per. il 14).

Nel dettare il mio precedente rapporto (2) mi è sfuggito un errore che mi preme assai di rettificare. Accennando ai cinque partiti ostili all'attuale situazione, dissi che due soltanto aveano importanza ed erano l'Alfonsino ed il Repubblicano Unitario. Qui sta lo sbaglio, poichè i due partiti veramente importanti sono: l'Alfonsino ed il Repubblicano Federale. L'unitario invece scarso di numero, come l'Iberico, è Partito di pochi pensatori.

Desta meraviglia una simile tendenza federativa in uno Stato da più secoli unito e compatto; desta meraviglia che moderni politici vogliano distrurre l'opera degli antichi compiuta a lungo e carissimo prezzo. Qual può esserne la cagione? Forse la torbida inquietudine di una Nazione che memore ancora delle perdute ricchezze, povera di commerci e d'industrie, divorata dall'impiego-mania, incalzata da mille bisogni reali e fittizi, cerca nella forma rimedio alla sostanza. Forse la naturale reazione contro tutto un passato a cui a ragione o a torto si attri

buiscono la povertà, la decadenza, il malessere infinito dei dì presenti. Forse la grande libertà concessa ai Municipi ed alle Deputazioni Provinciali che solleva gli interessi locali contro gli interessi dello Stato, che pone le convenienze materiali al dissopra dei vantaggi politici. Comunque sia riesce doloroso a vedersi che un partito cospiri scientemente a sciogliere la Nazionale Unità, e ad estinguere la patria potenza.

Lo scorso Febbraio passò senza fatti rimarchevoli eccettuandone il fallito tentativo di assassinio sulla persona di D. Manuel Ruiz Zorrilla, che venne a confermare vieppiù l'esistenza di una vasta associazione di malfattori politici e l'impotente organizzazione della polizia governativa. Il processo contro gli assassini del Maresciallo Prim non diede sinora risultato alcuno e sembra che rimarranno infruttuose del pari le ricerche giuridiche sull'attentato commesso a danno di Zorrilla.

Questi risultati negativi gettano necessariamente la sfiducia e lo sgomento negli uomini altolocati i quali dal più al meno per mezzo di scritti anonimi ebbero minacce nemiche ed amichevoli avvisi. Il Brigadiere Topete, per esempio, venne avvertito a più riprese che il suo nome era stato rimesso nella lista degli uomini politici condannati a morte. Il Maresciallo Serrano fu ripetutamente informato essere stata offerta una somma ragguardevole a chi l'avrebbe ucciso.

Il Governo quasichè mancasse di gravi difficoltà parve sollecito di crearne. Immaginò di obbligare tutti i dipendenti dei vari Dicasteri a prestar giuramento al nuovo Re. Alcuni ufficiali di rango inferiore ed alcuni Generali assai noti per le loro politiche tendenze si rifiutarono recisamente. Era nel diritto del Governo di cancellarli dai ruoli dell'Esercito, misura sufficiente e che sarebbe sembrata logica e giusta agli occhi di ognuno. Il Governo invece si ostinò ad esigere il giuramento e non potendovi riuscire mandò i ribelli in arresto nella fortezza di Mahon delle Isole Baleari. È la ripetizione dell'errore commesso in altra circostanza e con diverso motivo dal Ministero Gonzales Bravo nel 1868 quando condannava all'arresto nelle Isole Canarie il Maresciallo Serrano e parecchi altri Generali ostili al Governo di allora. La riunione nelle Canarie di quegli uomini influenti e nemici fu l'origine della rivoluzione di Settembre 1868 che produsse la caduta della Dinastia. Tolga il Cielo che i Generali racchiusi in Mahon, a capo dei qÙali trovansi il Duca di Montpensier ed il Conte di Cheste ambedue Capitani generali, riescano a farne altrettanto.

La preoccupazione principale del Governo nello scorso Febbraio fu il lavoro preparatorio per le Elezioni politiche che cominciano precisamente quest'oggi. Sui primi del cessato mese l'esito delle Elezioni pareva dover essere sfavorevole assai. Ma i pronostici si fecero migliori alla fine di Febbraio ed ora il Governo ritiene sicuro il trionfo di una forte maggioranza Dinastica, la quale però non sarebbe tutta Ministeriale.

La coalizione abilmente progettata fra i cinque partiti nemici della situazione trovò sul terreno pratico, come suole accadere sovente, difficoltà ed antipatie insormontabili. Par quindi, lo assicura il Governo, che lo sconcerto vi sia penetrato. Stando alle cifre che il Ministro dell'Interno ha raccolto da' suoi Prefetti si dovrebbe credere che dei 380 Deputati, 280 incirca saranno Dinastici. Un tale risultato eccedendo di gran lunga ogni previsione, ogni speranza, inaugurerebbe lietamente la nuova Era parlamentare, ed offrirebbe mezzo al Governo

di proporre e di attuare molte riforme legislative senza cui si ritiene impos

sibile di governare la Spagna. È permesso dubitare di un così grande trionfo:

in breve sapremo che pensarne.

L'apertura del Parlamento non tarderà molto a recare modificazioni nel seno del Gabinetto. Tutto fa presagire che l'elemento conservativo, ma Dinastico, sarà condotto dalla forza delle cose a prender parte nel Governo dello Stato. Credo che ciò sia necessità inevitabile e devo aggiungere un gran bene per la situazione, giacchè importa assolutamente di calmare la tempesta rivoluzionaria e ricondurre il paese a condizioni normali e tranquille. Ma ciò richiede molto tatto e grande abilità onde non accada che si dia l'allarme ai !partiti avanzati, che si imprima una nuova scossa allo Stato, che si esponga il Paese ad un'altra e più disperata rivoluzione. Nel bisogno di quiete e di ordine, negli interessi materiali di ogni genere da lungo tempo sofferenti od in pericolo troverà appoggio quel Governo che saprà domare la foga Demagogica e ristabilire il violato principio di autorità. Ma tutti abbandoneranno il Governo se apparisce impotente o mal'accorto e se al disopra della voce e della forza Governativa, parla il terrore che ispirano il Socialismo con maschera di Repubblica, e le possibili vendette dei partiti e delle plebi commosse e minacciose. Convien dirlo: il Governo troverà seguito ed obbedienza quando inspirerà fiducia, e potrà ispirar fiducia soltanto allorchè si mostrerà forte e protettore.

Il Re Amedeo consigliato opportunamente prese l'iniziativa di un'opera che può essere feconda di ottimi risultati e ad ogni modo la sola che può assicurare la 'situazione mettendolo ,in grado di controbattere i suoi nemici. L'attuale Ministero, come dissi nel mio precedente rapporto, rappresenta la coalizione dei vari partiti che chiamarono al trono il Duca di Aosta. Il Re dimostrò a' suoi ministri la convenienza e meglio ancora la necessità di fondere in un sol partito dinastico, i vari partiti coalizzati in favor Suo.

L'idea del Re era balenata pur anche al pensiero di qualcuno fra i Ministri e fra gli uomini politici più importanti; e così trovò terreno disposto a riceverla e fecondarla. Il Ministero se ne è seriamente occupato e tre giorni or sono venni assicurato che il progetto avrà esito felice e che la desiderata fusione si compierà nel seno del prossimo Parlamento.

Il Maresciallo Serrano Presidente del Consiglio e Ministro della Guerra, non ha osato, o forse non ha creduto opportuno di toccare l'Esercito, opera più politica che militare del Maresciallo Prim. Ma ne' discorsi ha lasciato intendere come Egli disapprovi molte cose, e sopratutto la presenza di certi individui nelle file dell'Armata e nei comandi superiori. Così parlando Ei perde il frutto della sua prudente longanimità, poichè le creature del Maresciallo Prim quantunque rimangano ancora a posto, ripetono però e commentano le parole di Serrano, temendo di essere destituite da un momento all'altro. E questo vago timore serpeggia fra i corpi dell'Esercito e fra gli uomini del partito Progressista, di cui Prim era Capo, seminando lo scontento e la sfiducia a danno della situazione. La condotta del Maresciallo Serrano è la più incauta che dar si possa, giacchè disgustando molti ufficiali con mal calcolate frasi Egli però li conserva in carica. Meglio valeva toglierli o tacere.

Se contro ogni apparente probabilità il partito Dinastico riuscisse in minoranza o bilanciato dalla opposizione nelle nuove Cortes, converrebbe scioglierle.

Ma tale misura racchiuderebbe gravi pericoli che solo l'Autorità di un nome potrebbe per avventura affrontare vittoriosamente. In così critica circostanza io non vedo che il Maresciallo Espartero capace di scongiurare la tempesta e di ricorrere nuovamente alle Urne Elettorali, mantenendo il Paese in obbedienza ed in una calma relativa. Ma se Espartero grave di anni e di acciacchi venisse a mancare, o se Egli si rifiutasse di assumere il difficile incarico, non conosco per ora altro uomo politico che abbia sufficiente prestigio nell'Esercito e nel Popolo per isciogliere la Cortes e dominare la situazione. Qualcuno pensò a Topete, ma osservandolo da vicino ed analizzando la sua condotta pubblica dal Settembre 1868 in poi, è forza riconoscere ch'Ei manca di vero valore politico, di carattere e sovratutto manca di ingegno. Con ciò non intendo portare a Cielo l'ingegno, il carattere, nè il valore politico di Espartero. Ma il fatto sta ch'Egli conserva ancora immenso prestigio, che i partiti retrogradi lo temono, e gli

avanzati lo rispettano.

La venuta di S. M. la Regina successivamente differita e ritardata ha nociuto molto alla situazione rialzando le speranze dei suoi nemici e dando vita a mille ciarle spiacevolissime. Il Ministero stesso ne fu colpito da principio quando in buona fede poteva incolparne la sola fatalità. Ma oggigiorno il Ministero pretende di sapere che la Regina non fu mai ammalata, e che volendolo davvero, avrebbe potuto giungere a Madrid prima della fine di gennaio. Il Ministero commosso ed allarmato teme di scoprire nel ritardo frapposto all'arrivo della Regina la Sua manifesta avversione a recarsi in !spagna. Va più lunge ancora e ricordando un telegramma del Principe di Carignano che consigliava al Re Amedeo di partire immediatamente per Alassio, arriva sino a supporre che si tenti e si speri di allontanarlo dalla Spagna, che si voglia farlo abdicare.

Non ho bisogno di molte parole per dimostrare la gravità di questo inci

dente. Desidero per la quiete di questo povero Paese, per la consolidazione della

nuova Dinastia, e per la gloria del Re Amedeo e dell'Augusta Casa di Savoia

che tali sospetti siano in breve e formalmente smentiti dall'arrivo e dal contegno

di S. M. la Regina di Spagna.

(l) -Cfr. n. 309. (2) -Cfr. n. 125.
233

L'INCARICATO D'AFFARI A CARACAS, VIVIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 36. Caracas, 8 marzo 1871 (per. il 4 aprile).

Bo l'onore di accludere una Protesta del Governo dell'Equatore contro l'n~>

cupazione di Roma, ed una Circolare da lui diretta ai Governi dell'America

meridionale, per invitarli ad associarvisi, pubblicate, il 2 corrente, da un gior

nale di questa città (Annesso n. l) (1).

Avendo avuto occasione di recarmi, il 4 corrente, da questo signor Ministro

degli affari esteri, egli mi domandò s'io avessi letto i suddetti documenti, e,

dopo avermi spontaneamente dichiarato riprovarne la forma e la sostanza, mi

fece conoscere la risposta negativa data dal Governo della Repubblica il 24 feb

brajo alla Circolare dell'Equatore. Quindi, il signor Ministro mi disse che, a parere suo, l'Italia, con la separazione dei due poteri confusi finora nella persona del Sommo Pontefice, aveva reso al mondo cattolico un grande servigio, e che la protesta dell'Equatore non avrebbe certamente trovato adesioni fra Governi dell'America meridionale

Il generale Quesada, cognato del capo degli insorti di Cuba, passato dagli Stati Uniti al Venezuela, con alcuni compagni ed un piccolo vapore (« Virginius »), è da qualche tempo in questa città. Apertovi un ufficio di arruolamento, egli molto si è affaccendato per muovere la stampa (che qui si riduce a due giornali), il popolo ed il Governo a fare causa comune con lui. La stampa ha corrisposto con articoli furibondi in favore della indipendenza di Cuba, proclamata necessaria all'America meridionale, il popolo con schiamazzi di piazza e pochi arruolamenti, il Governo col riconoscere negli insorti la qualità di belligeranti.

Il generale Quesada si propone di organizzare qui una spedizione per Cuba, non tanto a benefizio del generale Cespedes, quanto a vantaggio proprio, gli insorti di quell'isola già essendo divisi. Questo Governo lo seconda copertamente per togliersi di attorno i capi militari più turbolenti. Inoltre qui, come in tutti gli altri stati dell'America meridionale, il dominio coloniale europeo è considerato come un nemico naturale.

L'affaccendarsi del generale Quesada, senza importanza alcuna in un paese che non è in grado neppure di bastare a se stesso, ha occasionato fra questa Legazione di Spagna ed il Governo uno scambio di note, che furono fatte di pubblica ragione il 28 febbrajo nella Opinion Nacional a domanda della Legazione suddetta. V. E. le troverà nell'annesso n. 2 (1).

Il Presidente della Repubblica, dopo due mesi di assenza passati a Valencia a procurare di riordinare le truppe in campagna contro gli insorgenti ed a mantenerne in fede i capi, si restituiva il 6 corrente a Caracas per riassumervi l'esercizio delle proprie funzioni.

Per quanto il Ministro degli affari esteri abbia già più volte assicurato al Corpo diplomatico che la guerra è prossima al suo fine, e che fra poco la dittatura cederà il luogo ad un Governo regolare, circondato dal potere legislativo, la situazione in sostanza è sempre la stessa, nè si vede quando e come possa migliorare. La guerra civile, benchè ristretta agli stati orientali, continua, e l'esistenza della presente amministrazione che, con le sue violenze, si è alienata molti fra gli stessi suoi partigiani, è tuttora precaria ed incerta.

(l) Non si pubblica.

234

IL CONSOLE GENERALE A NIZZA, GALATERI DI GENOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 115. Nizza, 8 marzo 1871 (per. l' 11).

Un maggiore già garibaldino, ora nella guardia mobile, ha avuto la gentilezza di somministrarmi sul numero degli italiani ancora sotto le armi dei vari Corpi Garibaldini le seguenti cifre, che io mi affretto di comunicare all'E. V.

Cacciatori Alpi Maritcime 580, di stazione a Macon Carabinieri genovesi l• Brigata . 330, di stazione a Macon la Legione garibaldina 3a Brigata 1100, di ,<;tazione a Macon Battaglione già comandato dal sig. Perla 285, di stazione a Belleville Squadrone Guide . 190, di stazione a Langres In diversi altri corpi . 200, di stazione a Langres

Da questa tabella, che dalla persona che me l'ha somministrata credo essere nel vero, risulterebbe, che il numero dei garibaldini calcolato dal R. Ministro Nigra si approssimerebbe assai più alla realtà, che non quella indicata dal Capitano Galiano, di cui nel mio precedente rapporto al n. 114 (1).

(l) Non si pubblica.

235

IL MINISTRO DI TURCHIA A FIRENZE, PHOTIADES, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. 6891. Firenze, 8 marzo 1871.

La Gouvernement Impérial, aussitòt qu'il a eu connaissance de l'existence, jusqu'ici ignorée, d'un acte international conclu entre le Royaume d'Italie et le Pacha de Tunis au mois de décembre 1868, sous le nom de Traité de commerce et de navigation, dans lequel traité la Tunisie est qualHìée de « Royaume » contrairement à la SJituation politique du pays qui n'a jamais cessé d'ètre reconnu comme vassal et faisant partie intégrante des Etats de mon auguste maitre, m'a donné ordre de protester, en son nom, contre une pareille qualification que rien ne saurait autoriser et qui est en contradiction manifeste avec les conditions politiques de la Tunisie vis-à-vis la Cour Suzeraine.

En m'acquittant auprès de V. E. de l'ordre de mon Gouvernement ayant en vue de rétablir dans son vrai jour l'état de choses en Tunisie et de préserver de toute atteinte les droits imprescriptibles de mon Auguste Maitre sur cette contrée, je vous pri,e, M. le Ministre, de vouloir bien prendre acte de la protestation qui fait l'objet de la présente note offi·cielle.

236

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. 201. Firenze, 9 marzo 1871.

Chiamo la particolare attenzione di lei sovra i documenti relativi alla niorma giudiziaria in Egitto. Dalla lettura dei medesimi, le riuscirà agevole lo scorgere in quale fase si trovino i negoziati intavolati dal Kedive coi vari Ga

binetti d'Europa e colla potenza alto-sovrana per condurre a termine la progettata innovazione. Il coz:1tegno assunto dal Governo di S. M. quale risulta dalle ultime comunicazioni scambiate col Governo egiziano, è suggerito dalla considerazione che meritano i vistosi interessi che esso è chiamato a tutelare in questo affare. Desidererei pertanto che V. S. mantenesse col Governo presso il quale è accreditata uno scambio frequente d'idee sui passi da farsi in una trattativa che altamente interessa l'avvenire della numerosa nostra colonia in Egitto. Tutti i Gabinetti europei sono naturalmente chiamati a dare il loro voto in questa quistione; ma noi ci lusinghiamo che quelli fra essi che riconoscono di avere in Egitto interessi minori dei nostri da tutelare, vorranno intendersi coll'Italia prima di prendere definitive risoluzioni che potrebbero pregiudicare l'esito finale delle trattative.

(l) Non si pubblica.

237

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA

(AVV)

L. P. Firenze, 9 marzo 1871.

Do istruzione al corriere che parte per Berlino di recarsi in seguito a Pietroburga perchè tu possa affidargli quelle comunicazioni confidenziali di cui le presenti circostanze possono porgere l'occasione.

Ora che si è dissipato il rumore e il fumo della battaglia, tutti i Governi sono chiamati ad esaminare quali sono le condizioni di questa nuova Europa sorta dalla guerra e qual è la loro reciproca situazione internazionale. Questo esame è dalle circostanze imposto in particolar modo alla politica italiana.

La caduta dell'Impero, i risultati della guerra, la neutralità serbata hanno scosso le antiche e conosciute basi delle nostre alleanze. È legge comune dei neutri ch'essi non riescono ad appagare nè l'uno nè l'altro de' belligeranti. Più, al ritorno della pace, noi ci troviamo impegnati in una grave quistione, nella quistione romana, che tocca a tanti sentimenti, a tanti interessi nell'Europa intera e, sopratutto in Francia, ed è diventata oramai per noi una quistione d'esiJSt·enza nazionale nella quale, a qualunque costo, non ci è possibile indietreggiare.

L'opinione pubblica, in Italia, si preoccupa a ragione di questo stato di cose che è la conseguenza forzata della condotta che un'imperiosa necessità ci imponeva di tenere durante la guerra, vale a dire rimanere neutrali, e occupare Roma. Si può dire che ora comincia per noi una campagna diplomatica e che, ora, si apre dinanzi alla diplomazia italiana una nuova fase di operosità e di previdenza. Spetta ad essa di porre il paese in grado di guardare colla maggiore sicurezza possibile all'avvenire, di scongiurare i pericoli che si ponno intravvedere su un orizzonte ancora nebbioso e di accertare ed assicurare la situazione dell'Italia in Europa. In questa condizione di cose, lo stato delle nostre relazioni colla Russia acquista un interesse anche maggiore che per il passato. Ti prego dunque d'avere col Principe Gortchakoff qualche colloquio nel quale, toccando alla situazione generale dell'Europa, possa avere l'occasione di intrattenerti con

17 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. II

esso anche della situazione generale dell'Italia e di scandagliare i suoi pensieri

e le sue intenzioni.

Questo periodo è stato fausto alla politica russa e si può dire che la Russia

ha ora in Europa una situazione come non l'ebbe più dopo la guerra di Crimea.

La Russia è, ora, dopo la Germania, la più gran potenza militare dell'Europa. Da

un lato dunque la Prussia deve sentire che, sinchè dura la sua alleanza colla

Russia, la preponderanza delle due forze riunite le assicura i frutti della vit

toria e la pace d'Europa; dall'altro lato la Francia sarà condotta a considerare

che se essa vuoi riprendere una situazione in Europa e prepararsi una rivincita,

la ,sola alleanza decisiva per essa è l'alleanza russa. L'influenza della Russia sarà

dunque grande in ogni ipotesi e la Russia se si manterrà amica e benevola

all'Italia, potrà renderei dei grandi servigi.

La pubblicazione dei telegrammi scambiati fra i due Imperatori ha confermato quanto non era un mistero per alcuno dei Gabinetti d'Europa, vale a dire che fra la Germania e la Russia v'erano degli impegni eventuali pel periodo della guerra. Quale sarà l'avvenire di questa alleanza? A Vienna, dove l'irritazione pei telegrammi pubblicati, è molto grande si crede che, al ritorno del Conte di Bismarck a Berlino un'alleanza sarà conchiusa in previsione dell'avvenire. Alcune tue comunicazioni lasciano invece supporre che le simpatie delloImperatore Alessandro si siano raffreddate e sia quindi poco probabile la continuazione di reciproci impegni e di intimi rapporti. Una prima investigazione è dunque per noi opportuna sulle disposizioni attuali e sull'attuale atteggiarsi della politica russa, benchè comprenda ch'essa sia difficile e richieda molta cautela. Se la Russia consentisse a riavvicinarsi alla Francia, ciò non avverrebbe che con una evoluzione abbastanza lenta. Prendiamo dunque ora l'ipotesi la più probabile e vicina, quella che sembra dimostrata la vera dai telegrammi dei due Sovrani, vale a dire la continuazione della alleanza fra la Germania e la Russia. Il servizio che, in tal caso, ci potrebbe rendere il Governo Russo sarebbe quello di mostrarsi amico all'Italia, di consigliare al Governo di Berlino di mostrarsi apertamente ben disposto per l'Italia e di non sollevarci imbarazzi nella Questione Romana.

Mi sembra che, malgrado l'incidente del Mar Nero, i nostri rapporti con la Russia sieno rimasti tali da poter contare sulle sue buone disposizioni.

Nella questione sollevata dalla circolare del Principe Gortchakoff abbiamo sin dal principio dichiarato che l'Italia avrebbe esercitato una azione conciliante. Il Governo Russo, per la bocca dello stesso Imperatore, constatò ,che eravamo rimasti, e non senza successo, fedeli a questo programma. Nella guerra ora chiusa l'attitudine dell'Italia fu quella che la Russia desiderava da noi. Checchè si sia detto sul conto nostro, la condotta di un Governo durante una lunga complicazione si giudica a opera finita e da' suoi risultati. Può dirsi che vi fu un momento, e il più difficile per noi, in cui era in potere dell'Italia il rendere generale il conflitto. E v'è pure una verità incontrastabile, che, di tutti i Paesi d'Europa, l'Italia era quello per cui era difficile il conservare la neutralità come è quello che, per aver mantenuto la neutralità, può essere esposto a maggiori inconvenienti.

L'Italia con la sua condotta, ha mostrato di ,essere una potenza moralmente autonoma e indipendente nel concerto europeo. Ora è d'uopo che le disposizioni dell'Europa verso di essa sieno tali ch'essa ne tragga la forza morale necessaria per persistere in una politica che sarà un pegno non indifferente per la pace futura e per la tranquillità dell'Europa.

Al ritorno della pace l'Italia si trova irrevocabilmente impegnata in una questione che può avere i suoi gravi pericoli. L'Italia desidera la sua sicurezza ed è disposta a cercarla dove la troverà, dove le sarà possibile di costituirsi un sistema di amicizie efficaci.

Finora le comunicazioni che abbiamo avuto col Governo francese sono state da parte del Signor Thiers improntate da un carattere amichevole e rassicurante. Gli allarmi sparsi in Italia a questo riguardo, sono stati esagerati o, per lo meno, assai prematuri. Ma, qualunque sia l'avvenire e qualunque ne sieno le future alleanze della Russia, il vantaggio che noi possiamo cavare dai buoni rapporti colla Russia è che essa sia per noi un utile intermediario co' suoi alleati e colle potenze che avranno bisogno di essa. Suppongo e credo ch'essa oggi ci possa essere utile presso la Germania, presso l'Imperatore Guglielmo e il Conte di Bismarck. Finora le comunicazioni avute col mezzo della Legazione di Berlino erano, per l'ass,enza del Conte di Bismarck assai incomplete. E, durante la guerra, il Governo prussiano, fu, in tutte le questioni assai riservato. Con questo corriere diedi istruzione a De Launay di spiegarsi col Conte di Bismarck sulla questione di Roma.

A Roma le cose procedono abbastanza bene, malgrado le difficoltà inerenti a ogni profondo mutamento di cose, difficoltà implicate dal fatto nuovo della presenza del Principe spodestato. L'ordine è completo e i Principi che si trovano colà, sono contenti della loro situazione. È vero, che in questi ultimi tempi, l'irritazione del Vaticano è andata crescendo. La causa ne è ,chiara. Cessata la guerra, si sono, al Vaticano, ravvivate le speranze di un'azione dell'Europa contro l'Italia, poichè la Curia Romana, non chiede e non vuole altro che la guerra all'Italia per restaurare il potere temporale. Per eccitare questa azione per rendere più viva dovunque l'agitazione cattolica è d'uopo far sì che la situazione appaia più tesa, più violenta che mai. E così durerà, finchè queste illusioni non saranno dissipate al Vaticano.

Il Governo Russo è essenzialmente conservatore. È utile alla causa dei princLpii d'ordine e di conservazione in Europa e in Italia, il •crearci degN imbarazzi e delle difficoltà nella Questione Romana? Questi imbarazzi avranno per conseguenza di imporci una politica estera inquieta e di crearci delle agitazioni nell'interno. Sciogliendo la Questione Romana noi abbiamo all'interno, ridotti all'impotenza i partiti estremi. Delle difficoltà internazionali per gli affari di Roma non gioverebbero al Papato, perchè è impossibile che ci si ·faccia la guerra pel potere temporale, ma gioverebbe assai al partito rivoluzionario che vi troverebbe un'occasione per intorbidare lo spirito pubblico e sollevare delle agitazioni.

Tu hai compreso da questa mia lunga lettera, quale è lo scopo al quale desidero che tu rivolga la tua azione a Pietroburgo. È d'uopo investigare le reali disposizioni della Russia sullo stato attuale dell'Europa, conoscere le opinioni del Principe Gortschakoff, ponendolo anche sulla via dei suggerimenti e dei consigli ch'egli crederebbe di darci per meglio conoscere il suo pensiero. Ti ho anche indicato il genere di servigi che egli ci può rendere, quanto al modo e al linguaggio, adotterai quelli che dal tuo fino tatto e dalla tua cautela ti saranno suggeriti. Non lascerai sfuggire le occasioni per parlare dei sentimenti personali del Re perchè sai ·che S. M. tiene molto ai suoi rapporti amichevoli coll'Imperatore Alessandro.

238

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3558. Tunisi, ..... (per. ore 12,10 del 9 marzo 1871).

Mes humbles compliments pour l'heureuse solution de notre différend. Le Bardo afin de se les rendre favorables, a fini dans l'intervalle les affaires pendantes avec les autres consuls. Il faudrait tenir fort à ce que les nòtres soient auS!Si •11enninées avant la reprise des relations si cela est possi!ble. Nous ne pouvons nous fier aux engagements pris. J'estime aussi convenable qu'il se trouve à la Goletta un navire de guerre pour rehausser la cérémonie du rétablissement du pavillon.

239

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 86. Firenze, 10 marzo 1871.

Coll'ultimo corriere il Generale Heussein ha ricevuto dal suo Governo i

pieni poteri per definire la vertenza esistente fra il Bardo e l'Italia come le

circostanze lo richiederebbero, e nel modo che sembrerebbe più conveniente.

Questi pieni poterd portano, la promessa espressa del Bey di ratificare dò che H

Generale Heussein avrebbe conchiuso col Ministero italiano. Conseguentemente,

dopo aver preso cognizione dell'originale in lingua araba degli anzidetti pieni

poteri ed aver verificato l'esattezza della versione in lingua francese stata

rimessa in mie mani, mi sono munito a mia volta di regolari pieni poteri firmati

da S. M., ed ho proceduto col Generale Heussein alla firma di un atto portante

la data del di 5 corrente, e contenente in due protocolli separati gli artLcoli già

convenuti nelle trattative precedenti, e stati comunicati dal negoziatore tunisino

al suo Governo.

Col corriere d'oggi, Le trasmetto le ratifiche firmate dal Re che debbono

essere scambiate entro 15 giorni dalla data dell'atto. Io mi aspetto dunque che,

col ritorno del corriere, iElla mi potrà spediTe l'atto r:atifi.cato dal Bey. Il Governo

di S. M. non potrebbe ammettere che lo scambio delle ratifiche possa venir

ritardato; e nel caso in cui contro ogni nostra aspettazione il Bey rifiutasse di

ratificare, Ella vorrà avvertirmene per telegrafo.

240

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 87. Firenze, 10 marzo 1871.

Ieri l'altro, il Generale Heussein mi ha presentato un telegramma del Ministro Khereddin, nel quale si leggono le parole seguenti: • Faites savoir si art. 7ème projet Ministériel a été éliminé, car, cela regarde •garant:ie commission; son acceptation serait impossible >.

A questo riguardo ho risposto al Generale Heussein che l'atto stipulato il 5 corrente comprende gli articoli medesimi che già erano noti al Bardo nel momento in cui il Bey dava i suoi pieni poteri per trattare col Governo Italiano, e prometteva di ratificare i patti che sarebbero stati conchiusi.

Il Governo di S. M. non poteva, adunque, ammettere alcuna objezione che ora si volesse sollevare per ritardare o rifiutare la ratifica dello atto regolarmente stipulato. Feci osservare al Generale Heussein che se, a Tunisi, esiste una Commissione internazionale incaricata di amministrare alcuni cespiti di entrata, e, fra questi alcuni diritti doganali sull'esportazione, al Bey, e non alla Commissione spettava di fare i decreti per stabilire l'ammontare dei diritti medesimi. L'articolo del protocollo risguardante la misura dei diritti di esportazione, non escludeva la possibilità d'un aumento eventuale dei diritti stessi; stabiliva soltanto che un simile aumento non si facesse senza un accordo col Governo Italiano. Questi, non crede probabile che la Commissione voglia domandare l'aumento dei diritti di esportazione, ma, ove ciò fosse, il Governo del Re che è rappresentato nella Commissione, non mancherebbe certo di accondiscendere a ciò che nell'interesse di tutti sarebbe proposto. Le obbligazioni che il Bey assume verso l'Italia coi !Protocolli firmati da. Heussein non possono ledere le ragioni dei terzi, e noi saremmo i primi a riconoscerle ed ammetterle, ogni volta che la Commissione intenda di farle valere. Ma, nello stato attuale delle cose, mentre tutto fa supporre che la Commissione non abbia intenzione di elevare i diritti di esportare, noi siamo in diritto di chiedere al Bey un impegno positivo che egli non aumenterà per conto suo i diritti stessi.

Queste cose le espongo, perchè Ella possa far comprendere al Governo Tunisino che per noi non si potrebbe ammettere alcuna modificazione all'atto del quale oggi le spedisco le ratifiche firmate da S. M.

241

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL CONSIGLIERE DI LEGAZIONE A PARIGI, RESSMANN

(Copie Artom)

L. P. Firenze, 10 marzo 1871.

Per te solo.

Non ho potuto rispondere immediatamente alla tua lettera confidenziale perchè non sapevo se dovessi scriverti a Bordeaux od a Parigi. Ora ti dico senza nessuna reticenza il mio pensiero.

Visconti ed io desideriamo assai che Nigra possa rimanere a Parigi. Quantunque alcune parole sfuggite al veglio non audace quando fu qui, lasciassero temere che questi non avesse il desiderio di avere rapporti officiali ed intimi con Nigra noi siamo assai lieti di sapere che il veglio abbia mutato d'avviso, e che prima a Tours poi a Bordeaux abbia avuto occasione di meglio conoscere le impareggiabili doti del nostro comune amico. Ma io non devo tacere a te ed a te solo che il sentimento generale qui è che Nigra non possa e non debba continuare nelle sue funzioni. Visconti ed io lotteremo contro questo che chiamerò pregiudizio, se vuoi, ma di cui ebbi a riconoscere l'esistenza anche presso molti che furono finora amicissimi di Nigra. Ti citerò per esempio Massari, Galeotti, Minghetti, cento altri, i quali credono che la mutazione di cose e di persone fu troppo radicale e violenta perchè non abbia ad avere per conseguenza una mutazione in chi rappresenta l'Italia a Parigi. Si fu sotto l'impressione di questo generale sentimento, non che delle parole del veglio non audace, che Visconti ed io, facemmo due volte offerte d'altri posti a Nigra. Tu non puoi dubitare nè egli dubiterà, spero delle intenzioni interamente amichevoli che ci ispirano queste offerte. In questo momento Vienna è vacante ed è urgente che sia tosto provveduta d'un titolare. Madrid lo è pure, Pietroburgo potrebbe esserlo facilmente ove si desse a Caracciolo il posto di Vienna che ambisce. Era naturale che si lasciasse a NJ.gra la scelta. Io non divido il suo parere di prendere la disponibilità quando egli dovesse lasciare Parigi. Vienna è un posto altrettanto importante per noi, è una città forse più aggradevole ora di Parigi per un italiano. Vorvei •Che Londra foss·e disponibile per potergliela offrire. Ma Cadorna è intimo amico di Lanza. Egli è felicissimo d'essere a Londra, crede d'aver fatto mirabilia nelle Conferenze, e temo che non vi sia mezzo alcuno di trarlo di là. Il pericolo per Nigra rimanendo a Parigi, è che il successore di Visconti lo tolga poi di là barbaramente senza dargli un altro posto, neanche Vienna, che a mio avviso egli rifiuta a torto. Del resto voi siete entrambi i giudici più competenti della situazione in cui Nigra si trova: e Visconti ed io saremmo felicissimi di evitare l'imbarazzo e la responsabilità di trovargli un successore a Parigi. Addio, carissimo. Scrivimi pure ed a lungo se ne hai il tempo sulle questioni che ho toccato appena di volo nell'ultima mia a Nigra. Intanto ringrazio lui e te delle notizie confortanti recateci da Villa giunto or ora a Firenze.

P. S. Vienna è per noi un posto infinitamente più importante di Londra, non solo per la questione d'Oriente, ma anche per la questione romana. L'InteTnational organo di M. a R. aveva stampato che Nigra era in cattivi rapporti cogli attuali uomini di governo francese. Io feci tosto smentire questi rumori due o tre settimane fa e ·senza neanche interpellarvi.

242

IL MINISTRO A BORDEAUX, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3561. Bordeaux, 10 marzo 1871, ore 10,10 (per. ore 13,40).

Les mauvaises dispositions de la France, de l'assemblée, et du Gouvernement, envers l'Italie, ne sont pas douteuses, mais je vous garantis l'impuissance absolue de la France, pour quelque temps; elle est occupée par l'étranger, sans armée, avec une assemblée discréditée, et ayant la révolution campée à Paris. Je pars en ce moment pour Paris, les communications étant rétablies.

243

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RISERVATO 98. Costantinopoli, 10 marzo 1871 (per. il 17 ).

Il Principe Carlo di Rumania mi ha fatto pregare in modo confidenziale

per mezzo del R. Agente Signor Barone Fava d'interpellare Aali Pacha per

sapere se ei potesse contare sull'appoggio sincero della Porta.

La questione è assai più delicata di quel che non appare a prima vista. Nulla infatti parrebbe più facile che indirizzare una simile domanda al Gran Vizir alla quale ei risponderebbe probabilmente protestandosi dispostissimo a favorir le mire del Principe, a condizione però che anch'egli dal canto suo assecondi i giusti desiderii del Governo Ottomano. E qui incomincierebbe a sciorinare tutti i torti della Rumania verso la Porta, tra i quali non mancherebbe di segnalare come uno de' più flagranti quello relativo alla moneta.

Il difficile, a mio avviso, sarebbe di conoscere se e fino a qual punto il Principe Carlo è in grado di soddisfare i richiami della Sublime Porta. In ogni caso la missione .sarebbe ardua e non credo che in fin de' conti approderebbe di molto agli interessi ben intesi di Sua Altezza.

Come V. E. ha fatto ben rilevare nel dispaccio in cifra indirizzato al R. Agente in Buckarest, di cui si compiacque inviarmi copia coll'ossequiato dispaccio di questa Serie n. 813 delli 17 Febbraio u. s. (1), la Porta preferirà sempre e favoreggerà il ripristinamento delle due Caimicamie e di un Ospodorato Rumeno indigeno; e l'attuale Primo Ministro di Rumania, Signor Ghika è già molto innanzi nel favore del Governo Ottomano, da cui spera ottenere a suo pro' la investitura del rinnovato officio. Egli è in ciò assai bene assecondato dall'attuale Agente Rumeno in Costantinopoli, Signor Balatchano, il quale non si perita ne' suoi discorsi di far ricadere tutta la colpa della presente difficoltà sul Capo del Prindpe Carlo, a cui rimprovera sopra tutto di non essersi mai potuto abbastanza spogliare della sua origine estera; mentre dall'altro lato leva a cielo l'abilità, la S31Pienza somma e l'alto patriottismo del suo patrono.

Son quindi di avviso che il Principe Carlo anzichè ricercare l'appoggio problematico e poco valido della Sublime Porta, debba concentrare tutti i suoi sforzi nel migliorare la sua posizione interna; e in quanto all'estero, fondandosi specialmente sull'appoggio morale ma sincero della Francia e dell'Italia, procacciare di guadagnarsi puranco quello dell'Inghilterra.

Io non mancherò infradditanto di adoperarmi per che le relazioni del Principe Carlo col Governo Ottomano procedano nel miglior modo possibile, ma per far ciò che desidererebbe Sua Altezza aspetterò che V. E. si compiaccia farmi conoscere i suoi divisamenti e mi dia le opportune istruzioni.

(l) Non pubblicato.

244

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI

D. 87. Firenze, 11 marzo 1871.

Qui unito Le trasmetto in copia una nota che, in data dell'8 corrente, mi fu indirizzata da Photiades Bey (l) per protestare contro il titolo di Regno (Royaume) che fu attribuito alla Tunisia nel Trattato stipulato fra l'Italia e Tunisi 1'8 settembre 1868. Ella troverà parimenti in questo dispaccio copia della mia risposta all'Inviato Ottomano {2).

A questo proposito il R. Governo desidera che V. S. si astenga dal tenere parola di questo affare coi Ministri Ottomani, se questi dal canto loro non giudicano necessario di intrattenerla sovra un tale argomento. Ma nel caso opposto, in quello cioè in cui a Lei venissero fatte delle osservazioni intorno al titolo attribuito dall'Italia alla Tunisia, il Governo di S. M. troverà opportuno che Ella conformi il suo linguaggio ai principii tradizionali della politica italiana rispetto alla Tunisia. Gioverà a questo riguardo che V. S. abbia presente l'atteggiamento assunto dal Governo italiano nel 1864. In quell'anno gli affari di Tunisi aveano sollevato delle gravi difficoltà. Le flotte di Francia, d'Inghilterra e d'Italia furono mandate dai rispettivi Governi nelle acque della Tunisia e la comparsa d'una squadra ottomana poco mancò che conducesse, nelle circostanze d'allora, ad un gravisimo conflitto. Il Generale Khereddine avea ricevuto una missione del Bey presso il Sultano ed avea portato a Costantinopoli un progetto di regolamento relativo all'alta sovranità della Sublime Porta sulla Reggenza, e la Porta dal canto suo avea spedito a Tunisi, colla sua squadra un Commissario speciale nella persona di Hiiidar Effendi. V. S. non ignora certamente quale sia stata la condotta della Francia in quelle circostanze. Le dichiarazioni dell'Ambasciatore Francese presso la Por:ta ed il 'Contegno risoluto delle forze marittime presenti nelle acque della Goletta ottennero questi effetti: il richiamo di Hiiidar Effendi e la partenza della squadra turca, le dichiarazioni le più formali per parte del Bey di non aver egli mai avuto l'intenzione di modificare le condizioni politiche della Reggenza. Alla missione del Generale Khereddine si diede l'aspetto di una missione di pura cortesia, e la Porta stessa poco dopo inviava al Bey una lettera viziriale colla quale riconosceva nel modo il più esplicito lo stato di cose esistente da oltre un secolo e mezzo a Tunisi. In questa lettera, di cui il R. Ministero non possiede il testo Fuad Pacha, allora Gran Vizir, avrebbe riconosciuto in favore della Tunisia il diritto assoluto di fare le leggi, quello di stipulare Trattati con le Potenze estere, ed infine l'eredità nella famiglia del Bey e tutto ciò che caratterizza l'indipendenza di uno Stato. Le relazioni di dipendenza del Bey verso il Sultano avrebbero conservato solamente il carattere di una supremazia religiosa.

Quale sia stato il contegno dell'Italia nel 1864 V. S. potrà agevolmente rilevare dalle corrispondenze esistenti negli archivi di codesta Legazione. Ba

sterà a me di rammentare il dispaccio del 30 Dicembre di quell'anno col quale

S. E. il Generale Lamarmora dopo avere esposto come Francia ed Inghilterra convenissero nel mantenimento della statu quo dei rapporti fra la Porta e la Reggenza, diceva che il Governo del Re per parte sua non aveva alcuna ragione di scostarsi dalla linea di condotta seguita sino a quel momento, la quale mirava appunto a conservare quali erano e sono attualmente i rapporti del Bey col Sultano. Il Signor Conte Greppi che reggeva allora codesta Legazione ebbe facoltà di rinnovare alla Porta delle dichiarazioni nel senso sovra indicato. Non risulta a questo Ministero che dal 1864 in poi la Sublime Porta abbia

fatto alcun tentativo per far risorgere la quistione che in quell'anno era stata

composta nel modo dianzi indicato.

Quando nel maggio 1868 la Francia voleva imporre al Bey la formazione di una commissione finanziaria unicamente composta di Francesi e con poteri estesissimi sull'amministrazione della Reggenza, sebbene l'Agente di Francia rompesse le relazioni e minacciasse il Bardo di ricorrere a mezzi coattivi, non risulta che la Turchia rivendicasse a sè la trattativa dell'affare che avea prodotto una tanto grave e pericolosa complicazione. Al Cavaliere Bertinatti, che ne parlò con S. A. Aalì Pacha, questi si astenne dall'indicare di prendere un interesse diretto nella vertenza. V. S. ne avrà una prova leggendo il rapporto del 10 maggio 1868 di quell'Onorevole suo predecessore.

Io non mi scostai dunque dai principii tradizionali della politica, non solo dell'Italia, ma anche della Francia e dell'Inghilterra, declinando di ammettere l'intervenzione del Ministro di Turchia nei recenti negoziati con il Generale Heussein. Non credo che l'Italia avrebbe potuto, dopo l'impegno morale risultante dall'azione collettiva esercitata nel 1864, assumere in quest'occasione un contegno diverso, pregiudicando, col fatto suo, una quistione di principio sostenuta pochi anni addietro d'accordo con le due potenze che come lei hanno vistosi interessi a Tunisi.

(l) -Cfr. n. 235. (2) -Non pubblicata.
245

L'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A MADRID, CIALDINI, A VITTORIO EMANUELE II

T. Madrid, 12 marzo 1871.

Sire. Malgré autorisation V. M. 28 février (l) de quitter Madrid j'y suis encore attendant arrivée Reine d'Espagne, ayant compris que V. M. désirait cela. Je crois de mon devoir exposer à V. M. funeste impression retard successif arrivée Reine. Si S. M. voulait conspirer contre Roi Amédée Elle ne saurait mieux faire. On suppose ici que Reine d'Espagne n'a pas été malade et l'an interprète ce qui s'est passé comme répugnance de S. M. venir Espagne. Fameuse dépeche télégraphique Prince Carignan appelant Roi Amédée près de la Reine donne pré

texte à ces suppositions. V. M. comprendra gravité situation que Reine d'Espagne vient augmenter au moment meme des élections générales.

En attendant sentiment défiance gagne tout le monde et remplace première disposition favorable à la Reine d'Espagne. Désolé de ce qui S(! passe j'attendrai encore quelques jours arrivée Reine. Mais je partirai si S. M. n'arrive pas.

(l) Cfr. n. 211.

246

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3563. Parigi, 12 marzo 1871, ore 18,30 (per. ore 11 del 13).

J'ai eu une longue conversation avec M. Favre. Je l'ai trouvé dans des dispositions très amicales pour l'Italie, et aussi contraire au pouvoir temporel qu'il l'a jamais été. Il m'a dit que M. de Bismarck ne lui a pas dit un mot de la question romaine.

247

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1435. Parigi, 12 marzo 1871 (per. il 16).

Le condizioni nelle quali dopo un'assenza di sei mesi (l) ritrovo la città di Parigi non sono in verità allarmanti quanto le si dipingevano in questi ultimi giorni in Provincia. L'aspetto materiale della città è tuttora squallido, quando lo si voglia comparare all'animazione ed alle brillanti apparenze dei tempi normali e queste probabilmente non si ristabiliranno che con qualche lentezza, gli elementi che costituivano qui la ricchezza ed il lusso essendo in parte gravemente danneggiati, in parte tenuti lontani dalle apprensioni cagionate dallo stato sanitario o dalla previsione di torbidi interni. Ma finora quell'infima popolazione che può con facilità in momenti di crisi e di fame trascinarsi ad eccessi insurrezionali non ha un aspetto tanto minaccioso quanto lo si 1potrebbe presumere da relazioni che fanno il giro di giornali esteri. È vero che un numero considerevole di cannoni e di mitragliatori rimasero nelle mani di alcuni battaglioni della Guardia nazionale appartenenti ai peggiori quartieri di Parigi, nè finora il Governo credette di dover usare intimazioni perentorie od una azione violenta per disarmare quei battaglioni. Esso spera tuttavia che questo necessario disarmo potrà effettuarsi senza impiegare la forza, poco a poco, per ispontanea condiscendenza. Finchè i prussiani continuano a occupare i porti della riva destra della Senna ed una buona parte di questo dipartimento, è chiaro che anche le condizioni del Governo verso la popolazione parigina sono eccezionali e non ammettono tutte le procedure

ordinarie intese a mantenere l'ordine e ad assicurare la tranquillità pubblica. Ma è già un buon indizio che l'Autorità non indietreggi dinanzi a quelle prime

misure di rigore che gli eccessi d'una stampa infame rendono inevitabili. Accludo qui, come semplice modello del genere, non scelto, ma preso a caso, un numero del gioma,Ie Le Père DucMne che formava fino a ieri, ·con molti altri periodici d'indole consimile, le delizie della popolazione d'alcuni sobborghi.

Un decreto firmato dal Comandante dell'Armata di Parigi, Generale Vinoy, in data di ieri, sopprime finalmente e questo inqualificabile giornale da trivio, ed altri cinque congeneri (le Vengeur, le Cri du Peuple, le Mot d'ordre, la Caricature, la Douche de fer) interdicendo ad un tempo la pubblicazione di nuovi giornali politici fino alla cessazione dello stato d'assedio. Il Cri du Peuple era una specie di giornale ufficiale della Guardia nazionale, messasi in aperta opposizione col Governo.

(l) C. Nigra rientrò a Parigi col personale della Legazione 1'11 marzo 1871.

248

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

T. 1610. Firenze, 13 marzo 1871, ore 2,55.

Je regrette beaucoup que vous avez accepté une rédaction contre la quelle je vous avais mis en garde par mon télégramme du 14 février (1).

Je suis cependant loin de vous désavouer si dans la conférence d'aujourd'hui vous vous étes borné à accepter avec vos collègues une formule proposée par Mussurus. Mais je ne puis pas admettre que dans le protocole officiel le Gouvernement italien prenne l'initiative d'une ,formule qui répond aux intéréts de 'la Turquie beaucoup plus qu'à ceux de l'Europe. Je vous prie donc de veiller à ce que dans le protocole officiel on fasse constater que c'est Mussurus qui a pris l'initiative de la formule pour les détroits. Cela vous sera d'autant plus facile qu'il avait déjà été question de laisser à la Turquie cette initiative. Vous pouvez accepter les deux articles indiqués dans votre télégramme du six mars (2).

249

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 264. Bucarest, 13 marzo 1871 (per. il 19).

Fregandomi di farli pervenire al Presidente del Senato del Regno ed al Presidente della Camera dei Deputati, il Ministro degli Affari Esteri di Rumania mi trasmette con la nota di cui unisco copia due esemplari accompagnati dalla traduzione italiana dell'Jndirizzo votato dalla Camera rumena (3) per felicitare il Parlamento italiano del trasferimento della Capitale a Roma.

Giusta l'autorizzazione che V. E. mi ha dato col telegramma del 2 volgente Marzo ( 4), aderisco col presente alle brame del Signor Callimaki Catargi.

(l) -Cfr. n. 163. (2) -Cfr. n. 226. (3) -Gli esemplari vennero inviati alla Camera ed al Senato in data 2 aprile 1871. come da annotazione marginale del documento. (4) -Non pubblicato.
250

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

T. 1611. Firenze, 14 marzo 1871, ore 14.

Un batiment de guerre partira aujourd'hui ou demain de Gaete pour la Goletta où il arrivera vendredi. Le commandant a l'ordre de se tenir à votre disposition. Si l'échange des ratifications a lieu, la présence de ce bàtiment servira, comme vous l'avez suggéré, à donner plus de solennité à la reprise des négociations. Si le Bey refuse de ratifier, vous pourrez vous rendre immédiatement à bord du batiment. Des bruits inquiétants sont répandus ici sur les mauvati,ses dispositions du Keredin: on continue à se plaindre d'icnva·sions dans la Gedeida. Je vous prie de m'informer immédiatement pour que le Gouvernement puisse prendre au besoin les dispositions nécessaires. Gardez le secret le plus absolu sur l'envoi du bàtiment à la Goletta.

251

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

(AVV)

L. P. Firenze, 14 marzo 1871.

Vi ringrazio per la vostra importante lettera da Bordeaux (1). Non ho oggi che il tempo di scrivervi qualche riga per dirvi che l'ho ricevuta, che l'ho mostrata al Re e ad alcuno dei miei colleghi. Il giudizio che voi fate della situazione ci parve rassicurante, almeno per quanto poteva ragionevolmente sperarsi e per quanto può essere rassicurante il giudizio d'una situazione che è ancora precaria, che è ancora al primo stadio del suo sviluppo, e nella quale la forza insita delle cose può superare le disposizioni e la volontà degli uomini. Vi ringrazio del linguaggio che avete tenuto al Signor Thiers e sono poi particolarmente lieto che abbiate insistito !presso di lui per la quistione della nomina dei rappresentanti di Francia presso il Papa e presso noi. Divido completamente il v.ostro avviso sulla influenza che queste scelte eserciteranno sulle future relazioni dei due paesi. Di questi futuri rapporti, come vi dissi, l'opinione in Italia si preoccupa con una certa ansietà. E per questo appunto si preoccupa della nomina del nuovo inviato francese a Firenze, e si esagera la portata del non avere il Signor Thiers accreditato ufficialmente un Ministro presso il Governo Italiano. I giornali portano le nomine a Londra, a Pietroburgo, a Costantinopoli, a Vienna, e posso dire che ogni giorno alla Camera devo rispondere a una mezza dozzina

di deputati che mi chieggono se in questo fatto c'è qualche sintomo allarmante. M'affretto a dirvi che non divido, per conto del Governo, queste che sono le

solite impazienze dell'opinione pubblica, la quale esagera sempre e precorre sempre sul tempo che è talvolta richiesto da alcune difficoltà materiali e da alcuna considerazione accessoria. Ve ne parlo sopratutto per dirvi che avete fatto assai bene a ritornare su questo argomento presso il Signor Thiers con una particolare insistenza e con qualche vivacità nel vostro primo colloquio, e per pregarvi a seguire questo affare con tutta quella attenzione che merita.

Allo stato attuale delle cose, fu assai opportuno, da parte vostra, il notare il vantaggio reciproco che vi sarebbe a mandare in Italia un personaggio d'autorità e di influenza, come pure a non fare per Roma una nomina che avesse un significato ostile per noi e tale da eccitare al Vaticano speranze che si tradurrebbero in un raddoppiamento di violenze e quindi di difficoltà.

Comprendo l'imbarazzo della scelta.

Il Signor Thiers fece sinora le sue nomine diplomatiche nell'antico Stato Maggiore orleanista. Ora, in questo campo gli amici e anche solo i non nemici dell'Italia sono rari. Ma non sarà impossibile trovare o fra gli orleanisti o fra i repubblicani moderati o nella diplomazia qualche persona nota e abbastanza simpatica all'Italia. Sarà questo il primo atto del nuovo Governo francese che possa indicare le sue disposizioni ed è su questi primi sintomi che si foggeranno, e in modo assai spiccato, le disposizioni dello spirito pubblico in Italia. Comprendo io pure la difficoltà di trovare un personaggio d'autorità che consenta a trovarsi nella qualità d'inviato in presenza d'un suo collega Ambasciatore. Il miglior rimedio a ciò sarebbe che si lasciasse, almeno per ora, presso il Papa un incaricato d'affari. Ma intendo pure che se questo farebbe il nostro conto, sarebbe soverchio il domandarlo al Governo francese che ha da tener conto di molte vivissime suscettibilità, quantunque certo quest'atto produrrebbe qui la più rassicurante impressione. Ad ogni modo, col vostro tatto e colla vostm pratica voi potvete concorrere pevchè si ottenga il miglior risultato possibile e spero, dopo il vostro ultimo telegramma (1), che le disposizioni personali del Signor Giulio Favre vi coadiuvino a tale scopo.

P. S. Ricordatemi a Vimercati se è a Parigi.

(l) Cfr. n. 228.

252

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3570. Londra, 14 marzo 1871, ore 23,34 (per. ore 12,15 del15).

Je n'avais pa·s au nécessaire de dire dans mon long télégramme d'avant hier (2), qu'acceptant trois des amendements de Mussurus, après l'acceptation de tous les autres plénipotentiaires, cela ne voulait pas dire que je les aurais proposé moi-meme dans la conférence. Après votre télégramme d'hier (3) que je reçois maintenant, je dois vous dire qu'hier à la réunion de la conférence j'ai fait votre proposition textuellement comme vous l'avez approuvée; que,

d'après une entente préalable avec tous mes collègues, excepté Mussurus, ils ont tous déclaré etre autorisés à accepter notre formule telle quelle je l'ai Iue;

que ce n'est qu'après cela qu'ils ont accepté les trois amendements de Mussurus meme en ce qu'ils ne les croyaient pas importants, et que ce n'est qu'après tout cela que j'ai aussi accepté les trois amendements déclarant que la conférence dans tout son cours avait donné des preuves de déférence à la Turquie qui était plus particulièrement et directement intéressée; que l'Italie y était aussi concourue pour sa part; que puisque les amendements proposés par Mussurus étaient acceptée par tous les autres plénipotentiaires, et quoique je n'eusse point des instructions spéciales, m'autorisant à les accepter, je me croyais suffisamment autorisé à me réunir en cela aux autres quatre. Après cela Mussurus a remercié le Gouvernement d'Italie et son plénirpotentiaire pour l'action conciliante exercée dans la conférence. Tous les autres plénipotentiaires m'ont remercié à part de ne pas avoir retardé la déliberation finale. Par ce système, maintenu à mon Gouve.rnement l'honneur de l'initiative de sa proposition textuelle, j'ai obtenu la constatation de l'acceptation de son texte par les puissances; j'ai constaté que les amendements venaient de la Turquie; je n'ai accepté ces amendements que pour ne pas rester seui, ce que mon Gouvernement aurait certainement fait et dù faire; après j'ai fait remonter toute la responsabilité de cela sur les autres et principalement sur la Turquie, et rfaisant cela avec engagement de ma responsabilité, j'ai évité à mon Gouvernement les plaintes qu'une nouvelle dilation de la conférence lui attirait de tous les Gouvernements et qui avaient déjà été exprimées à moi par tous les plénipotentiaires. Ce n'est donc qu'avec un vif regret que la première manifestation que mon Gouvernement me fait à l'égard de mes services après dix mois d'un travail long, lourd, cordial, qui n'a jamais eu d'échec et par lequel j'ai la conscience d'avoir contribué à faire à l'Italie une belle position ici et à la conférence et que ce premier mot que je reçois soit ce qu'il résulte de votre télégramme d'hier. Quant à votre approbation des deux articles, que j'ai transmis par mon télégtlimme du 6 (1), laquelle je reçois à présent, elle servira à couvrir ma responsabilité, puisque, comme je vous l'avais télégraphié, je les ai aussi accepté à mon risque. Hier n'ayant pas proposé mais seulement accepté d'après tous les autres les amendements Mussurus, il me parait qu'il n'y aurait plus de ra,ison pour faire paraitre Mussurus comme proposant tout l'artide; d'ailleurs le protocole est déjà fait, et je n'aurais pas obtenu d'y faire paraitre un fait contraire au fait qui s'est pa,ssé. Le courrier part ce soir avec le traité (2) et dépeches et caisses pour Bruxelles et Munich.

(l) -Cfr. n. 246. (2) -Non pubblicato. (3) -Cfr. n. 248.
253

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 211. Tunisi, 14 marzo 1871.

Segno ricevuta dei pregiati dispacci di questa serie ai N.ri 86, 87 e 88 (3) in data delli 10 andante, come pure delle ratifiche per parte del Re dei noti Pro

tocolli, e festeggiandosi oggi in Consolato il natalizio di S. M. e dell'Augusto Suo Figlio, il Principe Umberto, per mancanza di tempo deggio in risposta riferirmi al dispaccio telegrafico che ho diretto oggi stesso a V. E. per mezzo del Prefetto di CagLiari (1). Aggiungerò solo brevemente ,che nelLa conversazione avuta stamane col ~primo Ministro mi sono servito per ridurre al loro .giusto valore gli appunti espressi nel Memorandum dei Consoli di Francia e d'Inghilterra, quì annesso, delle osservazioni fattemi col N.0 87 dei suddetti dispacci, concludendo per altro che ora non sarebbe stato più il caso di discutere sù d'un diritto qualunque, ma bensì di vendicare uno sfregio. Onde poi dare maggior peso alle mie parole soggiunsi che ove dentro il termine prefisso non avesse avuto luogo lo scambio delle ratifiche, avrei lasciato immediatamente Tunisi col personale del Consolato. Ed è il meno che si possa fare dopo l'atto sleale ed indegno commesso dal Bey col dare e comunicare ai Consoli di Francia e d'Inghilterra copia dei 3 Articoli segreti del nostro trattato. A tanto giunge la fede punica, e tale si è la gente colla quale si ha qui da combattere!

P. S. -Osserverò a V. E. che nel Memorandum dei citati Consoli si parla della Commissione, mentre questa non diede segno di vita -almeno non fu consultato il Controllo, il quale, se sono bene informato, non sarebbe contrario alle nostre stipulazioni.

ALLEGATO l.

BOTMILIAU A PINNA

Tunis, le 13 mars 1871.

Le Gouvernement de Son Altesse m'a fait donner communication de deux protocoles signés à Florence entre S. E. M. le Ministre des Affaires Etrangères du Roi e M. le Général Heussein. Quelques unes des clauses insérées aux susdits protocoles, celle notamment par laquelle Son A:ltesse s'oblige à ne pas élever les droits d'exportation actuellement établis sur les produits de la Régence, sans s'en etre, au préalable, entendu avec le Gouvernement Italien, et celle qui concerne l'exportation des tabacs, dont la Commission financière pense que le commerce lui appartient exclusivement, tant pour l'exportation que pour la vente a l'intérieur, me paraissant porter une atteinte directe aux droits et privilèges précédemment accordés à la dite commission financière, il a été de mon devoir de prier Son Altesse de surseoir à la ratification de ces protocoles jusqu'à ce que j'aie pu en référer à mon Gouvernement et recevoir ses instructions. J'ai l'honneur de vous adresser ci joint copie de la note que j'ai remise à cet effet à Son Altesse, ainsi que du memorandum qui l'accompagnait.

ALLEGATO Il.

BOTMILIAU A SID MOHAMED ESSADOK

Tunis, le 13 mars 1871.

Vous avez bien voulu me faire donner communication de deux protocoles signés à Florence, le 5 de ce mois, par M. le Général Heussein, lesquels, pour les causes que j'ai exposées dans les entretiens que j'ai eu l'honneur d'avoir tant

avec Votre Altesse Elle-meme qu'avec S. E. M. le Premier Ministre et qu'Elle trouvera résumées dans le memorandum ci-joint, me parait porter atteinte directe aux droits antérieurement accordés à la Commission financière. Il est de mon devoir d'appeler de nouveau l'attention de Votre Altesse sur les conséquences que pourrait entrainer la mise à exécution des clauses insérées aux susdits protocoles et de La prier, vu l'importance des intérets Français engagés, de vouloir bien en suspendre la ratification jusqu'à ce que j'aie pu en référer à mon Gouvernement d recevoir ses instructions.

ALLEGATO III.

MEMORANDUM

Lorsque la commì.ssion financière instituée par le décret du 5 Juillet 1869, s'est réunie à Tunis, il lui a été accordé certains droits, et privilèges expressément stipulés à l'acte du 23 Mars de l'année suivante, acte qui a été placé sous la sauve-. garde des trois Gouvernements d'Angleterre, de France et d'Italie. C'est en raison et par suite de la concession de ces droits et privilèges que l'unification de la dette de la Régence est devenue possible, que les créanciers de l'Etat ont renoncé aux titres antérieurs qu'ils possédaient, pour les échanger, meme aux prix de réductions considérables, contre des titres nouveaux. Si un seui des revenus dont la perception a été donnée à la commission, si une seule des garanties qui leur ont été offertes à eux memes avaient pu leur etre retirés, ils se seraient sans doute refusés à tout arrangement. Au nombre de ces garanties se trouve pour la commission le droit de proposer au Bey toutes modifications qu'elle croira utile d'apporter au tarif de douanes. Restreindre d'une manière quelconque les droits du Bey en matière de douane, c'est donc porter atteinte à ceux de la commission; c'est là cependant ce que l'Italie veut imposer à Son Altesse.

L'Italie demande encore que • la fixation du droit d'exportation sur les tabacs de toutes qualités produits en Tunisie soit proportionnelle aux droits actuellement établis sur l es autres produits du sol Tunisien destinés à I'exportation •.

Le tabac est un monopole du Gouvernement Tunisien; il a été concédé à la commission financière dont il forme un des principaux revenus. Tous les bénéfices que l'exploitation de ce monopole peut donner, non seulement par la vente des tabacs à l'intérieur de la Régence, mais encore par l'exportation de ce produit, sont la propriété exclusive de la commission. L'Italie n'a donc aucun titre pour intervenir dans la fixation des droits qui peuvent le grever à la sortie. Si elle cherche à le faire, c'est que certaines concessions, certaines facilités pour la culture du tabac, sous la surveillance d'agents envoyés par son Gouvernement et pour son propre compte qui, bien imprudemment peut-etre, lui ont été promises, lui ont donné l'espoir de pouvoir sur ce point encore, restreindre à son bénéfice les droits de la commission les dommages qui en résulteraient pour ses nationaux créanciers du Bey, lui paraissant sans doute largement compensés par ceux qu'elle en retirerait

par ailleurs.

Il est inutile d'ajouter cependant que si sur un enchir quel qu'il soit, le droit

de libre culture et d'exportation du tabac est accordé, ce meme droit sera rédamé

par tous les étrangers. Chaque propriété leur appartenant pourra dévenir ainsi

un dépòt de tabac qui sera déclaré y avoir été produit et etre destiné à l'exporta

tion; la contrebande reprendra sur la plus large échelle et il sera impossible de

la réprimer.

C'est surtout au point de vue des engagements pris par le Gouvernement de

Son Altesse avec la commission financière, qu'il a paru utile d'appeler l'attention

du Bey sur les conséquences qu'entrainerait l'acceptation par lui des protocoles

signés à Florence. Ces conséquences sont telles que la commission pourrait etre

à peu près considérée comme dissoute; les revenus déjà à peine suffisants pour

faire face aux obligations, ne permettraient bientòt plus de payer les coupons, le àésordre se remettrait dans les finances du pays, tout le fruit d'un long et difficile travail de réorganisation serait perdu. Il est toutefois d'autres considérations encore qui peuvent etre soumises au Gouvernement Tunisien. Le Bey aura notamment à voir si dans sa teneur actuelle, l'artide ler du premier protocole sauvegarde suffisamment ses droits de souverain et si l'on ne pourrait pas en induire un jour que la communication à faire aux agens consulaires italiens, quand il y aura lieu d'agir juridiquement contre un agriculteur arabe employé sur une propriété italienne, devra etre faite dans la forme vrescrite à l'article 15 du traité de 1868 pour pénétrer dans une fabrique ou une usine. Cette forme entrainerait nécessairement des délais qui entreveraient l'action de la justice et qui pourraient occasionner de la part des représentants des autres Puissances à Tunis des réclamations fondées, lorsque, par suite de ces délais, les intérets de leurs nationaux se trouveraient compromis.

(l) -Cfr. n. 226. (2) -Il testo del trattato di Londra del 12 marzo 1871 e dei protocolli delle conferenze è edito in Libro Verde 18 (documenti presentati dal ministro degli affari esteri Visconti Venosta alla Camera dei Deputati nella tornata del 23 maggio 1871). (3) -I dispacci 86 e 87 sono editi ai nn. 239 e 240, 1'88 non è pubblicato.

(l) Si tratta del documento n. 258, che porta la data del 16 marzo, giorno in cui fu ritrasmesso da Cagliari.

254

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. Londra, 14 marzo 1871 (per. il 18).

Mi pregio di mandarle qui unito il Trattato originale (l) sottoscritto nella seduta finale di ieri della Conferenza, facendole però notare che sebbene uno degli esemplari sia stato sottoscritto ieri, e tutti e sette gli originali portino "lerciò la data di ieri, quello però che le mando fu realmente firmato solo oggi.

Unisco anche una copia a stampa dello stesso trattato eseguita dall'originale ·he rimane al Governo inglese. Unisco del pari un esemplare del protocollo definitivo, firmato da tutti i plenipotenziari, relativo alla quarta riunione (l).

255

IL CONSOLE GENERALE AD ALGERI, VICARI DI SANT'AGABIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 39. Algeri, 15 marzo 1871 (per. il 24).

Il Riverito suo foglio del due marzo corrente, serie politica, senza numero (1), mi è giunto a tempo debito, coll'annessovi documento.

Sarà mia cura uniformarmi alle istruzioni del R. ministro dell'Interno sorvegliando le mene del nostro partito d'azione, il quale però, come ebbi l'onore di dirle altre volte, si compone solo di tre o quattro individui, che non sono pericolosi chè pel timore che inspirano a tutta la Colonia italiana, a cui fanno sempre credere essere imminente una rivoluzione repubblicana in Italia, ed esser costà possentissimi.

18 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. II

S'immagini l'E. V., che il loro ardire fu spinto a tal segno, che appena si seppe la rivoluzione accaduta in Francia il 4 settembre, disposero dei posti di console e viceconsoli della repubblica italiana nell'Algeria, e di altri impieghi in Italia.

Ora, dopo gli ultimi casi di Francia, le passioni si sono qui acquietate e non v'è più molto da temere, sebbene il noto signor Crispo, capo del Comitato Garibaldino, sia sempre l'anima del Maire del Comune rivoluzionario, il quale ha tuttora potere ed influenza.

Ieri l'altro però, arrivarono qui, di ritorno dal campo francese, circa ottocento garibaldini, quasi tutti francesi ed i nostri mestatori pensarono un momento a spingerli verso l'Italia, onde tentarvi un colpo di mano e proclamarvi la repubblica; ma non si potè dar seguito al più che pazzo progetto. A questo scopo, si convocò bensì un'assemblea, ma i concorrenti non furono numerosi, e si contentarono di gridare evviva alla repubblica universale, morte ai re, e di promettere di tenersi pronti alla prima chiamata.

Dopo di ciò i militi garibaldini si disciolsero, ed ognuno ritornò alla sua residenza.

(l) Non pubblicato.

256

L'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A MADRID, CIALDINI, A VITTORIO EMANUELE II

T. Madrid, 16 marzo 1871.

Sire. Courage personnel Roi Amédée méprisant crainte ministère a été couronné immense succés. Roi accueilli avec enthousiasme Alicante S. M. vient de faire ce matin excursion de 40 kilomètres dans la campagne partout fèté d'une manière frénétique. Reine attendue demain vers midi. Si Elle arrive réellement on ira samedi coucher Aranjuez et l'on fera dimanche à 2 heures entrée solemnelle dans la capitale.

257

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI MINISTRI A LONDRA, CADORNA, E A PARIGI, NIGRA

T. 1613. Firenze, 16 marzo 1871, ore 15,45.

D'après des information& que je reçois de Tunis (l) les consuls de France et d'Angleterre paraissent mettre des entraves à ce que le Bey ratifie le pro

tocole signé à Florence pour terminer le différent survenu entre le Bey et nous. Je vous prie d'expliquer au Gouvernement anglais (français) que nous n'entendons nullement diminuer l'action et le prestige de la commission internationale qui administre les revenus de la douane de Tunis. Le Gouvernement du Roi étant lui-meme partie de la commission t1iendra compte des intérets communs et, s'il est nécessaire s'empressera de se mettre d'accord avec la France et l'Angleterre à ce sujet. Mais en attendant il est urgent que le protocole soit ratifié immédiatement pour prévenir une aggravation des difficultés existantes. Il va sans dire que le protocole signé entre le Bey et nous ne peut changer ni détériorer les droits acquis des français et des anglais.

(l) Cfr. n. 258.

258

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3572. Tunisi, 16 marzo (l) 1871, ore 9 (per. ore 12,15).

Premier ministre que j'ai été voir ce matin pour nous entendre sur échange ratification protocole, m'a dit que les consuls de France et d'Angleterre avaient demandé au Bey de sursoir à cet acte, jusqu'à ce qu'ils aient une réponse de leur Gouvernement. J'ai répondu que cela ne me regardait pas: que le Bey avait pris des engagements avec nous, et qu'il devait les maintenir. Je crois que le Bey donnera sa ratification, mais il attendra au dernier moment; en attendant, j'ai déclaré à S. E. que dans le cas de refus je me trouverais dans la nécessité de partir. Les consuls susdits m'ont fait parvenir ce matin copie de la note et du mémoire qu'ils ont adressés au Bey, pour ce qui regarde droits de sortie et tabac. Je dois aussi vous informer que Bardo a perfidement dévoilé art. II de votre traité. Consul de France est furieux surtout pour la peche corail.

259

IL CONSOLE GENERALE A BEIRUT, MACCIO', AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 120. Beirut, 16 marzo 1871 (per. l' l aprile).

Contemporaneamente al riverito Dispaccio dell'E. V. del 16 febbrajo ultimo

n. 26 (2) mi pervenne il Libro Verde. La ringrazio distintamente di avermelo spedito, perchè mi servirà ad attingervi importanti ragguagli quando fosse il caso di rettificare errori divulgati dal clero estero a studio di nuocere alla riputazione ed alla influenza del Governo del Re.

Io pongo ogni cura nel sorvegliare la condotta dei Gesuiti francesi, i quali sono i più ostili all'Italia e sopratutto faccio diligente esame delle periodiche loro pubblicazioni in Arabo. Gli ordini che col Corriere di oggi dovettero pervenire al Valy di Siria in seguito agli ufficj fatti a Costantinopoli dalla R. Legazione porranno, almeno lo spero, un argine alle intemperanze del giornale gesuitico il Bescir. Senza la protezione ad esso accordata dal Consolato di Francia, il Valy lo avrebbe di già soppresso perchè pubblicato in contravvenzione alla Legge. Il Governatore Generale troverà ora nelle istruzioni della Sublime Porta, un argomento a meglio sostenere il proprio diritto, e quanto a me nient'altro cercando se non che venga mantenuto il rispetto dovuto al Governo di S. M. ed alla Nazione, non resterò dall'agire presso Rascid Pascià fino a quando il Giornale stesso non assuma un contegno sopportabile.

Io le feci di già conoscere signor ministro (Rapporto n. 117) (l) in qual modo mi sembrò opportuno di illuminare il pubblico di Siria intorno alla attitudine dei gabinetti nella questione di Roma. Adesso il sullodato Dispaccio dell'E. V. mi forni ottimi argomenti per prevenire ogni falso giudizio relativamente alla situazione economica fatta al Pontefice, ed alle sue conseguenze rispetto alle Chiese di Oriente. Me ne prevalsi quindi per far pubblicare nel Giornale Arabo francese della Siria e del Libano, un articolo che riassume quegli importanti ragguagli sotto forma di una corrispondenza che l'E. V. potrà leggere nel n. del 9 Marzo che ho l'onore di trasmetterle qui unito.

Per rendersi adeguato conto degl'intendimenti dei partiti religiosi in queste contrade, ove da qualche tempo la Stampa periodica ha preso per loro opera un notevole sviluppo, ben sarebbe di possedere almeno tre dei più diffusi giornali in Arabo, quali sono il Bescir, il Negidh, ed il Génne (il Missionario, il Progresso, e il Giardino). Se l'E. V. vuole accordarmene la facoltà io prenderò per un anno un abbuonamento a ciascuno di essi colla spesa complessiva di franchi 60 (2). Lo scopo che si tratta di raggiungere, mi fa sperare che l'E. V. non dissentirà dal fare assumere dal R. Ministero un aggravio relativamente si tenue.

(l) -Sic, ma il documento fu spedito da Tunisi il 14 marzo e trasmesso telegraficamenteda Cagliari il 16 (cfr. nota a p. 271). (2) -Non pubblicato.
260

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

T. 1614. Firenze, 17 marzo 1871, ore 15,45.

Vous pouvez assurer consuls d'Angleterre et de France que par le protocole dont les ratifications doivent s'échanger demain le Gouvernement du roi n'entend nullement porter préjudice aux droits de l'Angleterre et de la France, ni entraver l'action de la commission internationale dont nous faisons nous memes partie, et qu'il est pret à prendre avec Gouvernement anglais et français des arrangements directs à cet effet. J'éspère que cette déclaration suffise pour faire cesser toute difficulté relative à ce protocole.

(l) -Non pubblicato. (2) -Annotazione marginale di pugno di Artom: c Si accorda l'autorizzazione A •.
261

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 92. Firenze, 17 marzo 1871.

Col telegramma del 16 corrente (l) V. S. mi ha riferito che i Consoli di Francia e d'Inghilterra hanno richiesto il Bey di non procedere alla ratifica dei protocolli del 5 di questo mese finchè non sia giunta ad essi la risposta dei loro Governi, avendo essi stimato di provocarne il giudizio sulle stipulazioni ~ntervenute tra l'Italia e la Reggenza. Ella mi soggiungeva che al Ministro tunisino, il quale Le aveva dato notizia della cosa, Ella aveva risposto che ciò non riguardava il Governo italiano, e che il Bey avendo contratto verso di noi impegni positivi, deve necessariamente mantenerli.

Approvo il linguaggio che V. S. Ill.ma ha tenuto in tale circostanza. Se infatti si può ammettere, in astratto, che un Sovrano possa ricusare la propria ratifica a stipulazioni che sieno state firmate in virtù di istruzioni generiche, riesce invece impossibile concepire che la ratifica sia negata allorquando, siccome è avvenuto nel caso presente, il negoziatore sollecita ed ottiene i suoi pienipoteri dopo avere anticipatamente sottoposto al giudizio del proprio sovrano le clausole precise da firmarsi.

Intanto però, siccome, nel fatto, il contegno assunto dai Consoli di Francia e d'Inghilterra è cagione di spiacevole ritardo nelle risoluzioni del Bey, ho creduto conveniente di scrivere in proposito ai RR. Ministri a Parigi ed a Londra (2). Le considerazioni che questi due rappreserrtanti di S. M. hanno incarico di esporre ai rispettivi Governi presso i quali sono accreditati, sono analoghe a quelle che già ebbi a svolgere nel dispaccio direttole il 10 corrente (N. 87) (3). Ed invero l'intromissione dei Consoli di Francia e d'Inghilterra si riferisce esclusivamente (nè poteva essere altrimenti) alle stipulazioni concernenti i diritti di esportazione, alle quali già alludeva il telegramma comunicatomi fino dal1'8 Marzo dal Generale Hussein, ed intorno alle quali già intrattenni V. S. nel precitato dispaccio.

I R. Ministri a Parigi ed a Londra spiegheranno in sostanza a quei Ministri degli Affari Esteri come non sia punto intendimento nostro di nuocere all'azione od al prestigio della Commissione internazionale, la quale funziona così vantaggiosamente a Tunisi, ed ha nelle sue mani la gestione di parecchi cespiti d'entrata.. Che anzi, il Governo del Re essendo egli stesso rimpetto alla Commissione in condizioni analoghe a quelle dei Governi di Francia e d'Inghilterra, si studia e si studierà costantemente di promuovere gli interessi comuni, e non esiterà mai, quando fosse necessario, a concertarsi per un'azione concorde. Intanto però, egli è di somma urgenza che il protocollo sia immediatamente ratificato; ogni indugio ulteriore aggraverebbe le difficoltà esistenti. Nè è d'uopo, per altra parte, di dichiarare come dall'atto intervenuto tra l'Italia e la Reggenza non sarebbero

in alcun modo alterati o deteriorati i diritti acquisiti di sudditi francesi ed inglesi.

Qualora Le accadesse ài doversi intrattenere di questo argomento coi di Lei colleghi di Francia e d'Inghilterra, Ella potrà esprimersi nel senso del presente dispaccio.

(l) -Cfr. n. 258. (2) -Cfr. n. 257. (3) -Cfr. n. 240.
262

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3575. Pietroburgo, 17 marzo 1871, ore 5,20 (per. ore 21,25).

Gortchakoff vient de me dire que la Russie malgré son absence d'intérét direct dans le question romaine <:onnait impossibilité traiter ... (l) cour de Rome, et il regrette le non possumus du Pape; qu'il ne pense pas que Bismarck prendra fait et cause pour le pouvoir temporel malgré les clameurs des catholiques allemands, et sans en avoir eonnaissance officielle il croit pourtant savoir que le Gouvernement prussien n'adhèrera pas au transfert du siège pontificai en Allemagne.

263

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3576. Parigi, 17 marzo 1871, ore 15 (per. ore 23).

Jules Favre est venu me faire part de l'intention du Gouvernement français d'envoyer un ambassadeur auprès du pape. Il m'a dit que le choix n'est pas encore fait, mais que on choisira une personne qui n'ait pas signÌification hostile à l'Italie et que les instructions de l'ambassadeur seront de faire possible pour empécher le pape de quitter Rome, en faisant bien comprendre que la France n'est pas disposée à faire la guerre à l'Italie pour le pouvoir temporel et à tenter une troisième expédition. J'ai dit à Jules Favre que le meilleur moyen de retenir le pape à Rome était en effet de lui òter cette illusion. J. Favre m'a confìrmé que le sentiment de Thiers et méme de l'assemblée était qu'il ne fallait pas revenir sur les faits accomplis mais il m'a prié instamment de appeler votre

attention sur les désordres qui ont eu lieu à Rome dans l'église des Jésuites

où, d'apl'ès ce qu'on lui écrit, un pretre aurait été arrété à l'autel, et sur néces

sité d'user les plus grands ménagements envers le pa.pe.

(l) Gruppo indecifrato.

264

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3577. Parigi, 17 marzo 1871, ore 14,03 (per. ore 10,30 del 18).

J'ai reçu seulement aujourd'hui votre télégramme sur les affaires de Tuni:s (1). J'en ai exposé et commenté la teneur à Jules FaVTe. L.e ministre m'a dit qu'il considérait comme grave la clause du protocole concernant les droits d'emportation, mais qu'il n'avait donné au consul de France aucune instruction d'entraver les ratifications, et qu'il ignorait que les consu1s de France et Angleterre aient mis des entraves à cette ratification. Il a ajouté qu'il allait télégraphier à Londres pour avoir avis de Granville, mais, en attendant, il m'a prié de nous engager à suspendre départ de la flotte et celui de M. Pinna. Il m'a dit aussi qu'en cas de complication, le Gouvernement de France enverrait probablement des bàtiments de guerre à Tunis, non pas dans un but de hostilité à l'Italie, mais pour protéger les intérets français. Veuillez me dire si notre flotte est déjà partie et ce que l'Angleterre vous a répondu.

265

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 53. Vienna, 17 marzo 1871 (per. il 21).

Depuis mon rapport du 2 Mars N. 50 (2), dans plusieurs conversations que j'ai eu avec le Chancelier de l'Empire et autres personnages de tous les partis, j'ai pu me convaincre que les cercles cléricaux tout en se servant des épithètes les plus injurieux à l'égard du Gouvernement italien pour ce qui regarde son administration à Rome, et en faisant des vceux pour notre prochain anéantissement, se remuent plus que jamais par des souscriptions en faveur du Pape, des réunions très fréquentes et des adresses au Souverain dans le but d'intervenir énergiquement auprès du Cabinet de Florence. Ils n'ignorent pas que le Gouvernement Austro-Hongrois n'est pas disposé à entreprendre tout seui, quoique ce soit, contre l'Italie, dans une question à la solution de la quelle s'il n'a pas donné dès le commencement un consentement explicite il n'a pas opposé d'objections sérieuses, mais ils espèrent en poussant la France à une action énergique, l'Autriche et les autres puissances catholiques marcheront à sa remorque. Ils comptent aussi beaucoup sur l'appui de l'Allemagne, qui semble vouloir prendre fait et cause pour ses populations catholiques; et ils se rejouissent, en attendant, du résultat des élections au Reichstag dans les provinces Rhénanes. Le Chancelier, qui, malgré les pressions de la Cour et des ultramontains, ne cesse de me donner les assurances les plus amicales sur l'attitude du Gouvernement autrichien dans la question romaine, m'a ajouté, très confidentiellement, qu'il

nous faut prendre bien garde aux menées du Comte de Bismarck dont les efforts seront continuellement tournés à créer des diversions à la France. La question romaine, maintenant que le danger qui menaçait l'orient est écarté, lui en fournirait une excellente, sans compter que moyennant des caresses prodiguées aux nombreux sujets catholiques de l'Empire il aplanirait beaucoup de difficultés à l'interieur, et gagnerait plus de popularité. Le Baron de Beust sait positivement que le Chancelier de l'Empire d'Allemagne s'est à plusieurs reprises entretenu avec M. Thiers des choses de Rome et dans un sens bien peu favorable à l'Italie. Le langage de M. de Schweinitz, qui jouit de la confiance du

Comte de Bismarck, ne fait que confirmer ses renseignements et je suis à mesure de assurer V. E. que le représentant de l'Empereur Guillaume ne ménage aucune expression pour flétrir la conduite du Gouvernement du Roi depuis l'occupation de Rome. Il est convaincu qu'on agira à Paris ainsi qu'à Berl.in et alors Messieurs les italiens, a-t-il dit à quelqu'un rendront gorge et verront si l'on peu se moquer impunément de l'Europe. Le Comte de Beust m'a déclaré en toute franchise que c'est dans l'intéret de l'Italie, et pour conjurer l'ouragan qui semble nous menacer plus que pour satisfaire aux aspirations du parti clérical... qu'il a écrit au Baron de Kubeck sur 1es affaires de Rome où il désirerait voir l'autorité plus disposée à se faire respecter. Quant à .la stricte exécutJion des ades votés par le Parlement ou d'initiative ministérielle il est d'avis qu'il n'est pas toujours profitable de se retrancher derrière la loi, d'autant plus que le mode de solution employé par nous dans la question romaine ne pourrait pas etre cité comme un modèle de Iégalité.

Je crois que le Chancelier de l'Empire s'est exprimé dans ce sens dans ses depeches au Baron de Kubeck, mais j'ai voulu aussi de mon còté résumer la teneur des entretiens que j'ai eu ces jours derniers avec S. E. qui espère que l'accueil que V. E. fera à ses observations amicals lui fournira l'occas-ione de faire entendre en France un langage de modération à notre égard (1).

(l) -Cfr. n. 257 (2) -Cfr. n. 218.
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IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 221. Pietroburgo, 17 marzo 1871 (per. il 29).

La grande preoccupazione politica nei circoli di Pietroburgo è tuttora quella della significazione e dell'importanza che voglionsi attribuire allo scambio dei telegrammi fra l'Imperatore Guglielmo, e il suo Imperia! Nepote di Russia. Per fermo il telegramma dello Czar avea tali espressioni da dimostrare vieppiù quello che già per molti segni era chiaro, cioè l'affetto che la Corte di Russia ha vivissimo per quella di Berldno, e l'interesse preso da quella al buon successo delle armi tedesche. Pur nondimeno io porto opinione, per quanto mi risulta dalle più autorevoli informazioni, che trattato definitivo e stipulazione propriamente detta non ci abbia finora tra le due Corti. Vero è che i sentimenti personali del

l'Imperatore Alessandro son così risoluti nell'intendimento sovraindicato da lasciare poco dubbio sull'indirizzo della Politica Russa in un prossimo avvenire, quando iJ>Ure la nuova Alemagna non mostri di volere in un modo manifesto ed esposto recare offesa ai diritti e agli interessi più vital,i della Russia.

Ma se certo è che tali sono le inclinazioni politiche del Sovrano, e degli uomini che lo circondano, e che vogliono essere in grazia di Lui, non è men certo d'altra parte che tali non furono le inclinazioni dimostrate dalla pubblica opinione in questo Paese mentre durò il conflitto; perciocchè le preferenze del Russo in generale in prò della Francia si manifestarono in molte occasioni in guisa da non potersi recare in dubbio : cioè con la stampa, con gli indirizzi alla Legazione e al Consolato Francese, con larghe partecipazioni, segnatamente nella classe dei commercianti, alle pubbliche incette di denaro fatte in prò dei prigionieri e dei feriti di Francia, e financo nelle opinioni espresse in conversazioni familiari dalla parte più nobile e più cospicua di questa cittadinanza, e da akun>i fra i membri stessi della Imperiale Famiglia.

Anzi l'enunciato di tali sentimenti si mostrò così animoso e franco, da recar meraviglia, ove si consideri quali siano gli ordini interni, ed i costumi sociali dell'Impero, ed in qual contradizione tali sentimenti si trovino per notizia di tutti con quelli professati dal Capo assoluto dello stato; e non sarebbe fuor di tutta ragione il credere che l'antagonismo da me segnalato avrebbe forse potuto ingenerare una non lieve perturbazione nelle interne condizioni della Russia, quando l'intervenimento d'altre Potenze alla Guerra, circoscritta tra Francia e Germania, avesse tratto di forza il Gabinetto di Pietroburgo a chiarire i suoi intendimenti e i suoi atti nel cospetto degli eventi Europei. Tale condizione di cose non credo sia stata assai nota agli Stati neutrali, attesa la lontananza di questo Paese e la poca pubblicità nel mondo internazionale di quanto vi si opera e vi si scrive... Pure codesto andamento dell'opinione nazionale in Russia non recherà meraviglia, chi abbia... pure una lieve cognizione della sua storia, e ricordi che da Pietro il Grande fino ai dì nostri essa fu sempre governata specialmente dai Tedeschi, che tennero in grandissima parte i più alti uffici ed occuparono il Governo in tutti i gradi della burocrazia, qui più che altrove soverchiatrice e potente; onde il vero Moscovita è tratto per naturale gelosia a risguardare ogni incremento di autorità e di gloria della razza Alemanna, come minaccioso ed umiliante al paragone per la sua propria nazionalità. Ed attendasi che cosiffatto sentimento divenne più pervicace e più serio per effetto dei progressi incontrastabili che da molti anni in qua la civiltà Russa venne operando, ed è oggi avvalorato dal linguaggio e dalla dottrina di un partito che si venne formando, di cui antesignana è la Gazzetta di Mosca, partito il quale si atteggia francamente, rispetto alla Politica Estera, come avverso alle influenze Germaniche, e, che più è, rispetto all'interno ordinamento, come promotore di moderate riforme, ma pur riforme essenziali nel Governo Autocratico dello Stato.

Una delle cause che tennero così lungamente in seggio il Principe Gortchakow, qual Cancelliere dell'Impero, si fu un certo valore dialettico di vero uomo di Stato che in Lui si vuoi riconoscere, per cui pur serbandosi fedele ed ossequente a tutte le prerogative del suo Augusto Sovrano, seppe trovar modo pur nondimeno di non romper mai con quel partito nazionale che sopra è detto, anzi seppe giovarsene, qualora le sue pretese si accordarono con l'Autorità e con il prestigio della Corona; onde si ebbe egli personalmente simpatia ed ajuto in più di una occorrenza. Il Principe Gortchakow fu interrogato sulla convenienza di pubblicare i telegrammi, e diede il suo assenso, a quella pubblicazione, se nonchè, gli uomini il cui linguaggio s'informa dai suoi dettami ebbero ad interpretarlo (in quel modo ·Che io già indicai nell'ultimo mio rapporto) piuttosto come un mezzo di tenere a freno la Politica del Conte di Bismarck, in cui l'Imperatore Alessandro non si affida, e di divulgare all'Europa gli obblighi di riconoscenza che ha verso questo Governo, la Corte di Berlino per sua propria confessione. Da tutto ciò conseguita che la soluzione di questo come d'ogni altro più grave problema della Pol.itica •Europea sta tutta nell'indirizzo che ·sarà per prendere la Grande Alemagna, e in quel sistema d'alleanza che risulterà dai suoi futuri disegni.

(l) Annotazione marginale: < Conclusione. Andiamo a Rema il più presto possibile •.

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IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 223. Pietroburgo, 17 marzo 1871 (per. il 29).

Feci parola al Principe Cancelliere di quanto l'E. V. volle parteciparmi rispetto alle istruzioni date dal Governo del Re al R. Ministro in Costantinopoli, per ottenere, se è possibile, un ordinamento più soddisfacente e più completo delle leggi risguardanti nell'Impero Ottomano, il possesso degli immobili conceduto ai Cristiani. Notai che tali istruzioni doveansi considerare come un avviamento all'accettazione eventuale per parte dell'Italia del Protocollo aperto a tutte le Potenze, sollecite di assicurare ai loro sudditi il godimento di cosiffatto possesso; di cui finora solamente la Russia e l'Italia non furono partecipi, come quelle i cui Rappresentanti non aveano proceduto alla firma del Protocollo, attesa l'insufficienza delle leggi sulla materia, a cui i loro rispettivi sudditi sarebbero stati sottoposti.

Dimandai al Principe se il Governo dell'Imperatore sarebbe stato disposto ad operare nel medesimo senso a Costantinopoli, e se in tal caso avrebbe gradito di ricevere comunicazione delle richieste da noi formulate in proposito alla Sublime Porta. Il Cancelliere mi rispose che egli non credeva, l'accettazione del diritto comune stabilito dal Governo Ottomano, che l'Inghilterra, e dietro il suo esempio altre Potenze s'erano affrettate ad accogliere, fosse atta a soddisfare gli interessi delle Colonie Europee in Levante, ed avendogli io soggiunto che appunto dietro petizioni e reclami delle Colonie Italiane, l'E. V. era venuta nella deliberazione d'investigare il modo più pratico e più pronto di risolvere tal vertenza, egli mi replicò che questa semplice indicazione non gli pareva bastevole a provocare una sua opinione definitiva sovra un suggetto così grave, il quale si complica e si conserta con la controversia, più ardua ancora, sulle capitolazioni, la cui soluzione si rischierebbe di compromettere, con un'accettazione affrettata e prematura del Protocollo: quanto poi alla comunicazione che il Governo del Re era inchinevole a fargli delle sue proposte al Divano egli senza dubbio la gradirebbe, al qual'uopo gli pareva desiderabile che il nostro Rappresentante a Costantinopoli s'intendesse con l'Ambasciatore di Russia in quella Sede, il che non avrebbe impedito peraltro, di far conoscere a lui direttamente con qualche precisione i termini e il processo del negoziato.

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IL DIRETTORE GENERALE DEL PERSONALE DEL MINISTERO DELLA MARINA, DEL SANTO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. RISERVATA 1144. Firenze, 17 marzo 1871 (per. il 18).

In seguito agli accordi verbali presi con cotesto Ministero, si è subito emanato l'ordine al Comandante in Capo della Squadra di spedire a Tunisi la piro corazzata «Castelfidardo», comandata dal Capitano di Vascello Commendatore Cacace, per mettersi a disposizione di quel R. Console Generale.

Il «Castelfidardo » partì infatti da Gaeta, ma non potè proseguire il suo viaggio atteso il cattivo tempo, e dovette poggiare a Baia, come risulta da un telegramma pervenuto questa mane.

Intanto per non ritardare di troppo l'arrivo di una R. nave nelle acque di Tunisi, questo Ministero ha subito telegrafato al R. Avviso «Authion », comandato dal Luogotenente di Vascello Cavaliere Denti, di partire a quella volta. Si ritiene che il medesimo possa muovere oggl stesso, malgrado lo ,stato del tempo, non essendo nave corazzata, ,e trovandosi esso a Cagliari, punto assai più favorevole rispetto ai venti che dominano per intraprendere quella traversata. J,l Comandante dell'« Authion » ebbe l'ordine far ritorno a Cagliari appena il «Castelfidardo » sia giunto a Tunisi; S'i desidererebbe però conoscere se nel caso quest'ultima R. nave giungesse colà e che il Console Generale ne fosse già partito, debba essa rimanerv,i per la protezione dei RR. sudditi, oppure far ritorno a Gaeta.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 1616. Firenze, 18 marzo 1871, ore 14.

Nous n'avons pas envoyé la flotte à Tunis: nous nous sommes bornés à envoyer un bàtiment pour donner plus de solennité à la reprise des relations, si elle a lieu, ou pour que le consul puisse se retirer, au cas contraire. Du reste, aucune des dispositions du protocole ne peut porter de préjudice aux français ni aux anglais, et nous sommes loin de vouloir restreindre les attributions de la commission internationale dont nous faisons partie nous mémes. Nous sommes préts à rassurer de toutes manières la France, et l'Angleterre, pour ce qui les regarde: mais il est urgent que nos rapports avec Tunis soient repris d'une manière régulière si on veut éviter des complications plus graves. Le protocole ne contient dans sa partie commerciale rien de plus que ce que contenait le traité signé et publié il y a deux ans.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 1618. Firenze, 18 marzo 1871, ore 15,15.

Veuillez remercier M. Favre des dispositions amicales qu'il vous a témoignées et des instructions libérales que le Gouvernement fraùçais donnera à son ambassadeur à Rome. Il serait à désirer que le Gouvernement français nomme en mème temps un représentarit à Florence. L'opinion publique ici se préoccupe beaucoup de ce choix. Je m'occupe de rédiger une circulaire sur les derniers désordres qui sont arrivés à Rome. Nous ne cesserons d'avoir les plus grands égards pour le S. Père, mais il faut tenir compte de la difficulté de la situation, et ne pas faire retomber sur nous la responsabilité des imprudences individuelles qui doivent ètre attribuées aux exaltés des deux partis hostiles existants à Rome.

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IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 543/200. Londra, 18 marzo 1871 (per. il 24).

Mi pervenne ieri il di Lei telegramma del precedente giorno 16 (l) a riguardo della vertenza col Bey di Tunisi col quale Ella mi significò che, in seguito alle informazioni che Ella riceveva da Tunisi, pareva che i Consoli di Francia e d'Inghilterra mettessero degli impedimenti a che il Bey ratificasse il protocollo segnato a Firenze fra il Bey stesso ed il Governo Italiano. Ella mi incaricava di spiegare al Governo Inglese che noi non intendiamo punto di diminuire l'azione nè il prestigio della Commissione internazionale che amministra le rendite della Dogana di Tunisi. Il Governo del Re, essendo egli medesimo parte di quella Commissione, terrà conto degli interessi comuni ed, ove sia necessario, si affretterà a mettersi d'accordo colla Francia e coll'Inghilterra intorno a questo soggetto, ma era intanto urgente che il protocollo fosse ratificato immediatamente onde prevenire una aggravazione delle difficoltà esistenti. Era poi superfluo il dire che il Protocollo segnato fra il Bey e noi non poteva cambiare nè modificare i diritti dei Francesi e degli Inglesi.

Ieri mi recai tosto presso Lord Granville ma i lavori parlamentari ed un Consiglio di Gabinetto mi impedirono di poterlo vedere. Avendo oggi potuto abboccarmi con S. S. ho spedito or ora a V. E. col telegrafo (2) il ragguaglio succinto della conversazione avuta.

A conferma pertanto di questo mio telegramma, mi pregio di significarle che ho dato conoscenza al Signor Conte del contenuto nel predetto telegramma pregandolo di volermi abilitare a darle una sollecita risposta.

Il Signor Conte mi disse che ignorava tuttora quale fosse lo stato delle cose, ed in ispecie in che consistesse il convegno contenuto nel detto protocollo. Egli mi manifestò una impressione penosa di che, per cosa che poteva avere una

relazione od una influenza sopra interessi di altre Potenze, noi avessimo proceduto con fretta e senza nessun concerto alla stipulazione del Protocollo ed ora poi, con altrettanta fretta ne sollecitassimo la ratifica del Bey, fissando assai brevi termini, e non lasciando il tempo necessario agli altri Governi per conoscere lo stato delle cose dal punto di vista dei loro interessi. Non debbo celare a V. E. che S. S. mi disse parergli che questo modo non fosse molto amichevole. Egli finì col dirmi che sperava che l'Italia avrebbe lasciato il tempo necessario per conoscere lo stato delle cose.

Feci presente al Signor Conte che io aveva avuto l'onore di comunicargli il di Lei dispaccio del 22 febbraio p. p. (l); che in esso si conteneva una specrificata indicazione dei motivi di giusta lagnanza che ci aveva dato il Bey di Tunisi, e delle domande che noi gli facevamo come condizione del ristabilimento delle nostre relazioni che erano state interrotte.

Soggiunsi non conoscere io specialmente ìl Protocollo predetto ma che non poteva dubitare che esso era in rapporto ed in corrispondenza colle cose e colle domande contenute nel predetto di Lei dispaccio.

Gli feci inoltre notare che noi avevamo in quel Paese dei gravi interessi che da lungo tempo erano in grande sofferenza, e che eravamo in obbligo di tutelare, e che il telegramma che io gli aveva allora comunicato nel mentre allontanava ogni idea che il mio Governo intendesse di nuocere agli interessi francesi od inglesi, constatava pure espressamente la sua disposizione di prendere, occorrendo, con questi due Governi tutti gli accordi che potessero credersi opportuni intorno al soggetto in questione.

Il Signor Conte Granville mi disse che aveva ricevuto allora appunto un telegramma da Firenze che gli esprimeva cose analoghe al telegramma di cui gli aveva comunicato il contenuto a che aspettava il Duca di Broglie che si recava presso di lui appunto per parlargli di quest'affare, e soggiunse ove egli gli avesse dette le stesse cose che S. S. aveva dette a me non avrebbe invero saputo quale risposta .gli avrebbe potuto dare.

Avendo io insistito nelle considerazioni che gli aveva presentate, il Signor Conte mi ha fatte alcune dimande intorno alle particolarità del nostro Trattato col Bey di Tunisi del 30 dicembre 1868. Io mi tenni sulle generali, poichè, come le significai col mio Rapporto del 2 Marzo corrente (2), questo Trattato non esiste nella Legazione, epperciò appunto io La pregava nel Rapporto medesimo di volermene tosto spedire un esemplare. Dissi al Signor Conte che i nostri interessi in quella Colonia essendo specialmente agricoli esso conteneva delle clausole particolarmente dirette alla tutela di questi interessi e ad impedire che ostacoli fossero creati alla estrazione da quello Stato dei prodotti dipendenti dall'industria dei nostri nazionali. Soggiunsi che in sostanza anche l'attuale convegno non aveva altro scopo e, come risultava dal di Lei dispaccio predetto, doveva essere basato sullo istesso principio ed essere diretto ad assicurarne la

sincera e giusta applicazione contro le difficoltà ch'erano insorte per la non leale applicazione del Trattato per parte del Bey. Il Signor Conte dicendosi non informato dello stato delle cose e della natura dei nostri nuovi accordi, non potei ottenere dal medesimo altre dichiarazioni.

(l) -Cfr. n. 257. (2) -Cfr. n. 278. (l) -Cfr. n. 199. (2) -Cfr. n. 219.
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IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1442. Parigi, 18 marzo 1871 (per. il 24).

Ebbi ieri una lunga conversazione col signor Giulio Favre intorno agli affari di Tunisi.

Io aveva appunto ricevuto il telegramma che l'E. V. mi fece l'onore di dirigermi la sera del 16 corrente (1), ma che non mi pervenne che nel mattino seguente. Munito di questo telegramma e del dispaccio di Serie politica n. 298 che il Ministero mi aveva diretto il 22 febbraio (2), ho potuto informare del corso della nostra vertenza con Tunisi il signor Favre il quale, nell'assenza del Conte di Claudordy, non aveva su di essa che notizie incomplete. Dopo avere esposto al signor Favre l'origine ed il processo di questa vertenza, chiamai la di lui attenzione sul protocollo firmato a Firenze dal Plenipotenziario del Bey di Tunisi, sul rifiuto del Bey di ratificare il protocollo stess~, e sugli incagli che pareva fossero messi a questa ratifica dai Consoli di Francia e d'Inghilterra a Tunisi. Domandai quindi al Ministro francese degli affari esteri l'invio al Console di Francia a Tunisi di istruzioni che impegnassero quest'ultimo a non incagliare, anzi a facilitare la ratifica del Bey. Io non aveva la copia del protocollo firmato a Firenze; ma nel citato dispaccio del 22 febbraio vi è la copia del progetto di protocollo proposto dal Governo del Re, progetto che credo o conforme,

o poco disforme dal testo firmato.

Il Signor Giulio Favre, riservandosi d'informarsi più minutamente quando avesse tra le mani la corrispondenza del Console generale di Francia a Tunisi che non è per anco giunta a Parigi, fece tuttavia l'osservazione che le clausole del protocollo relative ai diritti di esportazione toccavano direttamente una materia la quale sembrava di più speciale competenza della Commissione internazionale e potrebbero in certi casi nuocere al compito affidato alla Commissione stessa. Io mi studiai di combattere queste osservazioni dichiarando che col protocollo il Governo del Re non intendeva per nulla diminuire nè l'azione, nè l'autorità della Commissione internazionale che amministra i redditi della dogana tunisina; che il protocollo stesso non può aver effetto di mutare o deteriorare i diritti acquisiti dei francesi e degli inglesi; e che il R. Governo facendo esso stesso parte della Commissione terrà conto degli interessi comuni, ed anzi si farà premura, all'uopo, di mettersi d'accordo coi Governi di Francia e d'lnghil

terra. Ma intanto, soggiunsi, è necessario, è urgente che il Bey ratifichi il protocollo al fine di evitare l'aggravazione delle difficoltà esistenti e complicazioni maggiori.

Il signor Giulio Favre, dopo avermi attentamente ascoltato, mi disse che prima di spedire istruzioni a Tunisi avrebbe scritto per telegrafo a Londra per sapere l'opinione di Lord Granville intorno alla questione, essendo suo desiderio di procedere in ciò possibilmente d'accordo col Governo britannico. Esso mi pregò d'impegnare l'E. V. a sospendere per intanto l'invio della flotta a Tunisi e la partenza del R. Console da Tunisi. Aggiunse poi che in caso di complicazioni più gravi il Governo francese invierebbe probabilmente anch'esso legni da guerra a Tunisi, non in uno scopo contrario ed ostile all'Italia, ma per tutela delle proprietà e delle persone dei francesi stabiliti nella Reggenza.

Promisi al signor Giulio Favre di far conoscere all'E. V. per telegrafo quanto egli mi aveva detto; ma osservai ancora che il miglior modo di evitare complicazioni era di consigliare al Bey di ratificare il protocollo.

Avendomi il ministro francese domandato se la flotta italiana era già partita alla volta di Tunisi e se era vero che il signor Pinna, in caso di rifiuto della ratifica, dovesse partire da Tunisi oggi 18 corrente, risposi che non avevo nessuna informazione precisa intorno a queste due eventualità.

Il signor Giulio Favre mi ripetè espressamente che non aveva impartito al Console di Francia a Tunisi nes·suna istru~ione tendente ad incagliare la ratifica del Bey, e che non era a sua notizia che i consoli di Francia e d'Inghilterra avessero recato impedimento a questa .ratifica.

(l) -Cfr. n. 257. (2) -Cfr. n. 199.
273

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

T. 1619. Firenze, 19 marzo 1871, ore 14,15.

Je regrette que lord Granville voit un procédé peu amicai, dans une réponse qui m'a été dictée par la nécessité des choses. Veuillez faire savoir que, par le protocole, il s'agit, avant tout de faire cesser une interruption de rapports officiels entre le bey et nous, qui dure depuis plus de deux mois; que le bey n'a pas demandé un délais dans l'échange des notifications, et qu'il n'y a personne à Florence, avec qui on puisse échanger une déclaration fixant un autre terme. Il nous avait donc fallu attendre indéfiniment, car, dans les circonstances actuelles une entente entre les intéressés, sur le fonds mème de la question, ne peut pas ètre immédiate. Par nos déclarations formelles nous avons complètement désintéressées l'Angleterre et la France. Il n'y a pas eu de surprise d'ailleurs, car, ma note du 20 février, contient textuellement tous les articles du protocole signé ici, et dont le texte avait été envoyé d'avance à Tunis.

274

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

T. 1620. Firenze, 19 marzo 1871, ore 18.

Si le bey se réfuse à l'échange des ratifications vous pourrez, comme dernière tentative de conciliation, proposer d'insérer dans le procès verbal d'échange la déclaration suivante:

« Au moment de procéder à l'échange des ratifications, il est convenu entre les deux hautes puissances contradantes que les attributions de la commission financière internationale restent intactes, et que les dispositions de l'art. 2 du premier protocole ne porterons aucune atteinte aux droits, ni aux intérets des créanciers représentés par cette commission ».

Si cette proposition n'est pas acceptée dans les 48 heures, vous vous retirerez à bord et vous attendrez mes instructions. Tenez-moi au courant par télégraphe.

275

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

T. 1621. Firenze, 19 marzo 1871, ore 18,30.

Ministre d'Angleterre est venu de nouveau demander un délai pour l'échange des ratifications du protocole de Tunis. Je lui ai expliqué qu'il m'est impossible d'y consentir vu l'urgence de faire cesser un incident désagréable. Cependant, voulant montrer jusqu'à quel point nous poussons l'esprit de conciliation et ·par un sentiment amicai pour l'Angleterr·e je viens de •télégraphier à notre consul à Tunis de faire dans le procès verbal d'échange la déclaration suivante qui donne à l'Angleterre les plus amples garanties. « Voir télégramme précédent ..... (n. 1620) (1).

Veuillez prier Granville de télégraphier immédiatement à Tunis pour qu'on accepte cette solution qui est la seule compatible avec notre dignité.

276

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI RAPPRESENTANTI DIPLOMATICI ALL' ESTERO

CIRCOLARE 91. Firenze, 19 marzo 1871.

Je vous transmets ci-joint l'exposé exact et authentique de ce qui s'est passé à l'église du Gesù, à Rome, le 9 et le 10 de c.e mois. Il est possible que la presse réactionnaire cherche à donner à ces incidents un retentissement qu'ils sont loin de mériter. Il est bon que vous soyez en mesure d'opposer la vérité aux exagérations des récits intéressés.

!l) Cfr. n. 274.

ALLEGATO.

MÉMOIRE

Le Père Tommasi de la Compagnie de Jésus, qui prechait depuis quelque tems à l'Eglise du Gesù à Rome, avait excité par des allusions politiques peu goutées par la majorité libérale de la population, une agitation sensible qu'aggravait encore l'attitude d'une fraction de son auditoire. Les partisans avoués du régime déchu, les anciennes guardie urbane, que le peuple de Rome, où ce corps a laissé de tristes souvenirs, appelle les caccialepri, quelques rares employés des administrations dissoutes, paraissaient en effet s'etre donné rendez-vous au Gesù, où les sermons du père Tommasi étaient pour eux un prétexte pour témoigner de leurs dispositions hostiles. D'autre part, l'esprit peu tolérant de la population de Rome, pour laquelle les caccialepri son l'objet d'une haine notoire, faisait craindre à chaque moment .qu'une collision ne se produisit entre les deux partis.

Les choses en étaient là, lorsque, le 9 Mars, un incident fàcheux vint fournir un nouveau grief à l'irritation du parti libéral. Ce jour, M. Henry Santini, propriétaire, Lieutenant de la garde nationale, avait assisté, habillé en bourgeois, au sermon du père Tommasi. A lllh du matin, au moment où il sortait de l'Eglise, une vingtaine de caccialepri, prenant, parait-il, prétexte de ce qu'il aurait souri d'une façon ironique, l'avaient assailli à coup de poing et de bàton, en lui infligeant de légères contusions.

Il était à prévoir que les amis de M. Santini auraient cherché à prendre leur revanche. Aussi, la questure eut-elle soin de prendre des mesures de précaution pour le jour suivant. Des agents spéciaux, et un renfort de gardes et de carabiniers avaient été envoyés sur piace, en meme temps que la Délégation de sureté publique des rioni Pigna et Trevi avait reçu l'ordre d'exercer une surveillance toute particulière.

Rien d'exceptionnnel n'avait été remarqué jusqu'à 11%. La tranquillité n'avait été troublée, ni sur la piace, ni à l'intérieur de l'Eglise, où le sermon allait etre bientòt fini. Les groupes de jeunes gens qui commençaient à se former aux abords de l'église, ne paraissaient pas vouloir se livrer à d'actes hostiles. Un employé de la questure avait meme cru, en ce moment, pouvoir aUer rapporter à son chef que tout s'était passé sans inconvénients au sermon du père Tommasi.

Mais, au moment où l'on commençait à sortir de l'église, des coups de siffiet partirent de la foule, et un caccialepre arrivant sur la piace avec plusieurs camarades, répondit à cette manifestation par des gestes et des propos ironiques. Une lutte s'engagea sur les marches de l'Eglise. Des coups de poing et de baton furent échangés.

Les gardes de sureté publique, les carabiniers et quelques gardes municipaux s'élancèrent au milieu de la mélée, cherchant à séparer les combattants. Un délégué de sureté publique courut à la caserme du 62ème régiment d'infanterie, qui est adossée à l'église, et en fit sortir une compagnie. Les soldats, aidés par les gardes et par les carabiniers, firent évacuer la piace, et procédèrent à quelques arrestations, après les sommations d'usage. En meme temps, la lutte s'étant propagée jusqu'à l'intérieur de l'église, des gardes, appelées par les cris des femmes épouvantées, y pénétrèrent, et après bien des efforts, parvinrent à mettre un terme au désordre.

L'échauffourée du 10 Mars n'eut aucune importance au point de vue matériel. Gràce à la promptitude et à l'énergie des soldats et des gardes, il n'y a eu à déplorer que quelques contusions. Personne n'a du etre amené à l'hòpital ni transporté à domicile; il n'y a eu ni coups de feu, ni blessures d'arme bianche. Evidemment, il n'y avait pas eu, en déhors des dispositions hostiles des deux partis, ce qu'on pourrait appeler une préméditation. La lutte s'était soudainement engagée entre des individus qui ne portaient d'autres armes que des bàtons, et qu'il eut été, par conséquent, impossible de soumettre à une coaction préventive. Des mesures de surveillance et de précaution, que suggérait la situation des esprits: c'est là tout

19 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. II

ce qui pouvait etre demandé aux autorités, et elles s'étaient acquittées conscìencieusement de cette tache. D'autre part, aussitòt le confiit éclaté, les agents de siìreté publique avaient fait tout ce qui était humainement possible pour en atténuer les proportions, et il est incontestable que ce but a été atteint.

Parmi les arrestations qui ont été faites, il y en a deux qui méritent une mention spéciale. Un pretre, le Comte Barbellini, a été arreté dans l'église, où il aidait deux autres individus à distribuer des batons aux caccialepri, et à exciter ces derniers à la résistance. Un autre pretre, D. Raphael Collalti, achevait la messe au moment où un combattant acharné, poursuivi par les gardes, cherchait à se réfugier auprès de l'autel. Bien que les gardes se fussent arretées dans une attitude respectueuse, M. Collalti s'oublia jusqu'au point de les insulter, et de frapper une de ces gardes. Un délégué de siìreté publique après avoir prié M. Collalti de se rendre dans la sacristie, où il déposa ses habits sacerdotaux, l'amena en voiture fermée à la questure. Là il fut immédiatement relaché par odre du questeur. Le Commissaire du Roi à Rome, ayant meme trouvé que le délégué avait agi avec précipitation et qu'il aurait été plus convenable de ne pas procéder à une arrestation immédiate, qui avait pu choquer le sentiment religieux des fidèles, a fait infliger à ce fonctionnaire une punition disciplinaire.

Tel est le récit succint et exact des incidents regrettables dont l'église du Gesù a été le théatre. Il y eut encore, dans la journée du 10, quelques symptomes d'effervexence, mais les mesures prises par l'autorité, et le bon sens des citoyens, suffirE'nt à écarter tout inconvénient ultérieur.

277

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3582. Tunisi, 19 marzo 1871, ore 19,40 (per. ore 9,55 del 20).

Bey refuse ratifier chicanant sur échéance terme, sans vouloir donner assurance de le faire demain. Par conséquent, j'ai déclaré m'embarquer demain sur bateau poste, le navìre de guerre annoncé n'étant pas encore arrivé, et partir· mercredi; j'attends instructions ici ou à Cagliari.

278

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3581. Londra, 19 marzo 1871, ore 2,15.

Je viens de communiquer à lord Granville le contenu de votre dépeche sur Tunis, n'ayant pas été possible de le voir hier. Il m'a dit ne pas connaitre les détails de notre protocole tout en manifestant un sentiment de regret de ce que l'Italie, dans une chose qui peut toucher les intérets des autres puìssances, ait procédé sans entente et après avoir (négocié?) à la hate veuille maintenant en exiger la ratification dans des termes de temps si restreints. Il a présenté cela aussi comme une absence d'égard et il m'exprime l'espoir que l'Italie voudra laisser >ux autres puissances le temps de s'enquérir au point de vue de leur intéret. Pendant notre conversation, il a reçu un télégramme de Paget à ce sujet, et il attenda1t la vdsite du due de Broglie pour parler du meme sujet. J'ai cité votre dépèche du 22 février (1), qu'il connaissait, et qui expliquait vos arguments et vos demandes. J'ai répondu ne pas connaitre le protocole sur lequel il m'a aussi interrogé, mais que je le croyais en rapport avec votre dépèche susdite. Il m'a aussi interrogé sur Ies détails de notre traité avec Tunis de 1868, et je me suis tenu sur les générales, ne l'ayant pas, et vous l'ayant demandé par mon rapport du 2 courant (2). Sur le fond, je n'ai pu obtenir aucune déclaration, car il dit ne pas connaitre encore l'état des choses. Je ne dois pas vous cacher que lord Granville a été un peu incisif au sujet d'un procédé qu'il considère comme peu amicai.

279

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

R. 1444. Parigi, 19 marzo 1871.

È difficile di ritrovare negli avvenimenti che si svolsero ieri ed oggi in Parigi il filo conduttore, e non è nemmanco agevole Io spiegarsi la serie di fatti che condussero all'installazione di una specie di nuovo Governo altrimenti che da una sequela di malintesi, di debolezze, dì leggerezz.e, da una straordinaria confusione d'idee e dalla mancanza di una volontà abbastanza energica e abbastanza bene servita per poter porre un argine a questo straripamento di elementi quasi inconsci della loro v·era tendenza.

Dopo un debolissimo tentativo d'azione d'una pic·cola parte deUe truppe cui il Governo ed il Comando di Parigi aveano affidato l'incarico d'impadronirsi dei cannoni di Montmartre, i battaglioni sedizios.i della guardia nazionale ebbero senza ulteriore lotta il disopra, e ben tosto soldati e gendarmeria fraternizzarono con essi, cosicchè da quel momento essi poterono estendersi nei quartieri vicini, ed impossessarsi successivamente di caserme e di edifici pubblici.

II risultato finale è per ora, quello dell'installazione d'un nuovo Comitato Governativo all'Hotel de Ville, tra i membri del quale i nomi più conosciuti sono quelli dei Signori Lullier e Assy. Appare in questo momento un manifesto del nuovo Comitato che dichiara che egli non intende attribuirsi l'autorità d'un Governo costituito, ma che custodirà i diritti del popolo fino a che sieno fatte l'elezioni comunali che già durante l'assedio erano l'obiettivo del partito estremo. II Comitato promette d'invigilare al mantenimento dell'ordine ed alla sicurezza delle persone. Spero di poter prima della chiusura postale trasmettere alla

E. V. un esemplare del manifesto.

I membri del Governo parlamentare si trasferirono tutti a Versaglia ed il Signor Giulio Favre ne fece testè prevenire il Corpo Diplomatico invitandolo a seguirlo. Come telegrafai all'E. V. è mia intenzione di recarmivi, al pari dei miei Colleghi, nella giornata di domani, salvo un contrario ordine dell'E. V., e

(2} Cfr. n. 219.

salvo l'ulteriore sviluppo degli avvenimenti. Lascerò in ogni caso qui un Segretario della R. Legazione a custodia degli archivi e degli interessi de' nostri connazionali.

Si dice che in seguito ai finora arenati tentativi di repressione, trattative sieno in corso tra il Governo di Versaglia ed il Comitato dell'Hotel de Ville per addivenire ad una pacificazione mediante la nomina di certe persone al Comando ed alla Prefettura di Parigi, al Comando della guardia nazionale ed alla Prefettura di Polizia.

Le principali violenze che segnalarono la giornata di ieri consistono nella fucilazione de' due Generali Lecomte e Clement Thomas, i quali abbandonati dai loro soldati caddero nelle mani dei sediziosi.

La bandiera rossa sventola sulla colonna di Luglio e sull'Hotel de Ville. I Ministeri, le stazioni ferroviarie ed i telegrafi sono nelle mani del Comitato.

(l) Cfr. n. 199.

280

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3583. Tunisi, 20 marzo 1871, ore 14 (per. ore 17,30).

Ratifications échangées à midi sans clauses ni conditions. • Authion • arrivé.

281

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3585. Londra, 20 marzo 1871, ore 18,50 (per. ore 12,10 del 21).

Je viens de recevoir deux télégrammes sur Tunis (1). J'ai pu voir Granville immédiatement. Il résulte de notre conversation que, moyennant la déclaration entre nous et le bey, au moment de la ratification selon le texte que vous m'avez télégraphié, et que Paget a aussi envoyé, et moyennant le protocole que vous seriez disposé à signer entre nous, l'Angleterre, et la France, et qui est indiqué dans le télégramme de Paget, Granville ne voit plus aucune difficulté, au point de vue des intérets anglais, à la ratification de notre protocole avec le bey.

282

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 545/202. Londra, 20 marzo 1871 (per. il 25).

Ho ricevuto oggi i due di Lei telegrammi di ieri (l) relativi alla vertenza col Bey di Tunisi. Col primo di essi Ella espresse il suo rincrescimento che

Lord Granville vedesse un procedimento poco amichevole in una risposta che Le era stata dettata dalla necessità delle cose. Ella mi incaricava di fare notare che col Protocollo intervenuto fra noi ed il Bey si trattava innanzi tutto di far cessare un'interruzione di relazioni ufficiali fra il Bey e l'Italia la quale durava già da più di due mesi; che il Bey non aveva domandato una proroga allo scambio delle ratifiche e che non v'era più a Firenze alcuno con cui si potesse scambiare una dichiarazione la quale fissasse un altro termine. Ci sarebbe perciò stato mestieri attendere indefinitamente, poichè, nelle circostanze attuali, una intelligenza fra gli interessati sul fondo stesso della quistione non poteva essere immediata. Noi avevamo poi, mediante le nostre dichiarazioni formali, completamente disinteressato l'Inghilterra e la Francia. Non vi era inoltre stata alcuna sorpresa poichè la di Lei Nota del 20 Febbraio conteneva testualmente tutti gli articoli del Protocollo che era stato costà segnato ed il cui testo era stato mandato anticipatamente a Tunisi.

Coll'altro dei predetti di Lei telegrammi, Ella mi ha fatto conoscere che il Ministro d'Inghilterra erasi nuovamente recato da Lei per domandare una dilazione allo scambio delle ratifiche del Protocollo fra l'Italia ed il Bey di Tunisi. Ella gli aveva spiegato che Le era impossibile l'acconsentirvi per causa dell'urgenza che vi era di far cessare uno spiacevole incidente. Però volendo mostrare sino a qual punto Ella spingesse lo spirito di conciliazione e per un sentimento amichevole per l'Inghilterra, Ella aveva allora telegrafato al nostro Console a Tunisi di fare nel processo verbale dello scambio delle ratificazioni la seguente dichiarazione la quale dava all'Inghilterra le più ampie guarentigie: « Al momento di procedere allo scambio delle ratifiche si è convenuto fra le due parti contraenti che le attribuzioni della Commissione finanziaria internazionale restano intatte e che le disposizioni dell'articolo 2° del primo Protocollo non recheranno alcun pregiudizio nè ai diritti nè agli interessi dei creditori rappresentati da questa Commissione».

Ella m'incaricava di pregare Lord Granville di telegrafare tosto a Tunisi perchè si accettasse questo scioglimento che è il solo compatibile colla nostra dignità.

Avendo potuto procurarmi tosto una conversazione col Signor Conte Granville ne ho notificato or ora il risultato all'E. V. con un telegramma (l) che mi affretto a confermarle.

A vendo dato comunicazione a S. S. di tutto il contenuto nei predetti due telegrammi, il Signor Conte mi disse che aveva ricevuto dal Signor Paget un telegramma il quale esprimeva una dichiarazione testualmente conforme a quella contenuta nel secondo dei predetti telegrammi. Soggiunse che inoltre il telegramma di Sir A. Paget indicava che Ella era pur disposta a convenire un Protocollo fra l'Italia, la Gran Bretagna e la Francia il quale avrebbe pure avuto rper iscopo di salvaguardare gli interessi Inglesi e Francesi.

Avendo io pregato Lord Granville di mettermi in grado di dare all'E. V. una pronta risposta, e soggiunta qualche considerazione in appoggio delle di Lei proposte, la conclusione di questa conversazione fu che, mediante la predetta dichiarazione che Ella proponeva, a farsi fra noi ed il Bey all'atto delle

ratifiche del Protocollo, e mediante il Protocollo ch'Ella pur proponeva ed indicato da Sir A. Paget, egli non vedeva più difficoltà, dal punto di vista degli interessi Inglesi, a che avesse luogo la ratifica del nostro Protocollo col Bey.

(l) Cfr. nn. 273 e 275.

(l) Cfr. n. 281.

283

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA

(AVV)

L. P. Firenze, 21 marzo 1871.

Vi spedisco il Corriere che mi avete chiesto e che, nelle deplorabili condizioni della Francia può essere necessario per aver modo di comunicare. Vi spedisco con questo Corriere un dispaccio su una comunicazione fattami dal Signor Rothan, della quale mi parve utile di prendere atto. Il linguaggio del Signor Favre sarebbe assai rassicurante pel nostro avvenire e per l'avvenire de' !l"apporti fi.a l'Italia e la Francia. Ma da che è oggi possibile in Francia di trarre un presagio? Quale sarà la situazione fra breve e che sarà degli uomini che ora governano questo sventurato paese? Ho ricevuto la lettera che mi avete scritta da Bordeaux per quanto vi concerne personalmente. Temo da questa lettera che ci sia fra noi qualche malinteso. Il Governo non aveva certo l'idea arrMée di mutarv·i da Parigi e tanto meno di farvi ·cosa rsgradita. L'asciate che vi parli con tutta franchezza. Essendo ora possibile il disporre di alcune fra le principali Legazioni ho pensato di prevenirvene perchè forse poteva essere vostro desiderio di essere destinato altrove. Di più siccome, appunto per la posizione eccezionale ·che v'eravate fatta durante l'Impero, può esistere in Italia una certa prevenzione relativa all'avvenire, ho pensato che forse poteva convenirvi di andare anticipatamente incontro a questa prevenzione, mentre v'era un Ministro degli Esteri della cui amicizia non potete dubitare e che si sa da tutti essere vostro amico.

Quando vi scrissi, voi potevate prendere una decisione o in un senso o nell'altro, ma questa decisione si imponeva con una certa urgenza perchè era d'uopo provvedere a Vienna. Ora gli avvenimenti hanno tolto di mezzo questa urgenza. Evidentemente, sinchè le cose in Francia si mantengono nel provvisorio, sinchè non si può sapere che cosa di stabile e di duraturo andrà a crearsi, un mutamento sarebbe sconsigliato dall'interesse pubblico, e voi stesso non potreste farvi quel criterio che vi sarebbe necessario per giudicare la situazione e quanto a voi stesso può meglio convenire e piacere. La vostra lettera mi parve scritta sotto quella impressione dolorosa che si prova quando si deve improvvisamente prendere un partito certo grave per chi ha passato tanti anni in un paese. Ora non è più tale il caso. Abbiamo dinnanzi a noi il tempo e le eventualità indefinite di un avvenire incerto. Io sono sicuro che, quando questo avvenire si sarà fatto chiaro, non ci potrà essere fra noi alcun dissenso sulla opportunità del vostro rimanere al posto di Parigi, poichè, in faccia a una data situazione, ci faremo intorno ad essa un medesimo giudizio.

284

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3589. Londra, 21 marzo 1871, ore 15 (per. ore 10 del 22).

Je vous envoie les chiffres suivants que Nigra m'envoie de Paris pour vous les faire parvenir: «Le ,comité centrai de la garde nationale installé à l'Hotel de la Ville ,est maitre en ce moment de tout Pads. Il a fixé les élections du conseil communal de la ville de Paris au 22 mars. Il déclare dans une proclamation etr:e fermement décidé à faire respecter les préliminaires de paix; dans deux manilfests insérés au Journa~ ojjiciet d'aujourd'hui il fait le procès au Gouvernement issu de l'assemblée, qu'il dit avoir chassé parce qu'il trahissait et poussait à la guerre civile. Quelques bataillons de la garde nationale se sont déjà portés, dit-on, à Versailles. Presque toute la presse de Paris flétrit le coup d'etat du comité centrai, mais, matériellement, la ville est calme. Dans plusieurs quartiers les adhérents du comité continuent à élever des barricades en prévision de nouvelles tentatives de répression du Gouvernement de Versailles. Les députés de Paris et les maires viennent de publier deux manifestes dans lesquels ils déclarent vouloir proposer à l'assemblée nationale des mesures d'entente pour éviter collision. Principal grief de la nouvelle autorité contre le Gouvernement parlementaire, est d'avoir voulu ameuter la province contre et déplacer la capitale. Je vous envoie ce télégramme par le ministre à Londres, bureaux télégraphiques de Paris ne recevant aujourd'hui aucune dépeche. Je dois aussi I~etenir ,correspondance ordinaire par mesure de précaution et vous pri:e de m'envoY'er un courrier :..

285

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 212. Tunisi, 21 marzo 1871 (per. n 24).

Come mi feci premura di telegrafarle (1), ieri a mezzogiorno vennero scambiate in consolato tra me ed il Generale Elias Mussali, Secondo Direttore al Ministero degli affari Esteri di S. A. il Bey, le ratifiche dei noti protocolli.

Il Bardo volle persistere fino all'estremo nel suo sistema di tergiversazioni e fù solo all'ultim'ora, in cui spiravano i 15 giorni nel calcolo più favorevole al Governo tunisino, che si decise a compiere la formalità dello scambio per non vedere effettuata la mia minaccia di partenza, che anche i miei colleghi di Francia e d'Inghilterra si mostrarono interessati ad evitare dopo la comunicazione rassicurante, che io avevo loro fatta per invito dell'E. V., e dietro ordini ch'essi avevano ricevuti dai Gabinetti rispettivi.

Le trasmetto in una cassetta raccomandata d'ufficio i protocolli ratificati dal Bey ed il verbale dello scambio, che seguì puramente e semplicemente; laonde non fù necessario inserire nel verbale stesso la clausola, che l'E. V. mi segnalava col telegramma del 19 corrente (1) come ultimo tentativo di ,conciliazione.

Il Bey partecipava ai consoli lo scioglimento della vertenza con una circolare in data d'ieri, nella quale era detto che, avendolo io ed il Generale Sì Heussein assicurato non volersi colle nuove stipulazioni ledere i diritti dei creditori inglesi e francesi, egli era addivenuto alla ratifica dei relativi protocolli.

Domani avrò un'udienza dal Primo Ministro, nella quale saran presi gli opportuni accordi sugli atti e formalità, che devono precedere il solenne ristabilimento delle relazioni e l'innalzamento della bandiera nazionale.

Lo scioglimento avuto dalla nostra vertenza col Governo tunisino ha prodotto il miglior effetto nella colonia europea e segnatamente nell'italiana, la quale confida che possa segnare il principio d'una nuova era nei rapporti col Bardo, dopo lo sperimento da esso fatto di non potere impunemente violare i diritti e manomettere gl'interessi nostri.

Resta ora che il Bardo adempia lealmente l'obbligo assunto di una sistemazione equa degli affari pendenti, ad ottenere la quale occorrerà certo molto tempo e fatica; mi lusingo però che, continuandomi l'E. V. il suo appoggio e la sua benevola approvazione, anche quest'opera spinosa potrà essere condotta a felice compimento.

(l) Cfr. n. 280.

286

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

(AVV)

L. P. Firenze, 23 marzo 1871.

Ora che, collo scambio delle ratifiche, confido che l'incidente di Tunisi possa considerarsi come terminato, le invio una lunga lettera la quale contiene delle spiegazioni che parmi utile il dare al Governo inglese sulla portata di questo incidente e sulle circostanze che lo accompagnano. Tenendone discorso con Lord Granville, Ella vedrà, dal colloquio stesso, se sia il caso di porgli sotto occhio il testo della lettera, che troverà unita in questa spedizione.

Credo però utile di aggiungere in questo affare qualche altra considerazione che potrà servire di norma al suo linguaggio, e sulla quale Ella vorrà richiamare l'attenzione di Lord Granville. Cogli uomini di Stato inglesi giova sempre, fortunatamente, il tenere quel linguaggio che si crede conforme al buon senso e alla giustizia.

L'affare di Tunisi è terminato ed ora il nostro desiderio è di prevenire, per quanto sia possibile, il rinnovarsi di simili incidenti.

So bene che si sono attribuiti all'Italia riguardo a Tunisi dei progetti d'occupazione e di conquista. Questi sospetti sono affatto contrari al vero. La politica che il nostro interesse ci consiglia nel Mediterraneo, è una politica di conservazione. Quand'anche non ci fossero difficoltà internazionali, non vedo bene perchè noi vorremmo paga.rci a Tunisi il lusso d'un'Algeria, i sacrifici e i disinganni d'una occupazione militare e politica. Noi abbiamo a Tunisi una colonia importante della quale intendiamo proteggere i legittimi interessi che non sono punto in contraddizione cogli interessi delle altre colonie. Che gli italiani residenti a Tunisi possano svolgere i loro interessi commerciali, industriali ed agricoli con un Governo che si mostri animato da buon volere, che eseguisca trattati esistenti, e che abbia verso l'Italia quella stessa deferenza che l'Inghilterra e la Francia reclamano per sè, ecco tutto ciò che noi domandiamo, nè più, nè meno. Ma appunto perchè non chiediamo altro, perchè la colonia italiana è importante e numerosa, perchè l'opinione nel nostro paese è assai susoettibile per tutto quanto riguarda la legittima protezione degli italiani all'estero, noi non potremmo tollerare che il Governo del Bey facesse prova verso di noi di un sistematico mal volere, si rifiutasse di far giustizia ai nostri reclami e ponesse gli interessi e la rappresentanza dell'Italia in uno stato di inferiorità verso gli interessi e le rappresentanze degli altri paesi. In una simile situazione, non sarebbe possibile al Governo italiano il transigere in quanto esso deve a sè stesso e agli interessi di cui è il ·custode. Bisogna dunque evitare che questa situazione si produca.

La nostra condotta verso il Governo del Bey dipenderà interamente dalla condotta stessa del Bey. Ma in pari tempo, io sono convinto che la condotta del Bey verso gli italiani dipenderà in gran parte dalla politica seguita a Tunisi dai Governi che hanno colà maggiore influenza e dall'azione concorde che eserciteranno i loro Consolati.

Nei paesi che si trovano nelle condizioni della Reggenza e con Governi simili a quello del Bey vi è fra gli europei una causa comune e la migliore politica pei Consoli consisterebbe certamente nel guarentire con una ;reciproca armonia e con una condotta concorde, degli interessi che sono fra loro solidali, contro gli abusi e la mala fede di quei deplorabili Governi. Cercare, d'accordo e con un'azione comune, di indirizzare tali Governi per la Vlia della civiltà, del rispetto agli impegni presi, delle pratiche corrette nei rapporti internazionali, ecco quale mi pare lo scopo al quale dovrebbero intendere gli sforzi di tutti.

Sventuratamente presso i Consoli, parlo in generale e non più dei Consoli inglesi che degli altri, prevale una tradizione la quale consiste nel fare una politica d'influenza basandola sull'antagonismo e sulla rivalità verso l'influenza degli altri Consolati e degli altri paesi. Il prestigio d'un Consolato pare che consista nel tenere in scacco l'azione altrui, anche la più legittima, nell'ottenere per sè quanto è negato agli altri, anzi nel far sì ·che agli altri sia negato quanto si ottiene per sè. Quale ne è la conseguenza? Quei Governi i quali non hanno altro freno ·Che la paura, si valgono in vantaggio proprio di queste l'ivalità, che hanno cura di tener vive per sottrarsi ai loro doveri, talvolta sono incoraggiati a farlo, tal'altra lo fanno .perchè si credono pooti al sicuro contro la responsabilità e le conseguenze dei propri atti, e, per tal modo, si creano artificialmente delle complicazioni che si sarebbero potute evitare. I Governi europei si trovano così, ad ogni tratto, implicati per la forza delle cose in difficoltà che possono diventar gravi.

Ho dovuto osservare che questi inconvenienti si sono più volte manifestati nella Reggenza di Tunisi.

Nell'affare ora terminato, ho la coscienza d'aver spinto la moderazione fino ai suoi ultimi limiti appunto perchè volevo evitare una complicazione. Avrei potuto molto più semplicemente chiedere una grossa indennità e mandare la squadra. Non l'ho fatto per dar prova d'equità. La guarentigia che ho chiesto contro le ostilità indirette del Bey verso i proprietari italiani non va nei suoi effetti al di là d'una semplice guarentigia morale, e gli impegni del Bey per le tariffe d'importazione e d'esportazione costituivano l'esecuzione d'un trattato. Il Bey assumeva verso l'Italia un obbligo diretto, ma certo questo obbligo non poteva nelle sue applicazioni portare offesa ai diritti dei terzi, che non era nè nella nostra intenzione, nè nel nostro diritto il ledere. Era ovvio che questo obbligo non potesse interpretarsi che in quanto non comprometteva le attribuzioni della Commissione che noi stessi avevamo ·concorso a formare.

Il Governo inglese e il Governo francese avevano certamente il diritto di fare delle riserve e anche delle proteste contro il pregiudizio eventuale che potevano ricevere gli interessi dei loro sudditi, e di chiederci delle spiegazioni e anche degli impegni positivi perchè questo pregiudizio non si verificasse ma non nasconda a Lord Granville che noi abbiamo dovuto considerare come esorbitante la domanda di non dar luogo allo scambio delle ratifiche e il divieto fatto a quest'uopo al Bey dai Consoli di Francia e di Inghilterra.

Il Bey ha certamente il diritto di ratificare una Convenzione da esso conchiusa regolarmente.

Il Console inglese e il Console francese potevano, lo ripeto, fare delle esplicite riserve e, in seguito a ciò, il loro diritto di opposizione agli atti del Bey cominciava, quando fosse pure incominciata una applicazione pregiudicievole agli interessi ch'erano chiamati a tutelare.

Ma se al di fuori di questi limiti, il Bey potesse rifiutarsi a ratificare una Convenzione da esso stipulata per la ragione che il Console di tale o tal'altra Potenza glie lo proibisce, allora non si saprebbe con chi trattare a Tunisi se col Governo o coi Consolati. Al Governo del Bey sarebbe sostituito un Comitato

o una Repubblica di Consoli. Ora non è certamente questo il regime che alcun Governo vuole inaugurare a Tunisi. V'è una norma di politica applicabile ai paesi che si trovano nelle condizioni di Tunisi che fu sempre a ragione soste

nuta dal Governo inglese e alla quale noi pure ci associamo. Ed è che, in questi paesi, giova meglio agli interessi europei il mantenere, per quanto è possibile, l'autorità del Governo locale, cercando di ispirargli il rispetto di sè e d'altrui, perchè distrutta questa autorità, non rimarrebbe altro regime che quello delle influenze e della rivalità dei Consolati.

Ora, io non ho potuto a meno di considerare che la condotta tenuta, in questa occasione, dai Consoli di Francia e d'Inghilterra fu di natura a diminuire la legittima autonomia del Governo del Bey e ad introdurre un sistema il quale aumenterà le difficoltà che possono sorgere nella Reggenza.

(l) Cfr. n. 274.

287

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3592. Tunisi, 23 marzo 1871, ore 8,06 (per. ore 13,50).

Arrivato ieri sera «Castelfidardo» da Napoli in ore 33. Sto concertando formalità volute per rialzamento della bandiera che credo possa seguir diman l'altro.

288

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA

D. 304. Firenze, 24 marzo 1871.

Je vous ai écrit le 21 février (l) pour vous mettre en mesure d'expliquer dans vos entretiens avec le Ministre des Affaires Etrangères les motifs qui ont amené la rupture de nos relations officielles avec Tunis. En reproduisant textuellement dans ma dépeche les demandes .que nous adressions au Bey j'ai voulu vous faciliter les moyens de donner au Gouvernement français toutes le informations qu'il pouvait désirer sur la nature de ces demandes.

Ce n'est que trois jours après vous avoir écrit c'est à dire le 24 février, que le général Heussein s'est décidé à envoyer au Bey le texte des protocoles proposés par nous comme un moyen de résoudre le différend existant et à demander à S. A. les pleins-pouvoirs pour conclure un arrangement avec nous. Le meme courrier que le général Heussein avait envoyé à Tunis pour y porter le texte des deux protocoles en a rapporté l'es Pleins-pouvoirs. Ils donnaient au négociateur tunisien la faculté d'agir au nom du Bey et de s'entendre avec nous et ils contenaient la promesse explicite de S. A. de ratifier les arrangements qui seraient pris.

Nous avons donc signé le 5 mars avec le général Heussein un acte comprenant deux protocoles dans Iesquels les clauses que vous connaissez déjà ont été reproduites presque textuellement.

La rédaction du Jer article du Jer protocole concernant les agrkulteurs indigènes ,au service de propriétaires italiens a été légèrement modifié sur la demande du négociateur tunisien, tandisque le 2e article du mème protocole se référant à l'application de l'art. 11 de notre traité avec Tunis n'a subi aucun changement. Je dois ajouter que ce second article n'avait jamais soulevé de contestation et que le général Heussein, avant comme apres l'avoir communiqué à son Gouvernement, m'avait toujours répété que nous demandions, par cet article l'accomplissement d'une obligation déjà contractée par le Bey envers l'Italie.

Ce fut cependant contre ce meme artide que, après la signature des protocoles, et lorsque le Roi les avait déjà ratifiés, l'on a voulu élever des objections en disant qu'il n'était pas dans le pouvoir du Bey de prendre de pareils engagements envers l'Italie. On faisait valoir auprès du Bardo les droits des créanciers étrangers représentés dans la commission financière internationale, et on demandait au Bey de se refuser d'échanger avec nous les ratifications dans le terme fixé.

M. Rothan est venu alors m'entretenir de cet affaire. Je lui ai d~t que .les intérets représentés par la commission internationale appartenaient aussi bien à des créanciers italiens qu'à des créanciers anglais et français. L'J.talie ayant toujours eu à ·creur de préserver ces intérets de toute atteinte ne pouvait maintenant vouloir entraver l'action de la commission financière dans l'exercice des attributions qui lui étaient reconnues. Nous étions prets au besoin d'examiner par quels moyens on pourrait concilier ce que nous avions demandé

au Bey avec les droits prééxistants de la commission.

Dans l'état le Gouvernement du Roi ne pouvait admettre un sursis à l'échange des ratifications car l'accomplissement de cette formalité était nécessaire aussi bien pour reprendre nos relations interrompues pendant deux mois environ, que pour résoudre à Tunis les difficultés qui venaient de surgir.

A mon avis le respect des droits et des intérets des créanciers représentés par la commission était une chose naturelle que je n'hésitais pas à offrir à

M. Rothan de faire insérer dans le protocole d'échange une réserve dans ce sens. Le consul général avait reçu des instructions pour l'autoriser à insérer une clause ainsi conçue:

« Au moment de procéder à l'échange des ratifications il est convenu entre le deux Hautes Parties contractantes, que les attributions de la commission financière internationale restent intactes et que les dispositions de l'art. 2 du Jer protocole ne porteront aucune atteinte aux droits ni aux intérets des créanciers représentés par .cette commission ~-II parart cependant d'après un télégramme que j'ai reçu de Tunis (l) que l'échange des ratifications a eu lieu le 20 mars sans que cette clause ait été insérée dans le protocole. Pour y suppléer autant que possible, le jour meme où je recevais cette nouvelle, j'adressai à M. Rothan une note officielle dont je vous envoie copie et dont l'effet était

de sauvegarder complètement les droits préexistants, représentés dans la commission financière internationale, instituée de concert entre la Grande Eretagne, l'Italie et la France. En meme temps j'ai dit à M. Rothan que je n'avais pas de difficultés à ce que le consul général d'Italie à Tunis signat avec le Bey un second protocole faisant suite à celui d'échange des ratifications, et contenant la clause précitée.

Je viens de donner aujourd'hui meme à M. Pinna des ordres à cet effet. En donnant ces explications à M. J. Favre vous pourrez, M. le Ministre, ajouter vous meme celles que vous jugerez nécessaires afin que S. E. soit convaincu du prix que nous attachons de procéder d'accord avec Elle dans cette affaire.

(l) Recte, il 22 febbraio, cfr. n. 199.

(l) Cfr. n. 280.

289

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA

D. 306. Firenze, 24 marzo 1871.

Ebbi ieri col signor Rothan, Ministro di Francia, una conversazione, della quale è opportuno ch'Ella sia informata.

Il signor Rothan mi disse d'aver ricevuto dal Ministro degli Esteri un dispaccio sulla quistione romana. Il signor J. Favre dichiara in quel dispaccio che la politica del Governo francese attuale rispetto a Roma s'informa al concetto fondamentale della distinzione fra il potere spirituale ed il temporale. La Francia non cessa di preoccuparsi a buon diritto della libertà del Pontefice e dell'indipendenza che gli è necessaria per l'esercizio della sua missione spirituale. Ma il Governo francese attuale non crede dovere impegnare la sua azione nè la sua influenza pel ristabilimento d'una sovranità temporale condannata definitivamente dal voto delle popolazioni. Le istruzioni indirizzate al rappresentante francese a Roma sarebbero perciò di tale natura da non lasciare alcuna illusione a questo riguardo nè nel Sommo Pontefice nè nel cardinale Antonelli. Però la Francia dichiarando esplicitamente che non intende porre la sua politica in antagonismo col diritto nazionale dell'Italia, desidera di vedere efficacemente protetta e guarentita la persona del Pontefice e la pienissima sua libertà nella sfera spirituale. Il rappresentante francese in Roma dovrebbe altresì far comprendere che la Francia non rifiuterebbe certo d'accordare asilo al Pontefice qualora egli si appigliasse al partito d'abbandonare Roma. Ma che deplorerebbe pur sempre, rispettandola, una simile risoluzione, la quale potrebbe riuscire dannosa al Pontificato, ed attirerebbe alla Francia nuovi imbarazzi gettando in mezzo alle popolazioni francesi un nuovo e pericoloso germe d'agitazioni.

Io ringraziai con molta effusione d'animo il Signor Rothan di questa confidenziale comunicazione delle intenzioni benevole del Governo francese. Gli dissi ch'esse venivano a conferma di quanto Ella m'avea già scritto su questo argomento, e dei discorsi tenuti colla S. V. Illustrissima dal Signor Thiers, capo de potere esecutivo, e dal Signor Favre, Ministro degli Affari Esteri. Queste dichiarazioni, di cui pigliavo atto, gioveranno invero moltissimo a togliere alle difficoltà che ancora rimangono a Roma gran parte della loro gravità. Il Governo del Re, diss'io al Signor Rothan, non ha alcun desiderio maggiore che di convincere il Papa, e con esso tutti i cattolici di buona fede, della ferma intenzione dell'Italia di mantenere inviolata la libertà personale del Pontefice, e la completa sua indipendenza spirituale. Ma in quest'opera noi incontriamo ostacoli di doppio genere. Da un lato infatti abbiamo contro di noi i pertinaci difensori del potere temporale. Questi cercano ogni modo di far credere al Papa stesso ch'egli non è libero, che la religione ed i suoi ministri sono sistematicamente perseguitati in Roma dal Governo del Re; che la licenza la più sfrenata vi corrompe ogni buon costume, ed offende in guisa permanente il senso morale del Pontefice. E perchè i fatti non smentiscano le loro asserzioni, codesti settari si ingegnano di provocare ogni specie di scandali, e fingendo di ricevere da esteri governi promesse di aiuti a prossime restaurazioni del Governo clericale, irritano in ogni guisa il partito liberale. Dall'altra parte le popolazioni non sempre si comportano in guisa da sventare codesti artifizii, ed, o cedendo alla viva reazione che destano ancora nell'animo loro le memorie del caduto Governo,

o mosse dall'impazienza di godere ad un tratto di quella pienezza del vivere libero che è loro assicurata dal regime attuale, si lasciano trascinare ad atti che il Governo vivamente deplora.

Però tutte le disposizioni preventive permesse dalla legge sono prese per impedire che questi elementi di agitazioni morali si traducano in disordini. Nell'applicazione graduale della legislazione italiana alla città di Roma si procede colla massima temperanza. Malgrado la urgente necessità di trovare grandi edificii per trasferirvi le principali amministrazioni pubbliche finora soli otto conventi, di trecento circa che vi hanno in Roma, furono occupati; ed anche in quelli non si procedette senza aver prima assicurata e la continuazione del servizio religioso, e prese coi frati e con le monache stesse accordi amichevoli perchè abbiano conveniente stabilimento in una parte stessa dell'edificio, od altrove se ciò non è possibile.

Il Governo sente quindi e non respinge da sè tutta la responsabilità dei suoi atti. Egli chiede solo che non si accolgano senza esame gli esagerati clamori d'un partito che rifugge da ogni conciliazione, e che vorrebbe, spingendo all'estremo l'antagonismo delle passioni e delle tendenze, portar la questione dal campo della discussione a quello dei conflitti e della forza materiale. Distruggendo ogni speranza in questo appello disperato alla forza, il Governo francese e gli altri Governi cattolici richiameranno il Pontefice a quella serena chiaroveggenza della realtà dei fatti, senza la quale niuna autorità morale può durare quaggiù. E la conciliazione degli animi sarà solo possibile quando perduta ogni illusione di far rivivere un passato irrevocabilmente condannato dalla storia, gli animi si acconceranno alle nuove esigenze dei tempi e la Chiesa potrà comprendere in Roma stessa le grandi guarentigie che le sono assicurate dalle nuove istituzioni per far trionfare con discussioni pacifiche ogni principio veramente morale e religioso. L'esistenza a Roma di moltissimi giornali del partito clericale, che approfittano della libertà della stampa, prova e l'imparzialità del Governo e l'efficacia d'un sistema che riuscirà senza dubbio a buon fine se niun elemento eterogeneo s'introduce a turbarne l'applicazione.

Dissi al signor Rothan che noi non disconoscevamo le difficoltà create al Governo francese dall'agitazione d'una parte dell'opinione cattolica e che tenevamo il più gran conto di queste difficoltà e delle sollecitudini ch'egli era incaricato d'esprimermi. Gli soggiunsi che il Governo italiano procedendo con moderazione e coi riguardi dovuti al sentimento religioso, e il Governo francese, scoraggiando alla sua volta l'illusione di far rivivere colla forza un passato irrevocabile, avrebbero agevolato una soluzione duratura e pacifica tolto di mezzo una causa d'antagonismo fra i due popoli e assicurato quei rapporti d'amicizia che esistono naturalmente fra l'Italia e la Francia.

Nel tenere al signor Thiers ed al signor Favre, quando Ella ne abbia l'opportunità, un linguaggio analogo alle considerazioni che ho testè accennate, la S. V. Illustrissima vorrà aggiungere che la Francia dà una prova ammirabile della sua grandezza morale occupandosi, nel momento attuale, del lato più elevato della questione romana, e cooperando con savii ed efficaci consigli a quella soluzione che era già da gran tempo nei voti dei capi del partito liberale in Francia. Noi siamo certi che la Francia stessa non avrà a dolersi d'aver contribuito a far sì che l'Italia faccia libero e pacifico esperimento della libertà della chiesa e della sua separazione dallo stato. Il sentimento religioso sarà rinvigorito nelle nazioni latine da questa esperienza della quale noi affrontiamo animosamente i .p€ricoli nella certezza che i vantaggi di essa, se ora paiono :remoti, si estenderanno in avvenire anche alle altre nazioni di Europa.

290

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 93. Firenze, 24 marzo 1871.

Ho ricevuto il telegramma (l) col quale Ella mi ha annunziato di avere scambiato col Bey le ratifiche dell'atto da me firmato a Firenze il giorno 5 corrente col Generale Heusse1in. Benchè da noi non •Si dubitasse dell'impegno di S. A. nel mantenere la promessa fattaci di ratifkare ·ciò che il suo plenipotenziario avrebbe ·conchiuso con noi, è facile trovare nelle circostanze che accompagnarono l'eseguimento per parte del Bey di un sifatto impegno più di una ragione per felicitare S. A. della piena fiducia ch'egli ha riposto nel Governo del Re anche in questa cil"costanza. Ella deve dunque far sapere al Bey ed al suo primo Ministro che l'Italia volendo assicurare mediante l'applicazione di ogni singola clausola del suo trattato del 1868 lo sviluppo dei suoi interessi commerciali colla Reggenza nulla ha più a cuore che d'impedire che la Tunisia si trovi impegnata in serie difficoltà con altre Potenze. A questo fine, senza voler entrare nel merito delle objezioni che gli Agenti di Francia e d'Inghilterra hanno sollevato in occasione delle ratifiche della convenzione del 5 marzo, il Governo di S. M. è disposto a prestarsi dal canto suo a tutto ciò che può contribuire ad appianare fin d'ora tutte le difficoltà. In prova della sincerità di questi nostri sentimenti Ella vorrà proporre a S. A. ed al suo primo Ministro di firmare, come faciente seguito al protocollo relativo allo scambio delle ratifiche, un altro protocollo di cui Le invio qui unito il testo e che, secondo le intelligenze da me prese con i Rappresentanti di Francia e della Gran Bretagna, basterà certamente ad eliminare qualunque causa di altre complicazioni.

ALLEGATO.

PROGETTO DI PROTOCOLLO

En faisant suite au protocole d'échange des ratifications de l'acte signé à Flo

rence le 5 mars 1871 entre S. E. le Ministre des Affaires Etrangères de S. M. le Roi d'Italie et le Général de division Hussein chargé d'une mission spéciale de S.A.S. le Bey de Tunis, les soussignés sont tombés d'accord sur ce qui suit:

Il est convenu entre les deux Hautes Parties contractantes que les attributions de la commission financière internationale restent intactes et que les dispositions de l'art. 2 du premier protocole ne porteront aucune atteinte aux droits ni aux intérets des créanciers représentés par cette commission.

Fait à Tunis en double expédition originale le . . 1871.

(l) Cfr. n. 280.

291

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 94. Firenze, 24 marzo 1871.

Ora che colla firma del protocollo del 5 marzo è stato convenuto sul modo di procedere alla liquidazione dei danni avvenuti alla Gedeida importerà che a queste operazioni si proceda colla massima possibile sollecitudine. È desiderio mio che V. S. si astenga dal proporre nomi per la designazione di un axbitro se a tale designa~ione converrà ·che si venga; ma Ella dovrà far sentire al Bey quanto sia conveniente sottrarre la quistione dei danni alle discussioni dei due Governi dal momento che i termini del protocollo gli danno abilità di farlo. Noi accoglieremo, Ella può darne l'assicurazione, con un perletto spirito di conciliazione le proposte che in proposito il Governo tunisino ci vorrà far pervenire a tale riguardo.

292

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 101. Costantinopoli, 24 marzo 1871 (per. il 31).

Il Gran Vizir che vidi Lunedi scorso, nel dirmi di aver avuto notizia della chiusura della Conferenza di Londra si mostrò meno soddisfatto del risultato ottenuto e del modo come era stata composta, mediante la proposta conciliante del Governo del Re, la divergenza insorta per l'accesso dei legni da guerra esteri ne' Dardanelli e nel Bosforo.

In questo momento però il Governo Turco si preoccupa molto più delle condizioni interne dell'Impero che delle sue relazioni con le Potenze straniere. Il dissesto finanziario è al colmo, e se non si giunge a stipulare, anche ad un saggio rovinoso, un imprestito di almeno 200 milioni di franchi, non sarà possibile il soddisfare agli impegni più urgenti, non ultimo de' quali è il pagamento del coupon che scade nel prossimo Maggio. Parlasi quindi di nuovi mutamenti ministeriali e di un nuovo Ministro delle Finanze; ma ho già detto a V. E. che il solo cambiamento di persona non sarà produttivo di alcun bene.

11 Gran Vizir mi annunziò che la Santa Sede manderà qui Monsignor Franchi in qualità di Legato Pontificio con lo incarico di rannodare le pratiche iniziate a Roma da Rustem-Bey relativamente alla nomina di Vescovi e agli effetti della Bolla Reversurus. Mi ripetè c:he non spera molto nell'arrendevolezza della Santa Sede, ma si mostrò deciso dal canto suo a non sagrificare i diritti dello Stato.

Non avendomi il Gran Vizir nella nostra lunga conversazione fatto alcun cenno alla nostra vertenza con Tunisi, mi sono anch'io astenuto dal fargliene parola. Credo già calmate le apprensioni. So per altro da buona fonte che la Sublime Porta è non poco adirata contro il Bey, perchè questi non ha ancor risposto, nè pare intenda rispondere alle comunicazioni fattegli dal Governo Ottomano per esser da lui informato sullo stato della quistione insorta tra quella Reggenza e l'Italia.

È qui giunto proveniente dall'Egitto il Duca d~ Sutherland, alloggiato e splendidamente trattato a spese del Sultano che fu suo ospite a Londra; credo ripartirà per la via di Vienna, appena sarà riaperta la navigazione sul Danubio. Mi astengo dal far cenno a V. 'E. delle voci sorte suLlo scopo del viaggio del Nobile Duca in Egitto, perchè sulla veracità di esse sarà stata l'E. V. meglio ragguagliata dal R. Console in Alessandria.

293

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1454. Parigi, 24 marzo 1871.

In quale modo si formò il « Comitato Centrale della Federazione repubblicana della guardia nazionale ~ che il primo tentativo di disarmare le alture di Montmartre fece come per magia uscire dall'ombra e rese in poche ore padrone della sorte di due milioni d'uomini? Quali tendenze politiche lo riunirono e quali lo dividono? Quali e quante risorse pecuniarie trovò egli per vivere fino ad oggi e per far vivere i 215 battaglioni che aderirono a' suoi statuti e che :Sono il suo braccio?

Risponderò a questi tre quesiti, ugualmente ovvii ed eguaLmente importanti, colla scorta di quelle più attendibili indicazioni che potei procurarmi, premettendo che le indagini su ciò che si ordl nei dubs in un'immensa città chiusa durante cinque mesi, non sono le più facili, che il fulmine parve scoppiare quas! da cielo sereno per chi tornava qui dopo un'assenza di più mesi, e che infine, in quanto all'ultimo quesito proposto, una esatta richiesta è impossibile in mancanza d'ogni rendiconto, e in faccia alle più contraddicenti allegazioni della stampa periodica e del pubblico.

II « Comitato Centrale » sarebbesi organizzato nel modo seguente.

Verso la fine dell'assedio, alcuni individui appartenenti alla guardia nazionale, tra i quali erano in maggioranza gli affiliati della «Internazionale » costituirono un consiglio con statuti speciali nel quale dovevano essere rappresentati tutti i hattaglionti aderenti. Ogni battaglione inviò ~quindi i suoi delegati con pieni poteri di accettare o di rifiutare gli statuti proposti. I delegati che accettavano erano autorizzati ad eleggere il consiglio, il loro battaglione restando

20 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. II

con ciò impegnato a sostenerlo. Da questo consiglio uscì il «Comitato Centrale » che signoreggia ora a Parigi dall'Hotel de Ville.

Si annoverano ne' suoi ranghi uomini di ogni condizione e d'ogni età, i quali rappresentano 215 battaglioni, formanti 2325 compagnie, delle quali molte invero assai incomplete. Senonchè i vuoti delle compagnie comprese in quel numero ora trovansi meglio che riempiti dai nuovissimi aderenti usciti da altre compagnie e disertati dall'armata.

II programma politico non è ancora definitivamente formulato, tutte le dottrine repubblicane hanno nel Comitato i loro fanatici, quelle non escluse che mostrano ai credenti « l'ideale sanguinoso e rapace » ·che il Signor Giulio Favre segnalava non ha guarì dalla tribuna di Versaglia. In linea di forma amministrativa, gli uni vogliono la Repubblica una ed indivisibile, riconoscono la necessità d'una moderata centralizzazione e d'un potere liberissimo, ma unico, a pro' della coesione dello Stato intiero.

Gli altri vogliono invece l'indipendenza piena ed intiera del Comune che s'amministri e si governi in mode assolutamente indipendente ed autonomo. I primi sono i Giacobini, i secondi i federalisti. I secondi, relativamente meno autoritari, applicano alla politica i principii che i membri dell'associazione internazionale professano come principii sociali. A chi obbietta che il voler fondare il federalismo repubblicano in Francia, come in !svizzera, è una chimera, essi rispondono che basterebbe stabilire una repubblica-modello che si governi e s'amministri da sè in Parigi affinchè o per simpatia o per interesse l'esempio fosse tosto seguito dai maggiori centri di Francia, dedotto dai sommi vantaggi che ne ridonderebbero pel comune precursore. (Diffatti, giunse qui stasera da Lione la notizia che l'esempio già vi sarebbe stato seguito, e ciò prima che sieno chiari i vantaggi ottenuti od ottenibili qui).

Sopra un punto, Giacobini e federalisti del Comitato s'accordano, ed è su quello di non ammettere nè riconoscere autorità veruna fuorchè la loro propria, ed in appresso quella che uscirà dalle elezioni municipali fatte per iniziativa del Comitato.

I mezzi pecuniari dei quali visse finora il « Comitato Centrale » sarebbero, a quanto si può rilevare di più preciso ed avverato, quattro milioni e mezzo provenienti dai diversi rami della pubblica amministrazione e del tesoro pubblico trovati nelle casse; un milione che la Banca nazionale pagò al Comitato il quale, si dice, lo sborsò a titolo di parte d'anticipazione convenuta col Ministero delle Finanze emigrato per soldo della guardia nazionale; il provento dei mezzi di consumo e di entrata; ed infine requisizioni che si vanno facendo in modo assai sommario per viveri ed oggetti in natura contro consegna d'un semplice buono del Comitato Centrale.

Tali sono le principali risorse procacciatesi finora dal « Comitato » e convien dire, per amore del vero, che delle requisizioni non fu fatto un troppo grave abuso, benchè anche oggi cavalli siano stati in tale modo presi alla « Compagnie des petites voitures » che andava ripopolando le divorate stalle. Ma non vuolsi neppure dimenticare che il «Comitato Centrale» sbucciò [sic] non prima del 19 corrente e ch'esso quindi compie oggi appena il sesto giorno di vita e di signoria.

294

L'AGENTE E, CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 267. Bucarest, 24 marzo 1871 (per. l' l aprile).

Confermo la comunicazione telegrafica (l) con cui oggi ho informato V. E. che il Principe Carlo ricevette ieri sera gli Agenti delle Grandi Potenze per «informare l'Europa che i disordini compiutisi a Bucarest la sera del 22, con la connivenza del suo Governo confermando lo stato anarchico del Paese, egli aveva incaricato gli antichi componenti della Luogotenenza principesca di dichiarare alla Camera che S. A. è risoluta ad abdicare, qualora fra otto giorni non fossero votate le leggi finanz,iarie ».

V. E. sa già che il Signor Lascar Catargi compì ieri stesso il suo mandato, mio-telegramma del 23 (l) confermato dal rapporto n. 265 (l). L'abdicazione del Principe Carlo di Rumania è dunque posata ufficialmente innanzi al Paese ed innanzi all'Europa.

Ciò nonostante le solenni dichiarazioni di ieri sono già contraddette oggi dal fatto. Mentre il Principe fa dire alla Camera, e ne informa di sua propria bocca gli Agenti delle Grandi Potenze che Egli è deciso ad abdicare, ha dall'altro canto autorizzato il nuovo Presidente del Consiglio di sciogliere la Camera se questa non volesse votare le leggi finanziarie, ovvero presentasse la mozione del trono vacante da me accennata nell'altro rapporto n. 2,6,6 (1).

Nè il Principe si arresta a questo. Egli ha avuto cura di far comunicare oggi per mezzo del suo Segretario particolare l'eventualità dello scioglimento della Camera tanto a me come agli altri miei Colleghi ai quali ieri sera parlò con fermezza di voler abdicare.

Non mi arresto sul discredito che getta all'Interno ed all'Estero sulla persona del Principe questo fluttuare fra il ritirarsi ed il rimaner sempre. È cosa ovvia che i partiti avversi debbano valersene per additare l'abisso che divide il Sovrano dalla Nazione, riuscendo così a mantenere un'agitazione pericolosa in Paese, mentre all'Estero ingenerano dubbio sulla sincerità dei proponimenti tante volte espressi e mai eseguiti.

Desidero piuttosto attirare brevemente l'attenzione del Governo del Re sulle cause delle titubanze di S. A.

Lasciato a lui stesso egli non abbandonerebbe il suo trono, nutrendo la fatale lusinga comune a molti altri Sovrani che il Paese finirà per dargli delle garanzie di ordine e di stabilità. Questa lusinga è in lui mantenuta dai pochi buoni che nella sua abdicazione veggono a ragione la rovina del loro Paese.

Ma dall'altro canto egli non sa sottrarsi alle gravi considerazioni che gli vengono costantemente esposte dall'Agente prussiano, il quale ha purtroppo buon giuoco per addimostrargli che se S. A. procrastina i suoi propositi di abdicazione, sarà più tardi ignominiosamente scacciato dai suoi Stati.

V. K ricorda senza dubbio ciò che scrissi nel mio rapporto n. 246 (l).

Sia per impegni presi con la Russia sia nell'interesse della politica tedesca il Conte di Bismark, io diceva il 22 Gennaio, tende a disinteressare la Germania dalla quistione Danubiana. Le fasi che si avvicendarono da quel giorno mi confermano sempre più in questo convincimento, formatosi nell'animo mio anche per comunicazioni confidenziali che parmi superfluo di qui ripetere.

I fatti perpetrati il 22 contro la Colonia tedesca di Bukarest offrirono al mio Collega di Prussia un nuovo e convincente pretesto per spingere all'abdicazione il Principe, il quale nella notte del 22 al 23 gli promise che l'indomani avrebbe deposto il potere nelle mani della Luogotenenza Principesca e ne avrebbe avvertito i Rappresentanti Esteri.

L'indomani 23 il Principe trovò un compromesso; e soddisfatto dell'alacrità con cui il Signor Lascar Catargi ebbe a formare in una sola notte il nuovo Gabinetto composto da elementi moderati, autorizzò il nuovo Presidente del Consiglio a sciogliere la Camera quando lo credesse. necessario.

Il dado però è tratto; nè la venuta al potere di un Ministero che gode la fiducia del Principe, nè l'eventuale scioglimento della Camera potranno ridonare popolarità ad un Sovrano che ne aveva poca, e che ora minaccia ufficialmente di abdicare sotto la nota pressione di una Potenza abborrita nei suoi Stati.

Se il Principe Carlo volesse seriamente consultare il suo decoro, egli non dovrebbe al punto ove sono giunte le cose rimanere più oltre sul trono di Rumania, malgrado che la sua presenza fosse a desiderarsi.

(l) Non pubblicato.

295

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. l. Berlino, 24 marzo 1871.

Le Prince Chancelier m'a reçu hier au soir. J'avais préparé un extrait en traduction française des principaux passages de votre lettre particulière du 7 Mars (2). Je lui en ai donné lectul'e.

Voici le ·compte-rendu de cet entretien qui s'est prolongé pendant une heure et demie.

«Il est un point, a dit M. de Bismarck, auquel je m'absttendrais de toucher, si vous n'en aviez pris vous-mème l'initiative, celui de votre attitude durant la crise que nous venons de traverser. Avant nos premiers succès, il y eut des moments, je ne vous le dissimulerai pas, où des doutes m'ont abordé sur le maintien de votre neutralité. Quelques italiens, (il ne les a pas nommés), avaient mème appelé mon attention à cet égard. J'ai répondu que, tant que je n'aurais pas des indices certains que vous tourneriez du cOté de mes ennemis, il me répugnerait de recourir à des moyens extrèmes, tel qu'un appel au senti

ment national de l'Italie, ou à d'autres passions plus vives, qui ne chercheraient qu'un point d'appui pour passer à l'action. Il existait en effet, dans les plus hautes régions, des tendances de faire cause commune avec la France, tendances caressées par un parti puissant. Une bonne partie de votre presse faisait chorus, dans des termes plus violents meme que ne l'était le langage des journaux français. Nous étions donc presque autorisés à nous demander ce qui serait advenu de votre còté, si nous n'avions pas débuté par les victoires de Woerth et de Weissenbourg. Je le répète, votre presse, alors et depuis n'a pas été telle que nous nous flattions de la trouver vis-à-vis d'un Pays qui vous était sympathique d'une manière si désintéressée, qui se plaisait à vous considérer comme un allié nature!. Les publicistes allemands n'ont fait que répondre à de pareilles attaques. Il en est résulté que vous avez, comme l'Angleterre, perdu beaucowp de terrain en Allemagne. La Russie a été la seule Puissance qui nous ait preté son concours mora!. C'est elle qui a contenu l'Autriche.

Quant aux tentatives d'interposer des bons offi.ces pour ac·célérer la conclusion de la paix, c'était, dites-vous, par motif d'humanité, comme si ces tentatives ne pouvaient pas avoir pour effet d'encourager la rési,stance de nos adversaires, et de nous empecher de recueillir tout le fruit de nos sacrifices pour la plus juste des causes. Au reste, si le besoin s'en était fait sentir, des alliés ne nous eussent pas manqué ».

Après avoir développé de mon mieux les arguments fournis par votre lettre sur les différents points objet des critiques de mon interlocuteur, je lui ai fait observer que je ne représentais pas la presse de mon pays, presse placée en dehors du Gouvernement. Je pouvais déplorer les écarts de quelques uns de ses organes, tout aussi bien que les ripostes par trop vives des journaux allemands. Les uns comme les autres ont manqué essentiellement de tact politique. La raison saine des deux Pays ne se rencontre pas dans leurs colonnes. Mais je ne représentais que la politique du Gouvernement du Roi, laquelle n'avait jamais cessé d'etre correcte, avant et depuis Sedan. Avant comme depuis cette époque, nous avions toujours rejeté les demandes d'appui matériel présentées par la France, qui nous garderait rancune de cette abstention. En admettant meme que des ·courants favorables à la France eussent existé en dehors des ·cercles ministériels et constitutionnels, et que les courants eussent vraiment cette force qu'on voulait bien, je ne savais sur quelles données, Ieur attribuer, c'était d'autant plus méritoire au Cabinet de Florence, d'y avoir rési·sté et d'en avoir triomphé.

«Je n'ai pas, répliquait le IPrince de Bismarck, de reproches à articuler contre votre Gouvernement. Il n'est pas moins vrai pourtant que, dans les Pays constitutionnels surtout, l'opinion publique se forme en grande partie d'après les jugements, vrais ou erronés, qu'on lit dans les journaux. Je regrette que votre presse n'ait pas été mieux disciplinée. Il fut un temps cependant où je la citais comme un exemple à suivre, quand elle était mieux organisée pour la défense de vos intérets nationaux. Dans ces derniers mois, ses articles, à peu d'exceptions près, ont produtt une fàcheuse impression chez nous. II faudra raction du temps, pour en mitiger les effets. Dans ces circonstances, il serah. inopportun de notre ·còté de poser quelque acte, de donner quelque preuve dans le sens .indiqué par M. le Chevalier Visconti-Venoota. Je pouvais en 1863, brusquer l'opinion publique en Prusse. Aujourd'hui les conjonctures ne sont plus les mèmes. Je suis obligé de tenir compte davantage de cette opm10n publique en Allemagne qui renferme près de treize millions de catholiques.

Il n'est pas à dire pour autant, que mes sympathies pour l'Italie se sont modifiées. Je n'en suis pas à faire mes preuves. Mes sympathies restent les mèmes. Mais on ne fait pas seulement de la politique avec le sentiment. Elle doit ètre basée surtout sur les intérèts, là où ils sont réels et reconnus jusqu'à l'évidence comme étant réels, à l'abri de nouvelles déceptions. Or, je vous le répète, l'Allemagne n'est plus aussi convaincue que moi, qu',elle peut compter sur l'amitié de l'Italrie. Il y a là une pente, que vous devez remonter.

Vous me parlez des affaires de Rome, du ;pouvoir temporel, de garanties, etc. etc. Comme homme d'Etat, je n'ai pas à me prononcer en ce qui concerne les affaires purement dogmatiques. Et quant au reste, il s'agit d'une situation qu'il faut laisser se développer. Les catholiques ne tarderont peut ètre pas, dans le Parlement fédéral, à faire quelque tentative, qui mettra à jour leurs vues sur cette question si délicate. Nous verrons comment les députés se grouperont, comment les votes, si vote il y a, seront appréciés en Allemagne. En ma qualité de Ministre constitutionnel, ce sont là autant d'éléments que je devrai faire entrer en ligne de compte. En tous les cas, le moment n'est pas venu, de nous interpeller sur nos intentions. Au reste, il n'y a pas péril en la demeure. La France ne pourra de quelques années vous attaquer, à moins de chercher des alliés. Où les trouverait-elle? Ce ne serait, ni en Allemagne, ni en Angleterre. Serait-ce en Autriche? ».

Je n'ai manifesté aucune inquiétude de ce coté. Bi,en loin de là, j'ai fait la remarque que nous avions confiance dans le Cabinet de Vienne, depuis qu'il s'appliquait à se rapprocher de l'Allemagne. C'était un calcul de ma part, afin de mettre le Prince de Bismarck en mesure de mieux se prononcer.

« En effet, ajoutait-il, elle nous donne les meilleures assurances. Mais " Souvent femme varie"... Et, quant à Rome, renseignez-vous sur la façon dont s'exprime le Comte de Trautmannsdorf ».

Voulant mettre M. de Bismarck ,au pied du mur, j'ai dit que je ne réussissais pas encore à bien démèler, d'après son langage, si le Cabinet de Berlin était pour, ou contre, ou s'il était pour l'abstention.

« C'est, a-t-il répondu, de l'abstention... pour le moment. Et mème, je ne vous parle pas officiellement, mais en voie tout-à-fait particulière. J'espère donc que je ne figurerai pas dans votre Livre Vert ».

Je lui ai rappelé, à cette occasion, le document N° XVIII, publié dans le Livre Vert présenté à nos Chambres le 29 Décembre dernier (1), J'en ai méme donné lecture. Il était d'avis que le Comte Brassier, un peu passionné dans ses allures, n'aurait peut-ètre pas assez tenu compte des nuances, du véritable point de vue. Il est des choses d'ailleurs, qu'il vaudrait mieux ne pas livrer au public. A cet égard les Puissances qui jugent à propos d'édifier, dans une trop grande mesure, les Chambres sur la politique étrangère, l'obligeaient à observer beaucoup de réserve dans ses entretiens avec leurs représentants.

Cherchant encore à obtenir quelque chose de plus précis, je lui ai dit de nouveau que notre Gouvernement, en maintenant une parfaite neutralité, avait montré de ·savoir remplir la mission qui ·est la base de ses bonnes !l"elations avec le Cabinet de Berlin. Nous avions montré en effet que nous étions indépendants dans le concert européen. Nous étions également désireux de conserver dans l'avenir les meilleurs rapport avec l'Empire d'Allemagne, mais eelui-ci devrait à son tour comprendre que la convenance est réciproque pour la paix future et la tranquillité de l'Europe. Le terrain en Italie est déblayé des entraves, qui pouvaient dans le passé gèner, jusqu'à un certain point, notre liberté d'action. Ce sera1it une faute pour un homme d'Etat aussi perspicace que

S. E., de ne pas en profiter pour développer les rapports d'amitié entre deux nations que rien ne doit diviser, et que tout tend au contraire à rapprocher.

Telle était aussi la manière de voir personnelle du Chancelier Fédéral, mais il conseillait d'attendre le bénéfice du temps, et il évitait de se prononcer sur les affaires de Rome.

Je n'ai pas insisté. C'eut été dépasser la juste mesure. Et mème, j'ai eu bien soin de mettre en évidence que mon langage n'ava-it eu d'autre but, que ·celui de mettre le Prince de Bismarck à mème de se prononcer sur la situation politique, dans .ses rapports entre l'Allemagne et l'Italie. Heureusement que les deux Nations étaient assez fortes, pour rester maitresses chez elles et pour ne serrer la main d'autrui, qu'avec cette dignité dont, moins que jamais, nous étions décidés à nous départir, malgré les difficultés passagères de notre situation. Quand une nation a fixé son programme et qu'elle a la conscience de sa force, vouloir c'est pouvoir.

« Oui, observait S. E., mais à la condition que le programme soit bon, autrement on conduit un Pays à sa ruine ».

«J.e ne parle, ai-je rép1iqué, ·que d'un programme qui repose, comme le nòtre, sur les bases d'indépendance et de dignité ».

La conversation prenant alors un caractère plus intime encore, M. de Bismarck me laissa entendre qu'il n'eut dépendu que de nous, de profiter de cette guerre pour revendiquer la Savoie et le Comté de Nice. II eut suffi d'une simple manifestation appuyée par 4/m hommes de troupes. Je me suis borné à répéter le meme langage que je lui avais tenu, peu de jours avant son départ pour cette campagne si mémorable, langage dont je vous ai rendu compte par ma Iettre particulière et très confidentietle du 27 Juillet n. 2 (1). Je n'avais pas mal jugé de la situation alors. S. E. devait se souvenir que, en réponse à ses allusions à certaine idée d'établir quelque part en Allemagne des bureaux d'enròlements de volontaires italiens, je n'avais pas hésité à me prononcer contre tout projet semblable. Il était en effet à prévoir que bon nombre des individus qui répondraient à l'appel, auraient été recrutés dans les rangs d'un parti, qui n'aurait pu inspirer confiance, ni à l'Italie, ni à la Prusse. Lorsque plus tard, des éléments de notre Pays se sont mèlés à la lutte, malgré l'opposition de nos Autorités, l'événement a prouvé que ces volontaires n'avaient pour la plupart d'autre but, que de travailler au profit de la république universelle.

M. de Bismarck avouait en effet avoir cru que le Général Garibaldi avait des sentiments plus patriotiques. Lorsqu'il avait excepté de l'armistice trois départements de l'Est, il espérait que ce chef et sa bande, passablement nombreuse parcequ'elle comptait près de 7/m hommes parmi Iesquels plusieurs beaux noms de l'Italie, seraient cernés et arrétés. Le Quartier Général eiìt fait dans ce cas reconduire Garibaldi dans sa patrie, en se contentant pour toute vengeance de le munir d'un certificat d'ingratitude pour les services mutuels que son Pays et la Prll5se s'étaient rendus en 1866. Son équipée avait contribué aussi à refroidir Ies sympathies de l'Allemagne à nostre égard, quand on avait vu que notre Gouvernement n'avait pas publiquement blàmé ,sa conduite.

Je me suis référé à une dépéche de V. E. en date du 18 Octobre, No 173

S. P. (1), que j'avais communiquée à M. de Thile, et à un article inséré, vers la meme époque, dans la Gazette Officielle.

En parlant de la situation de la France, S. E. m'a nouvellement laissé entendre que, pour quelques années, cette Puissance serait dans l'impossibHité d'entreprendre à elle-seule une guerre. Mais l'insurrection de Paris, qui menace de gagner d'autres grandes villes, l'appel fait par le comité révolutionnaire aux plus mauvaises passions, rendaient des chances à une restauration impérialiste. Si on recourait à un plébiscite, tout portait à croire que les populations rurales voteraient pour cette restauration. Les habitants des campagnes, dans les départements occupés par Ies troupes allemandes, tout en critiquant sévèrement I'Empereur Napoléon d'avoir engagé la lutte contre un voisin dont il avait mal calculé les forces, n'hésitaient pas à reconnaitre que, sous son règne, la France avait joui de 20 années d'ordre et de prospérité. Les circonstances actuelles n'étaient pas moins des plus graves pour la France, si elle tardait à avoir raison des éléments sortis des bas fonds de la société. Cette situation n'est pas moins grave pour l'Allemagne, les préliminaires de paix n'ayant pas encore reçu la consécration d'un Traité définitif. En outre, le paiement de I'indemnité est exposé à subir des retards, meme en ce qui concerne l'entretien des armées d'occupation. Dans cet état d'incertitude, il a fallu suspendre les mesures, déjà en partie exécutées, pour le retour en Allemagne de la Landwehr et de I'Artillerie de siège.

En terminant cet entretien, qui a eu lieu sous forme entièrement privée, le Chancelier fédéral m'a dit qu'il savait que, comme lui, je n'avais jamais douté que le résultat final de la guerre serait favorable aux armées allemandes. Si, en 1867, il avait été le seui Ministre parmi Ies conseillers de la Couronne, qui eut voté contre la guerre, c'est qu'il avait été d'avis que la possession du Luxembourg ne justifiait pas une lutte, une série de Iuttes. Mais du moment où la France, en 1870 avait voulu humilier le Roi de iPrusse et avait pris l'initiative d'une déclaration de guerre, son creur à lui, Comte de Bismarck, s'était épanoui. En présence d'une nécessité qu'il n'avait pas dépendu de lui d'éviter, il avait abordé avec confiance la sHuation. 1.200.000 hommes, bien commandés et bien disciplinés, devaient avoir raison de 600.000 hommes. Seulement, comme il fallait de prime abord supposer que les français étaient prets à entrer en lice et qu'ils avaient ainsi l'avance de 15 à 19 jours nécessaires pour mobiliser

les armées de l'Allemagne, on s'attendait ici à une invasion du territoire germanique; à des sièges de quelques places fortes dans les Provinces Rhénanes, et meme à quelques revers au début de la campagne. S. E. ne croyait pas alors que la légèreté française irait jusq'à ouvrir les hostilités avant de s'y etre préparé, au moins suffisamment pour un coup de main hardi.

(l) -Cfr. n. 72. (2) -Cfr. n. 230.

(l) Cfr. Libro Verde 17 (Documenti relativi alla Questione Romana, presentati alla Camera il 29 dicembre 1870 dal Ministro degli Esteri Visconti Venosta).

(l) Cfr. serie I, vol. XIII, n. 311.

(l) Cfr. serie II, vol. l, n. 283.

296

IL MINISTRO DEI LAVORI PUBBLICI E REGIO COMMISSARIO A ROMA, GADDA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Roma, 24 marzo 1871.

Viene costì per suoi affari il Conte Ladislao KuJ.czycki quel polacco che tu conosci. Ti parlerà della domanda di Monsignor Bella per la sua pensione, ed anche io ti ho già interessato e ti prego ancora ad assecondarlo o meglio a farlo assecondare nella speranza di poter fare qualche buco utile. Alle mie pratiche riservatissime onde il Papa voglia persuadersi a sortire di Vaticano e liberamente diportarsi, e voglia ufficiare solennemente alla festa di Pasqua, trovo una forte opposizione per causa principalmente che il giuoco della prigionia è quello su cui prindpalmente si fondano in Vaticano per commuovere i Cattolici. Era a prevedersi, ma tuttavia non credo debbasi omettere alcuna cura per conseguire ciò. Le cose nel resto vanno bene, ma occorre mano forte qui e costì. Aspetto sempre dal tuo Ministero risposta a una Nota sui Conventi.

297

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3603. Tunisi, 25 marzo 1871, ore 10,46 (per. ore 14,30).

Ristabilite relazioni ufficiali e rialzata in questo momento bandiera nazionale colle formalità volute.

298

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 798. Berlino, 25 marzo 1871 (per. il 28).

A la fin de la séance d'hier du Bundesrath, le Prince de Bismarck a communiqué aux conseillers fédéraux les dernières nouvelles sur la situation des choses en France. Ces nouvelles sont des plus facheuses. M. Thiers et Favre peureux, indécis. Ils sont en échange de correspondance avec le Général de Fabrice. Ils voudraient peut-etre que les Prussiens remissent tout en piace à

Paris, quitte à Ieur endosser en suite la responsabilité et l'odieux de la répression. Le Chancelier fédéral disait qu'on s'en garderait bien.

Le fait est que la république rouge gagne du terrain, sur la république qui se qualifie elle-meme d'honnetes gens. Les progrès du désordre et de l'anarchie sont dus à la faiblesse du Gouvernement de Février, qui au lieu de faire sanctionner par l'assemblée nationale des mesures promptes et énergiques du pouvoir exécutif, ou de se mettre lui-meme sur la breche, sauf à requérir un bill d'indemnité, attend du Parlement une protection et une initiative, en se cachant en quelque sorte derrière le pouvoir législatif; comme si les grandes assemblées avaient jamais sauvé un pays dans des crises de cette gravité.

On s'attendait bien iei à ce que le parti démagogique lèverait un jour la tete en France, pour essayer de réaliser ses plans destructeurs de tous les principes sur lesquels repose la société. Mais on comptait, pour déjouer ces tentatives, sur les trois ou quatre cent mille prisonniers de guerre en Allemagne, qu'on se disposait à rendre à la liberté. 1700 officiers avaient déjà obtenu de partir à leurs frais. Ils sont pour la plupart impérialistes, comme la majorité de leurs collègues qui attendent encore l'exéat. Sous ce rapport il est intéressant de constater qu'après Sedan, et meme encore après la capitulation de Metz, il y avait presque unanimité parmi eux pour jeter la pierre à l'Empereur et à ses Maréchaux, auxquels ils attribuaient la ·cause unique des défu[tes, et de ces redditions en masse. Dans ce moment s'ils l'avaient pu, ils n'auraient pas brulé une amorce pour faire revivre le passé. Le Gouvernement de la défense nationaie, et surtout M. Gambetta, par leurs invectives qui allaient jusqu'à accuser de trahison et de Hìcheté l'armée régulière, ont rendu à la cause de Napoléon III le service de faire renaitre ses chances. Il y a des indices assez marquants que la majorité des officiers prisonniers de guerre est redevenue impérialiste. Il est vrai d'un autre coté que les simples soldats sont très démoralisés et ont perdu confiance dans leurs chefs.

Je noterai aussi que l'Empereur en quittant Wilhelmshohe, a laissé une bonne 1impression auprès de la Cour de Prusse. Sa dernière lettre à Guillaume I•r a été très bien accueillie. Il y était dit, entre autres, que malgré les amertumes de la captivité en suite des ma1heurs de la France, il n'oublierait jamais les 20 années des bons procedés de la Cour de Berlin à son égard. La réponse de l'Empereur-Roi a été des plus affables; et des ordres ont été donnés pour que le Souverain, passé au role de prétendant, fut entouré de tous les égards jusqu'au moment où il aurait franchi la frontière de l'Allemagne. Ce n'est pas à dire pour autant qu'on vise à sa restauration, car on ne voudrait pas s'immiscer dans une telle affaire, mais on ne mettrait certainement aucun obstacle si la roue de la fortune tournait nouvellement en sa faveur. Les Orléans, les légitim1stes, ne sont pas ·en odeur de sainteté, pour des motifs que j'ai déjà signalés dans mes dépeches. M. Thiers a perdu beaucoup de terrain par sa conduite, qui certes ne prouve pas chez lui une bien grande dose de courage civil. Napoléon III, malgré les erreurs commises dans les dernières années de son règne, a su du moins maintenir l'ordre à l'intérieur, et l'expérience qu'il vient de faire à ses dépens lui servirait de sauvegarde pour l'avenir.

Le mouvement insurrectionnel qui commence à gagner d'autres villes de la France, s'étant produit plustot qu'on ne croyait, il a fallu retarder jusqu'à nouvel ordre le rapatriement des prisonniers français. Ceux-ci en effet ne peuvaient présenter des garanties suffisantes, qu'après un travail de réorganisation trop difficile à opérer dans une phase aussi critique.

Dans ces conditions, le Cabinet de Berlin adopte une attitude expectante. Les troupes Allemandes éviteront de s'immiscer dans les luttes intérieures, et elles attendent que le Gouvernement élu par la nation, et avec le quel on a traité, montre s'il est en mesure de maintenir et de s'acquitter de ses obligations. Le Chancelier fédéral déclare hautement qu'il a pris toutes les mesures pour s'assurer, éventuellement, de l'exécution de ces engagements. La communication faite par le Général de Fabrice à M. Jules Favres, et dont celui-ci a donné lecture à la séance de l'assemblée nationale du 22 Mars, contient à ce sujet un avertissement sérieux.

299

L',INCARICATO D'AFFARI A MADRID, R. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 10. Madrid, 25 marzo 1871 (per. il 30).

Il signor generale Cialdini ha fatto all'E. V. relazione sulle elezioni politiche testè compiutesi in questo paese, e, per la profonda conoscenza ch'egli possede della Spagna, ha dato il giusto suo valore alla forza rispettiva dei partiti che dal sufraggio universale sono stati chiamati alla Camera.

Ma ieri sol.tanto fu dalla Gazzetta Ufficiale pubbHcato il risultamento diffinitivo delle elezioni generali per deputati e senatori.

È opera difficile la classificazione esatta degli eletti. Il grande numero di nomi sconosciuti che sono usciti dalle urne elettorali fa sì che le opinioni e gli apprezzamenti sono diversi, contrari, e dubbj sulla 'esatta forza numertca di quelli che sosterranno la nuova dinastia e degli altri che appartengono ai partiti intransigenti.

La divisione che io credo si accosti più al vero è la seguente: Deputati monarchici tra progressisti-radicali ed unionisti 218. Deputati d'opposizione dinastica 135, i quali si suddividono nel modo seguente:

54 Carlisti

45 Repubblicani

15 Unionisti per Montpensier

8 Canovisti

13 Alfonsini

I Canovisti sono quei membri dell'unione liberale che riconoscono a duce il signor Canovas del Castillo, ed i quali, se in teoria campeggiano col sedicente principio della legittimità alfonsina, si rifiutano nel fatto ad una politica intransigente, e sosterranno il Governo in ogni questione d'ordine pubblico. Potrebbero chiamarsi indipendenti.

Il capo nominale dei 15 Montpensieristi è sempre il signor Rios Rosas; ma egli non farà una opposizione dinastica, e molti, anzi, lo includono nelle file degli «Adictos », come vengono chiamati i deputati del gran partito liberale che difende la casa di Savoia. Il vero capo di cotesti postumi Montpensieristi è il signor Mantilla proprietario del giornale La PoLitica.

Il numero totale dei deputati dev'essere di 378. 25 collegi non sono, pertanto, ancora rappresentati; e sono quelli che, per cause accidentali, come duplicate votazioni, debbono ripetere le loro elezioni, e quelli delle isole Canarie i cui deputati non si conoscono tuttavia.

Ad ogni modo si può già inferire con sicurezza di non andar errato che la Camera dei deputati sarà per due terzi Dinastica contro un terzo di intransigenti, o della opposizione .che, dovunque altrove, sarebbe stata illegaLe.

Il Governo chiama la maggioranza col nome di ministeriale; ma questa mi sembra inesatta denominazione; ed appunto in ciò sta il grande problema, come il grande pericolo, che sarà per isciogliersi nella futura Camera dei deputati di questo regno.

Se in un altro paese l'opposizione non verrebbe alla Camera rappresentata che da un terzo dei Deputati, -e che questa fosse una oppos·izione veramente costituzionale, cioè Ministeriale e non già Dinastica -il Ministero potrebbe, a buon diritto, dichiararsi vincitore; ma, quà, la maggioranza dei due terzi non è compatta, non ha coesione, e molte differenze di opinioni e dissidenze politiche dividono i Dinastici. Una questione ed una votazione qualunque può scindere questa maggioranza, e condurre (sebbene pel fatto solo che l'ha separata) alla minoria intransigente il peso dei deputati che non avranno consentito nella politica del Ministero.

Le conseguenze non saranno per isfuggire all'E. V. che potrebbero derivare da una disfatta del Governo nelle attuali circostanze, e a fronte di una così importante opposizione illegale; nessuna delle due parti della maggioranza dinastica, allora scissa, potrebbe trovare in sè facilmente nè forza nè elementi per formare un nuovo Governo.

Cotesto pericolo è dagli uomini dell'attuale Gabinetto riconosciuto, e, -nella previsione che si avverasse -l'ultimo rimedio cui pensano, sarebbe di sciogliere la Camera e di procedere a nuove elezioni, passo sempre grave negli inizj di una dinastia, pel'chè la dissoluzione della Rappresentanza nazionale non sarebbe tanto un appello al paese per decidere fra un Governo ed il voto contrario di una opposizione parlamentare legale, quanto una nuova lotta fra i partiti che difendono od avversano il principio fondamentale dello Stato.

Però è importante quel numero di 135 Deputati Intransigenti, perocchè sarà per impedire quel giuoco naturale al sistema parlamentare in cui un Ministero si sostiene contro una minoria che gli è contraria in una misura qualsiasi di amministrazione e di governo, o cede il reggimento dello Stato a quegli avversari che seppero acquistarsi la maggioranza. Perchè la Camera, che si aprirà lì tre del mese prossimo, sia viabile (se posso così esprimermi) sarà necessario che la maggioranza dinastica continui sempre compatta, voti sempre unita, nè mai si scinda.

Hanno per questa ragione molti amici della dinastia disapprovata la

politica che si è voluta seguire nella formazione di un Ministero di fusione come è l'attuale. Affermano che un Gabinetto, non ad elementi eterogenei, ma ad un ,solo !partito politico, qualunque e' si fosse, appartenente, avrebbe avuta maggior efficacia sulle elezioni, e che le [opposizioni] ii:legali od intransigenti ne sarebbero ~state scemate di molto, perchè numerosi eletto11i avrebbero allora votato per .i cand1dati della opposiZiione legale o ministeriale.

Conviene nondimeno aggiungere che tale è il timore dei repubblicani, tale l'odio dei carlisti e tanta la coscienza dei danni che sarebbero per sorgere da una divisione del partito monarchico, che i Deputati della maggioranza si sforzeranno di stare uniti e di eliminare ogni questione che potesse far loro dimenticare la salute della Patria e la devozione alla Dinastia.

.Mancano in dnque provincie le Elezioni pel Senato: a Burgos pei gravi disordini e violenze occorse in queste elezioni a secondo grado; a Barcellona perchè le elezioni provinciali non sonosi ancora compiute; a Levida per astensione del numero legale degli elettori; i nomi degli eletti nelle Isole Baleari e Canarie non sono ancora giunti a conoscenza del Governo. Ma già si possono rassegnare i varii partiti. La Dinastia potrà fare assegnamento sopra una ,grande maggioranza per esservi 141 «Adiotos > -91 radicali e 150 unionisti -, contro a 52 senatori di opposizione illegale, 10 alfonsini, 4" unionisti per Montpensier, 25 carlisti e 13 repubblicani.

Sono stati eletti Senatori 7 Vescovi, 12 Generali, 5 Ammiragli, 8 Alti Magistrati e 19 Grandi di Spagna. Riserbandomi di tornare su queste ultime notizie quando le si avranno più ·complete, mi valgo...

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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. 2. Berlino, 25 marzo 1871.

Le 22, jour de naissance de Guillaume Ie•, il y avait diner au Ministère des Affaires Etrangères. Je m'étais placé à còté de M. de Thile, afin de me ménager l'occasion de le faire parler sur les affaires de Rome, et de chercher à connaitre, par cette voie détournée, la manière de voir de son Chef. Voici quel a été le jugement émis par le Prince Chancelier, dans une conversation très récente avec le Secrétaire d'Etat.

M. de Bismarck ne comprenait pas que nos hommes d'Etat, avec cette sagacité proverbiale dans notre Pays, n'eussent pas été mieux inspirés dans leur attitude vis-à-vis du Pape. On peut discuter si le Quirinal appartient, ou non au domaine de l'Etat, mais ,c.e qui est incontestable, c'est que nous aurions du user de meilleurs procédés envers le St. Père, pour lui rendre tolérable le séjour de Rome. Il est valétudinaire, sur le déclin de l'àge. Un conclave assez prochain peut ouvrir des voies d'accomodement. En attendant, le point essentiel pour nous avait été atteint, puisque l'occupation étrangère avait cessé. On ne comprenait pas, dès lors, la hàte de faire de Rome la capitale de fait de l'Italie, et moins encore de recourir à certains procédés, à certaines mesures d'expropriation, en fournissant par là des arguments à nos adversaires, et en augmentant les embarras de tous les Gouvernements; qui doivent tenir compte des sentiments de leurs populations catholiques, plus ardents encore dans les Etats où les confessions sont mixtes.

En se prononçant dans ce sens, le Prince de Bismarck, n'entendait nullement articuler des griefs contre l'Italie, puissance avec laquelle l'Allemagne est intéressée à entretenir les meilleures relations et à souhaiter le développement de sa prospérité; il n'avait voulu qu'exprimer un regret de nous voir donner nous-memes, des armes à nos ennemis. Au lieu de chercher à diminuer les occasions de conflit entre deux Pouvoirs appelés à coexister sur le meme territoire, on semble les vouloir multiplier.

Je me suis appliqué à m'exprimer, à mon tour, dans un sens conforme à vos instructions.

En attendant, comme me le disait M. de Thile, les catholiques s'agitent de plus en plus dans ce Pays. Le dossier des adresses à l'Empereur-Roi grandit à vue d'reil. Le nombre des députés catholiques au Parlement de l'Empire est plus élevé qu'au dernier Reichstag de la Confédération du Nord. Dans une requete à S. M., la majorité de la fraction ultramontaine avait demandé le rétablissement du pouvoir temporel. Il est assez probable que ce meme parti pétitionnera maintenant pour obtenir d'étendre à toute la Confédération les dispositions très libérales de la Prusse en matière religieuse, bien plus libérales que dans la Bavière nommément. Ce parti se préoccupe vivement des questions qui se rapportent, soit à la liberté de l'Eglise qu'ils croient menacée par des vélléités d'opposi:tion de quelques autor.ités laiques, soit à certaines résolutions du dernder Concile recuménique, soit au caradère ,corufessionnel de l'enseignement seconda,ire et primaire qui est de plus en plu battu en breche .parla presse libérale, soit enfin au droit d'association. Ces diverses questions n'étant pas de la compétence des pouvoirs fédéraux et faisant partie de celles pour lesquelles la souveraineté de chaque Etat est restée intacte, on s'explique que le clergé songe à étendre l'Autorité de la Confédération sur ces affaires de culte et d'enseignement, sur des bases aussi larges que celles fournies par la Constitution Prussienne.

M. de Thile ne croyait pas que la majorité du Parlement allemand se preterait à entrer dans cette voie, car il était évident, si on glissait sur cette pente, que les promoteurs s'appliqueraient à en tirer des conséquences ultérieures. Mais ils ne négligeront aucun moyen, pour peser sur le Gouvernement meme, par voie de coalition avec d'autres partis, en promettant conditionnellement leur concours, pour autant qu'on fasse aussi acte de condescendance à leur égard. Il est notamment une question, qui tient fort à creur au Chancelier Impérial, celle de la responsabilité ministérielle, qu'il veut porter lui seui, mais qu'il ne consentirait à partager avec personne.

Il me revient d'autre part, au sujet de la discussion d'une adresse en réponse au discours du tròne, qu'un député libéral, M. Michaelis, aurait eu l'intention de prendre acte du passage de ce discours qui pose le principe de non intervention, en le précisant par une application directe à la question du pouvoir temporel du Pape, dans laquelle l'Allemagne n'aurait nullement à s'immiscer. Des amis politiques de M. Michaelis lui ont fait comprendre qu'une semblable initiative serait envisagée par le parti catholique comme une provocation, et que sa motion ne devrait se produire, que si ce parti manifestait lui meme les tendances qu'il s'agissait de combattre.

Un fonctionnaire très au courant des choses, le rédacteur de la feuille gouvernementale la Correspondance Provinciale, a exprimé en ma présence l'avis, que rien n'autorisait à ,supposer que le Parlement et le Gouvernement se laisseraient entrainer dans une voie qui serait hostile à l'Italie dans les affaires de Rome. Le Cabinet de Berlin n'a aucun intéret, disait-il, à se lancer dans une nouvelle question européenne, et d'un autre cOté il doit ,se rendre compte qu'il importe, à lui aussi, de vivre en bons termes avec l'Italie.

Je citerai encore une autre appréciation, celle du Comte d'Arnim. En causant avec le Ministre de Belgique, il a exprimé une manière de voir tellement précise sur les affaires de Rome, que son interlocuteur en a été étonné. A moins d'une crise européenne qui amènerait une guerre générale et rendrait possible toute combinaison, il ne voyait aucune issue à la position du St. Siège vis-à-vis du Royaume d'Ualie. Ce de!rnier transfèrerait sa capitale à Rome au mois de Juillet. Personne ne lui ferait la guerre pour rendre au Pape ses Etats. Si une semblable restauration devait cependant se vérifier, à la suite d'une conflagration générale où l'ltalie aurait été entrainée, une telle restauration du pouvoir temporel serait la perte de l'Italie, qui irait en lambeaux. Son unité et la question de Rome sont connexes et solidaires.

M. d'Arnim s'est évidemment exprimé dans le meme ordre d'idées vis-à-vis du Chancelier lmpérial, puisque celui-ci le qualifiait hier devant moi d'italianissimo, tout en convenant que ce diplomate n'aurait point, par son caractère hautain, les conditions voulues pour succéder un jour au Comte Brassier, «qui se faisait très vieux ». M. d'Arnim a dit en outre qu'il ne cacherait pas son opinion à M. d'Anethan. En parlant des garanties votées par notre Chambre des Députés pour la personne du Pape, il pensait qu'il conviendrait de régler cette question par un accord international; qui établirait que le Pape, dans sa résidence à Rome comme partout ailleurs, jouirait des plus larges garanties pour l'exercice de ses fonctions spirituelles. Une formule analogue tendrait à enlever à la Papauté son caractère trop italien, pour le généraliser dans une acception vraiment catholique.

En réfléchissant sur le langage qui m'a été tenu hier par M. de Bismarck,. j'ai été moins étonné de sa réserve, à laquelle nous pouvions un peu nous attendre, que frappé de le voir, contre son habitude se retrancher derrière l'opinion publique, au lieu de se mettre à sa tete pour lui tracer la route quand elle risque de s'égarer devant les récits de la presse. Lors de l'affaire du Luxembourg, il avait pris cette meme attitude pour se délier de demi-engagements vis-à-vis de la France. Mais d'un autre còté, il est vrai, quelles que soient ses sympathies personnelles pour l'Italie, qu'il doit tenir à ne pas froisser les 13 millions de catholiques de l'Allemagne, par une manifestation publique de ces sympathies à notre endroit, surtout lorsque l'état des choses en France est tel, que l'exécution des préliminaires de paix menace de rester en suspens. Dans ces conditions, il préfère laisser la situation se développer à l'égard des affaires de Rome, et laisser à l'opinion publique tout le loisir de se dessiner. Avant la guerre, il eiìt trouvé ses convenances à nous promettre monts et merveilles; après des succès aussi foudroyants, dans le sentiment d'une fierté bien natu

relle inspirée par ces victoires qui de longtemps empecheront la France de songer à une rescousse, le Cabinet de Berlin peut désormais voler de ses propres ailes. A tort ou à raison, il conserve dans l'ame quelque dépit contre les Puissances, dont la neutralité n'a pas été aussi amicale que celle de la Russie. Il

faut ne pas avoir l'air de se préoccuper de ce dépit passager.

Mais si le Chancelier Impérial subordonne, come il le dit, sa conduite aux tendances de l'opinion dans et hors de l'enceinte du Parlement, je ne crains nullement qu'il y trouve des encouragements à une politique hostile à l'Italie. Les catholiques y sont dans une infériorité numérique (60 à 70 voix sur 382), qui ne saurait etre compensée par leur esprit, si discipliné à en juger par la vigueur avec laquelle il s'est maintenu dans les dernières périodes électorales. Pour se former un juste criterium sur le langage réservé du Chancelier Fédéral, il faut le rapprocher de celui qui m'a été rapporté par M. de Thile et des appréciations précitées de M. d'Arnim. Je me réfère également à celles du rédacteur de la Correspondance provinciale, qui reçoit le mot d'ordre du Ministère. De l'ensemble de ces détails, il est permis de conclure que les sollicitudes du Cabinet de Berlin n'iront guère au delà des garanties dues à l'indépendance du Pape, et qu'il ne sacrifiera, ni un thaler, ni un homme pour le soutien du pouvoir temporel.

Cette induction, qui constitue à mes yeux une vérité, je ne la livre nullement à titre d'encouragement pour précipiter une solution de notre cOté. Bien loin de là, je crois qu'il serait sage et généreux, de notre part, d'user d'atermoiements et de la plus .grande douceur vis-à-vis d'un Pape sans défenseurs. Personne ne saurait nous accuser de reculer par faiblesse. Nous nous concilierions les suffrages des catholiques modérés et du parti conservateur-libéral en Europe, dont les rangs se fortifieront partout, du jour où un 18 Brumaire ou un 2 Décembre rétablira l'ordre en France. Jusqu'à un nouveau conclave, il ne semblerait pas .impossible d'établir un modus vivendi qui, comme vous le dites, sans compromettre les principes, permettrait au Gouvernement Italien de mieux assurer encore les égards dus au St. Père. Ainsi que le Comte Taufkirchen le mande dans une dé~che récente, S. S. est décidée à quitter le Vaticain, le jour où Notre Auguste Souverain transporterait sa résidence à Rome.

Votre télégramme d'hier (l) ne m'est parvenu, qu'après mon entl'euve avec

M. de Bismarck. J'ai sondé le terrain auprès de M. de Thi.!le. II n'avait aucune donnée sur de prétendues démarches de quelque Gouvernement allemand à l'effet d'assurer par des arrangements internationaux l'indépendance et la liberté du Pape. Le Ministre de Bavière avait seulement demandé, dans des termes assez vagues, quelle serait l'attitude du Cabinet de Berlin dans la question de Rome. Il est vrai qu'un Comité Beige avait envoyé ici un rapport, développant l'idée d'une entente entre les différents Etats dans le but susénoncé. Mais il ne résultait pas qu'un Gouvernement allemand ou étranger ait jusqu'ici mis cette question sur le tapis. Mes Collègues de Saxe et d'Autriche n'en savaient pas davantage. Le Ministre de Belgique, le Baron Nothomb, a été plus explicite. Il ne croyait pas à cette nouvelle, et moins encore à ce que la Belgique ait promis son adhésion, car, dans ce cas, on l'aurait informé de la chose.

Il n'y a aucun péril en la demeure, à moins que nous fassions mine de vouloir trop ménager un parti chez nous, qui donnerait peut ètre volontiers la main au Comité insurrectionnel de Paris. Ce parti n'a, en Italie surtout, aucune raison d'ètre. Ses aspirations, jusqu'ici cachées sous le masque des sentiments patriotiques dont il s'attribuait le monopole, n'ont d'autre objectif que le renversement de la Monarchie, dont le maintien est cependant bien plus nécessaire à l'existence de l'Italie unifiée, que ne l'est la question de Rome capitale de fait. Il faudrait briser de plus en plus avec ce parti incorrigible, qui se dissipera comme la fumée, quand il aura la conscience que on est décidé à lui tenir tète de la manière la plus énergique. Le Gouvernement serait alors plus libre dans ses allures, et pourrait user, vis-à-vis du Pape, de tous les tempéraments compatibles avec notre indépendance nationale.

Nous eussions désiré que le Cabinet de Berlin fit quelque manifestation en notre faveur et s'expliquat mieux sur ses intentions. Quant à cela, il me semble que nous pouvons nous en tenir au passage du discours du tròne, où il est dit: «le respect que l'Allemagne réclame pour sa propre indépendance, elle l'accord elle-mème volontiers à l'indépendance des autres peuples, des faibles comme des forts. La nouvelle Allemagne, telle qu'elle est sortie de l'épreuve du feu de la présente guerre, formera une garantie certaine de la paix de l'Europe, parce qu'elle est assez forte pour s'en tenir au règlement de ses .propres affaires, qui constitue exclusivement à ses yeux sa part d'héritage, suffisante d'ailleurs pour la contenter ». On ne saurait poser plus clairement le principe de non intervention, et, dans sa réponse, le Parlement fédéral, n'affaiblira certainement pas la portée de ces déclarations.

Si l'abstention de la Puissance qui vient de fonder sa prépondérance militaire en Europe est ainsi assurée, quel danger menace encore l'Italie, envers et contre qui doit-elle prémunir son indépendance et son unité? Le danger n'est pas immédiat. Mais dans l'avenir ce danger pourrait prendre un caractère d'évidence qui ne saurait échapper qu'aux optimistes de parti-pris, qui sont pour un Etat le pire des fléaux, comme ils l'ont bien montré en France. La Papauté proteste contre le violence dont elle a été l'objet, mais c'est là une question :politique: so n non possumus lui est dicté par la conv.iction de signer, en acceptant les garanties du Royaume d'Italie, son arrèt de vasselage à une échéance plus ou moins éloignée: l'Italie, qui accorde des garanties, les retirera ou peut les retirer un jour, donc !es 'Catholiques de tous les Pays doivent 'se croiser contre elle. S'il était possible d'obtenir au moi-ns le résignation du St. Siège, l'Italie n'aurait plus d'ennemis quand mème. La France, à qui on attribue le ròle de futur vengeur de l'Eglise catholique serait paralysée. J'avoue qu'il est plus difficile de trouver le remède, que de découvrir le danger et d'imaginer des paliatifs. Peut-ètre, le St. Siège ne serait pas éloigné d'accepter une garantie qui le rassuràt mieux qu'un domaine, convoité tantòt par l'Autriche, tantòt par la France, toujours servant des intérèts peu avouables. Une garantie de toutes les Puissances, qui voudraient s'y prèter, ne serait-elle pas désirable pour l'Italie

mème, si elle devait aboutir à un résultat si rassurant? Le St. Père n'y trou

verait-il pas des avantages pour le St Siè.ge?

Il faudrait en ce cas aviser sans retard à préparer le terrain à l'intérieur

et à l'étranger, et à examiner la question <ies formes plus pratiques, au sujet

~l -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. II

nommément d'une initiative acceptable. Ce n'est pas à vous, M. le Chevalier, dont j'ai attentivement lu les discours concernant cette question si délicate, qu'il faut rappeler que le aut aut n'est pas de mise en politique: à moins que, comme ici, on n'ait préparé de longue main l'argument irréesistible des bai:onnettes, pour l'e soutenir envers et contre tous.

(l) Non pubblicato.

301

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LIMA, GARROU

D. 4. Firenze, 26 marzo 1871.

La ringrazio delle notizie politiche da V. S. trasmessemi con i rapporti

N. 37 e 38, e confidenziale, senza numero, del 26 Gennaio ultimo passato (1).

Ella ha bene interpretato il desiderio del Governo di S. M. astenendosi dal muovere passi ufficiali per lagnarsi delle manifestazioni contrarie al nostro paese, ed al nostro Governo che si producono al Perù ed al Chilì a causa dell'occupazione di Roma. Un contegno calmo ed un silenzio dignitoso valgono certamente anche a dimostrare quanto sia grande la tolleranza dell'Italia nella quistione di Roma e fuori. È cosa sommamente desiderabile che nessuna manifestazione avvenga per parte degli Italiani dimoranti in coteste repubbliche contro coloro che così acerbamente ed ingiustamente attaccano la condotta dell'Italia negli affari di Roma. Simili manifestazioni potrebbero fornire a chi ci osteggia un pretesto desiderato per dare maggior importanza e gravità alle dimostrazioni che si fanno in senso anti-italiano. Continuando a regolarsi secondo le norme di una lodevole prudenza le colonie italiane stabilite nelle repubbliche del Pacifico dimostreranno di aver cara la dignità della patria e di mettere questa al disopra della momentanea soddisfazione che potrebbe procurar loro lo entrare in lizza con un partito acciecato dal fanatismo.

Sono persuaso che V. S. ed i Vice Consoli ed agenti Consolari posti sotto la sua dipendenza sapranno far apprezzare agli Italiani più influenti di codesti paesi l'importanza di rispondere alle varie declamazioni colle prove immediate le più concludenti dello spirito di moderazione e della larga tolleranza che esser debbono un distintivo caratteristico del partito liberale e nazionale in Italia.

Che se, fra i diarii che si pubblicano in codesti paesi vi fosse alcuno che più particolarmente cercasse di mettere freno alle intemperanze del fanatismo che sembra commuovere le popolazioni, io desidererei che per mezzo di un giornale siffatto, Ella rettificasse i fatti che dagli altri periodici saranno certamente presentati sotto colori falsi od esagerati. A questo fine le farò trasmettere, quando occorra, alcune brevi note destinate appunto a far conoscere in tutta la lor verità quei fatti sui quali si può credere che la malavoglia dei partiti ostili porterà maggiormente l'attenzione dell'opinione pubblica all'Estero.

(l) I rapporti nn. 37 e 38 non sono pubblicati; il confì.denziale s. n. del 26 gennaio è pubblicato al n. 86.

302

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3606. Versailles, 26 marzo 1871, ore 9,30 (per. ore 12,35).

Le comité révoluiionnaire de Paris a annoncé h<ier dans son journal officiel la prochaine arrivée de Garibaldi comme général en .chef.

L'amiral Saisset, réussi à s'échapper du Grand Hòtel sains etre aperçu, est arrivé à Versailles. M. Thiers ne veut rien faire... avant d'avoir 100.000 soldats. Il espère les avoir avant la fin de la semaine.

303

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, R. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 11. Madrid, 26 marzo 1871 (per. il 30).

Il giorno della entrata a Madrid di S. M. la Regina di Spagna, mentre la popolazione l'accoglieva con dimostrazioni universali di rispetto e di simpatia, quel partito che vien chiamato «Moderado ), e che si compone quasi unicamente d'individui appartenenti all'aristocrazia, onde e però quel partito è detto di «Generali senza soldati), volle constatare di essere in vita e protestare a modo suo. Una ventina di Signori si affacciarono alle finestre di un Circolo al momento del passaggio del corteggio Reale e non solo rimasero tutti col cappello sul capo, ma alcuno, più fanatico, fece l'atto di calcarselo maggiormente. All'indomani tutti i membri liberali del circolo, quasi tutti i diplomatici che ne facevano parte, ed anche alcuni tra i «moderati ) che non vollero rimanere solidali di quell'azione villana, diedero le loro dimissioni. La stampa liberale fu unanime nel vituperare quella manifestazione, difesa dai giornali reazionari, ed il Tiempo, periodico Alfonsino, si accinse ad infuocare gli animi dei suoi partigiani onde perdurassero a protestare in guisa siffatta contro della nuova Dinastia. Alcune signore vollero pur esse far mostra di sentimenti Borbonici conducendosi al passeggio vestite nell'antico e tradizionale costume spagnuolo ed ostentando un gioiello in forma di giglio.

Coteste dimostrazioni reazionarie hanno violentemente esacerbata la pubblica opinione, e, se quelle dame intendono di continuare, ed alcuni signori non saluteranno le loro Maestà quando le incontrino, scene di violenza saranno per accadere.

E coteste puerili dimostrazioni, di gente che non avrebbe, all'occasione, il coraggio di atteggiarsi a più pericolosa opposizione, hanno avuto per effetto di aumentare la simpatia e l'affezione verso i Sovrani di Spagna, e sò che dei volontari della libertà (come vengono qui chiamati i militi nazionali), i quali, per opinioni repubblicane, avevano abbandonato il corpo, sono tornati sotto le armi dicendo che a fronte della reazione tutti i liberali hanno da aggrupparsi attorno al Re liberale.

Questi fatti non avrei menzionati all'E. V., se tutti, il Governo incluso, non vi avessero data una importanza che forse non meritavano, e se non servissero a provare vieppiù che, dalla parte dei sognatori di una restaurazione Alfonsina, la casa di Savoia in !spagna ha nulla da temere.

304

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. 3. Berlino, 26 marzo 1871.

J'ai été très touché et très flatté par les suffrages que vous voulez bien m'accorder pour les faibles services que j'ai pu rendre, dans ces derniers mois, par mes informations et mes prévisions. Vous m'avez rendu la tache plus facile, en m'autorisant à vous parler à cceur ouvert. Vous pouvez compter que je ne négligerai rien pour répondre à votre confiance.

Mes lettres particulières N° l et N° 2 (1), vous disent quel a été le langage assez réservé du Prince Chancelier. Puisqu'il tient à ne pas etre interpellé sur ses intentions, subordonnées à cette prétendue opinion publique qu'on invoque ou dont on fait beau jeu selon ses convenances, il m'est avis que nous ne devons pas revenir à la charge. D'ailleurs, M. de Bismarck est un peu, beaucoup, comme l'ancien Mikado du Japon. Il manceuvre de manière à se rendre aussi inabordable que possible, pour les membres du Corps diplomatique. J'ai du faire jouer bien de ressorts pour obtenir l'audience dont j'ai rendu compte. Il a fait une exception en ma faveur, et M. de Thile m'a engagé à me taire vis-à-vis de mes collègues, pour qu'ils n'invoquassent pas ce précédent. Il est entendu que, à moins d'affaires d'une grande importance, les représentants, meme des Etats de premier ordre, doivent s'adresser au Secrétaire d'Etat.

Les meilleurs rapport.s ,sont sans doute désirables entre l'Italie ·et la Prusse, devenue désormais le synonime de l'Allemagne. Vous savez que j'ai toujours poussé dans cette voie, quand la France se pavanait comme la Puissance prépondérante, et visait trop à nous le faire sentir. Il faillait l'écarter de notre route, puisqu'elle diminuait la liberté de nos allures. Je formais de vceux alors pour les victoires des troupes confédérées. J'allais plus loin, j'en exprimais la certitude, basée sur des arguments dont j'avais pu examiner et ·reconnaitre la justesse. Maintenant le danger a disparu du còté de la France, car avant qu'elle ait repris haleine, nous avons le temps de nous prémunir contre de nouvelles tentatives d'empiètement sur nos droits. Je ne vois pas non plus de péril imminent de la part du Cabinet de Berlin. Ses affaires intérieures appellent ses soins. Il faudra assimiler davantage les différents éléments de l'Allemagne, y compris l'Alsace et la Lorraine. D'ailleurs, l'occupation prolongée de la France paralysera une partie de ses forces. Il me semble que, à notre tour, nous devrions vouer avant tout nos efforts à un travail de réorganisation intérieure, sans

Il) Cfr. nn. 295 e 300.

négliger bien entendu de nous mettre en mesure de repousser, le cas échéant, des ingérences qu'une grande nation ne saurait jamais admettre. Il convient de chercher en nous mèmes les arguments de force et de sureté. Quand l'étranger se rendra mieux compte que nous avons la conscience de ce que nous valons, non seulement il s'abstiendra de nous créer des embarras, mais il se disputera notre amitié, et au besoin notre alliance. A la réserve de la Prusse, opposons la réserve de l'Italie, tout en laissant entendre que ces deux nations sont appelées à vivre en bons termes, à la condition de sauvegarder leur indépendance réciproque. Avec un caractère comme celui du Prince de Bismarck, il faut monter sur ses grandes échasses, si l'on veut le maintenir dans les bornes de la modération. Bien entendu que cette réserve ne doit pas prendre l'apparence d'une bouderie: une telle attitude n'aurait en vue que de s'abstenir de toute préférence vis-à-vis du Cabinet de Berlin, que nous traiterions sur le mème pied que les autres Grandes Puissances.

Dans le post-scriptum de votre lettre particulière, vous exprimiez le désir d'ètre renseigné sur les raisons du départ du Comte d'Arnim de Rome. C'était évidemment pour fournir des informations verbales sur les affaires de Rome, mais surtout pour recevoir des instructions relativement aux négociations du traité de paix définitif, en sa qualité de second plénipotentiaire adjoint à M. de Balan, Ministre à Bruxelles. Il ne retout'nera pas à son ancien poste. Ce n'est certes pas une disgrace, car il avait toujours manifesté le désir d'un changement. V. E. sait qu'il ne compte pas parmi nos adversaires. Il est très ambitieux et tachera probablement d'ètre transféré à Paris; il aurait quelques chances, si on est satisfait de sa mis8ion temporaire à Bruxelles. Il aurait été aussi question du Comte Brassier, mais le Prince de Bismarck le trouve trop agé. Je ne serais nullement étonné si on songeait bientot à le remplacer. En suite de quelques allusions :faites par le Chancelier Impérial, j'ai émis l'espoir, si nous devions perdre ce diplomate qui avait su se concilier beaucoup de sympathies dans notre Pays, qu'on désigm~rait à notre Cour un Ministre ayant les conditions voulues pour ètre persona grata. En passant en revue quelques noms, S. E. signalait entre autres le Comte de Hatzfeld, qui avait été attaché à sa Chancelerie durant la guerre. De mon còté, j'ai cité M. de Keudell et le Comte de Flemming, actuellement Ministre de Prusse à Carlsruhe, tout en donnant l'assurance que nous ne voulions nous mèler en rien dans un pareil choix, l'esprit de discernement du Cabinet de Berlin nous inspirant une entière confiance.

Quant au Comte de Taufkirchen, j'ai sondé le terrain auprès du Secrétaire d'Etat. Il ne résultait pas ici que ce diplomate eut tenu, soit en Italie, soit à Munich, un langage peu amicai à notre égard. S'il est catholique, il ne doit pas ètre très fervent, car, dans un de ses entretiens avec M. d'Arnim, il a tenu ce propos: « je suis catholique, mais n'en faites pas cas ». Ce propos, qui a étonné son interlocuteur, n'avait pas produit sur M. de Thile une bonne impression. Au reste en Allemagne, parmi les corréligionnaires de M. de Taufkirchen la nouvelle qu'il était chargé de gérer la Légation fédérale à Rome a été assez mal accueillie. Mieux eut valu, disent-ils, la confier à un protestant, qu'à un mauvais catholique.

J'ai cherché à vérifier auprès du Prince de Bismarck s'il avait été parlé à Versailles des affaires de Rome, entre lui et M. Jules Favre. Il l'a nié, mais en avouant que M. Thiers avait touché ce suJet dans une de ses conférences. J'ai dit à S. E. que je pouvais supposer dans quel sens. M. de Bismarck n'a pas ajouté un mot de plus. Il serait intéressant de faire constater ce fait par M. le Chevalier Nigra, et d'obtenir par cette voie quelques détails.

305

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Versailles, 26 marzo 1871.

· Permettetemi che io faccia seguito all'ultima lettera particolare che vi scrissi da Bordeaux. I gravissimi eventi che si svolgono in Francia non possono che confermare le ragioni che giustamente vi consigliano a provvedere alla nostra rappresentanza nei principali posti diplomatici ove i nostri agenti devono oramai raddoppiare di preveggenza e d'azione. So che molti, anche fra gli amici miei, avrebbero desiderato che, caduto l'Impero, io lasciassi la Francia. Se non avessi ascoltato che i desiderii miei, vi confesso che fin d'allora v'avrei pregato di proporre a S. M. di richiamarmi da Parigi. Non lo feci per le ragioni che vi scrissi da Tours, ed ora posso aggiungere che non lo feci anche per le ragioni seguenti. Lasciando da parte il cercare se durante la guerra io fossi un po' meglio d'un altro nel caso di rendere qualche servizio al Governo del Re ed anche alla Francia, in una cosa così grave ed in una posizione così penosa pel Rappresentante dell'Italia in Francia, a me non conveniva per nessun verso, con una partenza repentina, il dar a credere che io fossi anzichè l'Agente dell'Italia, l'Agente dell'Imperatore. Io serbo per l'Imperatore Napoleone e per la famiglia imperiale ora in esiglio la più sincera riconoscenza per la benevolenza speciale che l'uno e l'altra mi mostrarono costantemente. Questo sentimento io lo serberò fedelmente, e lo confesso altamente. Ma io non potevo, nè posso ammettere che l'unica ragione per cui il Re e i suoi Ministri mi affidarono per dieci anni la missione di Francia fosse il desiderio benevolo dell'Imperatore Napoleone. Io fui e sono il Rappresentante dell'Italia e non quello d'una Dinastia estera. Ora, dopo trascorsi sei mesi, e conchiusa la pace, anche questo inconveniente che sarebbe stato grave per me, disparve. Ora posso lasciar la Francia, credo, convenientemente, e colla coscienza di aver fatto, secondo le mie forze, interamente il debito mio. Vengo quindi a pregarvi, appena sia cessato lo stato di rivoluzione violenta in cui si trova Parigi e quando sia cessato ogni pericolo

(dinanzi al quale desidero che nessuno pensi che io voglia fuggire) di voler sottoporre al Re la rispettosa istanza di scaricarmi della missione affidatami. Posso affermarvi che lascio le relazioni tra il Governo del Re e il Governo francese in ottimo e .rassicurante stato. Lascio la Legazione con buona riputazione, rispettata e .stimata da tutti anche dalla men buona partt~ della nostra colonia. Vi lascio tradizioni d'ordine, di lavoro e di disciplina. La sola questione che potrebbe inimicare la Francia e l'Italia, la questione romana, non sarà sollevata per un pezzo dalla Francia, almeno in modo pericoloso. La Francia dovrà fatalmente passare per molti rivolgimenti. Alla guerra civile oramai inaugurata, succederà probabilmente una ristorazione monarchica. La fusione fra i due rami Borbonici fu più volte affermata e smentita. Ma è certo che i tentativi in questo senso procedo1;1o alacremente. L'Assemblea è per la monarchia borbonica dell'uno o dell'altro ramo. Le grandi città sono repubblicane. Le campagne, pur rimpiangendo l'Impero, accetteranno ogni Governo che mantenga l'ordine e la sicurezza. Però quale che possa essere il governo definitivo di questo paese, è certo che per due anni almeno sarà nell'impossibilità di tentare qualsiasi avventura fuori del suo territorio. Quanto al Signor Thiers non si può dubitare, dai discorsi che teneva con me e con molte persone che mi hanno ripetuto le sue parole, e fra queste .collo stesso signor Giulio Favre, che non ha per nulla l'intenzione di revocare i fatti compiuti. Io posso quindi considerare il mio compito come terminato.

Per quanto spetta alla mia posizione personale in avvenire, passo ad esporvi schiettamente i miei desiderii. Voi, per l'antica amicizia che mi portate e che vi ricambio di tutto cuore, m'avete offerto di propormi a S. M. per altre missioni, alcune delle quali sono oramai altrettanto importanti che quella di Parigi. Ve ne ringrazio sinceramente, e v'assicuro che in tale offerta, per ogni verso onorevole, non vidi e non veggo che una testimonianza d'interesse e di fiducia di cui vi sono riconoscente. V'assicuro inoltre che se avessi qualche anno di meno, se non fossi tanto affaticato di spirito e di corpo come sono, e se avessi un po' più di fiducia in me, non avrei esitato ad accettare la vostra offerta. Ma la tensione continua di mente e in mezzo agli eventi straordinarii di questi ultimi tempi, i disagi d'ogni genere d'una vita raminga da oltre sei mesi, le preoccupazioni che durante tutto il tempo della mia missione non cessarono mai, d'una responsabilità gravissima, alterarono la mia salute. Ho bisogno di riposo e d'una cura seria per quest'estate. Non posso quindi accettare una missione che non ho la convinzione d'adempiere coscienziosamente. Come vi scrissi nell'ultima mia lettera e come scrissi anche ad Artom, avevo pensato per un momento a domandarvi il posto di Madrid nell'opinione che colà il pericolo d'un <insuccesso fosse minore e men grave di ·Conseguenze. Ma, tutto ben ponderato, rinunzio anche in questa idea, e vi domando di darmi o congedo, o la disposizione, o la disponibilità, o la aspettativa secondochè giudicherete meglio conforme ai miei interessi e conciliabile coi regolamenti. Son certo che tutto ciò che i regolamenti vi permetteranno di fare per me, lo farete. Ritirandomi, senza pensione alla quale non ho ora diritto, rimango a dir vero in una posizione molto difficile. Ma se posso conservare per un anno o due lo stipendio personale, avrò tempo ed agio a tirarmi d'imbarazzo e così non sarò di peso al bilancio dello Stato e sarò lieto se pigliando definitivamente congedo dalla carriera potrò dire con qua~che ragione di non rimanere debitore del Governo. Adunque fin che dura la terribile crisi attuale ed il pericolo, non mi muovo di qui. Ma, tornate le cose nello stato più o meno normale in Francia, vi prego di sollevarmi da questo enorme peso che ho sulle braccia. Pensate intanto fin d'ora all'uomo che avrete a mandar qui, giacchè capisco che non possiate lasciare il posto di Parigi scoperto anche per soli due o tre mesi.

306

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3614. Versailles, 28 marzo 1871, ore 15,35 (per. ore 9,25 del 30).

Il me revient d'une source ordinairement bien informée que l'Autriche et la Bavière désirent réunion conférence pour les garanties à donner au pape, et les questions de propriété ecclésiastique existant à Rome. Je vous signale ce projet qui ne rencontrerait pas faveur auprès de Favre à en juger par son langage.

307

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 57. Vienna, 28 marzo 1871 (per. il 31).

Mi faccio premura di porgere all'E. V. i miei ringraziamenti per la Memo1·ia relativa a' fatti avvenuti nella Chiesa del Gesù in Roma che accompagnava la riverita circolare de' 19 corrente (1).

Quel rincrescevole incidente avendo già dato occasione a commenti a noi ostili e ad una esagerata diffidenza contro il Governo del Re, ho stimato conveniente dar lettura jeri della Memoria suespressa al Conte di Beust, il quale l'accolse con soddisfazione e mi chiese di !asciargliela per alcuni giorni, al che aderii. Sarà inoltre mia cura di far rettificare da quakhe periodico più accreditato i racconti tessuti dai malevoli, onde appaja la verità e senza che emerga la benchè menoma inspirazione della R. Legazione.

Il Cancelliere al quale domandai quale impressione avesse prodotto presso il Governo Austriaco la legge or ora votata dal Parlamento Italiano sulle guarentigie del Papa e sull'indipendenza della Chiesa, mi fece intendere che l'esame di quest'importantissimo atto era stato affidato ai Consiglieri Cattolici della Corona; che essi emettevano l'opinione che l'Italia aveva agito con fretta ed indipendenza, non avendo neanche consultato per ciò che concerne le guarentigie largite al Sommo Pontefice le Potenze interessate. Feci notare che la dichiarazione pronunziata dall'E. V. alla chiusura della discussione e contro la mozione Mordini doveva tranquillizzare gli animi e calmare i sospetti che il Governo del Re volesse sottrarsi da qualsiasi ingerenza de' Gabinetti Europei in ordine alle prerogative Pontificie; il Conte Beust riconobbe diffatti l'esattezza della mia osservazione, aggiungendomi, sapere egli inoltre, per lunga esperienza, quanto valore avessero le di Lei parole.

Nella stessa congiuntura mi palesò egli confidenzialmente che già da più giorni eragli giunto un invito dal Governo Francese allo scopo di stabilire un accordo tra i Gabinetti di Versailles, Vienna e Berlino, sull'attitudine da assumere rispetto all'Italia nella quistione Romana. Gli ultimi avvenimenti in Francia aveano naturalmente prodotto una sosta all'intesa progettata, ma in ogni modo

egli cercherebbe di eludere, per quanto da lui dipendesse, la quistione o almeno condurla per le lunghe. Senza prender la libertà di dar consigli al Governo di Firenze, mi espresse il parere che si prevenga per noi il pericolo sospeso, ma non allontanato mediante assicurazioni esplicite e positive ai tre Gabinetti maggiormente interessati.

(l) Cfr. n. 276.

308

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. S. N. Versailles, 28 marzo 1871 (per il 3 aprile).

Il corriere Anielli, giunto qui ieri, mi rimise il dispaccio di serie politica

n. 304 che l'E. V. mi fece l'onore di dirigermi il 24 corrente (l) e che si riferisce alla vertenza di Tunisi; quasi nel medesimo tempo ricevetti una lettera di S. E. il Signor Giulio Favre (in data di questa mattina) di cui trascrivo qui sotto i termini :

« Une depeche de M. Rothan reçue hier soir m'a informé que la ratification du Traité de Tunis n'avait pas été accompagnée des déclarations annoncées par

M. Visconti Venosta, bien que ces déclarations eussent été arretées avec notre Chargé d'Affaires. Je ne puis voir dans cette omission qu'un malentendu que je vous serai obligé de faire cesser le plus tòt possible. Les déclarations réciproquement acceptées sauvegardaient tous les intérets, leur suppression les alarme, et si le Cabinet de Florence la maintenait, ce serait à se demander s'il est possible de conserver la commission mixte qui repose sur la parfaite égalité des Puissances qui y ont concouru ».

Mi recai senza indugio dal Ministro degli Affari Esteri e colla scorta del dispaccio precitato dell'E. V. e del suo annesso, di cui il Signor Giulio Favre non aveva ancora ricevuto comunicazione, diedi a questo ministro le spiegazioni necessarie. Lo informai specialmente che l'E. V. aveva impartito al Signor Pinna, R. Agente a Tunisi, fin dal 24 corrente (2), l'istruzione di procedere con

S. A. il Bey alla firma d'un secondo protocollo, facente seguito al protocollo di scambio delle ratifiche, e contenente la clausola seguente, riferita nel dispaccio dell'E. V.:

« Au moment de procéder à l'échange des ratifications il est convenu entre les deux hautes parties contractantes que les attributions de la Commission financière Internationale restent intactes, et que les dispositions de l'Art. 2 du premier protocole ne portent aucune atteinte aux droits ni aux intérets des créanciers représentés par cette ,commission ».

Il Signor Giulio Favre mi rispose che la firma d'un simile protocollo rispondeva alle sue domande e che se ne dichiarava soddisfatto. Egli mi pregò d'informarne l'E. V. e d'insistere perchè la firma del protocollo stesso abbia luogo il più presto possibile.

(l) -Cfr. n. 288. (2) -Cfr. n. 290.
309

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNTSI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 213. Tunisi, 28 marzo 1871 (per. il 2 aprile).

In seguito al felice scioglimento della vertenza col Bardo ed al conseguente ristabilimento delle relazioni ufficiali sabato, 25 corrente, ha avuto luogo in questo Consolato, come pure nei Vice consolati ed Agenzie consolari dipendenti, la solennità del rialzamento della bandiera nazionale, salutata, secondo l'uso, dalla Fortezza di Tunisi (Casba) con una salva di 21 colpi di cannone.

Intervennero alla cerimonia per parte di S. A. S. il Bey i Generali di Divisione Si Keider e Bogo, il Generale di Brigata Si Fahat ed il colonnello Si Slimen, accompagnati dal Signor Conti, Interprete al Ministero degli Affari Esteri, i quali furono da me ricevuti in mezzo agli ufficiali del ·COnsolato ed alla presenza del comandante del «Castelfidardo», seguito da un brillante Stato maggiore.

Ogni ceto della colonia era rappresentato in consolato e vi erano tutte, o quasi, le persone notabili della medesima.

Non dirò dei discorsi, dei brindisi, che furono analoghi alla circostanza; non devo però tacere come il sentimento dominante nei medesimi fosse quello di riconoscenza caldissima verso il Governo del Re e segnatamente verso l'E. V. per aver saputo tutelare con tanta energìa ed efficacia i nostri interessi in questo paese.

Subito dopo il rialzamento della bandiera mi recai al Bardo cogli ufficiali del consolato, il comandante del «Castelfidardo», il suo stato maggiore ed una rappresentanza della colonia e fui ricevuto dal Bey, che protestò delle sue simpatie per l'Italia ed espresse la fiducia che i nostri futuri rapporti tornassero quali erano prima degli ultimi incidenti, diventassero anzi più intimi e cordiali. Io mi espressi nello stesso senso e spero che i comuni desiderii abbiano conferma di fatto nell'avvenire.

Profittai poi dell'occasione per presentare a S. A. il comandante Cacace

e lo stato maggiore del «Castelfidardo » pei quali il Bey ebbe pure parole cortesi

e simpatiche.

310

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 214. Tunisi, 28 marzo 1871 (per. il 2 aprile).

Appena ricevuto jeri il riverito dispaccio delli 24 andante N. 93 della presente Serie (l) ho fatto chiedere al primo Ministro del Bey una udienza che mi venne fissata per dimani mattina nella sua residenza della Manuba, ed in questa mi farò un dovere di proporre al Generale Sidi Mustafà Khasnadar di

firmare con me come faciente seguito al protocollo relativo allo scambio delle ratifiche il progetto dell'altro protocollo che andava unito al sullodato dispaccio.

Io non dubito punto che questa nostra proposta non sia per essere premurosamente accolta dal Bardo, siccome quella che secondo le intelligenze passatesi tra V. E. e i Ministri d'Inghilterra e di Francia in Firenze non solo pon fine alla questione, ma rimuove ogni causa di ulteriori complicazioni.

Nella lusinga quindi di poterle spedire quest'altro documento col prossimo corriere...

(l) Cfr. n. 290.

311

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3615. Versailles, 29 marzo 1871, ore 15,32 (per. ore 9,30 del 30).

M. Favre à qui j'ai donné connaissance de votre dépèche du 24 sur Tunis (1), se déclare satisfait par la signature du protocole supplémentaire faisant suite à celui d'échange. Il désire savoir s'il a été signé. Il m'a prié en meme temps de vous écrire pour que l'on n'empèche pas le rapatriement des garibaldiens qui se trouvent à Nice. Veuillez me dire quelles mesures je puis suggérer à l'égard.

312

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 224. Pietroburgo, 29 marzo 1871 (per. il 6 aprile).

Accuso ricevuta all'E. V. della circolare del 19 Marzo (2) e del documento

annesso che contiene precisi ed autentici ragguagli sovra i fatti intervenuti nella

Chiesa del Gesù in Roma, il 9 e il 10 corrente, del qual documento, e delle

importantissime notizie che vi si contengono, le rendo quelle grazie che so e

posso maggiori; ed avrò cura di farne al bisogno quell'uso che dalle istruzioni

dell'E. V. mi venne indicato. Accuso ricevuta altresì di 22 documenti diplomatici

litografati spediti in due volte a questa legazione.

L'ultima volta che io ebbi l'onore di abboccarmi col Principe Cancelliere,

gli feci parola delle cose di Roma, e del mal'animo recrudescente che regna fra

i preti del Vaticano contro il Governo del Re, per cui la corte Pontificia e la

setta Gesuitica fanno più che mai loro arti presso i Governi e le fazioni catto

liche d'Allemagna, a trarne possibilmente le opinioni e le forze in ajuto del

dominio temporale... Soggiunsi che l'opera conciliativa fatta dal Gabinetto di

Firenze durante il conflitto tra Francia e Germania, e l'ascolto dato ai consigli

del Ministero Imperiale di Russia, di tenersi imparziale e straniero alla lotta,

ci era tutto ciò argomento a bene sperare che i buoni ufficii della Russia non

ci sarebbero venuti meno in qualche difficile congiuntura, in cui la Politica

Italiana avrebbe potuto versare rispetto alla vertenza di Roma. Ed a richiedere tali buoni uffizi vieppiù ci rendeva solleciti il considerare i rapporti amichevoli che stringevano la Corte di Pietroburgo con quella della nuova e grande Allemagna, poichè nella massima parte quelle difficoltà e quegli eventi ai quali io accennava, erano per dipendere dal partito che il Governo dell'Imperatore Guglielmo stimerebbe di prendere quanto alla Sovranità del Pontefice di Roma, e dal conto in cui esso sarebbe per tenere le rimostranze ed i clamori dei cattolici soggetti all'Impero. Ed era da sperare, io diceva, che i suggerimenti della Corte di Russia avrebbero potuto contribuire a rendere la politica del suo potente vicino ben volta verso di noi, attese le speciali condizioni della Russia, e l'esperienza che essa avea dovuto fare delle opinioni e del contegno intrattabili del Clero già governante di Roma.

Mi rispose il Principe Gortchakow che egli avea fiducia, i Ministri del Re d'Italia avrebbero saputo uscire incolumi dai pericoli che traeva seco la vertenza col Papa, senza aver mestieri dei suoi consigli, ed in tal fiducia l'inducevano le prove di senno e di prudenza già date da quelli in molte altre occasioni: che egli punto non credeva l'Imperatore Guglielmo e il Principe di Bismarck sarebbero stati inclinevoli a favoreggiare la dominazione temporale del Pontefice, ed a molestarci per soddisfare le pretese dei Cattolici Alemanni: che per suo avviso la parte conservatrice del Parlamento Germanico, non avrebbe fatto causa comune con quella dei Cattolici propriamente detti: che per ora non poteva darmi su ciò complete e sicure informazioni, ma per quanto ei ne intendeva, il Governo di Berlino avea financo dato segno di non volere consigliar nè proteggere il divisato trasferimento della Sedia del Pontefice in qualche terra d'Alemagna: che in ogni modo egli era molto lieto di udire le espressioni di quei sensi di amicizia che in nome del Governo del Re io gli partecipava, e che non avrebbe mancato di farla pervenire all'orecchio dell'Imperatore suo Augusto Sovrano.

Leggo poi oggi, Signor Ministro, nel Giornale di Pietroburgo un paragrafo della rassegna politica che tocca dell'Italia e di Roma, a proposito del discorso della Corona Imperiale al Parlamento tedesco. La relazione che ha quello scritto colle cose dettemi dal Cancelliere Imperiale e il carattere autentico del giornale in cui fu pubblicato, il quale per mia certa notizia ne riceve istruzioni dirette, m'indussero a rivolgere sovr'esso l'attenzione dell'E. V., onde stimai opportuno di inviarglielo qui annesso (1).

(l) -Cfr. n. 288. (2) -Cfr. n. 276.
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L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO. JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 104. Belgrado, 29 marzo 1871 (per. il 4 aprile).

In un dispaccio che, son circa due anni, io ebbi l'onore di scrivere al predecessore di V. E., annunciai che il Governo Serbo desiderava incominciare l'opera sua rispetto alla Bosnia aprendo negoziati per l'unione della chiesa

ortodossa di quella provincia al seggio metropolitano di Belgrado. Oggi m1 e provato che un tentativo ebbe luogo in quell'epoca il quale recentemente fu rinnovato: e ciò all'occasione in cui il Metropolita Serbo rispondea all'invito ricevuto dal Patriarca ecumenico di prendere parte ad un concilio generale nel quale sarebbesi posta ad esame la separazione della Chiesa Bulgara. Dopo avere nella sua risposta addotti i motivi del suo dissenso, il Metropolita di Belgrado esorta il Patriarca ad esaminare se per il bene della religione non sarebbe conveniente che alle Chiese di Bosnia e della Vecchia Serbia sieno destinati Vescovi nazionali.

Ad alcuni parve strano che a Belgrado si rifiutasse la riunione del concilio ecumenico nel quale per la grande prevalenza di Vescovi Greci ed Asiatici sarebbesi deliberato a detrimento della nazione Bulgara: e ciò perchè supponesi con qualche fondamento che alla Serbia non garbi la creazione di questa nuova chiesa e di questo nuovo esarcato il quale minaccia di trarre a se in non lungo tempo le chiese delle provincie sopra le quali la Serbia vuole stendere il suo ascendente, e ciò con tanto minore difficoltà, quanto minore sarebbe l'opposizione della Porta di permettere la riunione delle chiese serbe dell'Impero al centro Bulgaro, piuttosto che ad un 'Centro posto al di fuori. Prevalse certamente la considerazione che questo stesso ascendente diminuirebbe d'assai se in un affare nel quale indirettamente toccasi ai diritti delle nazioni orientali la Serbia si schierasse fra i loro nemici. Ed a correggere l'effetto della nuova istituzione sopra i serbi dell'Impero si pigliò, per la prima volta in modo solenne a chiedere miglioramento nella loro condizione religiosa.

Ad ogni occasione appare quanto dannoso sia all'Oriente ,che nessuno fra i suoi popoli abbia moralmente il diritto o materialmente la forza d'impossessarsi senza contrasto di una vasta egemonia : tutti questi popoli, o frazioni di popoli, hanno diritti storici uguali, e nessuno sovrasta in fatto di potenza in modo di non lasciare dubbio ch'egli possa e voglia condurre ad indipendenza ed unità gli altri più deboli. L'istituzione della Chiesa nazionale Bulgara dee, in ogni caso, essere considerata come un fatto che reca grave danno e minaccia alla missione che a se prefigge la Serbia sulle provincie serbe dell'Impero Ottomano.

(l) Non si pu·bblica.

314

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

T. 1631. Firenze, 30 marzo 1871, ore 15,10.

On m'assure confidentiellement que l'Autriche et la Bavière ont l'intention de proposer la réunion d'une conférence qui traiterait des garanties à donner au Pape et de la question des propriétes ecclésiastiques à Rome. Jules Favre ne serait pas favorable à ce projet. Je vous écris longuement à ce sujet et je vous enverrai un courrier demain. Mais il me semble utile que vous tachiez de mettre en garde immédiatement lord Granville et M. Gladstone contre ces tentatives qui pourraient devenir très dangereuses à l'unité nationale.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

(AVV) (l)

L. P. Firenze, 30 marzo 1871.

Le ho telegrafato ieri (2) che da una fonte attendibile mi si riferiva che la Baviera e l'Austria ponevano innanzi il progetto di una Conferenza per le guarentigie a darsi al Papa e per le proprietà ecclesiastiche in Roma. Qualche consimile informazione m'era giunta alcuni giorni sono, d'altra parte; si trattava di un progetto abbastanza vago di impegni internazionali, progetto posto innanzi dalla Baviera, fatto conoscere a Berlino e, pel quale, s'era tastato il terreno a Vienna ed anche a Bruxelles.

Il Conte de Launay che incaricai di verificare a Berlino quale fondamento avessero queste voci, mi rispose credere non vi fosse altro se non un passo fatto dalla Baviera presso il Gabinetto di Berlino per conoscere che cosa questo pensasse degli affari di Roma. Ad ogni modo, certo queste voci devono essere giunte anche al Governo inglese il quale deve avere qualche informazione più o meno ufficiale in proposito.

Parmi dunque utile, dopo il mio telegramma d'jeri, di spedirle oggi un corriere perchè gioverà ch'Ella abbia in proposito qualche conversazione con Lord Granville e col Signor Gladstone, nè io voglio tardare a indicarle in quale ordine di comunicazioni converrà ch'Ella si mantenga col Governo inglese per quanto concerne la quistione di Roma e, in genere, la situazione internazionale dell'Italia, dopo la guerra.

Io non dubito delle simpatie del Governo inglese per l'Italia e credo anche che la condotta tenuta da noi in quest'ultimo periodo, attraverso il quale è passata l'Europa, ha dovuto essere apprezzata dal Governo inglese e mostrargli che queste simpatie erano anche fondate sui veri interessi della sua politica e sugli interessi generali d'Europa. L'Italia non ha mancato a quella promessa in nome della quale essa ebbe l'appoggio inglese nell'opera della sua ricostruzione nazionale. Essa ha mostrato che, col diventare uno stato indipendente, era anche diventata una Potenza pacifica e conservatrice in Europa, un nuovo e considerevole elemento in favore dell'equilibrio e della tranquillità del continente. Al sorgere delle più importanti questioni si è mostrato chiaramente che se vi sono due Stati che non abbiano alcun interesse in conflitto, i cui interessi anzi concordano, in tutti i grandi problemi della politica generale, questi sono l'Inghilterra e l'Italia. Le memorie del periodo fortunoso dal quale siamo usciti e le previsioni del periodo pure difficile nel quale l'Europa sta per entrare sono tali, io spero, da convincere sempre più il Gabinetto della Regina che la sicurezza e la tranquillità dell'Italia sono un grande interesse inglese sul continente. Noi facciamo dunque assegnamento sull'amicizia dell'Inghilterra la quale, ora più che mai, è interessata a dimostrare che le sue simpatie sono una forza efficace

sulla quale la politica italiana può contare nei calcoli e nelle previsioni dell'avvenire.

L'Italia non ha potuto sfuggire a quella situazione che è, in ogni caso, la conseguenza d'una politica di neutralità. Mentre la Germania, orgogliosa delle sue grandi vittorie, non ci può saper grado d'una neutralità ch'essa crede in parte dovuta al timore inspirato da' suoi successi militari, la Francia ci serba, almeno nell'opinione del paese, un profondo rancore perchè le abbiamo negato un concorso sul quale essa credeva di avere il diritto di contare. L'attuale anarchia produrrà in Francia una profonda reazione e probabilmente porterà, presto o tardi, al potere gli elementi i più conservatori e quindi anche i meno amici all'Italia. Di più al cessare della guerra, noi ci troviamo irrevocabilmente impegnati in una questione che è, per noi, d'esistenza nazionale, sulla questione romana che ha molti e delicati rapporti internazionali, e che solleva, soprattutto in Francia, tanta ostilità contro di noi, specialmente in quelle influenze politiche a cui gli avvenimenti daranno forse la preponderanza. La grande agitazione cattolica sollevata dovunque preoccupa, nello stesso tempo, tutti i governi che devono tener conto delle difficoltà interne ad essi create da queste agitazioni.

In questo stato di cose, l'azione morale tanto considerevole che è in facoltà dell'Inghilterra di esercitare può riuscire assai utile all'Italia. Ed è a questa azione morale e alla fiducia che abbiamo nel Governo inglese, ch'Ella deve, in ogni circostanza fare appello.

È in un interesse comune, che il Governo britannico è meglio in grado di ogni altro d'apprezzare, che la questione romana non dia luogo a violenti complicazioni o, se queste non possono essere immediate, non si ponga per una via a capo della quale queste complicazioni potrebbero trovarsi. Esse non potrebbero avere che le più funeste conseguenze, esse non gioverebbero al Papato a meno che con una guerra di religione e di nazionalità non si volesse passare sul corpo dell'Italia per restaurare il potere temporale, ma desterebbero in Italia le agitazioni interne da cui cercherebbero di trarre partito le fazioni estreme e la rivoluzione. Checchè si possa dire della politica che condusse l'Italia a cogliere un'occasione, forse unica e che non si sarebbe più presentata, per sciogliere la quistione romana, non può negarsi che se questa occasione ha posto l'Italia in una situazione internazionale difficile, ha però reso sicura e tranquilla la nostra condizione interna. I partiti estremi furono disarmati d'ogni mezzo di agitazione, le elezioni riuscirono governative e conservatrici, il paese è sordo ad ogni eccitamento che venga dal di fuori, il Governo è padrone della situazione, e l'Italia non domanda altro che di poter attendere, in un sentimento di sicurezza, al suo pacifico progresso. È d'uopo chiedersi se tale sarebbe la condizione delle cose se il sentimento nazionale non fosse soddisfatto in modo definitivo, se la quistione di Roma rimanesse insoluta, come una parola d'ordine per la rivoluzione, o se ci fossimo fermati ad una soluzione intermedia che non avrebbe diminuito le ostilità della Corte Pontificia e che sarebbe diventata un nuovo obbiettivo d'agitazione politica.

Invece d'essere ora uno dei paesi più calmi e tranquilli d'Europa, quali

sarebbero le nostre condizioni, se colla rivoluzione in Francia, Roma fosse un

campo aperto ai Garibaldini?

Com'era naturale, appena conclusa la pace, mi sono affrettato ad avere delle comunicazioni sugli affari di Roma col Governo Prussiano e col Governo Francese. Senza nascondere gli inconvenienti che poterono verificarsi e le difficoltà inerenti a un sì profondo mutamento di cose, soprattutto quand'esso si effettua in presenza del Principe spodestato, esposi qual'era a nostro avviso una delle ragioni che costituiva una parte considerevole di queste difficoltà. Colla pace si erano ravvivate le speranze del Vaticano. Il partito estremo che ora consiglia e domina il Papa non chiede che una cosa sola, la restaurazione del potere temporale col mezzo della guerra fatta all'Italia. Da ,questo punto di vista, esso ha interesse a adoperarsi in modo che la situazione sia più tesa e violenta che mai, a rendere impossibile ogni minimo temperamento, a spingere le cose all'estremo. Mentre dunque noi troviamo naturale che si raccomandi all'Italia una moderazione della quale sento quant'altri mai la necessità, sarebbe stato un vantaggio per tutti se i Governi, pur dimostrando al Pontefice ogni sollecitudine per quanto tocca la sua indipendenza, la sua sicurezza, il suo decoro, gli avessero però fatto sentire, al tempo stesso, ch'egli non contasse in una restaurazione-del potere temporale col mezzo degli interventi militari. Tolta ogni illusione a questo riguardo, dichiarato che nessun governo è ora disposto a fare la guerra all'Italia pel potere temporale, la Corte di Roma avrebbe sentito l'opportunità, non già d'un'adesione o di un accordo formale, ma di mostrarsi un po' più conciliante e disposta a que' temperamenti che non compromettono alcun principio ma che potevano essere suggeriti dall'interesse stesso della religione e potevano rendere più facile allo stesso Governo italiano di avere verso il Pontefice tutti quei riguardi ai quali desideriamo non mancare. Il prestigio del partito fanatico, che ora domina al Vaticano, vive in gran parte sulla speranza d'una restaurazione. Se il linguaggio dei Governi togliesse esplicitamente di mezzo questa illusione, quel partito che pure esiste in Roma, anzi va aumentando fra alcuni cardinali e fra i prelati, partito che si preoccupa più degli interessi religiosi che degli interessi politici, prenderebbe autorità per farsi innanzi e dimostrare come i consigli seguiti finora se non produssero pel passato che pericoli e danni pel Papato, così non potrebbero nell'avvenire dare altro frutto. Col Papa attuale non è possibile il trattare, vi possono solo essere dei temperamenti di fatto, una situazione alquanto addolcita nelle sue asprezze. Ma l'età di Pio IX lascia supporre una non lontana vacanza della Sede Pontificia. Un nuovo Papa sorto in altre circostanze potrebbe più facilmente accomodarsi con esse e così, colla moderazione e col tempo, giungerà il momento in cui potrà dirsi interamente scongiurata la crisi ,cagionata dalla caduta del Potere Temporale.

Ciò che chiedeva dunque era che, a Roma, si togliesse qualunque ambiguità e si separasse nettamente la sollecitudine pel Pontefice dall'idea di conflitti e di restaurazioni impossibili.

Le communicazioni che avemmo in proposito col Governo Francese furono piuttosto soddisfacenti. È vero che chi può fare un sicuro presagio colla situaz1one politica che si andrà sviluppando in Francia, sul suo Governo sul suo avvenire? Il Signor Thiers, pure mostrandosi preoccupato della situazione del Pontefice e raccomandandoci d'avere ogni specie di ménagement pel sentimento cattolico, mostrò di comprendere che oramai era impossibile di ritornare al Potere temporale. Il Signor G. Favre andò anche oltre ed Ella vedrà dal dispaccio che qui le unisco in copia la communicazione, ,confidenziale però, che ci fu fatta dal rappresentante francese a Firenze (1).

Il Principe di Bismarck si mostrò alquanto riservato nel suo linguaggio col Conte de Launay, disse che doveva avere dei riguardi pei cattolici tedeschi, ma non credo che la politica della Germania, or ora uscita da una lotta per la sua indipendenza ed unità, voglia prendere un'attitudine minacciosa verso l'Italia per la questione romana.

Malgrado tutto questo è d'uopo stare sull'avviso, la nostra diplomazia deve impedire per quanto è possibile che ci si ordiscano, dietro le spalle, degli intrighi, che si stabiliscano, a nostra insaputa, degli accordi il cui risultato potrebbe andare oltre le primitive intenzioni e crearci una situazione pericolosa all'estero ed all'interno.

Nigra mi telegrafò (2) essergli stato detto che la Baviera e l'Austria ponevano innanzi il progetto d'una conferenza, che il Signor Favre, almeno dal suo linguaggio, appariva poco propenso a questi progetti. L'Incaricato nost:vo di affari a Vienna mi riferisce avergli il Conte di Beust detto confidenzialmente che da più giorni eragli giunto un invito del Governo Francese allo scopo di stabilire un accordo fra i Gabinetti di Versailles, Vienna e Berlino, sull'attitudine da assumere rispetto all'Italia sulla quistione romana, che gli avvenimenti di Parigi avevano prodotto una sosta su questi progetti.

Io La prego di intrattenersi su questo argomento con Lord Granville e di ritornarvi quando l'avesse già fatto dopo ricevuto il mio telegramma d'jeri. Cerchi di sapere quali informazioni abbia Lord Granville e quale sia il suo avviso.

Questi progetti vaghi di conferenze e di accordi possono essere un primo passo su un pendio pericoloso. È impossibile ora che si pongano innanzi anche i primi elementi di combinazioni diplomatiche su una così grave quistione escludendone l'Inghilterra o senza che l'Inghilterra faccia udire il suo consiglio.

Il Governo inglese ci può rendere un grande servizio dissuadendo e prevenendo delle combinazioni in cui può esservi il germe di gravi complicazioni. I suoi consigli avranno un gran peso ovunque e soprattutto, nelle circostanze attuali, a Vienna e a Versailles.

Nessun Governo, più del Governo inglese, si è mostrato, in ogni occasione, contrario a progetti di Conferenze radunate con un programma vago e senza basi ben determinate e precise. Esso ha dunque mostrato i pericoli di quelle riunioni diplomatiche nelle quali i Governi entrano con viste discordanti, senza la possibilità di un accordo prestabilito e che servono ad accrescere le difficoltà piuttosto che a scioglierle.

Prima che si parli in modo concreto o di Conferenze o anche solo di accordi su un'attitudine comune di alcuni Governi verso l'Italia nella quistione romana il Governo inglese può chiedere che gli si dicano quali sono lo scopo, le basi, le proposte pratiche e positive che devono essere l'oggetto di questo accordo. È evidente che l'Italia non può e non deve transigere su quanto tocca la quistione nazionale. Se l'intendimento di questi accordi è di ricostituire in un modo o nell'altro, una foggia qualunque di governo temporale, di revocare in dubbio il plebiscito o il voto del parlamento italiano che proclamò Roma capitale, di porre

22 -Documenti di:>lomatici -Serie II -Vol. II

degli ostacoli a che l'Italia vi porti effettivamente la sede del suo governo, questo intendimento non potrebbe attenersi che facendo la guerra all'Italia che si difenderebbe con ogni sua forza, che agendo direttamente nel senso di distruggere l'unità italiana. In questo caso l'Inghilterra potrebbe dichiarare che l'esistenza dell'Italia come stato indipendente costituisce uno degli interessi della sua politica. Che se questi Governi sono pronti a porre come punto di partenza l'esplicita sanzione dei fatti compiutisi in Italia e la trasformazione di Roma in Capitale del Regno d'Italia, allora sarebbe da esaminarsi se una Conferenza, o un'azione diplomatica collettiva verso l'Italia sarebbe il mezzo più opportuno per raggiungere lo scopo che essi si propongono.

Trattandosi delle sole guarentigie per l'indipendenza spirituale del Pontefice, sarebbe, in primo luogo, opportuno di attendere che l'Italia faccia conoscere le guarentigie che essa offre al Papa per legge dello Stato, appena questa legge sia sancita dai due rami del Parlamento.

Quando la legge sia votata, e sarà prima della fine di Aprile, noi potremo farla conoscere perchè i Governi ne prendano atto. Una Conferenza a questo scopo mi parrebbe inutile, anzi pericolosa se si considera che è difficile misurare le proposte che possono prodursi in una Conferenza, e quando si pensi all'agitazione cattolica che si desterebbe intorno ad essa.

Ella ben comprende, senza che sia d'uopo che Le ne spieghi la ragione, ch'io preferirei il sistema delle adesioni separate alla adesione collettiva e che se vi dovessero essere de' negoziati, preferirei in ogni modo attendere che fossimo già stabiliti definitivamente in Roma.

Questa lettera è già troppo lunga e l'argomento darà luogo a ulteriori spiegazioni. Ciò di cui La prego è di mantenersi in una assidua comunicazione col Governo inglese per quanto riguarda lo svolgersi della situazione internazionale per gli affari di Roma. Il Governo inglese ci può rendere un grande servizio sconsigliando gli altri Governi dal creare complicazioni pericolose per l'Italia e concorrendo con noi a stornarle. Egli ci troverà del resto disposti a tener conto sempre delle legittime esigenze degli altri, così per quanto riguarda la condizione del Pontefice, come l'argomento delle proprietà ecclesiastiche straniere in Roma. Noi siamo disposti ad esaminare quest'ultima quistione con equità e con larghezza e La prego di farmi conoscere, in proposito, l'opinione tanto di Lord Granville come quella del Signor Gladstone.

(l) -Di questa lettera esiste in ASME una copia con qualche variante. (2) -Recte lo stesso giorno 30, cfr. n. 314. (l) -Non pubblicato; per il contenuto del dispaccio cfr. n. 289. (2) -Cfr. n. 306.
316

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. S. N. Versailles, 30 marzo 1871 (per il 4 aprile).

S. E. il Signor Giulio Favre m'annunziò ieri che il Governo francese aveva l'intenzione di accreditare presso S. M. il Re, come Inviato Straordinario e Ministro Plenipotenziario il Conte Orazio di Choiseul, e mi pregò di fargli sapere se questa scelta non incontrasse ostacoli presso S. M. e il suo Governo. Ebbi cura d'informare l'E. V. per telegrafo, di questa comunicazione (l) e di doman

dare le di Lei istruzioni al riguardo. Il Conte Orazio de Choiseul fu deputato

al corpo legislativo ed è ora membro dell'Assemblea nazionale; egli gode fama

d'uomo intelligente e liberale; non ha nessuna tinta di clericalismo; ha relazioni

di parentela in Italia e vi è quindi abbastanza conosciuto. Questa scelta è qui

generalmente approvata e considerata come buona nel duplice interesse del

l'Italia e della Francia.

In via ufficiosa, il Signor Giulio Favre m'informò pure che il Governo fran

cese aveva designato il Conte di Harcourt come ambasciatore di Francia a Roma.

Il Conte d'Harcourt è figlio del Duca d'Harcourt già ambasciatore a Roma; egli

era segretario di Legazione all'epoca del colpo di Stato, e diede a questa occa

sione, le sue dimissioni.

Il Signor Giulio Favre mi disse che il Conte d'Harcourt era uomo di tem

peramento moderato e che non dubitava che avrebbe eseguito, senza oltrepas

sarle, le istruzioni che il Governo gli avrebbe impartito.

Il Conte d'Harcourt non ha riputazione di clericale.

317

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. S. N. Versailles, 30 marzo 1871 (per. il 6 aprile).

Per mezzo del corriere Anielli ho ricevuto il dispaccio di serie politica

n. 306 che l'E. V. mi fece l'onore di dirigermi il 2,4 ·corrente (2) e che si riferisce ad una comunicazione fattale dnl ministro di Francia a Firenze intorno alla questione Pontificia. Ringrazio l'E. V. di quest'importante documento.

Avendo avuto ieri l'occasione d'intrattenermi con S. E. il Signor Giulio Favre, gli esposi il contenuto di questo dispaccio e le considerazioni in esso svolte dall'E. V. Il Signor Giulio Favre, dopo avermi ascoltato, mi disse che le sue personali convinzioni non possono che concordare coi principi e colle deduzioni che l'E. V. m'aveva incaricato d'esprimergli, pigliando argomento dalla comunicazione fattale dal Signor Rothan; ma che, parlando a nome dell'intero Governo francese nel dispaccio diretto al ministro di Francia a Firenze, egli non s'era pronunziato sulla questione di principio ma soltanto sulla questione di fatto.

Il ministro degli affari esteri, spiegando meglio il suo pensiero, mi disse che l'attuale Governo francese non ha l'intenzione di entrare in un esame di principi rispetto alla questione del potere temporale, ma che, in presenza del fatto compiuto, e nelle condizioni speciali in cui si trova lo stesso Governo francese, questi si limita a dichiarare che non intende impegnare la sua azione o la sua influenza pel ristabilimento del potere temporale del Sommo Pontefice, ed avrà cura di non far nascere e di non incoraggiare, per parte sua, al Vaticano alcuna illusione

.m questo punto; che anzi si studierà di scoraggiare ogni illusione di questo genere, dirigendo unicamente la sua sollecitudine sulle guarentigie da stabilirsi in favore del Sommo Pontefice pel pieno, libero e dignitoso esercizio delle sue supreme funzioni spirituali.

Ho ripetuto quasi testualmente le parole del Signor Giulio Favre, perchè in materia così importante e delicata è necessaria la più scrupolosa esattezza.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 289.
318

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 271. Bucarest, 30 marzo 1871.

Dei capitali italiani potendosi trovare impegnati nelle ferrovie rumene credo prezzo dell'opera di dare al Governo al Re un breve cenno della quistione ferroviaria che ha preso delle gravi proporzioni.

Nel 1868 il Governo dei Principati concesse al prezzo di 270 mila franchi il kilometro una linea ferrata di 908 kilometri ripartiti nel modo seguente. 1° Roman-Galatz col tronco Temin-Berlad. 2° Galatz-Bukarest per Braila, Bugeo, Ploiesti. 3° Bukarest-Turno Severino per Pitesti, Slatina, Craiova.

Il PI~incipe Hohenlohe, il Duca d'Ujest, il Duca di Ratibor ed altri rappresentati dal Dr. Strousberg suddi•to prussiano ne furono i concessionari.

Le obbligazioni rappresentanti il valore di queste ferrovie in 245.168.000 franchi e fruttanti l'interesse del 7 % vennero garantite dal Governo, e rimesse allo Strousberg sotto il controllo del Signor Ambron, Commissario rumeno residente a Berlino, anche egli suddito prussiano.

Le obbligazioni furono piazzate; il denaro fu depositato nella « Bank des Berliner Cassenvereins » ed i lavori furono eseguiti senza che le spese venissero controllate dal Governo, il quale non ricevette durante il primo anno alcuna comunicazione in proposito dal suo Commissario.

Giustamente allarmato il Governo Principesco spedì a Berlino con incarico di rivedere i conti il Deputato Vacaresco, il quale trovò che fino al 1° Agosto 1870 furono sborsati per lavori, materiali ed interessi franchi 188.607.921; ma ebbe a verificare che i rimanenti franchi 56.552.078 che rappresentavano in effettivo la somma di franchi 37.33,2.372 non •erano più nella suddetta Banca. Il Signor Ambron aveva creduto poter autorizzare il Signor Strousberg a ritirare codesta somma per affidarla al Banchiere Berlinese Signor Jacques, mediante un atto che stipulava sarebbe essa trasformata in azioni di ferrovie russe. Sopravvenuta la guerra, codeste azioni estere perdettero ogni valore, e Strousberg le rimpiazzò con delle ipoteche abbastanza problematiche.

Al l o Gennaio ultimo Strousberg sospese il pagamento degli interessi, motivando questa sospensione sulla circostanza che talune difficoltà erano sorte tra lui ed il Governo rumeno circa la consegna delle ferrovie che egli diceva ultimate e che di fatto nol sono.

Lasciando da banda codesta parte della quistione, ciò che pel momento urge è di sapere chi, se i coneessionari o il Governo Rumeno, debba corrispon

dere gli interessi delle obbligazioni emesse. L'articolo settimo dell'atto di concessione prescrive che « dans la somme de

270.000 francs sont compris tous les frais d'achat de terrain, ainsi que le prix du matériel d'exploitation et les intérets du fond de la cons~ruction durant tout le tems de la construction des lignes ». E questa clausola si trova scritta anche sulle stesse obbligazioni.

L'art. 10 poi stipula che « les concessionaires peuvent vendre toutes les obligations, une fois les plans a.pprouvés par le Gouvernement. Néanmoins ils ne peuvent disposer des sommes encaissées qu'après avoir ob:enu des certificats émanant de l'ingénieur en chef de la compagnie, et revetus de l'approvation du Gouvernement, les quels certificats constateront l'état des travaux et la quantité ainsi que la nature du matériel apporté. Jusque là, les sommes encaissées doivent ètre déposées dans une grande institution de banque ».

Su i precedenti due articoli il Governo Rumeno si fonda per chiamare in giudizio i Concessionari, ed obbligarli non solo al pagamento degli interessi ma a depositare i 37 milioni che non furono più trovati nella « Bank des Berliner Cassenvereins ».

Ma i detentori delle obbligazioni, in massima parte austriaci, inglesi e prussiani, non vogliono saper di codesti conflitti tra il Governo Rumeno ed i Concessionari.

Essi si rivolgono al primo e dicono che le obbligazioni messe in circolazione fin dal 1868, rivestite della firma di un Commissario principesco, portano le seguenti dichiarazioni: «Le paiement exact et intégral des intérets est garanti par le Gouvernement Roumain » e più sotto: « Le Gouvernement Roumain garantit au porteur de ce titre de chemin de fer un intérèt annue! de sept et demi pour cent. Cette garantie commencera dès l'emission des obligations, et continue invariablement pendant toute la durée de la concession ».

In questo stato di cose una discussione delle più violente ebbe luogo nei passati giorni alla Camera, discussione che offrì agli antidinastici il pretesto di versare con. aperte parole sul Princi'Pe Regnante la responsabilità di una Concessione che fu approvata dai due rami del Parlamento.

Stimo superfluo di riassumere questi sbrigliati dibattimenti, durante i quali non una voce autorevole e calma seppe farsi intendere per trattare con serietà una quistione di tanto momento. Dirò solo che la proposizione presentata di mettere in istato di accusa i 24 Ministri che si succedettero dal giorno del voto della Concessione fu mandata agli uffici, ove giace tuttora senza che nessuno avesse avuto coscienza dell'assurdità di una tale misura.

Gli Agenti di Austria, d'Inghilterra e di Prussia hanno intanto ricevuto ordini di proteggere gli interessi dei capitali austriaci, inglesi e prussiani impegnati nell'intrapresa delle ferrovie rumene e chiederanno che il Governo Principesco riconosca il diritto che i detentori delle obbligazioni hanno di essere rimborsati delle somme loro dovute in virtù della garanzia accordata dal Governo Principesco.

P. S. Della quistione Strousberg esposta disopra avrei dovuto trattare in un rapporto commerciale. Ma per l'affinità che essa ha con la politica generale del paese, ho preferito sottometterla a V. E. con un rapporto di Serie Politica. Continuerò a far lo stesso per lo sviluppo ulteriore della vertenza.

La Divisione Politica del Ministero vedrà poi, e vorrà essere cortese d'informarmene, se è o pur no opportuno di far dare copia della mia corrispondenza alla Divisione Commerciale, ovvero se si debba addirittura esporre le altre fasi della vertenza in rapporti di Serie Commerciale.

319

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. RISERVATISSIMA. Berlino, 30 marzo 1871.

Le 22 Mars, au dìner pour la fete de l'Empereur-Roi, le Prince de Bismarck eut avec le Ministre de Turquie un entretien, qu'il me parait intéressant à plus d'un titre de rapporter très confidentiellement à V. E.

M. de Bismarck a dit que, depuis plusieurs jours, le Prince Antoine de Hohenzollern désirait conférer avec lui, sur le meilleur parti à prendre dans l'intéret de son fils, transplanté par les événements à Bukarest, mais que, avant d'aborder un sujet aussi délicat, S. E. tenait à entendre Aristarchi-Bey, dont l'opinion avait une valeur à ses yeux... «Le Prince de Roumanie doit-il rester ou partir? ».

A cette interpellation, Aristarchi-Bey répondit que, à son tour, il chercherait à justifier par sa franchise la confiance qui lui était témoignée. Sans instructions de son Gouvernement, il ne pouvait exprimer qu'un avis personnel, mais il était convaincu que son interlocuteur avait déjà une opinion parfaitement arretée en lui faisant une semblable question. Lors meme que le Prince Charles de Hohenzollern, en maintes circonstances, n'eut pas montré le tact et la déférence voulue, vis-à-vis de l'Autorité Suzeraine, et qu'il fut regrettable que S. A. n'eut pas suivi le sage conseil qui lui avait été donné de Berlin, touchant la formation d'un petit corps de troupes, dont la discipline et le dévouement eussent été la meilleure sauve-garde pour la conservation de l'ordre, cependant, Aristarchi-Bey croyait que la Sublime Porte visait au maintien du status quo, pour autant qu'il ne présenterait pas de dangers pour la Turquie. Qu'arriverait-il, en effet, si le Prince abandonnait la partie? L'établissement à Bukarest d'une république rouge, taillée sur le meme pa'tron qu'à Paris. ·La Porte ne pourrait tolérer un tel état de choses, pas plus que les autres voisins de la Roumanie. Une autre conséquence de l'éloignement du Prince, serait celle d'amener nouvellement la séparation des deux Principautés. A cet égard, la Porte devrait aussi aviser.

Le Prince de Bismarck fit l'observation plaisante que, après avoir passé sa vie à faire la guerre aux petits Princes, son Souverain, par un étrange caprice du sort venait de l'associer à leur rang. Il déclara partager l'opinion d'AristarchiBey, sur la convenance que le Prince Charles essayat encore de tenir tete à

l'orage. S. E. trouvait l'Autriche « très bete», de s'associer à la polibique hostile de la Russie contre le Prince Charles, politique qu'il comprenait mieux de la part de la Russie. Il importait au contraire à l'Autriche de voir ce Pays se consolider et s'unifier, dans un but d'équilibre dans ces parages. Mais S. E. engageait la Turquie, si l'éventualité se présentait d'un départ volontaire ou forcé du Prince de Roumanie, de ne point aller de l'avant, sans avoir bien préparé le terrain.

Aristarchi-Bey demanda alors si la Turquie pourrait compter sur l'appui de l'Allemagne. «Oui, mais je vous supplie de tenir compte des grands ménagements que nous devons à la Russie, qui a été notre meilleure arnie pendant la guerre».

La conversation fut interrompue à ce point, et le Ministre de Turquie se garda bien de la reprendre, car le terrain lui semblait bien glissant, pour ne pas dire compromettant.

J'ai engagé ma parole vis-à-vis d'Aristarchi de ne faire aucun usage officiel de ces détails, qu'il n'a confiés qu'à moi et à son Gouvernement. Je ne les communique donc qu'en voie particulière, et sous le sceau du secret, à V. E. Elle y trouvera quelques jalons pour mieux se diriger au milieu des événements qui ne tarderont pas de se produire sur cette question, où tant d'intérets rivaux sont engagés.

En attendant, la Turquie, malgré ou plutòt à cause meme de la solution donnée à la question de la Mer Noire, accumule un matériel considérable de guerre. Une commande de 250 canons avait déjà été faite à la Fabrique de Krupp, à Essen. Malgré la défense générale d'exportation des armes durant la guerre entre la France et l'Allemagne, une exception avait été obtenue pour la Turquie, et n'avait pas été retirée, meme après la dénonciation partielle faite par la Russie du traité de 1856. Des nouvelles commandes ont eu lieu chez Krupp, lesquelles atteignent le chiffre de 600 canons, de différents calibres, se chargeant par la culasse. Peut-etre la Porte obéit trop aux préjugés qui la portent à des armements excessifs, dont le seui résultat jusqu'ici a été d'épuiser les ressources du Pays.

Il est parfaitement exact que le Cabinet de Vienne a offert son concours, pour des démarches éventuelles à l'effet de protéger les ressortissants allemands dans les Principautés, offre qui a été acceptée par le Cabinet de Berlin. A l'égard de l'incident survenu à Bukarest, le Gouvernement Prussien a gardé jusqu'à présent la plus grande réserve, et, chose qui a été remarquée ici non sans quelque surprise, après tous les services rendus par la Prusse à laquelle la Russie est redevable pour la convocation de la Conférence de Londre, le Prince Gortchakoff n'en a pas fait remercier officiellement le Prince de Bismarck. Tout s'est borné à des remerciements directs du Tsar à l'Empereur et Roi.

On prétend ici que la Russie, si la situation se complique davantage en Roumanie, aurait l'intention de proposer la réunion d'une conférence. Je doute que cette fois la Prusse se montre aussi empressée d'attacher le grelot.

V. E. aura vu par les télégrammes que les Chambres auraient été dissoutes à Bukarest. Cet acte de vigueur indiquerait que le Prince de Roumanie aurait écouté le conseil de ne pas lacher pied, avant d'avoir fait des nouvelles tentatives pour surmonter les graves embarras de sa situation.

320

IL CONTE KULCZYCKI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

(AVV)

L. P. Roma, 30 marzo 1871.

A peine de retour à Rome j'ai vu le Père Theiner et Monseigneur Bellà. Ils me chargent tous les deux de transmettre d'avance à V. E. l'expression de leur vive reconnaissance.

Le Père Theiner désirerait avoir avec V. E., pendant son séjour à Rome, un entretien confidentiel et voudrait etre averti de sa présence dans la ville éternelle ainsi que du jour où Elle pourra le recevoir. Il doit faire à V. E. une communication relative à l'ordre des Jésuites.

Monseigneur Bellà se chargera de hàter la sortie du Saint Père du Vatican en agissant sur Sa Saintété par l'intermédiaire de son médecin, suivant l'heureuse idée suggérée par M. de Tkalac. Il se trouve que Monseigneur Bellà est l'ami personnel du Docteur Viale-Prelà aussi bien que du docteur Costantini, l'un médecin ordinaire, l'autre chirurgien du Pape. Je lui ai fait connaitre les offres que le Gouvernement italien serait pret à faire au Souverain Pontife au cas où il se déciderait à paraitre dans les rues de Rome, et j'ai trouvé ce prélat admirablement disposé à nous seconder si ses intérets sont pris en considération, c'est à dire si on lui liquide sa petite pension avec les arrérages de 15 mille fr. dont il est question dans sa supplique à S. M. le Roi. Monseigneur Bellà est toujours décidé à se rendre à Florence dès qu'il aura touché sa pension ou qu'il sera siìr de la toucher. Il y aura un entretien ·confidentiel avec

V. E. et se mettra à sa disposition pour des choses très importantes, qu'il s"engage à exécuter fidèlement les charges que l'ancien délégat de Pérouse et de Pesaro a éxercées sous le gouvernement pontificai, la réputation d'honorabilité dont il a constamment joui et mes intimes rélations avec lui depuis dix ans, me sont une garantie qu'il tiendra parole et que le Gouvernement italien aura en lui un coopérateur aussi intelligent que dévoué.

Monseigneur Bellà me charge de dire à V. E. que le Pape vient d'envoyer au chapitre de Saint Pierre (ce prélat en fait partie) l'ordre de s'abstenir, meme pendant la semaine Sainte, du fameux miserere qui attirait habituellement un si grand nombre d'étrangers dans la Basilique. Pie IX ne célébrera aucune cérémonie, meme à la chapelle Sixtine, à l'exception d'une communion, à laquelle seront admis les membres catholiques du corps diplomatique, et notamment le comte de Trauttmansdorf, le ministre de Belgique, les représentants de l'Amé

rique du Sud, etc.

Je n'ai pas pu voir encore, depuis mon retour à Rome, le cardinal Di Pietro, mon ami. J'espère le voir demain ou samedi et ferai tous mes efforts afin qu'il travaille à faire sortir le Pape et à lui faire connaitre que le Gouvernement italien s'empresserait de lui donner une escorte.

(l) Cfr. p. 550, nota l.

321

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 96. Firenze, 31 marzo 1871.

Nella previsione che i torbidi dell'Algeria possano avere un contraccolpo in codesta Reggenza è sembrato conveniente che continui a stazionare alla Goletta un legno della R. Marina. Il comandante del Castelfidardo ha ricevuto l'ordine di rimanere in codeste acque finchè Ella non creda òi poterlo lasciare partire senza inconvenienti per la tranquillità della colonia italiana stabilita costì.

322

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 97. Firenze, 31 marzo 1871.

Mi lusingo che la S. V. avrà proceduto a quest'ora alla firma del protocollo indicatole col mio dispaccio del 24 corrente (l) e che sarà così tolto di mezzo ogni pretesto per dubitare delle intenzioni del R. Governo rispetto agli interessi comuni delle potenze in codesta Reggenza. Spero anche che, ristabilite le relazioni ufficiali, l'esecuzione delle clausole del secondo protocollo sarà stata immediata e completa.

Per ciò che concerne l'applicazione dei due articoli del primo protocollo è mestieri che V. S. conosca il pensiero del Governo di S. M. per potervisi strettamente uniformare.

Il primo di questi due articoli, quello cioè che riguarda i coloni indigeni addetti ad un fondo posseduto od affittato da un italiano, è chiarissimo. Il vero scopo al quale esso tende, consiste in ciò che l'arresto di tali coloni non sarà abbandonato all'arbitrio ma dovrà essere sempre notificato al Console. In forza di questo articolo il R. Consolato ha inoltre la facoltà di intervenire presso !'autorità locale per impedire che mediante l'arresto dei coloni venga menomata la libertà dell'industria agricola; ma l'esercizio di questa facoltà, che deve naturalmente essere regolato dal savio e prudente criterio del Console è limitato dal diritto di piena ed assoluta giurisdizione che il Bey conserva sopra i suoi sudditi. Non potrebbe dunque, a mio avviso, il Console opporsi all'arresto dell'uno o dell'altro dei coloni addetti ad un fondo posseduto od affittato da un Italiano, ma quando questi arresti fossero fatti colla evidente intenzione di molestare l'Italiano proprietario o conduttore del fondo, non converrebbe frapporre indugio a valersi del diritto che accorda questo articolo per chiedere spiegazioni al Governo locale tenendolo anche responsabile dei danni che dal fatto suo possono derivare.

L'applicazione del secondo articolo del primo protocollo richiederà, dopo gli incidenti occorsi ed a Lei noti, molta circospezione. È mia ferma convinzione che stipulando col Bey per la conservazione dell'attuale tariffa noi eravamo nel nostro pieno diritto, come pure era nel suo pieno diritto il Bey obbligandosi a non aumentare i dazi di uscita. L'articolo del Protocollo del :5 marzo non fa che riprodurre appunto ciò che V. S. suggeriva di domandare a S. A. prima di procedere alla riunione della Commissione incaricata di formare la tariffa conformemente al disposto dell'articolo XI del Trattato italo-tunisino del 1868. Il Governo di S. M. si dispone dunque ad appianare le difficoltà insorte col dare alla Gran Bretagna ed alla Francia tutte le spiegazioni necessarie per dimostrare la legalità del proprio operato ed il fondamento del suo diritto di obbligare il Bey ad eseguire le stipulazioni del 1868. A questo riguardo non mancano gli argomenti, buon numero dei quali può essere desunto dalle comunicazioni ufficiali del Governo francese. Ma indipendentemente da tale nostro diritto l'opposizione che hanno fatto l'Inghilterra e la Francia all'articolo secondo del primo protocollo del 15 marzo potrebbe fondarsi unicamente nelle ragioni di convenienza ossia nella necessità di non recar danno ai creditori dello Stato tunisino per avvantaggiare coloro che si applicano al commercio d'esportazione nella Reggenza. Prendendo la quistione sotto questo aspetto, ella ben intende, che il Governo del Re non può voler prediligere gli interessi di una classe de' suoi sudditi con danno degli altri. Tutti gli interessi italiani, siano essi impegnati nelle operazioni di credito della Reggenza ovvero in altri affari di commercio, meritano agli occhi nostri un'uguale protezione, qualunque sia dunque il nostro d1ritto di ottenere dal Bey una tariffa convenzionale sulle basi stabilite nel citato protocollo, noi non intenderemmo di esercitarlo quando non ci fosse dimostrato che dalla formazione di una siffatta tariffa non sono pregiudicate le ragioni dei creditori della Reggenza. Desidero dunque che V. S. dia opera a raccogliere colla massima sollecitudine quegli elementi di fatto che possono dimostrare un tale assunto. In questo lavoro io desidererei ch'Ella si associasse taluno tra i più ragguardevoli negozianti di codesto paese dando possibilmente la preferenza ad alcuno di quelli che fanno parte del comitato di riscontro e della Commissione Amministrativa. Ella comprende che quando fosse dimostrato che nell'interesse stesso dei creditori della Reggenza conviene che la misura attuale dei dazii di esportazione non sia oltrepassata, per non produrre gli effetti di un diritto proibitivo, la pretesa rivalità di interessi contrari scompare per far luogo alla persuasione che ciò che da noi si domanda è non solo giusto ma anche utile

a tutti.

Le invio pertanto unitamente a questo dispaccio la minuta di un Memorandum nel quale è esposta la questione al solo punto di vista della legalità del nostro procedere. La prego di prenderne cognizione e di farvi, occorrendo, quelle osservazioni che la pratica conoscenza degli affari di codesto paese le suggerisse. È mio desiderio rendere questo Memorandum più completo aggiungendovi quelle indicazioni che più sopra le ho domandato. Ella vorrà dunque tosto che abbia raccolti i dati necessarii rinviarmi anche la minuta qui unita ed allora io mi lusingo che potremo dare a tutte le potenze interessate delle spiegazioni tanto complete e soddisfacenti da non aver più a temere d'incontrare la loro opposizione nelle nostre trattative col Bardo.

(l) Cfr. n. 290.

323

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3620. Londra, 31 marzo 1871, ore 18,10 (per. ore 9,30 del' 1 aprile).

Ne pouvant pas voir aujourd'hui le comte Granville j'ai entretenu le soussecrétaire politique au sujet de votre télégramme (l) sur la conférence pour les affaires de Rome. J'ai appuyé sur la portée et gravité de ce fait et de ses conséquences pour mettre en garde le Cabinet de St. James. Le sous-secrétaire s'est tenu dans une absolue réserve, il a dit qu'il en aurait référé à lord Granville. Je me suis réservé d'en entretenir Granville sitòt que je recevrai la dépèche que vous m'annoncez (2). A mon avis le Gouvernement anglais est loin de vouloir se meler dans les affaires de Rome prenant part à une conférence.

324

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 803. Berlino, 31 marzo 1871 (per. il 3 aprile).

Hier a eu lieu au Reichstag la discussion de l'adresse que j'avais signalée à

V. E. par ma dépèche n. 802 de la Série Politique, du 29 de ce mais (3). Les débats ont pris un caractère qui doit d'autant plus appeler notre attention, qu'ils ont eu pour résultat de porter la question exclusivement sur le terrain d'une intervention de l'Empire Allemand en faveur du St. Siège. Les journaux en donneront sans doute un compte-rendu détaillé. En attendant, je m'empresse d'en résumer ici la partie essentielle.

Dans ma dépeche précitée, j'ai eu l'honneur de vous envoyer la traduction du passage de l'adresse, projet signé par 167 députés, qui demandait pour l'Empire l'adoption d'une politique de non intervention, en accentuant et développant ainsi un des passages du discours du Tròne.

Le jour suivant, les députés Reichensperger, Probst et Freytag, déposaient au bureau de la Présidence un projet d'adresse, appuyé par 44 membres catholiques du Reichstag, projet modifiant celui de M. de Bennigsen. La modification consistait essentiellement dans la soppression du passage que j'ai cité dans mon rapport précité, et qui était remplacé par les paroles suivantes: « Ce qui a été obtenu au prix de si grands sacrifices, l'Allemagne saura dans toutes les circonstances le sauvegarder, mais, dans la conscience de la force dont elle a fait preuve, elle continuera à se vouer d'autant plus assidument à sa tache intérieure, en fournissant aux autres Etats et aux autres Peuples une garantie et un exemple de développement pacifique :..

Dans la séance d'hier, 30, M. de Bennigsen, rapporteur pour le premier projet, a relevé que la suppression du passage en question était la seule différence essentielle entre les deux adresses, les autres ne portant que sur la rédaction, et n'ayant en tout cas aucune importance réelle. Ils ont voulu, lui et ses amis politiques, prendre acte de l'assurance contenue dans le discours du Tròne, que l'Empire ne s'immiscerait point dans la vie des autres Peuples, tandisque le parti au nom du quel parle M. Reichensperger omet entièrement le point.

M. Bennigsen veut détruire chez les autres Peuples l'idée, que le rétablissement de l'Empire fait naitre, des anciennes traditions de Monarchie universelle: il ne veut pas que l'Allemagne rencontre ainsi les craintes et la défiance que reveille le souvenir du moyen-age. L'Allemagne ne doit pas employer sa force et son infiuence au détriment d'autres Peuples, comme elle a eu, elle-meme, à en souffrir avant de fonder son unité. Ces tendances ne sont pas celles du Reichstag, et son devoir est de l'affirmer loyalement, en s'associant à la politique de nonintervention proclamée dans le Discours du Tròne. Le nom d'Empire rappelle les temps où le souverain de l'Allemagne était Empereur Romain, et en héritait les prétentions, qui l'entraìnaient aux guerres avec Rome, avec l'Italie. II faut maintenant que le Pays sache bien que la grande majorité de ses représentants, d'accord avec le Gouvernement, est bien loin de vouloir en revenir aux anciens errements d'une politique itala-allemande, allemande-religieuse. Ces souvenirs se rattachent, pour le Nord de l'Allemagne nommément, à ceux de la dévastation de l'Italie, de l'impuissance et des déchirements germaniques. Aujourd'hui, où pour la première fois l'Empereur a réuni un Reichstag allemand, il faut que celui-ci fasse connaitre, à l'intérieur comme à l'étranger, que la politique de l'Empire sera dorénavant vouée aux affaires de l'Allemagne, et non à troubler la vie des autres Peuples. M. de Bennigsen a fait ressortir et a développé tous les avantages que l'Allemagne trouverait dans une telle politique.

Après lui, M. Reichensperger a motivé le contre-.projet de son parti. Le passage concernant la non intervention se rattache à des souvenirs faits pour désunir, et non pour associer dans une pensée commune, les membres du Reichstag. Il ne faut pas remuer les cendres du passé, qui couvrent des fautes communes. Le vceu du développement pacifique de l'Empire, et de ses rapports avec les Etats voisins, est partagé par tous les partis, et celui de M. Reichensperger n'a point de visées belliqueuses, mais il n'approuve, ni théoriquement, ni pratiquement, le principe absolu de non intervention. Ses adversaires méconnaissent le devoir d'aider à éteindre le feu qui se développe chez le voisin, ce qui a été considéré jusqu'ici comme le devoir d'un chrétien. Si l'incendie éclate au cceur de l'Europe, faut-il attendre qu'il gagne notre Pays, pour lui opposer une digue? M. Reichensperger ne veut ni encourager, ni proscrire les guerres au delà des Alpes: mais il est des cas où les traités sur les quels repose l'équilibre de l'Europe sont tellement violés, qu'il faut recourir à l'ultima Tatio. Son parti ne veut pas le contraste, mais l'accord entre l'Empereur et le Pape, et ne se soucie pas de s'associer au Souverain déchu qui appelait détestables les traités de 1815. Le reste du discours de l\'I. Reichensperger

s'applique a développer le vceu d'une unification, qui tienne compte des droits de chacun des Etats de l'Empire.

Comme vous le voyez, M. le Chevalier, la discussion se trouvait insensiblement portée sur son véritable terrain: car, sous la forme générique d'admettre ou de passer sous silence la théorie de non intervention, la pensée qui avait dicté le projet et le contre-projet d'adresse, etait celle de l'abstention, voulue par la majorité du Reichstag, vis-à-vis du St. Siège et du Royaume d'Italie, et d'autre part celle de laisser une porte ouverte à une intervention en faveur

du premier. C'est la méme question qui, dès avant l'issue de la guerre franco allemande, avait si fort inquiété la presse italienne. Le Reichstag l'a résolue en adoptant, par 243 voix contre 63, le projet d'adresse présenté par M. de Bennigsen, et cette votation acquiert une grande portée, par ·cela meme que, d'après les discours très accentués des députés qui ont parlé pour ou contre, cette votation s'appliquait pour ainsi dire exclusivement à la question de Rome. Le Chancelier Impérial assistait à la séance, mais il n'a pas pris la parole, pas plus que ses collègues du Bundesrath.

Je tiens à expédier mon rapport aujourd'hui meme à V. E. Le temps me manque dès lors pour relever les passages les plus saillants des autres discours qui ont été prononcés à cette occasion. Les journaux les reproduiront sans doute.

(l) -Cfr. n. 314. (2) -Cfr. n. 315. (3) -Non pubblicato.
325

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

T. 1633. Firenze, l aprile 1871, ore 16.

M. de Beust a dit à notre chargé d'affaires à Vienne que la France avait proposé à Vienne et à Berlin une conférence pour les garanties à donner au pape, et pour ce qui regarde les établissements religieux étrangers qui existent à Rome. Il a ajouté que l'état actuel de la France avait retardé l'exécution de ce projet, mais que c'était à nous de le prévenir, en prenant l'initiative par des engagements formels vis-à-vis des puissances intéressées.

Pour ce qui regarde les établissements étrangers à Rome, nous sommes disposés à tenir compte de toutes les prétentions légitimes. Quant aux garanties pour le pape, nous devons rester dans les limites tracées par la loi déjà votée par la chambre, et qui sera approuvée avec certaines améliorations par le sénat, après Paques. Une conférence est donc inutile et dangereuse. Thiers et Favre ont tenu un langage très-amical à Nigra. Je crains un double jeu de l'Autriche et de la Bavière. Comme le parlement allemand s'est exprimé dans le sens de la non-intervention, j'espère que M. de Bismarck ne voudra pas faire les affaires de la camarilla cléricale de Vienne et de Munich. Sans faire des communications intempestives, je vous prie de veiller au développement de la situation, et de me tenir au courant. Merci de vos lettres si intéressantes que le courrier m'a apportées.

326

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3622. Vienna, l aprile 1871, ore 1,32 (per. ore 21,25).

Le Baron de Prokesch-Osten ayant référé que le grand visir dans une conversation toute confidentielle lui avait dit que dans le cas du départ du prince de Roumanie et d'un embrassement général en Roumanie la Turquie se verrait probablement forcée d'intervenir à main armée, le comte de Beust a fait entendre à Constantinople un langage de modération et le Gouvernement ottoman ne prendra aucune décision extrème sans avoir préalablement obtenu l'assentiment des signataires du traité de Paris. L'agent autrichien mande de Bucarest que le prince Charles ne quittera pas le pays tant que le ministère actuel restera au pouvoir, en attendant il enverra quelqu'un en mission à Berlin. Beust est resté très satisfait d'un rapport de Kubeck arrivé hier sur les intentions du Gouvernement du roi à l'égard des collèges étrangers et des généralats des ordres.

327

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 804. Berlino, l aprile 1871 (per. il 6).

Vu l'extreme réserve observée jusqu'ici par le Cabinet de Berlin au sujet de la question romaine, réserve dont notamment il ne s'est pas départi lors de la discussion de l'adresse, il est d'autant plus intéressant de chercher à démeler sa pensée par le langage de la presse officieuse.

V. E. trouvera ci joint la traduction de la partie essentielle d'un article, qui a paru ce soir dans la Nord Deutsche Allgemeine Zeitung (1).

Tout en critiquant l'attitude de la fraction catholique, ce journal dit que le passage du projet de la majorité, contre le quel cette fraction a voté, ne s'oppose d'aucune manière à une action (thatigkeit) éventuelle de la diplomatie allemande en faveur des catholiques sujets de l'Empire. Ce qu'il conteste, c'est que l'Allemagne, à elle seule, se pose en juge dans une affaire d'intéret général. En d'autres termes, si une intervention isolée du pouvoir fédéral est hors de mise, il pourrait se joindre, ou jusqu'à un certain point préparer la voie, à une intervention diplomatique d'autres Puissances.

Si le journal précité a reçu le mot d'ordre du Cabinet de Berlin, le principe de non intervention accentué par le vote du Reichstag perdrait beaucoup de sa valeur, et la fraction du Centre aurait obtenu un minimum de concession. Seulement, au point. de vue pratique, on ne voit pas trop encore comment un accord s'établirait entre les Puissances, sur quel programme elles pourraient s'entendre, en présence des vues absolument contraires des deux principaux intéressés. La conciliation étant, aujourd'hui du moins, impossible, il faudrait sacrifier l'un à l'autre, imposer la décision d'un aréopage, et s'écarter par con

séquent des voies purement diplomatiques. Si, après les affaires de Mentana, les efforts de la France pour réunir une conférence appelée à résoudre la question romaine n'ont pas abouti, il n'est guère à présumer que cette Puissance, dans l'état où elle se trouve, prenne l'initiative sérieuse d'une nouvelle proposition d'urgence. D'un autre còté il ne semble pas, d'après l'attitude du Cabinet de Berlin, qu'il songe, lui-méme, à se mettre en avant.

Je crois donc que l'article de ~a Nord Deutsche Allgemeine Zeitung, pour autant qu'il réflèterait la pensée ou les calculs du Cabinet de Berlin, a plutòt pour objet de donner un appàt au parti catholique, afin de modérer son opposition, tout en conservant une liberté d'action, à utiliser selon les propres convenances de l'Allemagne. Pour le pouvoir fédéral comme tel, l'intérét religieux n'aura de poids, que dans la mesure où il pourrait servir ses intérets politiques. En attendant, il cherchera à naviguer entre les courants contraires, en évitant de froisser et les catholiques et les protestants. L'attitude d'abstention, en fait si non en paroles plus ou moins officieuses, parait étre celle qui continue à prévaloir pour le moment.

(l) Non pubblicata.

328

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 272. Bucarest, l aprile 1871.

Questo agente di Prussia ha indirizzato al Governo principesco una nota per invitarlo a dichiarare nettamente le intenzioni dello Stato relativamente alla garanzia data da esso alle obbligazioni ferroviarie emesse il 3 dicembre 1868.

Inviando a me ed ai colleghi delle potenze garanti una copia della sud· detta nota, il signor Radovitz mi esprime la lusinga che il punto di vista sotto il quale il suo Governo considera codesta vertenza sia anche quello che io sono autorizzato a far prevalere nell'interesse dei detentori italiani delle cennate obbligazioni. Egli spera per conseguenza che l'energico mio appoggio e quello di tutti i colleghi non faccia difetto ad una causa, di cui non è mestieri indicare in principio la gravità per tutti i capitali esteri piazzati in Rumania sotto la garanzia dello Stato.

Ebbi sovente a dire nel precedente carteggio che i capitali prussiani accorsero numerosi ad assorbire la più gran parte delle azioni ferroviarie rumene. Aggiungo 'Che la Germania possedendo delle obbligazioni Strousberg pel valore di più di dugento milioni di franchi, la situazione fatta ai capitali tedeschi è delle più critiche in seguito alla nota sospensione del pagamento degli interessi che scaddero al 1° gennaio di questo anno.

V. E. fu già informata di questa quistione dal rapporto n. 271 (l) che ebbi l'onore di dirigerle il 30 del passato marzo, ed il Governo del Re è quindi in grado di apprezzare la nota prussiana che unisco al presente. Codesto documento non fa in sostanza che richiamare il Governo di S. A. all'adempimento degli obblighi contratti quando lo Stato garantiva le obbligazioni.

Non avendo ricevuto fino ad oggi verun reclamo in proposito da alcun suddito italiano, mi sono astenuto dal rispondere ufficialmente alla comunicazione del signor Radovitz.

Gli ho però detto che penetrato dalla giustizia delle di lui dimande le 'avrei verbalmente ed ufficiosamente appoggiate presso il Gabinetto di Bukarest.

Gli agenti di Austria e Gran Bretagna hanno fatto lo stesso, malgrado che dei capitali austria·ci ed inglesi si trovassero investiti per una discreta somma nelle azioni ferroviarie dei Principati.

Ove mi pervenissero dei reclami identici da parte di nostri connazionali io continuerò fino a migliori istruzioni a fare dei passi ufficiosi per indurre questo Governo al mantenimento degli obblighi contratti.

(l) Cfr. n. 318.

329

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

T. 1635. Firenze, 2 aprile 1871, ore 22.

Les ag-ents de la société de la Gedeida sont venus réclamer vivement contre la mesure que vous auriez prise de retirer le dragman de la maison de la société. Dites-moi ce qu'il en est, et si cela est nécessaire pour la sécurité des italiens, laissez provisoirement les choses comme elles étai-ent.

330

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3624. Versailles, 2 aprile 1871, ore 12,40 (per. ore 17,50).

Courrier est arrivé. J'ai fait connaitre à Favre contenu de votre dépeche sur la question romaine (1). Il m'a répondu qu'en parlant au nom du Gouvernement français dans la dépeche adressée à M. Rothan il ne s'était ,pas prononcé sur la question de principe mais sur celle de fait en déclarant qu'en présence du fait accompli et dans la situation du Gouvernement français celui-ci n'aurait pas engagé son action ni son influence pour le rétablissement du pouvoir temporel et qu'il n'aurait encouragé aucune illusìon au Vatican à cet égard. Favre m'a dit bien positivement que la proposition de conférence émane du comte de Beust et que pour sa part il préfère négociations par correspondance. Thiers m'a recommandé question des musées du Vatican et celle du couvent de S. Sylvestre. Il désire vivement que le pape reste à Rome et il m'assure que jusqu'ici le pape n'a pas demandé meme éventuellement hospitalité de la France.

(l) Cfr. n. 289.

331

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

T. 1636. Firenze, 3 aprile 1871, ore 14,15.

Jules Favre a répété à Nigra qae la proposition d'une conférence était partie de Vienne, et que le Gouvernement français préfère négociations par correspondance. Vous pouvez communiquer cela à lord Granville à titre de renseignement confidentiel, et pour raffermir la répugnance que le Cabinet anglais a toujours montré avec raison contre des projets de conférence sans programme bien défini d'avance et sans un ~ut dairement déterminé.

332

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

T. 1637. Firenze, 3 aprile 1871, ore 16,30.

Président de la société agricole a pris par écrit engagement lformel de se soumettre sans appel à l'arbitrage du consul général d'Autriche si le bey prend de son coté le meme engagement. Tachez donc que ce consul soit choisi pour arbitre et que sa décision soit admise par S. A. comme inappellable. Il sera utile que la désignation de l'arbitre soit faite par écrit signée de la part du bey et des agents de la société. Si la présence de la frégate est inutile vous .pouvez dire au commandant qu'il peut partir.

333

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BUENOS AIRES, DELLA CROCE DI DOJOLA

D. 32. Firenze, 3 aprile 1871.

Troverà qui unita copia della lettera colla quale il Governo dell'Assunzione ci ha annunziato la sua legale istituzione mediante la elezione e la proclamazione del potere esecutivo dello Stato, di cui furono investiti i cittadini Cirillo Antonio Rivarola e Cajo Miltos, il .primo in qualità di Presidente, ed il secondo come Vice Presidente della Repubblica.

V. S. conosce con quanta impazienza noi aspettammo la formazione di un governo regolare al Paraguay, dove gli affari dei nostri connazionali richiedono tutta la sollecitudine del Governo italiano. Mi affretto dunque, di rispondere alla lettera del Ministro degli Affari Esteri di quella Repubblica, unendovi la risposta che S. M. ha indirizzata al Presidente della medesima n riconoscimento del Governo che si è per tal modo costituito al Paraguay, non mi sembra possa suscitarci alcuna difficoltà cogli altri Stati coi quali l'Italia mantiene

23 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. II

buoni rapporti. Ella vorrà, dunque, procurare il recapito delle unite lettere all'Assunzione dove converrà intanto che Ella provveda, almeno in modo temporario, alla tutela degli interessi nazionali, mediante la designazione d'un agente Consolare locale.

ALLEGATO.

VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI DEL PARAGUAY

Firenze, 3 aprile 1871.

Avendo io avuto l'onore di sottoporre a S. M. il Re d'Italia la lettera colla quale S. E. il presidente della Repubblica del Paraguay annunzia la sua nomina e la costituzione del potere esecutivo, la Maestà Sua mi ha ordinato di trasmettere a V. E. la risposta ch'Egli indirizzava a quel supremo Magistrato.

In questa occasione mi è grato esprimere a V. E. la soddisfazione che prova il R. Governo nel riprendere col Paraguay delle relazioni amichevoli, il corso regolare delle quali era stato momentaneamente interrotto dagli avvenimenti politici di codesto paese. Il Governo italiano si lusinga di trovare nelle buone disposizioni del potere esecutivo ora ricostituito ogni facilità per promuovere, come egli vivamente desidera, i rapporti commerciali tra i due paesi. I sentimenti che V. E. mi ha manifestati nella sua lettera del 31 dicembre 1870 sono una prova che tale nostro desiderio è diviso anche dal Governo di cui V. E. fa parte, ed io vado perciò ancor più lieto di poter entrare oggi in relazione ufficiale coll'E. V. perchè sono convinto che il di lei amichevole concorso non mi verrà meno in tutti gli affari dei miei connazionali nel Paraguay.

334

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, H. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

H. 17. Madrid, 3 aprile 1871 (per. il 10).

Ho telegrafato poc'anzi all'E. V. (l) che il Re ha quest'oggi alle due inaugurate le Cortes e che il Discorso letto da S. M. produsse una viva impressione e fu varie volte interrotto dagli applausi e dall'entusiasmo.

Ho l'onore di trasmetterLe qui unito un esemplare del Discorso Reale con la sua traduzione in Italiano.

Le parole: « Questo leale popolo cui giammai m'imporrò », -con accento energico pronunciate -, colpirono fortemente l'auditorio che proruppe in segni unanimi di approvazione. Coteste parole erano scritte sul foglio dal proprio pugno del Re che le aggiunse quando gli fu sottomesso il progetto del Discorso.

La Camera interruppe l'Augusto Lettore, --sicchè fu costretto a far pausa -, quando Egli ha parlato di quella legittimità «che nasce dal voto spontaneo del popolo Signore dei Suoi destini». A questo punto, come nell'altro nel quale Egli ha parlato della Sua Sposa e dei suoi figliuoli, la emozione degli assistenti si è visibilmente palesata, e tutti rilevarono come il Generale Serrano stesso non la potette contenere.

Nel capoverso che discorre delle relazioni col Papato, il primitivo progetto diceva «con la Corte di Roma», ed è S. M. che, facendo osservare ai suoi Ministri la vera Corte di Roma essere oramai quella del Suo Genitore, l'Augusto Nostro Sovrano, volle si dicesse invece: « con la Santa Sede ».

Tutte le frazioni del partito Monarchico, dalla più conservatrice alla più Radicale, approvano senza eccezione il Discorso Reale; ed il modo come S. M. lo ha letto con voce chiara, con accento forte e con dignitosa calma indicava bene -e fu da tutti notato-, che i pensieri ch'egli esprimeva non erano per Lui solamente parole. In questa occasione sonosi chiaramente manifestati quel rispetto e quella affezione verso del Principe, che non trascorre giorno senza che facciano nuovi e grandi progressi nell'animo di .questa popolazione.

.ALLEGATO.

DISCORSO ALLA CORTES DI AMEDEO RE DI SPAGNA

(traduzione)

Madrid, 3 aprile 1871.

È questa la seconda volta che m'incontro immezzo dei Rappresentanti della Nazione spagnuola: la prima volta, costretto a rinchiudermi nella formala di un giuramento, che avrà sempre per me la doppia sanzione della Religione e dell'onore, non mi fu dato manifestare alle Cortes costituenti i sentimenti del mio cuore al vedermi per esse innalzato alla suprema Dignità di questo popolo magnanimo; ma oggi, profittando della solenne occasione che mi è dalle consuetudini costituzionali offerta, giova che io manifesti dinnanzi a Voi, Rappresentanti pure del Paese, i sentimenti dell'animo mio riconoscente, nel quale ogni dì si fortifica la risoluzione di consacrarmi alla difficile e gloriosa missione che lealmente e volenteroso ho accettata, e che compirò mentre a me non venga meno la fiducia di questo popolo leale al quale giammai vorrò impormi.

Separato affatto dalle lotte politiche, venne a sorprendermi l'offerta della illustre Corona di Castiglia che, se fosse stata in me ambizione il pretendere, sarebbe pur stata offesa il rifiutare quando la spontanea volontà d'un popolo eroico mi associava coi suoi voti all'opera della sua rigenerazione e del suo ingrandimento. Però l'accettai col beneplacito del Re d'Italia, mio amato e Augusto Padre, essendo, prima, venuto nella certezza che la mia risoluzione non poteva compromettere la pace di Europa nè offendere gli interessi di Nazione amica. Con questi titoli, e, benchè vi resista la mia personale modestia, proclamo ben alto il mio diritto, il quale è una emanazione del diritto delle Cortes Costituenti, considerandomi investito dell'unica legittimità che la ragione umana consente, della legittimità più nobile e più pura che riconosca la storia nei fondatori di Dinastie, della legittimità che nasce dal voto spontaneo di un popolo Signore dei suoi destini.

Così apprezzandolo, i Governi che sostenevano ab antico relazioni colla Spagna e che, già da quando fui eletto, mi avevano date non equivoche prove di simpatia, hanno accreditato i Loro Rappresentanti Diplomatici presso della mia Persona nei termini di cordiale amicizia che tanto debbono calère a un paese come il nostro, obbligato a concentrare nella sua vita interna tutta la sua attenzione e le forze tutte di cui dispone.

Altamente soddisfacente sarebbe per me l'annunziarsi pure il ripristinamento delle relazioni colla Santa Sede, già da lungo tempo interrotte; ma confido che non si farà aspettare la concordia col Sommo Pontefice, la quale nel mio carattere di capo d'una Nazione cattolica sinceramente desidero.

Nutro la lusinghiera speranza della pronta pacificazione dell'Isola di Cuba.

Colà, come dovunque, l'Esercito, la Marina e i Volontari difendono gli alti interessi

della Patria.

Intento al benessere generale, e dando soddisfazione alle giuste esigenze della

opinione pubblica, il mio Governo sottometterà al Vostro esame le miglioranze

necessarie per la buona amministrazione e per Io sviluppo morale e materiale che

il paese ha diritto di aspettare, e che sono facili ad ottenersi quando si pratica

sinceramente la libertà; la quale, per ciò stesso che è il diritto di tutti, da tutti

esige, governanti e governati, il compimento di stretti ed inviolabili doveri.

Cura principale del Governo sarà di proporre alla vostra attenta sollecitudine

la questione di Finanza. Essendo il credito del Tesoro base del credito pubblico, e

misurandosi la prosperità di tutti dall'aumento e dalla sicurezza della fortuna

pubblica, verranno presentati alle deliberazioni del Congresso, appena la sua costi

tuzione lo permetta, i bilanci generali che, per le economie conseguite, le riforme

dei servizi, del Debito e per lo sviluppo delle vendite pubbliche, offriranno al vostro

patriottismo l'occasione di diminuire le difficoltà che circondano oggi le finanze. e

di dissipare i timori che il suo avvenire inspira. ·

Signori Deputati e Senatori: appena giunto sul territorio spagnuolo io mi decisi di confondere le mie idee, i miei sentimenti ed i miei interessi con quelli della Nazione che mi ha eletto perchè io mi ponessi a capo di Lei, e il cui altiero carattere non consentirà mai ad estranee ed illegittime ingerenze. Dentro della mia sfera costituzionale governerò colla Spagna e per la Spagna, cogl'uomini, colle idee e colle tendenze che, dentro della legalità, mi sieno indicate dalla pubblica opinione rappresentata dalla maggioranza delle Camere, vera regolatrice delle Monarchie costituzionali.

Sicuro della Vostra lealtà, come lo siete della mia, consegno fiducioso alla mia nuova Patria quanto più amo al mondo, la mia sposa e i miei figliuoli; i miei figliuoli che, se videro la luce in terra forestiera, avranno la sorte di ricevere qui le prime nozioni della vita, di principiare parlando la lingua di Castiglia, di educarsi nelle costumanze nazionali e di inspirarsi dai primi anni loro agli altissimi esempi di costanza, disinteresse e patriottismo tracciati nella storia della Spagna come un luminoso sentiero tramezzo i secoli.

Dalla volontà del paese sendo indicato il mio posto d'onore, la mia famiglia ed io siamo venuti a dividere le vostre allegrezze ed i vostri dolori, a sentire ed a pensare come sentite e pensate voi, ad unire infine con indissolubile legame la nostra alla sorte del popolo che mi ha data la direzione dei Suoi destini. L'opera a cui la Nazione mi ha associato è difficile e gloriosa, superiore per avventura, alle mie forze, ma non già alla mia volontà; però mercè dell'aiuto di Dio che conosce la rettitudine delle mie intenzioni, mercè del concorso delle Cortes che saranno sempre la mia guida perchè sempre hanno da essere la espressione del paese, e con l'ausilio di tutti gli uomini di bene, la cooperazione dei quali non deve mancarmi, confido che gli sforzi di tutti otterranno per ricompensa la felicità del popolo spagnolo.

(l) Non pubblicato.

335

IL MINISTRO DEI LAVORI PUBBLICI E REGIO COMMISSARIO A ROMA, GADDA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA

N. RISERVATA 769. Roma, 3 aprile 1871.

Con tutta la premura che merita l'importanza della cosa, ho fatto i tentativi necessari per ottenere che il S. Pontefice s'inducesse a funzionare, come

pel passato, nelle prossime feste di Pasqua. Ma ciò non pare possibile o perchè

E·gli non vogl1ia o perchè altrimenti sia consigliato da quelli che gli sono intorno

ed hanno influenza nelle determinazioni della S. Sede.

Però un Monsignore, molto intimo del Papa (pur dichiarando che non

parlava a suo nome, ma spontaneamente) mi ha detto che lo stesso S. Ponte

fice, se potesse, celebrerebbe volentieri la messa in S. Pietro, anzi che per

Pasqua, nel giorno 12 aprile; ma che in tal caso intenderebbe avere, come pel

passato, l'assistenza delle guardie nobili e delle guardie svizzere.

Il giorno 12 aprile è un doppio anniversario, religioso e politico a un tempo.

Ricorda la ruina della sala presso la Chiesa di S. Agnese, avvenuta pochi anni

addietro mentre vi si trovava lo stesso Pontefice, e ne uscì affatto incolume.

Egli ha molto a cuore questa memoria e ne parla a tutti e spesso come di uno

speciale miracolo. Gli piacerebbe quindi festeggiarla anche quest'anno con

qualche pompa. Ma il 12 aprile ha pure una ricordanza politica, essendo l'anni

versario del ritorno da Gaeta•; e sotto questo ·secondo aspetto, la prima messa

del S. Pontefice in S. Pietro dopo l'occupazione di Roma per parte delle

RR. Truppe, e specialmente pochi giorni dopo la Pasqua lasciata passare senza

le consuete funzioni, potrebbe facilmente non essere gradita alla maggioranza

liberale: anzi (è bene prevederlo) potrebbe essere considerata come una pro

vocazione.

Peraltro, malgrado questa probabile eventualità, a me parrebbe che ove

S. Santità si risolvesse a celebrare una tal funzione, i vantaggi per noi sarebbero maggiori dei pericoli; e sarei perciò d'avviso che convenisse assecondare quel disegno, non avendo potuto conseguire che sieno celebrate le solite funzioni della Settimana Santa. Avremmo infatti il vantaggio principale che il Papa romperebbe quel suo volontario ritiro, chiamisi prigionia o altrimenti, e si mostrerebbe al pubblico nel pieno, libero esercizio del suo alto magistero, libero negli atti della religione, 1ibero nell'uso della Sua guardia d'onore: anzi tanto più libero dovrebbe parere, sarebbe in fatto e potrebbe considerarsi se celebrasse la messa per una ricordanza che non può avere per sè la simpatia ed il favore della parte intelligente del paese. Sarebbe così un principio di accettazione della libertà e delle garanzie che vengono offerte dal Governo del Re: nel tempo stesso sarebbe un passo verso la quieta, pacifica, libera convivenza dei due poteri.

Su tutto ciò io chiamo l'attenzione del Consiglio. Mi occorre conoscerne lo avviso con la maggior possibile sollecitudine perchè dopo domani ritornerà da me il Prelato che me ne ha discorso: ed io debbo rispondergli su tal proposito. Per motivi che facilmente s'immaginano desidero che la mia risposta, se possa essere affermativa come propongo, non abbia l'apparenza di risoluzione lungamente meditata quasi si tratti di cosa straordinaria; ma apparisca e sia quale un atto naturale, ordinario; un effetto della libertà e delle guarentigie.

È superfluo del resto che io soggiunga come, celebrandos.i quella funzione, verranno prese tutte le precauzioni necessarie al duplice scopo dell'ordine pubblico e di tutelare la stessa libertà del Pontefice.

336

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA

Firenze, 4 aprile 1871, ore 22,15.

T. 1639.

Je donnerai à M. Rothan, et je vous enverrai incessamment un mèmoire explicatif sur la question du couvent de St. Silvestre, et sur les autres questions réligieuses soulevées à Rome par le besoin d'occuper des édifices publics. Cadorna mande de Londres que le Gouvernement anglais n'a pas encore eu de communication de la dépèche par la quelle on suppose que Beust propose une conférence sur les affaires de Rome. Pour les questions regardant les institutions internationales existant à Rome, je dannerai bientòt des assurances positives et formelles. Quant au fond mème de la question, je suls d'avis que le Gouvernement du roi doit s'efforcer ou d'éviter toute négociation en se bornant à notifier aux puissances la loi des garanti-es lorsqu'elle sera votée, ou de faire avorter tout projet de conférence sans programme connu et défini d'avance. Nous ne pouvons nous engager dans des négociations internationales quelle

qu'en soit la forme sans nous ètre d'avance assurés qu'on prendrait pour base le fait accompli de la cessation du pouvoir temporel, et de Rome capitale. Il est bon que vous soyez ìnformé dès à présent de mes intentions, qu'il n'est pas nécessaire pour le moment de faire connaitre. Dites-moi aussi votre avis.

337

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 806. Berlino, 4 aprile 1871 (per. l' 8).

En répondant à la députation chargée de lui remettre l'adresse votée le 31 Mars échu, l'Empereur a dit qu'il en avait entendu la lecture avec satisfaction, qu'il était heureux des sentiments exprimés par le Reichstag, et qu'il y voyait la preuve que le discours du Tr6ne avait été parfaitement compris. Ces paroles sont considérées par le parti libéral comme un désaveu non déguisé des tendances ultramontaines. Il a également inte11prété dans le mème sens le langage tenu, il y a quatre jours, à la Chambre par le Chancelier Impérial, qui a vivement repoussé certaines prétentions des orateurs polonais, niant la compétence du Reichstag d'incorporer dans l'Empire Allemand d'anciennes provinces de la Pologne, aujourd'hui sous la domination de la Prusse: « Vous n'ètes pas en réalité un peuple. Vous n'avez derrière vous que vos fictions et

vos illusions, celle entre autres d'avoir été élus par le peuple polonais pour représenter la nationalité polonaise. J'en sais que1que chose, sur le motif de votre élection. Vous avez été élus pour soutenir les intérèts de l'Eglise catholique, et si vous le faites, comme vous en avez le plein droit, vous avez rempli vos engagements vis-à-vis de vos électeurs ».

~58

Si la veille, le Prince de Bismarck a gardé le silence le plus absolu, il est du moins permis d'affirmer avec certitude que les conservateurs et les ministériels avaient le mot d'ordre de se prononcer pour l'adresse qui a eu la majorité. Ainsi, trois employés du Département fédéral des Affaires Etrangères ont voté oui à l'appel nominai. Le Général de Moltke et le Comité présidentiel des conservateurs ont agi de meme. La meme majorité va se prononcer aujourd'hui contre une proposition de la fraction du centre, qu'on ne saurait strictment ranger sous la dénomination de catholiques, puisqu'il y a scission de la part de quelques députés appartenant aussi à cette confession, les quels se sont inscrits parmi les conservateurs libéraux. La proposition dont il s'agit a pour but d'étendre à la confédération entière les articles 12, 15, 27, 28, 29 et 30 de la constitution prussienne: -liberté des Cultes, -des associations religeus-es et politiques, -indépendance des Eglises dans leur administration, -pleine possession et dis.position de leurs bi-ens, -liberté de la presse -. Les adversaires de cette motion, et ils sont supérieurs en nombre craignent par de semblables concessions de trop accroitre l'influence cléricale dans les Etats du Midi de l'Allemagne, et ils pré:lièrent pour le moment de laisser à ces Pays le soin de régler ces questions à leur convenance. Dans les Etats protestants ou de ·culte mixte, les catholiques, ou du moins leurs chefs de file, pour des motifs qui sautent aux yeux, se montrent plus enclins aux doctrines modernes que les progressistes eux-memes.

A l'appui des idées qui prévalent dans les .cercles officiels, je pourrais aussi citer un article de la Gazette de Spener, qui a été reproduit dans la Corréspondance de Berlin, à la quelle notre Ministère est abonné.

338

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 807. Berlino, 4 aprile 1871 (per. l' 8).

J'ai reçu le télégramme chiffré que V. E. m'a fait l'honneur de m'adresser en date du Ier Avril (1).

En réponse à un avis précédent, que quelque Gouvernement allemand aurait fait id une démarche favorablement accueillie, afin d'assurer par des arrangements internationaux l'indépendance et la liberté du Pape, j'avais mandé par ma lettre particulière n. 3, du 25 mars (2), que rien de semblable, jusqu'ici du moins, ne résultait de mes investigations.

Après les confidences qui nous ont été faites, ce serait maintenant la France qui projetterait et mettrait sur le tapis, à Vienne et à Berlin, une conférence pour les garanties à donner au St. Siège et pour ce qui regarde les établissements religeux étrangers qui existent à Rome.

Dans un entretien que j'ai eu hier avec le Secrétaire d'Etat, j'ai sondé le terrain d'une manière très indirecte. En lui rappelant certain passage de la Nord Deuische Allgemeine Zeitung (rapport n. 804) (1), où l'on donnait à entendre, malgré le principe de non intervention posé par le Reichstag, que rien ne s'oppòserait à une action éventuelle de la diplomatie allemande en faveur des catholiques sujets de l'Empire, j'ai dit que cette restriction pourrait etre interpretée comme une réserve pour des demarches ultérieures, provoquées peut-etre par quelques Puissances étrangères, nommément par M. Thiers. J e citais se nom, puisque le Prince de Bismarck m'avait avoué lui meme que le chef du pouvoir exécutif en France lui avait parlé des affaires de Rome.

M. de Thile ignorait cette dernière circonstance, et il se proposait d'interpeller M. de Bismarck. Mais il m'a donné l'assurance qu'il n'avait rien appris, que rien n'avait passé par ses mains, sur une prétendue démarche faite ici, à l'effet de réunir un aréopage au sujet de la question de Rome. Il n'était donc à méme de me fournir aucune indication à cet égard. Il ajoutait que nous pouvions etre satisfaits de la votation sur l'adresse. Si les orateurs catholiques avaient clairement laissé entrevoir qu'ils visaient au rétablissement du pouvoir temporel, ils s'étaient abstenus d'indiquer la voie à suivre, tout au plus ont-ils suggéré une conférence, comme pour la question de la Mer Noire.

Il m'a paru inutile, et peu digne, de pousser plus loin, pour le moment, mon interpellation. En effet, si tous les indices ne sont pas trompeurs, le vent qui règne aujourd'hui, dans les régions ministérielles, ne souffie pas précisément dans les voiles du parti catholique. Seulement il ne faut pas perdre de vue que ce parti n'est, ni sans force, ni sans discipline, et que la raison d'état conseille de le ménager. En parlant de ce point de vue, il ne serait pas improbable s'il se produisait meme du còté de la France, une proposition de conférence, que le Cabinet de Berlin y donnàt son assentiment, dans l'espoir qu'une telle assemblée parviendrait à l'aider à tirer son épingle du jeu.

En attendant, je veillerai de mon mieux au développement de cette situation.

Dans mon entrevue avec M. de Thile, j'ai aussi signalé à son attention l'article de la Gazette de Spene1·, fort peu bienveillant pour la Papauté, mais qui contient une phrase insolente à notre égard. « L'Italie n'a aucun titre à notre reconnaissance et à nos égards: les voies par lesquelles ce Pays est arrivé à son unité sont infiniment différentes des nòtres, et l'hypocrite vénération des Italiens pour la France ne peut en tout cas leur avoir acquis nos sympathies, mais, quelle qu'ait été leur attitude, ce n'est pas un motif pour que l'Empire allemand veuille rétablir l'Etat pontificai ressuscité facticement en 1815, etc. etc.».

M. de Thile contestait tout caractère officieux à cette feuille, qui probablement avait voulu soutenir une polémique contre une partie de notre presse, dont les attaques continuent contre l'Allemagne. Je ne me plaignais pas, c'était au dessous de notre dignité, mais je me bornais à constater et à regretter cette inconvenance de langage, ici comme chez nous. Les individus comme les peuples, s'ils combattent, ne doivent se servir que d'armes courtoises. Il fallait espérer que le mare vecchio se calmerait bientòt, pour faire piace à une plus saine appréciation des choses et des intérets mutuels.

(l) -Cfr. n. 325. (2) -Recte del 26, cfr. n. 304.

(1) Cfr. n. 327.

339

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 218. Tunisi, 4 aprile 1871 (per. il 7).

Essendo stata firmata la dichiarazione da aggiungersi ai Protocolli stipulati in Firenze il 5 Marzo scorso, il di cui testo andava unito al dispaccio di

V. E. delli 24 stesso mese (1), ho l'onore di qui in seno trasmetternele l'uno delli originali.

Il Bardo ne accolse con premura la proposta siccome una prova non solo

delle intenzioni del Governo del Re rispetto agl'interessi comuni delle Potenze

in questa Reggenza, ma pur'anco ai diritti sovrani del Bey, i quali si volevano

gli uni e gli altri compromessi colle recenti nostre stipulazioni.

Mentre poi devo riservarmi per mancanza di tempo di esaminare la minuta del Memorandum annesso al dispaccio N. 97 delli 31 Marzo (2), con cui l'E. V. intende dare all'Inghilterra ed alla Francia tutte le spiegazioni necessarie intorno alla legalità dei proprì atti ed al fondamento del nostro diritto di obbligare il Bey a completare il Trattato del 1868, non mancherò eziandio di raccogliere e sottoporle tutti gli opportuni elementi di fatto, chiamando all'uopo specialmente il concorso tra negozianti italiani di quelli che fanno parte del Comitato di Controllo e del Consiglio di amministrazione della Commissione internazionale.

Intanto ristabilitesi felicemente le relazioni ufficiali, le clausole del secondo Protocollo vanno via via sortendo il loro effetto. Il Duletri, ossia Governatore della città era stato prima di tutto in Consolato per fornirmi le spiegazioni, e darmi ragione dei fatti che l'aveano indotto a mandare la forza per arrestare alla Gedeida 2 individui, accusato l'uno, com'ei dissemi, niente meno che di parricidio, e l'altro condannato per debiti. Delli affari poi che da lungo tempo avevo invano chiesta la soluzione, alcuni hanno avuto termine coll'immediato sborso di oltre a piastre 25/m, e per gli altri che presentano tuttavia qualche difficoltà, mi bisogna aspettare che sia rJpreso il corso della giustizia stato interrotto a causa della intempestiva trasferta del Bey alla sua residenza della Goletta, dove pure vien portata tutta l'amministrazione.

Per questo fatto vennero del pari ritardati gl'incombenti relativi alla questione mossa dalla Società agricola per il rifacimento dei danni avvenuti alla Gedeida. So per altro che il Khasnadar non lascia di occuparsene, avendo incaricato il Generale Hamida Ben-Ayed di trattare colli Agenti di essa Società un accomodamento amichevole, ed in caso contrario sarebbe nella intenzione di designare da parte sua per arbitri l'Avvocato Mario Simeoni, ed il negoziante inglese Signor Azuelos, persone entrambe delle più rispettabili della colonia europea, e dippiù conosciute in paese come sistematici opposi:tori dello stesso Khasnadar. Se ciò fosse, mi pare che la Società dovrebbe andarne contenta, perchè sicura che le sue ragioni non saranno in tal modo manomesse, e .perchè in ultima analisi accettando essa senza riserva per arbitro decisivo il Console Generale di Austria verrebbe definitivamente e convenientemente sciolta la penosa e difficile vertenza.

(2J Cfr. n. 322.

(l) Cfr. n. 290.

340

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 219.

Tunisi, 4 aprile 1871 (per. l' 8).

Nulla qui si conosce intorno ai pretesi nuovi torbidi in Algeria, e se per avventura sonovi dei movimenti, devono essere questi di ben poca importanza, perchè il telegrafo da Tunisi ad Algeri funziona regolarmente, e perchè libere si mantengono del pari le comunicazioni tra il Kef e Costantina. In ogni modo nè prima, nè ora ho sentito che alcuno della colonia europea siasene menomamente preoccupato. Siccome poi da parte mia non vi trovo motivo di temere che possa andarne turbata la sicurezza e tranquillità pubblica, in conformità delli ordini segnatimi col dispaccio N. 96 delli 31 Marzo (l) e col telegramma del 1° andante (2), ho lasciato libero di partire il Comandante della piro-corazzata « Castelfidardo » il quale senza perdita di tempo salpava stamane stessa direttamente per Gaeta.

341

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1477. Parigi, 5 aprile 1871 (per. il 13).

Dopo Sedan, dopo la capitolazione di Parigi, ed ancora in seno all'Assemblea a Bordeaux, quando la Francia intiera esausta, disorganizzata, lassa, sospirava la pace, il partito che non cessava di spingere alla continuazione della lotta, d'accusare di tradimento chi mostrava le rovine fumanti di villaggi e di città, le campagne devastate, le famiglie immerse nel lutto, le casse vuote, ogni mezzo di difesa annientato, il partito che non smetteva di gridare: guerra, guerra a oltranza! componevasi di quegli stessi uomini ch'erano in ogni tempo appartenuti alla più radicale opposizione politica ed appetto de' quali lo stesso Governo della Difesa nazionale, da principio il loro complice di buona fede, non tardò a divenire un Governo di reazione. A qual fine, col chiedere la guerra ad oltranza, quegli uomini mirassero, i risultati della disorganizzazione sociale ed amministrativa del paese, i risultati dello sfascio dell'armata regolare, quelli dell'armamento generale e della sospensione del lavoro che getta le classi operaie in braccio di chi momentaneamente le nutre, oggi hanno chiarito ad evidenza. Benchè a loro grado troppo tosto arrestato, il soqquadro della società francese permise agli uomini della rivoluzione radicale d'impadronirsi di Parigi, d'accendere la guerra civile innanzi alle sue porte, d'inalberare la bandiera rossa in dieci altre città. Il fatto che in queste essa ebbe soltanto effimero sfoggio, il fatto che il Comune di Parigi combatte oggi solo, tradiscono vieppiù le maggiori speranze che eransi fondate sopra una dissoluzione sociale ancor più vasta e più

(2J Recte del 3, cfr. n. 332.

profonda che sarebbe stata l'inevitabile conseguenza del proseguimento della guerra.

Ciò premesso, non è senza interesse la lettura d'un articolo ch'è inspirato all'odierno JournaL officiel di Parigi da una dichiarazione del Signor Thiers in una recente circolare ai Prefetti.

Rassicurandoli sulla situazione, il Signor Thiers scriveva che a Versaglia compie la sua organizzazione una delle più belle armate che mai la Francia abbia possedute. Il Journal ofjìciel risponde:

«Quando discutevasi il trattato di pace che doveva gettare alla Germania due provincie e costarci cinque miliardi, quando i deputati domandavano, non che si continuasse una guerra che ci era stata sì disastrosa, ma che si esaminasse, nel caso in cui il trattato fosse inaccettabile, le risorse della Francia per costringere col proprio atteggiamento la Prussia a proporre migliori condizioni, il Signor Thiers interrompeva con questo grido di incredibile disperazione: «Il mezzo? il mezzo? ».

11 Signor Th~ers ignorava il mezzo di creare alla Francia una potenza militare e di trovarle le risorse capaci, non già di renderla vittoriosa dell'armata prussiana, ma di costringere la Germania ad imporci un carico meno oneroso, una umiliazione meno grande. Egli si dava un'aria di disdegno verso gli uomini la fede patriottica dei quali inquietava il suo scetticismo reazionario e la sua diplomazia monarchica.

« Il mezzo, il mezzo? » ripeteva egli, locchè voleva dire che la Francia non aveva più né armi, nè armate, ch'era impossibile di trovare le une e di ricostituire le altre. Egli si faceva giuocatore al ribasso (« baissier »), calunniatore della Francia, del suo valore e del suo patriottismo. Gli è che allora trattavasi di combattere e di respingere lo straniero.

Ma oggi si tratta di combattere francesi, di ridurre Parigi, la città repubblicana, oggetto dell'odio cieco, brutale, feroce, implacabile dei rurali.

Il « mezzo » che il Signor Thiers ignorava il 9 marzo, egli lo conosce il 2 aprile. Entro il mese egli ebbe una rivelazione. Ciò ch'egli dichiarava impossibile allorquando bisognava risparmiare alla Francia un po' di vergogna, di dolori e di debiti, egli lo dichiara possibile oggi mentre esso sogna a far colare il sangue francese, a riempire Parigi di rovine e di lutto, a rientrarvi come i prussiani entrarono a Francoforte, i turchi a Vienna.

Quando v'era da difendere l'onore ed il territorio francese, il Signor Thiers non credeva che si potesse organizzare un'armata. Ma v'ha luogo d'insudiciare la nostra storia con una criminale sventura, v'ha luogo di far rossa di sangue una delle sue pagine, di provocare la guerra civile, ed il compito è ben diverso: il Signor Thiers ci assicura, con un dispaccio indirizzato ai funzionari incaricati di governare la Francia in suo nome «che a Versaglia termina ad organizzarsi una delle più belle armate che la Francia abbia mai possedute».

Se il Signor Thiers era capace d'organizzare una delle più belle armate che

la Francia abbia possedute, perchè non l'organizzò egli quando v'era neces

sità di far fronte alla Prussia'? La Francia non possederà dunque una delle più

belle armate ch'essa mai abbia avute che per pagare cinque miliardi alla Ger

mania e per rovinare Parigi? L'uomo che osa scrivere tali cose in simili circo

stanze, senza ricordarsi di ciò che egli osava dire appena un mese prima, rende contro se stesso un verdetto di alto tradimento e di lesa nazione. Non gli resta più che applicare a se stesso la propria sentenza».

Quest'articolo non è un semplice atto di accusa di più contro la persona del Signor Thiers. Chiunque conosca le tendenze degli uomini che seggono all'Hotel de Ville e di coloro che li inspirano non può dubitarne. Esso è un programma, ancora timido, giacchè la lotta ferve indecisa tra aderenti del Comune e soldati dell'Assemblea, ed i prussiani occupano sempre i forti del Nord. Ma l'intima intenzione traspare, e quest'intenzione non è quella del solo scrittore dell'articolo.

Vincitore di Versaglia, il Comune vorrebbe egli ancora, come già dichiarò, mantenere i preliminari di pace? Lo potrebbe egli, figlio e debitore dell'« Internazionale», propugnatore della Repubblica universale? Lo potrebbe, con un'armata di vittime dell'assedio, ora rimbaldanzita da vittorie ed allora forse infiammata dalla nuova bandiera repubblicana e dalle seduzioni dello scopo sociale ch'essa rappresenta?

Giova non perdere di vista questo punto della questione che tra francesi e francesi si dibatte sui campi insanguinati sottostanti al Monte Valeriano, ad Issy, a Vanves, giacchè esso lascia scorgere inevitabile, immediato l'intervento prussiano nel caso di una disfatta decisiva delle truppe dell'Assemblea.

(l) Cfr. n. 321.

342

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. S. N. Versailles, 6 aprile 1871 (per. il 10).

Ieri 5 aprile corrente alle ore 3 pon teridiane due caporali della guardia nazionale di Parigi portarono dal ministero degli affari esteri al Palazzo della

R. Legazione e rimisero al portinaio un piego suggellato, contenente una lettera diretta «all'Inviato Straordinario e Ministro Plenipotenziario del Regno d'Italia » e firmata dal Signor Pasquale Grousset, membro del Comune di Parigi e Delegato alle Relazioni estere, colla quale il predetto Signor Grousset notifica ufficialmente la costituzione del Governo comunale di Parigi, e prega il ministro del Regno d'Italia d'informarne il suo Governo esprimendo il desiderio del Comune di ristringere i fraterni legami che uniscono il popolo di Parigi al popolo italiano.

Ho l'onore di mandar qui unita all'E. V. la copia testuale di questa lettera, pregandola d'impartirmi all'uopo le sue istruzioni. Intanto ho scritto al Signor Ressman, Primo Segretario della Legazione, rimasto a Parigi, che per ora non occorreva ch'egli rispondesse a questo documento, a meno che gli si domandasse una risposta. Ove poi gli si domandasse risposta, ovvero se credesse che il non rispondere potesse nuocere alla sicurezza dei sudditi italiani che si trovano in Parigi, lo autorizzai a rispondere accusando ricevuta del piego e dicendo che l'aveva spedito a destino.

La lettera del Signor Grousset fu mandata a tutte le Legazioni, secondo che è indicato nel giornale ufficiale di Parigi d'oggi, che ne pubblica il testo.

ALLEGATO.

GROUSSET A NIGRA

Paris, le 5 avrH 1871.

Le soussigné, membre de la Commune de Paris et Délégué par Elle aux Relations Extérieures a l'honneur de vous notifier officiellement la Constitution du Gouvernement Communal de Paris.

Il vous prie d'en porter la connaissance à votre Gouvernement, et saisit cette occasion de vous exprimer le désir de la Commune de resserrer les liens fraternels qui unissent le peuple de Paris au peuple italien.

343

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3640. Tunisi, 7 aprile 1871, ore 14,25 (per. ore 20,40).

Le bey préfère arbitrage en toute forme et il m'a présenté pour ses arbitres l'avocat Simeoni, italien, et M. Rousseau négociant français, sur lesquels il n'y a rien à objecter. Il désire aussi laisser en suspens la désignation de l'arbitre définitid', jusqu'à ·ce ·qu'elle soit reconnue nécessaire.

344

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3641. Londra, 7 aprile 1871, ore 23,35 (per. ore 10 dell' 8).

Je télégraphie du chàteau de Granville. Hier soir j'ai eu avec lui une longue conférence. Il connaissait déjà quelque chose à l'égard de l'attitude plus cléricale du nouveau Cabinet autrichien, de la position un peu embarrassée de Bismarck, et de la suspension que les événements imposaient à la France. Il a appris avec

intéret les renseignements que je lui ai fournis, mes observations, ma demande d'appui mora! de l'Angleterre contre la motion pour une conférence pour les affaires de Rome. Il m'a exprimé les sentiments les plus bienveillants du Gouvernement anglais pour l'Italie, son unité, indépendance et liberté. Très confidentiellement il m'a dit qu'il avait déjà décidé d'écrire à Vienne pour prendre une occasion favorable pour y exprimer le regret que l'Angleterre aurait de voir user une pression quelcoil!que sur l'Italie, au détriment de son unité, indépendance et dignité; et il va le faire. Quant à une démarche spéciale à l'égard de la motion d'une conférence il désire en parler, avant tout, avec Gladstone et ses collègues, mais ses dispositions sont les meilleures, et je suis convaincu que l'appui moral de l'Angleterre ne nous manquera pas. J'ai insisté particulièrement, d'un coté sur notre propre intéret à l'indépendance et liberté du pape, dans le spirituel, sur les preuves que nous en avons données, et sur notre disposition à continuer sur ce terrain notre entente amicale par correspondance avec

chaque puissance qui ait les memes intérets, et de l'aut~e còté sur les conséquen. ces qu'entrainerait pour l'Italie et l'Europe un attentat a notre unité, indépendance et dignité, et sur nos rapports avec l'Angleterre; j'ai déclaré énergiquement qu'on ne nous traduirait pas à la barre d'un tribuna! européen, avant de nous avoir écrasés tous; que les hommes meme modérés deviendraient révolutionnaires, et qu'il n'y aurait en Italie qu'un parti pour défendre à outrance l'intégrité, l'indépendance et l'honneur de la patrie contre l'étranger. Tout cela a été bien pris et compris par Granville. Je retournerai à Londres demain et vous écrirai tout de suite par le courrier de cabinet.

345

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3643. Londra, 8 aprile 1871, ore 21,10 (per. ore 10 del 9).

J'arrive à Londres. Granville ayant écrit à Gladstone a reçu sa réponse. Tous les deux désirent ce qui peut etre mieux pour l'Italie; il pensent qu'il nous serait plus utile d'accepter le système d'une conférence à la condition d'en fixer d'avance les bases. J'ai expliqué à Granville les raisons de l'avis ·contraire au point de vue des dangers pour notre unité et indépendance, des conséquences pour l'avenir d'établir nos relations avec le pape par une convention internationale, et au point de vue de notre dignité et de l'opinion publique en Italie. Granville n'a pas méconnu ces arguments, mais il croit que le système d'un refus de notre part à un accord par une conférence pourrait avoir des conséquences pour notre question nationale. La chose est restée là, avec réserve d'en parler encore. Je me suis réservé d'en parler avec Gladstone; malheureusement, lui aussi est absent. Ils ne reviendront pas avant le 17 courant. Le note de Granville à Vienne indiquée dans mon télégramme d'hier (l) est partie.

346

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

T. 1641. Firenze, 9 aprile 1871, ore 15,05.

Je vous remercie de votre télégramme d'hier (2). Je me réserve de vous répondre par lettre particulière après l'arrivée de votre courrier. En attendant, il est utile que vous connaissiez toute ma pensée. Il serait vivement à désirer que nous ne soyons pas mis dans la nécessité de refuser une conférence pour les affaires de Rome. Un refus de notre part aurait en effet des inconvénients. Mais l'Angleterre pourrait certainement faire avorter le projet d'une telle con

férence, en faisant remarquer la presqu' impossibilité d'établir d'avance un programme qui soit de nature à satisfaire d'un còté les catholiques, de l'autre l'Italie et le parti libéral. Le sénat doit discuter bientòt la loi des garanties et il l'améliorera en ce qui concerne les musées. Notre plan serait d'attendre que cette loi soit promulguée par le roi, et de la communiquer ensuite aux grandes puissances mais nous désirons, avant de faire cette communication officielle, que quelque gouvernement ami de l'Italie, par exemple l'Angleterre, se charge de sonder les différents Cabinets pour savoir si on serait disposé à nous faire une réponse favorable. Cette méthode aurait l'avantage de constituer entre l'Italie et chaque gouvernement étranger un véritable engagement moral, dont la papauté profiterait, sans que chez nous le sentiment de la dignité nationale soit froissé par un acte positif d'ingérence étrangère. Cette méthode aurait aussi l'avantage de ne pas surrexciter les passions des deux partis clérical et libéral et de ne pas engager outre mesure la responsabilité des autres gouvernements

catholiques. Veuillez me dire votre avis et celui de lord Granville. Du reste, aucune proposition de conférence n'a été faite jusqu'à présent. Tachons de ne pas donner à la situation une gravité qu'elle n'a pas encore, par des démarches qui seraient prématurées.

(l) -Cfr. n. 344. (2) -Cfr. n. 345.
347

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA

T. 1642. Firenze. 10 aprile 1871, ore 13,30.

On parle d'un projet de conférence pour la question romaine. Jusqu'à présent, je n'ai rien reçu à cet égard. Cependant, comme je compte beaucoup sur le prince Gortschakoff pour nous aider à écarter ce projet je fais appel à votre dévouement, et vous prie de retarder votre congé.

348

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA

T. 1644. Firenze, 11 aprile 1871, ore 14,10.

J e sais positivement que M. Thiers a écrit au pape, probablement pour lui

annoncer la nomination de M. d'Harcourt. La lettre contient des expressions

vagues de bonnes dispositions du Gouvernement français, et finit en disant que,

lorsque l'ordre sera rétabli en France, une conférence aura à s'occuper de la

question romaine. Naturellement à Rome on donne à cette lettre une importance

exagérée. Bien que j'ai pleine confiance dans ce que vous me dites dans votre

dernière lettre, je crois nécessaire, cependant, de vous donner ces renseignements.

Si vous le croyez convenable, vous pourrez prier Cadorna de vous envoyer

M. Conelli pour vous aider pendant la maladie de Franchetti.

349

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3646. Londra, 11 aprile 1871, ore 9,45 (per. ore 13,05).

Granville m'a écrit confidentiellement que d'après des informations de Lyons, il paraìt que quant à ·la France et à l'Autriche il n'y a plus question de conférence pour les affaires de Rome.

350

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 562/207. Londra, 11 aprile 1871 (per. il 15).

Il presente rapporto col quale avrò l'onore d'informare V. E. di ciò che riguarda gli affari di Roma Le sarà recato dal Corriere Villa che partirà domattina.

Accuso innanzi tutto ricevuta del di Lei telegramma del 30 Marzo p. p. (1), da me ricevuto il successivo giorno 31, col quale Ella si compiacque di significarmi essere Ella confidenzialmente a•ssicurata che l'Austria e la Baviera avevano l'intenzione di prOil)orre la riunione di una Conferenza che tratterebbe delle guarentigie da darsi al Papa, e della questione della proprietà Ecclesiastica a Roma. Il Signor Giulio Favre non sarebbe stato favorevole a questo progetto. Ella mi annunziava un di Lei Dispaccio .scritto su questo soggetto e l'invio di un corriere il quale sarebbe partito di costà nel .giorno successivo; però le sembrava utile che io procurassi di met·tere immediatamente in guardia Lord GranVIille ed il Signor Gladstone cont.ro dei tentativi che potrebbero diventare pericolosi per l'unità nazionale.

Nello stesso giorno 31 mi recai al «Foreign Office » e le telegrafai (2) che, non essendomi possibile il vedere tosto Lord Granville, il quale era occupato nel Parlamento e per ·consigli di Gabinetto, aveva trattenuto Lord Enfield, Sotto-Segretario di Stato politico, sul soggetto del predetto di Lei telegramma relativo al progetto di una Conferenza per gli affari di Roma. Io mi era specialmente fermato nel rilevare la gravità e le conseguenze di questo fatto onde mettere in guardia il Gabinetto ·Ingl:ese. Lord Enfield erasi tenuto in un'assoluta riserva, ed erasi limitato a dirmi che ne avrebbe fatta relazione a Lord Granville.

Io erami pure per la mia parte riservato di intrattenerne di nuovo Lord Granville, tostochè avessi ricevuto il Dispaccio che Ella mi aveva annunziato. Era però mio avviso .che il Governo Britannico fosse alieno dal volersi immischiare negli affari di Roma prendendo parte ad una Conferenza.

Con altro mio telegramma del 3 Aprile corrente (l) io Le significai essere pervenuto a mia notizia che una Nota era stata indirizzata a V. E. dal Signor Conte de Beust sugli affari di Roma e che sapeva in modo certo che copia di questa Nota era stata qui mandata dal Signor Conte de Beust stesso al Signor Conte Appony. Però questa comunicazione era stata fatta a quest'ultimo solo per sua notizia, ed io sapeva di certo che egli non era incaricato di intrattenere Lord GranviHe su questo soggetto, che non gliene aveva parlato, e che non intendeva di parlargliene se non nel caso che ne ricevesse l'ordine.

Le annunziai nello stesso telegramma che Lord Granville era partito per la sua campagna di Walmer Castle onde passarvi le vacanze di Pasqua.

Nel successivo giorno 4 corrente mi pervenne il di Lei telegramma del precedente giorno 3 (2). ELia mi ha con esso informato che il Signor Giulio Favre aveva ripetuto al Signor Cavaliere Nigra che la propaganda di una Conferenza era partita da Vienna, e che il Governo Francese preferiva delle negoziazioni per corrispondenza. Ella mi diceva ch'io poteva comunicare ciò a Lord Granville a titolo d'informazione confidenziale, e per confermare la ripugnanza che il GabineHo di Santo Giacomo aveva sempre mostrata con ragione ai progetti di Conferenza senza un programma anticipatamente ben definito, e senza uno scopo ben determinato.

La sera del 3 corrente giunse qui il Corriere Villa portatore dei di Lei Dispacci ,seguenti cioè: 1° il dispaccio 30 Marzo p. p. Serie Politica n. 81 (l) col quale Ella mi mandò copia di un dispaccio da Lei diretto il 24 dello stesso mese al Signor Cavaliere Nigra (3). 2° Dispaccio 31 Marzo p. p. (l) col quale Ella mi mandò copia di un rapporto dell'Incaricato d'Affari a Vienna del 28 marzo p.p. ( 4), e copia di una Memoria intorno agli affari ~~clesiastici, destina·ta alla Legazione di Francia. 3• Una lettera particolare di V. E. sugli affari di Roma in data del 30 Marzo p. p. (5). 4° Un fascicolo dei documenti litografati contenente i _pr,imi tre numeri dell'incartamento N. 6 relativo a Roma, ed i N. 36 al 46 pure relativi agli affari di Roma.

Dalle corrispondenze sopra indicate risulterebbe che a Vienna si diceva che l'invito per un accordo dei Gabinetti !per gli affari di Roma veniva dal Governo francese, che a Parigi si diceva che ,simili idee venivano da Vienna, e che a Berlino si diceva che chi vi aveva fatte esplorazioni a questo fine era la Baviera.

Appena ricevuti i predetti di Lei Dispacci avendo chiesto un abboccamento a Lord Granville, questi cortesemente mi telegrafò dalla sua campagna che la mia camera era ·Colà pronta, e che sarei stato il benvenuto. Nello stesso giorno ebbi una conversazione col Signor Odo Russell sugli affari di Roma a riguardo dei quali esso mi espresse i più favorevoli sentimenti verso l'Italia che così bene conosce. Ciò che ·telegrafai la sera del giorno 5 corrente (1).

Essendomi il ,giorno 6 recato a Walmer Castle presso il Signor Conte Granvi1le, ebbi con ~lui una lunga conversazione sugli affari di Roma di cui

2~ -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. II

Le diedi contezza con telegramma (l) che il mattino del giorno 7 mandai di colà a Londra perchè Le fosse immediatamente spedito.

A conferma di codesto telegramma ho l'onore di significarle quanto segue. Nella conferenza col Signor Conte Granville egli mi disse che aveva ~ure qualche notizia dell'attitudine più clericale che pareva avesse il nuovo Gabinetto in Austria, della condizione un po' imbarazzata nella quale pareva si trovasse il Principe Bismarck a riguardo degli affari di Roma, e che sapeva del pari che gli avvenimenti recenti della Francia avevano prodotto presso quel Governo una sospensione a riguardo di quest'affare.

S. S. udì con molto interesse le indicazioni che io Le ho fornite all'appoggio dei predetti di Lei telegrammi e dispacci. Egli accolse ·COn gli stessi sentimenti le mie osservazioni colle quali ho accompagnato la domanda che gli feci dell'appoggio morale del Governo Britannico per scansare la mozione di una Conferenza per gli affari di Roma. Il Signor Conte m1 espresse innanzi tutto nel modo più esplicito i sensi della più grande simpatia .che questo Governo aveva per l'Italia, ~er la •sua unità, indipendenza e libertà. Soggiunse in modo affatto confidenziale che egli (probabilmente in seguito alle mie conversazioni con Lord Enfield e col Signor Odo Russell) aveva già provveduto per fare per.venire al Rappresentante Britannico a Vienna l'istruzione di cogliere un'occasione favorevole per esprimere a quel Governo il dispiacere che proverebbe il Governo Britannico nel caso che vedesse usarsi una qualsivoglia pressione sull'Italia a danno della sua unità ed indipendenza, e che questo dispaccio sarebbe partito quanto prima. Per ciò che specialmente riguardava la mozione che si facesse di una Conferenza e l'appoggio domandatogli per impedirla all'uopo,

S. S. mi disse che egli desiderava di parlarne innanzi tutto col Signor Gladstone e cogli altri suoi ColÌeghi.

Io Le soggiungeva che a mio giudizio le disposizioni di questo Governo a nostro riguardo erano assai buone, ed essere mia opinione che l'appoggio morale dell'Inghilterra non ci sarebbe mancato. Credo superfluo di esporle tutte le considerazioni che mi parve utile di presentare a S. S. su questo importante soggetto e mi limiterò a dirle che ho particolarmente insistito nello stabilire da una parte il grande interesse che noi avevamo a mantenere ed a tutelare la indipendenza e la libertà del Pontefice nelle cose spirituali, nello spiegare le prove che già ne avevamo date, la nostra intenzione di mantenerci a questo fine in relazioni amichevoli mediante corrispondenza con ciascuna Potenza che avesse un interesse simile al nostro, e dall'altra insistetti sulle conseguenze deplorevoli per l'Italia, per l'Europa, di un attentato qualunque alla nostra unità, indipendenza e dignità, e sull'assegnamento che facevamo sui nostri buoni rapporti col Governo Britannico. Essendomi parso inoltre opportuno di richiamare l'attenzione di S. S. sulla attitudine a cui si forzerebbe l'Italia ove la sua unità ed indipendenza non fosse rispettata, .gli dissi che non si riuscirebbe a tradurre l'Italia alla sbarra di un Tribunale Europeo prima di averla schiacciata, che in tale caso anche gli uomini più moderati sarebbero diventati rivoluzionari, e che in Italia non vi sarebbe stato che un solo partito

per difendere sino all'ultimo l'integrità, l'indipendenza e l'onore della patria contro lo straniero. Soggiunsi che, conoscendo il mio paese per lunga pratica, sentiva di poter affermare che dicendogli ciò aveva dietro di me tutta l'Italia.

Queste mie dichiarazioni sono state ascoUate con interesse, e furono ben comprese da Lord Granville.

Avendo creduto opportuno di gradire l'istanza fattami da Lord Granville perchè mi fermassi presso di lui, io La prevenni che sarei ritornato a Londra solo l'indomani e che, giuntavi, Le avrei scritto col mezzo del Corriere Villa.

Col successivo telegramma della •sera del giorno 8 (1), speditole tosto dopo il mio arrivo a Londra, il quale ora Le confermo, Le diedi notizia di altre conversazioni avute col Signor Conte Granville sullo stesso soggetto.

Il Signor Conte Granville aveva scritto o telegrafato al Signor Gladstone per avere il suo avviso a riguardo della mozione per una Conferenza sugli Affari di Roma. Egli non aveva ancora ricevuto la risposta quando, a modo di discorso, m'indicò alcuni argomenti che ci si sarebbero potuti opporre da chi facesse una mozione per una conferenza nel caso che noi fossimo riluttanti ad accettarla. Egli mi disse che me ne faceva cenno unicamente come di cose che poteva prevedersi che ci si dicessero, non già dal Governo Inglese ma s~bbene da altri, e perchè desiderava che ne ragionassimo.

Le ultime nostre conquiste, egli disse, pareva che non erano ancora state riconosciute; l'Inghilterra sola aveva fatto salutare dalle sue navi la bandiera Italiana a Civitavecchia; la nostra resistenza ad accettare una Conferenza per gli affari di Roma avrebbe potuto attira['Ci dei rifiuti a riconoscere le ·conseguenze degli ultimi nostri fatti; ci •si sare.bbe detto che il nostro rifiuto non era giusto, poichè trattavasi di cosa in cui altre Potenze erano pure assai interessate. Noi avevamo presentato aUa Camera una legge per le garanzie al Papa; ma era pure vero che la Camera aveva alterato le proposte del Governo. Mi fece poi notare che nella Conferenza non saremmo stati soli, e .soggiunse parecchie altre cose nello stesso senso, per le quali conchiuse parergli che il nostro interesse consigliasse piuttosto a non rifiutarci ad una Conferenza la quale sembravagli pure essere, allo stato delle cose, il miglior partito, ove in prima se ne stabilissero le condizioni.

Credo inutile il riferire le risposte da me date a ciascuna deHe cose dettemi da S. S. Noterò solo che mi sono occupato specialmente nel dimostrare le difficoltà che incontrava al presente, e per l'avven<ire, il far dipendere da conversazioni, provvedimenti di carattere interno, le difficoltà insuperabili che si sarebbero praticamente trovate nell'intendersi sul programma della conferenza, il nessun risultato pratico a cui una tale proposta sarebbe riuscita, e l'inutile sforzo che avrebbero con esso fatto i Governi per attutire le pretese del partito ultra-Cattolico politico, il quale voleva una sola cosa, e di essa sola sarebbe stato contento, c-ioè che Roma e l'antico Stato Papale fossero ridonate al Papa mediante lo smembramento dell'Italia. Di fatto questo partito affermava in tutti i suoi indirizzi, nelle petizioni, nei giornali, non esservi altro modo per dare indipendenza al Papa fuor quello di restaurare con la forza il

potere temporale del Papa. Parevami perciò convenisse assai meglio a tutti il mettere da parte l'idea di una conferenza, lasciare che l'ItaHa continuasse nell'interesse comune l'opera legislativa già così avanzata, e colla quale essa preveniva anche i desideri degli altri Governi, ed il continuare nelle amichevoli corrispondenze alle quali l'Italia non si era mai rifiutata e dichiaravasi disposta a continuare. Era vero che la Camera aveva fatto qualche variazione alle proposte del Governo della legge per le garanzie al Papa, ma era di tutta probabilità che l'unica essenziale variazione, che riguardava i Musei del Vaticano, sarebbe stata tolta dal Senato, che avrebbe ristabilito il concetto del progetto Ministeriale; e presso di noi la Camera era deferente al Senato, che camminava con la Camera nelle cose essenziali.

Essendo poscia giunta al Signor Conte la lettera di risposta del Signor Gladstone, egli mi lesse una parte della medesima dalla quale risultava che anche il Primo Ministro, desiderando ciò che potesse parere il meglio per l'Italia, opinava che il sistema di una conferenza fosse più consentaneo agli interessi dell'Italia, purchè se ne stabilisse in prima il programma. In questa occasione essendosi nuovamente scambiate reciproche osservazioni, S. S. pur non disconoscendo l'importanza di quelle che io gli aveva sottoposte mi disse che gli pareva che il rifiuto per parte nostra di aderire ad una conferenza potrebbe avere delle .conseguenze più gravi per la nostra questione nazionale.

S. S. ebbe poi la cortesia di darmi lettura della Nota che scriveva all'Ambasciatore Britannico a Vienna, coerentemente a quanto ebbi l'onore di dirle, ed io penso che, sebbene in essa non .si faccia alcun cenno di conferenza, poichè una >tale idea pare che si nutra principalmente colà, quel dispaccio eserciterà un'influenza nel senso di impedire -che una proposta sia messa avanti a questo scopo.

Feci per ultimo notare a S. S. che eravamo ancora affatto lontani da che vi fosse la proposta di una conferenza, e che trattavasi anzi di far sì che essa non fosse posta innanzi. Era inoltre a ritenersi che già il Signor Giulio Favre erasi chiarito preferibilmente propenso al sistema di una corrispondenza diplomatica, e -che nell'Assemblea federale Germanica, in occasione della recentissima discussione dell'indirizzo all'Imperatore, nel ·quale si proclamava il principio del non intervento di quell'Impero negli affari degli altri Paesi, un emendamento messo innanzi dal partito ultra-Cattolico perchè si facesse una eccezione a questo principio a favore del Papa era stato rigettato a grandissima maggioranza.

Le nostre conversazioni lasciarono le ·cose in questo stato, ed avendo io espresso il desiderio di conferire anche col Signor Gladstone su questo soggetto, il Signor Conte mi disse che ne era ben contento, e che anzi ciò gli avrebbe fatto piacere. Sventuratamente anche il Signor Gladstone è ora lontano da Londra e nè egli nè Lord Granville vi ritorneranno prima del 17 corrente giorno in cui si ripiglieranno le sedute della Camera dei Comuni. Resi molte grazie a S. S. per la simpatia e l'interesse vivo che prendeva per l'Italia, e richiamandogli le cose dettegli altre volte sulla stretta analogia degli interessi e della politica della Gran Bretagna e dell'Italia (le quali ebbi l'onore di riferire

a V. E. nel mio Rapporto del 17 Dicembre 1870 n. 173 Politica) (l) gli espressi il desiderio e la fiducia della continuazione di un comune accordo su tutte le grandi questioni nelle quali l'analogia degli interessi le avrebbe collocate sullo stesso terreno.

Le accuso per ultimo ricevuta del di Lei telegramma del 9 corrente (2) da me ricevuto ieri. Sebbene non vi 'sia cenno che di uno dei due telegrammi da me speditile il 7 e 1'8 corrente (3) penso che ambedue Le siano pervenuti. Ella nell'atto che ha la cortesia di ringraziarmi del mio telegramma del giorno precedente, si riserva di risrpondermi ·con lettera particolare dopo l'arrivo del corriere che deve portarle i miei Rapporti. Ella crede che frattanto sia utile ch'io conosca tutto il di Lei pensiero. Sarebbe assai a desiderarsi che noi non fossimo messi nella necessità di rifiutare una conferenza per gli affari di Roma. Un rifiuto per la nostra parte produrrebbe degli inconvenienti, ma l'Inghilterra potre'bbe al certo fare abortire il progetto di una tal conferenza, facendo notare la quasi assoluta impossibilità di stabilire anticipatamente un programma che sia tale da soddis:fare da una parte i Cattolici e dall'altra l'Italia ed il partito liberale.

Il Senato, doveva discutere tosto la legge delle guarentie, ed esso la migliorerebbe in ciò che concerne i Musei. Il di Lei piano sarebbe di aspettare che questa legge fosse promulgata dal Re, e di comunicarla poscia alle Grandi Potenze.

Però prima di fare questa comunicazione ufficialmente Ella desidererebbe che qualche Governo amico dell'Italia, per esempio l'Inghilterra, si incaricasse di esplorare i diversi Gabinetti per sapere se sarebbero disposti a d:arci una risposta favorevole. Ques·to metodo presenterebbe il vantaggio di costituire tra l'Italia e ciascun Governo straniero un impegno del quale il Papa profitterebbe senza che in Italia il sentimento della dignità nazionale fosse ferito da un atto positivo d'ingerenza straniera. Questo metodo avrebbe anche il vantaggio di non sopraeccitare le passioni dei due partiti clericale e liberale, e di non impegnare troppo la risponsabilità degli altri Governi Cattolici. Ella mi invita a darle il mio avviso e quello di Lord Granville. Del resto nessuna proposizione di conferenza fu fatta sino al presente, e dovevasi procurare di non dare alla questione una gravità che essa non ha ancora con dei passi ·che sarebbero prematuri.

Da quanto ebbi l'onore di esporle sopra, Ella avrà rilevato che nelle mie precedenti conversazioni con Lord Granville io aveva appunto già soddisfatto a buona parte dei concetti da Lei espressi nel predetto di Lei telegramma. Ieri sera poi mi pervenne un biglietto privato e confidenziale di Lord Granville il quale mi scrisse dalla sua campagna che, secondo informazioni di Lord Lyons pareva che quanto alla Francia ed all'Austria, non vi fosse più questione di conferenza per gli affari di Roma. Ciò ebbi l'onore di significarle jeri sera stessa con mio 'telegramma (4).

Oggi mi sono affrettato di rispondere al Conte Granville con mio biglietto particolare e privato, e non rientrando egli a Londra che fra una settimana ho approfittato dell'occasione per mandargli copia del predetto ultimo di Lei telegramma colle sole varianti richieste dal segreto della cifra. Con questa mia lettera, appoggiando il piano da Lei indicato siccome quello che soddisfaceva aHe giuste aspettazioni dei Paesi interessati evitando complicazioni, insistetti sulla impossibilità pratica di .una conferenza, e sul fatto che una simile proposta non avrebbe servito che a sollevare nuove difficoltà e complicazioni. Parevami poi che, dappoichè l'idea d'una Conferenza sembrava abbandonata in Francia ed in Austria, fosse altrettanto più facile ed utile l'impedire che essa venisse alla luce, se per caso quest'idea fosse ancora nudrita altrove.

(l) -Cfr. n. 314. (2) -Cfr. n. 323. (l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 331. (3) -Cfr. n. 289. (4) -Cfr. n. 307. (5) -Cfr. n. 315.

(l) Cfr. n. 344.

(l) Cfr. n. 345.

(l) -Cfr. serie II, vol. I, n. 728. (2) -Cfr. n. 346. (3) -Cfr. nn. 344 e 345. (4) -Cfr. n. 349, trasmesso alle ore 9,45 dello stesso giorno 11 aprile.
351

IL CONSOLE GENERALE A TRIESTE, BRUNO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 76. Trieste, 11 aprile 1871 (per. il 13).

Ieri verso le 3 pomeridiane ho ricevuto dall'I. R. Luogotenenza l'unita nota colla quale mi si <faceva l'invito di inalberare la Bandiera nazionale a mezz'asta al momento in cui si sarebbero fatte le salve funebri ad onore del defunto Cavalier De Tegetthof Comandante dell'I. R. Marina da Guerra.

Dopo non poche riflessioni io non ho creduto di dovermi astenere dal ·corrispondere al ricevuto invito, e mi affretto a darne avviso all'E. V. ben sapendo che il mio operato avrà incontrata la disapprovazione di taluni che soffrono vedendo l'Italia in buoni rapporti col Governo austro-ungarico.

È vero che il Vice Ammiraglio De Tegettof ci ha vinti ;;; Lissa, ma ci ha vinti in guerra e lealmente ed anche dopo la riportata vittoria conservò la stima dei vinti, stima di cui si mostrò sempre degno colla sua prudenza ·e colla costante sua modestia, imperocchè è notorio che egli in ogni occasione attribuiva ad un caso fortunato la vittoria di Lissa e mai non tralasciava di esprimersi in termini onorevolissi:mi per la bravura della flotta italiana. Ora che le amichevoli .relazioni sono ristabilite tra i due Governi, io avrei mancato al dovere che mi incombe di cementare questi buoni rapporti rifiutando di partecipare agli onori funebri di un uomo di cui tutto l'impero compiange l'immatura perdita (1).

352

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R.220. Tunisi, 11 aprile 1871 (per. il 15).

Col dispaccio N. 97 di questa serie in data del 31 Marzo (2) scorso

V. E. ha favorito maniiestarmi il criterio da seguirsi nell'applicazione dei 2 articoli del Io protocollo.

Per ciò che eoncerne l'uno di essi articoli, venne col medesimo chiarito abbastanza essere nostra intenzione di non abbandonare all'arbitrio ed al malvolere delle autorità locali i coloni indigeni addetti ad un fondo posseduto od affittato da un italiano, e non mai di limitare il diritto di piena ed assoluta giurisdizione del Bey sopra i suoi sudditi. L'intervento quindi del Console nel caso di arresto di quakheduno di essi coloni indigeni riducendosi ad una semplice garanzia pei proprietari o conduttori italiani di fondi rustici nell'esercizio dell'industria agricola, mi farò senza esitanza a sollecitarne l'esecuzione dal Bardo, e a dare in proposito le occorrenti istruzioni ai RR. Agenti Consolari nella Reggenza.

Col diritto d'altra parte che abbiamo acquistato in virtù del 2° articolo del medesimo protocollo di non potersi aumentare senza il nostro consenso le tariffe vigenti per l'esportazione dei prodotti del suolo tunirsino, nemmanco si apporta danno ai ·Creditori del Bey, perchè non viene per ·tal modo diminuita la rendita che fu loro conceduta. Resta la privativa del tabacco, ma dessa non viene punto pregiudicata colla piantagione ed esportazione di questa foglia una volta che con apposito regolamento se ne determinasse H modo, ed una volta che lo smercio in paese fosse esclusivamente riservato all'amministrazione delle rendite concedute. Tale diffatti è l'avviso dei Membri italiani del Comitato di Controllo, e del Cavaliere Fedriani Presidente del Consiglio di Amministrazione, i quali da me espressamente consultati trovano anzi nello sviluppo di questa industria una nuova rendita col diritto da stabilirsi per l'esportazione.

Completandosi con queste spiegazioni, non solo il progettato memorandum che piacque all'E. V. di comunicarmi e di cui le restituisco la minuta, varrà a togliere ·le opposizioni suscitateci nelle trattative col Bey dai Rappresentanti dell'Inghilterra e della Francia, ma servirà altresi ad allontanare in avvenire il di loro ingerimento nei nostri affari.

Tra le clausole poi stipulate nel .secondo protocollo rimane a farsi l'inchiesta onde chiarire gli autori dei disordini avvenuti alla Gedeida. Ora questa avrà luogo dimani, e per procedervi il Bey ha designato da parte sua il Generale Si Arbi Zaruck, Presidente del Municipio di Tunisi, ed H Signor Conti l'uno degli interpreti del Ministero degli Affari Esteri, mentre noi vi saremo rappresentati dal Console Giudice Cavaliere Quigini Puliga assistito dai Signori Mirabile e Millelire.

E riservandomi di trasmetterlene gli atti relativi, pregola intanto...

(l) -Annotazione marginale: c Si approvi la sua condotta •. (2) -Cfr. n. 322.
353

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. Londra, 11 aprile 1871 (per. il 15).

Il mio rapporto in data d'oggi (2) che consegno al Corriere Villa, il quale Le recherà anche la presente lettera mi dispensa dal tenerle discorso delle

mie recenti conversazioni con Lord Granville sugli affari di Roma cui si rifel'iscono la di Lei lettera particolare del 30 Marzo p. p. (l) ed i dispacci, e telegrammi indicati nel predetto mio rapporto. Avendo dimorato per tre giorni nella campagna di Lord Granville ebbi ogni agio di avere con lui pareechie, e lunghe conversazioni. Non sarebbe per altra parte possibile il ria,ssumere in iscritto tutte le cose che in quelle occasioni si son dette, nè crederei conveniente il darle ancora il tedio di troppo dettagliati, epperciò lunghi rapporti. E poichè Ella ebbe la cortesia di invitarmi a dirle il mio avviso a riguardo del sistema che il Governo del Re intenderebbe di seguire, del quale mi fece cenno nel suo telegramma pervenutomi jer sera (2), mi faccio a soddisfare al di Lei desiderio.

Consento pienamente nell'avviso, che un rifiuto assoluto, e sulle prime di una conferenza presenterebbe degli inconvenienti, e che per ciò bisogna fare tutto il possibile per evitare la necessità di doverlo dare. Da ciò segue, che ogni sforzo debba essere fatto perchè una simile proposta non venga alla luce. Mosso appunto da questa opinione io aveva già chiesto a Lord Granville null'altro se non che il suo intervento spontaneo, e la sua azione morale per sventare, sulle prime, le idee, che pareva esistessero in qualche Gabinetto; ed anzi pregai Lord Granville a farlo subito dicendogli che importava assai di impedire, che una simile proposta si producesse formalmente, od anche solo si deliberasse di farlo. Ho poi insistito in modo molto deciso, e ,con energia nel mettere innanzi le conseguenze che sarebbero venute dal mettere l'Italia in una situazione impossibile, perchè nulla può essere più efficace per determinare questo Governo ad agire onde impedire una cosa che il persuaderlo, che se non la si impedisce ne nasceranno appunto quei guai, e quelle complicazioni, che egli ,teme sempre assai, e che sono la maggior spinta per fargli fare la parte della pace futura.

Non >sarebbe poi certamente possibile il dubitare, che, ove pure una conferenza dovesse aver luogo, essa non ,potrebbe mai essere accettata se non colla condizione espressa che ogni questione relativa alla unità, ed indipendenza dell'Italia debba esserne scartata, ed anzi colla condizione, che l'Italia come si è integrata in unità, e costituita colla sua Capitale sia da tutte le grandi potenze riconosciuta.

Ma si potrebbe accettare una conferenza con questa condizione? Una conferenza in cui si dovesse collettivamente, e per deliberazione in comune stabilire ciò che l'Italia dovrà fare, e mantenere in perpetuo onde la indipendenza del Papa sia guarentita? A me pare certissimo, che basti l'enunciare ciò perchè si debba rispondere recisamente: no.

Parlo di questa ipotesi sebbene io sia convinto, che, procedendo con prudenza, energia ed antiveggenza, non ci troveremo complicati in modo serio in questa difficoltà. Ed ho detto che una conferenza non si dovrà mai permettere che abbia luogo, senza voler pregiudicare la questione relativa al modo di impedirla. Dico solo che in un modo, od in un altro bisogna assolutamente impedire che una conferenza abbia luogo. Essa sarebbe, a mio avviso, una

delle più grandi sciagure .che possan9 cadere sull'Italia. Una conferenza seria, e come la debbono volere i Governi che la proponessero non può ·finire che con una convenzione. E questa convenzione non potrebbe essere che unilaterale, cioè gli obblighi per l'Italia, ed i diritti per gli altri Stati. Questa convenzione non potrebbe avere per .soggetto, che gli ordinamenti interni legislativi, e Governativi dell'Italia. E v'ha una cosa ancora più grave: questa convenzione non può essere pretesa, nè accettata, e la conferenza stessa non può essere pretesa od accettata senza sancire implicitamente il principio che l'Italia è un feudo del Papa, e delle popolazioni, o frazioni delle popolazioni cattoliche degli Stati; che essa ha l'obbligo di tenere il Papa sul suo territorio, e che conseguentemente ha l'obbligo di tenerlo a certe determinate condizioni che, 1per consenso delle altre Nazioni, siano giudicate sufficienti a garantirle, anche per l'avvenire, l'osservanza regolare di una tale obbligazione.

Io non posso svdluppare in una lettera ciò che ci sarebbe da dire per met~re ciò in chiaro; ma la cosa mi pare così evidente, che è poco male il non poterlo fare.

:Io non ho bisogno di dire a Lei quali ne sarebbero le conseguenze pel presente e per ·l'avvenire dell'Italia, tanto nell'interno, che nelle sue relazioni internazionali, che nelle sue relazioni col Papato. Una conferenza non potrebbe dunque mai, ed in nessun caso essere accettata.

Come scansarla nel caso che fosse domandata?

Dico prima di tutto, ·Che ad impedire che ci sia domandata gioverà molto il lasciar intendere nei modi più convenienti e prudenti, .che essa lederebbe in principio la Sovranità, l'autonomia, e l'indipendenza d'Italia; e (quando si sappia, che la si vuoi proprio domandare) il non lasciar dubbio che nessun Gowrno iln Italia la potrebbe accettare senza cadere tosto a terra, -e che l'Italia sarebbe spinta a fare ciò che sa fare un popolo sensibile al suo onore, quando gli si vuoi fare il più grande dei torti, e degli insulti.

Se la proposta si facesse, parmi, che, prima di venire ad un immediato rifiuto bisognerebbe far valere le difficoltà pratiche, l'inutilità del tentativo, e la necessità morale, politica, e di giustizia di non accettare un convegno di potenze altrimenti che con ·COndizioni che lo spoglino di ogni carattere convenzionale e che gli mantengano solo quel carattere libero che è proprio delle corrispondenze diplomatiche. Il che vorrebbe dire non fare una conferenza, e tantomeno una .convenzione.

In ogni caso poi l'Italia dovrebbe essere audace nella resistenza, e nel rifiuto, il quale sarebbe tanto più ·giustificato quanto maggiore fosse l'insistenza nel volerlie imporre una conferenza. Se v'ha, a mio avviso, un caso in cui l'Italia dovrebbe andare incontro anche a gravi pericoli egli è questo nel quale sarebbe minacciata di morire moralmente, e politicamente appena nata. Ripeto, ·che io non credo punto a queste eventualità, se, come non ne dubito, saremo fin d'ora palesemente disposti a tutto fare liberamente per contentare tutti, e ci mostreremo ben determinati a non subire le ingiuste pretese. Ma soggiungerò che non è possibile, allo stato attuale delle cose, dei Governi, e dell'opinione, che trovasse l'appoggio di tutte le Potenze un Governo il quale dicesse all'Italia: «Tu sei obbligata a tenere il Papa alle condizioni per le quali dobbiamo fare un contratto che ti vincoli pel presente, e per tutto l'avvenire, e questa convenzione la devi fare ».

Ma se non è prevedibile che ciò avvenga, mi pare opportuno l'escludere affatto che ciò si potesse ammettere; poichè son d'avviso, che nelle cose politiche il decidere ciò che si può, e che si deve fare, dilpende in gran parte dallo stabilire in prima recisamente dò che non si può, e che non si deve fare.

lit ·solo sistema giusto, equo, utile, e pratico è quello fin qui seguito, e quello che Ella si propone di seguire. Nelle sue ragioni giuridiche, e politiche, e nella sua .sostanza mi pare che esso si possa riassumere, in bocca dell'Italia, così: «Io non sono obbligata a tenere il Papa che alle condizioni interne che io creda di dover liberamente stabilire, perchè nessuno ha diritto di comandare in casa mia, e neppure per interessi religiosi.

Il Papa è pienamente libero di rimanervi a queste condizioni, o di andare dove più gli piace. Ma io ho un grande interesse religioso e politico a che egli rimanga, e le altre Nazioni cattoliche hanno lo stesso interesse.

Io sono perciò determinata a fargli delle tali condizioni, e così larghe per lo spirituale, che Egli se ne debba contentare, se parla solo come Papa, e di cui debbano essere contenti tutti i Paesi.

Io sono disposta a sentire amichevolmente tutti i Governi, perchè se hanno qualche cosa di ·buono da suggerire a questo fine, sono pur disposta a farlo ll.iberamente, e nel m~o interesse.

Ho anzi già fatto un ordinamento interno, che conserva al Papa la più larga indipendenza e l:ibertà, e tutti i mezzi, e beni materiali di cui ha usato fin qui, e che stabilisce sulle basi della libertà un così largo diritto pubblico politico-religioso quale non esiste in nessun Paese d'Europa.

Ecco questa, che è già una legge dello Stato; nessuno di Voi, Governi, farebbe altrettanto, e se ne volete di più parlate; ma se vorrete quello che io non posso fare liberamente salvi i miei diritti di nazione, in allora, vi dirò, pigliatevi Voi il Papa, perchè io non sono infeduata all'Europa per tenerlo, e non sono obbligata a tenerlo a detrimento dei miei diritti di Nazione.

Che se mi domandate quali guarentie io vi dò che ciò che faccio sarà sempre da me conservato, io vi risponderò che se parlate di .garanzie legali, effettive e vincolanti per me, non sono •Obbligata, e non debbo darvene nessuna; perchè non si è obbligati a garantire che ciò che si è obbUgati di fare, ed io non ho l'obbligo ver;so l'Europa cattolica di tenere il Papa, e tantomeno a certe determinate condizioni eccezionali alla mia legislazione, ed al m~o diritto pubbHco interno. Che se mi parlate di garanzie puramente morali vi rispondo che vi dò le maggiori possibili, cioè il mio interesse stesso, che mi fa fare quello che ora faccio, che essendo permanente ne garantisce moralmente la conservazione, ed il mi•o diritto pubblico interno basato pienamente sul principio dell'indipendenza, e della libertà religiosa».

Il Governo che non si contenti di ciò, deve necessariamente partire dalla base che l'Italia non è libera; ma che è una Nazione su cui pesa la servitus Papae; un tale Governo deve volere, e vuole l'Italia dipendente dalle altre Nazioni,

deve volere lo smembramento dell'Italia, per ristabilire il Governo temporale del Papa.

Con un tale Governo non vi sarebbe null'altro di ,possibile che la guerra, se egli ce la volesse fare. Ma questo Governo ora in Europa non ~c'è, e, se pur vi fosse, avrebbe tutta l'Europa contro di se. Una guerra all'Italia pel Papa, ora che l'Italia è fatta, e che bisognerebbe disfarla non è possibile ed il miglior modo di allontanarla di più, se fosse possibile, è quello di allontanare bene, e decisamente l'idea, che le nostre larghezze pel Papa vengano da paura, o da poca confidenza nella nostra causa, pur conservando la prudenza, ed il sistema largo, che abbiamo fin qui seguito.

Mi scusi, se ho ragionato sopra in una forma un po' banale; mi parve di potere così esprimere meglio, e più concisamente il sistema, che seguimmo, riferendolo alle sue basi giuridiche, senza delle quali og~i sistema è sempre debole.

Io Le dico francamente, che, allo stato attuale dell'Europa, io non vedo nella questione di Roma serii pericoli per l'Italia, se sapremo conciliare la prudenza coll'audacia usata a tempo, e sulla base della ragione, e se sapremo continuare nei largo sistema, e giusto, che abbiamo fin qui seguito. Noi non domanderemo a nessun Paese, ~che riconosca esplicitamente la nostra ultima conquista Nazionale; ma tutti la riconosceranno senza che lo domandiamo. Quando alla fine di Giugno andremo a ,piantare a Roma la Capitale, non vi sarà nessun Governo, che voglia far partire il suo rappresentante dall'Italia, nè farlo stare ridicolamente a Firenze. I rappresentanti esteri presso il Governo Italiano in Roma saranno la ricognizione implicita di Roma Capitale del Regno. Noi, parmi, non dobbiamo volere di più al presente, e dobbiamo così lasciar consolidare dal tempo i fatti, e renderli vieppiù irrevocabili. Vi saranno, e vi sono già Governi, che tl'loveranno ridicolo, l'avere due Rappresentanti a Roma; vi saranno Parlamenti che votando il bilancio, troveranno assurda questa doppia spesa, e così a grado a grado si avrà la più esplicita delle ricognizioni.

Però ad evitare meglio seccature, e disturbi mi pare che sia neces!jario mantenere in Roma una vigile, e forte polizia, che impedisca, e freni la imprudenza di alcuni liberali; avervi qualche giornale serio, che legga i giornali forestieri, e ·che smentisca le 1principali loro menzogne in linea di fatto; mandando alle Legazioni dove si pubblicano i giornali smentiti il foglio del giornale Italiano che li ha smentiti; preparare dei buoni sunti, con spiegazioni delle leggi, che il Parlamento sta votando, e farli pubblicare in giornali accreditati delle principali Capitali d',Europa. Far fare anche ~qualche scritto apologetico sulla libertà religiosa in Italia, e specialmente in Roma, e farli pure pubblicare all'estero; ed in questi scritti fondarsi più ,sopra fatti che non sopra ragionamenti. Si tratta di una gran causa che ora si dibaUe avanti l'opinione pubblica in Europa, e questa, voglio crederlo, è in molti luoghi molto fuorviata, e si

finisce a credere, che in dò che dicono i giornali Clericali c'è una buona parte di vero. Da amici dell'Italia mi si fanno qui interrogazioni, che mi fanno trasecolare. Che 'se si vuole diminuire la pressione ~che gli ultra-Cattolici fanno sui Governi bisogna sbugiardare tanto (in punto di fatto) i loro giornali, che nessuno più li creda.

Mi accorgo che sono ricaduto nel mio peccato, contro miei proponimenti, epperciò finisco raffermandomi...

(l) -Annotazionale marginale: c Copia a Berlino •· (2) -Cfr. n. 350. (l) -Cfr. n. 315. (2) -Cfr. n. 346.
354

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA (l)

L. P. Firenze, 12 aprile 1871.

Le Courrier dont vous m'annoncez le départ de Londres n'est pas encore arrivé. Néanmoins je profite d'un courrier anglais que M. Paget a mis gracieusement à ma disposition, pour m'expliquer avec vous au sujet de la proposition d'une Conférence pour les affaires de Rome, ainsi que sur d'autres propositions analogues qui pourraient se produire encore.

Il est bon que vous sachiez que jusqu'à présent je n'ai reçu aucune communication ayant un caractère moins qu'amical pour les affaires de Rome. Il s'agit de bruits co.Jportés avec ostentation par les journaux cléricaux, et qui ne sont confermés qu'en partie par les informations directes qui me sont parvenues jusqu'à présent. Il parait positif que M. Thiers a adressé au St. Père une lettre dans laquelle il annonce la nomination du Comte d'Harcourt à Rome comme Ambassadeur. Après des assurances sur l'intéret que la France continue à prendre au S. Siège la lettre ferait une allusion vague à une Conférence, qui, une fois l'ordre rétabli en France, pourrait se réun!ir pour les affa:ires de Rome. Cependant, M. Nigra continue à déclarer positivement que M. Thiers en homme d'Etat pratique accepte les fait.s accomplis à Rome, et tout en regrettant peut-etre la destruction du pouvo:ir temporel ne fera rien pour le rétablir. De son còté M. Jules Favre a donné à Nigra et m'a fait donner par son Ministre ici les assurances les plus formelles de ses bonnes dispositions. Les instructions du comte d'Harcourt seront conçues de manière à ne laisser au Pape aucune iHusion, à ne pas l'encoura~r à la résistance, à le conseiller à rester à Rome. La France nous demande seulement d'avoir les plus grands égards pour Pie IX, et de procéder avec prudence vis-à-vis des établissements religieux étrangers.

Ces memes conseHs nous sont venus officiellement du Comte de Beust. Bien que le Comte de Trautmannsdorf tienne à Rome un langage qui ne nous est pas très favorable, aucune communication du Ministre d'Autriche à Floreiljce n'a eu jusqu'à présent une portée moins qu'amicale. Il est bon que vous sachiez au contraire que M. de Beust nous a rendus dans les affaires de Rome des bons offices dont je lui suis très-reconnaissant. Il a reconnu lui le premier, que la continuation de la Convention du 15 Septembre était impossible et il l'a déclaré nettement à Paris. Il a reçu de M. Minghetti communication confidentielle de notre ·projet de loi ·Sur les garanties, avant mème qu'il fùt présenté au Parlement. M. de Beust n'a fait aucune objection à nos propositions. Je ne dois pas chercher à présent si cette conduite si amicale

Il) Annotazione marginale: • Copia a Berlino •.

dans la question romaine ne cachait pas l'arrière pensée de nous entrainer dans certaines combinaisons autrichiennes vis-à-vis de la Prusse ou de la Russie. Je constate le fait. M. de Beust a tenu dans la question romaine une telle attitude qu'il ne doit pas lui etre facile de virer de bord. Cependant on prétend que depuis la formation du Ministère Hohenwart il a cédé à certaines influences clérieales et qu'une note proposant une conférence a été envoyée aux Ministres d'Autriche, qui ne l'ont pas encore présentée. Il parait que la Bavière, la Belgique ont adhéré en principe à ce projet. Je crois que le vote du Parlement Allemand contre les cléricaux a diì décourager le Comte de Beust: je suis convaincu que les ,conseils de l'Angleterre suffiront pour lui faire abandonner cette idée. Peut-etre meme n'a-t-il fait cette proposition que pour aoquit de conscience, et il sera tres fa.cilement consolé de voir avorter ce projet. C'est dans ,cette conviction que j'ai eu recours aux bons offices du Ca'binet Anglais. Il vous sera d'ailleurs facile de démontrer que rien n'est moins pratique que le projet de réunir une Conférence pour les affaires de Rome.

Cette idée n'est pas nouvelle. En 1861, en 1868 on l'a lancée, et elle est tombée dans l'eau. Les difficultés étaient cependant alors moins nombreuses et moins grave<> qu'à présent. L'Europe aurait pu de bonne foi etre convaincue de réussir à imposer la conciliation entre l'Italie et la Papauté. Une transaction sur la 'base du statu quo pouvait paraitre possible. Cependant le non possumus du Pape a toujours découragé les efforts des différents Cabinets et on a laissé les événements se développer suivant la logique de la fatalité inhérente à toutes les institutions qui ne savent pas se modHìer. On peut Ie regretter: on peut etre convaincu qu'une solution moins radicale aurai t été plus commode pour l'Europe, meiUeure meme pour l'Italie. Cette solution intermédiaire n'avadt qu'un défaut: c'est d'etre irréalisable sans le concours du S. Père. Toute solution unilaterale, s'il m'est permis de m'exprimer ainsi, devait étre nécessairement radicale, au moins quant à l'abolition du pouvoir temporel. Nous avons cru nous memes que le Pape, après les victoires éclatantes d'une puissance protestante comme la Prusse, aurait compris que l'Europe entre dans une phase nouvelle, et se serait entendu avec nous. Nos déclarations,

nos hésitations memes lui laissaient tout le temps, tous les moyens de faire comprendre qu'il nous prenait au mot. Il aurait évité à nous, à l'Europe, à lui méme des angoisses et de nombreux embarras. Quant à nous nous avons du songer surtout à maintenir la tranquillité intérieure, à éviter le contrecoup des événements de Paris. Mieux vaut avoir quelques discussions diplomatiques que l'anarchie. Le calme dont jouit l'Italie prouve que nous ne nous sommes pas trompés. Cette tranquHlité prouve de plus que les populations si peu instruites de l'Italie sont vis-à-vis de la Papauté dans des conditions bien

différentes de certaine<> populations catholiques du reste de l'Europe. Les fètes de Pàques, les rigueurs de la Sacra Penitenzieria n'ont pu amener nulle part de<> troubles ou des desordres. Le fait de l'abolition du pouvoir temporel ne trouble pas les consciences des Italiens du Nord et du Midi, qui sont certainement plus accessibles au fanatisme que d'autres catholiques.

Ce calme dont l'Europe a si grand besoin serait gravement compromis par le projet d'une Conférence. Vous avez tout de suite comrpris combien on s'irriterait en Italie à l'idée seule d'etre traduit en jugement, combien le sentiment national réagirait contre une ingérence étrangère. Mais rles autres nations aussi ,s'attireraient de graves embarras. Le parti ultramontain ne manquerait pas de s'agiter pour faire exercer par des meetings, des adresses, des publications de toute sorte, une pression sur les di.plomates réunis autour du tapis vert. Le parti jésuitique raffermirait de plus en plus son infiuence sur le Pape qui se croirait arrivé au rpoint de ressaisir son pouvolr temporel, et de le maintenir par le seul moyen vraiment efficace, la de,struction de l'unité italienne. Mais avant de se réunir les diplomates devraient se demander comment ils pourraient répondre aux espérances surexcitées du parti ultramontain. Quel serait en effet le programme de la Conférence? S'imaginerait-on, par hasard, qu'au point où en sont les choses, l'Italie renoncerait à Rome? Croirait-on qu'une pression morale suffirait pour anéantir tout un programme national? Ce serait en verité une grande erreur. L'unité de la nation, le maintien de la dynastie et du rprincipe monarchique sont désormais indissolublement liés chez nous à l'abolition du pouvoir temporel. Une violence étrangère pourrait anéantir tous les résultats acquis: elle laisserait toujours subsister dans les générations nouvelles l'idéal de l'Italie réunie sous une monariChie constitutionnelle. Cet idéal ne peut etre effacé que par la lacheté du Gouvernement préférant aux dangers de la guerre les conséquences bien plus graves d'une longue periode d'anarchie et de desordres.

Mais, dira-t-on, rien n'empeche que la Conférence prenne pour point de départ les faits accomplis et cherche à garantir le maintien de l'indépendance spirituelle du St. Père. En effet, on affirme que le Comte Beust assigne dans sa note à la Conférence un double but: t o garanties pour le St. Prère; 2° Maintien des établissements religieux étrangers existant à Rome. Commençons par écarter ce dernier point. Le Gouvernement du Roi a déjà donné à ce sujet les assurances les p1us formelles. Une coonmission de hauts fonctionnaires chargés de reconnaitre le caractère et les droits juridiques des établissements étrangers vient d'etre nommée par le Roi. Elle proposera au besoin une Ioi accordant au Gouvernement la faculté de n'appliquer à ces établissements étrangers le droit ~ commun qu'autant que cela pourrait se faire .sans violer les droits des Gouvernements étrangers. La Conférence est donc inutile sous ce point de vue. Nous avons prévenu le désir des autres Gouvernements, nous sommes disposés à prendre en considération toutes les observations que chacun d'eux pourrait nous adresser à ce sujet.

Reste l'autre point: garantir le maintien de l'indépendance spirituelle du S. Siège. Dans l'hypothèse que la Conférence prenne pour point de départ les faits accomplis (nous ne saurions en admettre d'autre) je ne vois rpas trop quel serait le système que M. de Beust pourrait proposer pour donner au Pape des garanties différentes que celles qui lui sont accordées. Nous avons étudié la question aussi murement que possible. Nous avons été aussi loin que possible dans nos concessions. On nous reproche meme d'avoir donné au Pape des privilèges et des prérogatives de nature à mettre ~sérieusement en danger l'ordre public en Italie. Tant que la loi n'est pas promulguée, nous sommes prèts à tenir ·compte de toutes les observations utiles qui pourraient nous ètre faites, et à les faire présenter au Sénat sous la forme d'amendements. L'Europe a été toujours informée de nos intentions; rien de caché ne pouvait se passer entre le Pape et nous. L'élaboration d'une loi soumise à la double discussion de la Chambre des Députés et du Sénat, dans un pays où la presse est libre, où le droit de réunion existe, est un fait dont les Cabinets doivent tenir compte. Une fois que la loi aura été rpromulguée, il nous serait impossible de prendre mème en examen un système différent sans un conflit dangereux avec ies Chambres. Cela n'empèohera pas :naturellement les PuissalliCes de faire de leur còté, si elles le croient nécessaire et utile dans leur intérèt, quelque chose pour le Pape. Elles pourraient p. ex. lui ac·corder une dotation qui serait à la charge commune de tous les catho:ldques. Mais je ne ·Crois pas qu'il soit nécessaire de réunir dans ce but une Conférence.

Bien que cette lettre soit déjà très longue, je dois ajouter que1ques mots qui me sont rendus nécessaires par un de vos derniers télégrammes. Lord Granville a raison de dire qu'il ne nous ·convient pas d'oprposer un refus absolu aux projets de Conférence. Nous désirons éviter d'avoir à nous prononcer sur une telle proposition. C'est pour ·cela que, tout en nous abstenant de démarches officielles, nous c·royons devoir mettre en évidence les difficultés de ce système. Mais on se méprendrait sur notre pensée si on croyait que nous voulons traiter la question de l'indépendance du pouvoir spirituel comme une affaire purement intérieure. Au contraire nous reconnaissons aux différents Cabinets le droit de s'en préoccuper. Mais avant d'entrer dans des engagements internationaux qui excitent une vive répugnance dans l'opinion publique, nous devons nous assurer au moins qu'aucune arrière pensée de restauration du pouvoir temporel n'existe. Nous demandons aussi qu'on suive une méthode, qui au Heu d'aigrir et de surexci'ter les esprJ.ts, permette au contraire d'amener peu à peu avec le temps un .compromis entre la Papauté et l'Italie. Voici •Ce que nous rproposons.

La loi sera votée bientòt au Sénat avec quelques améliorations importantes, Elle devra revenir ensuite à la Chambre des Députés mais nous espérons pouvoir la soumettre bientòt à la sanction du Roi. Une fois qu'eUe aura été publiée nous la communiquerons aux Gouvernements étrangers, et nous leur fournirons ainsi l'occasion naturelle de prendre ade des enga.gements que nous prenons vis-à-vis de la Papauté. De cette manière la loi ne serait plus un acte purement de politique intérieure: les garanties pour le Pape seraient soustraites aux luttes des rpartis, et aux oscillations des majorités parlementaires. Sous une forme moins solennelle qu'un traité mais non moins efficace l'ltalie serait de cette manière engagée vis-à-vis du monde catholique. Ce système nous parait ètre celui qui rencontrerait moJns d'obstades chez nous dans l'opinion publique et qui compromettrait le moins possible la politique des puissances étrangeres. Elles laisseraient en quelque sorte se faire l'expérience de la Papauté spidtuelle, qui, réduite à elle mème, sans espoir de

recours à la force et au bras séculier, finira par se reconcilier prochainement avec l'Italie.

Pour pouvoir suivre avec succès ce système, nous nous adressons confidentiellement au Gouvernement Anglais. Son concours nous sera inappréciable d'abord en démontrant le danger d'un système opposé: ensuite en accueillant d'une manière franchement favorable notre communication et en se chargeant de conseiller aux autres Gouvernements de suivre ·son exemple. Le Gouvernement Beige p. ex. y serait disposé; la Bavière ne ferait pas de difficultés;

nous pouvons compter sur le Portugal et sur l'Espagne; la Russie s'associerait, je suppose, aux efforts de l'Angleterre. Enfin MM. Thiers et Beust ont un désir trop grand d'éviter des complieations pour ne pas écouter avec faveur les conseils du Cabinet Anglais.

355

IL PRIMO AIUTANTE DI CAMPO DEL PRINCIPE DI PIEMONTE, CUGIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Roma, 12 aprile 1871.

Ti ringrazio della ·Communicazione che mi hai fatto. Non credo più che verranno a quell'atto. D'Angiu è fino, e quando gli facessero un rimprovero saprebbe che rispondere. H Principe e la Principessa sono nel Palazzo Reale, e non s'ingeriscono in nulla di ciò che riguarda la casa. Sin ora il palazzo è in consegna al governo. La Casa reale prenderà la consegna dal Governo. Se vi sono degli [oggetti] di proprietà pl'ivata del Papa, ciò che ignoro, diano la nota al Governo e son sicuro gli renderanno.

[ Principi non si hanno a immischiare, e di fatto non si immischiano di queste cose.

Sono stato questa mattina a vedere il Cardinale Amat che ·come sai è mio parente. Fu molto buono ed amabile con me: fecimo in sardo una lunghissima conversazione sulle cose dell'isola, e dei nostri rispettivi parenti rise molto. Parlandogli di suo fratello gli [dissi] ·che con lui da dieci anni lo aveva preconizzato Papa. Alzò gli occhi al ·cielo arrossì e tacque. Mi congedai; quando ero alla porta mi disse io non posso restituirvi la visita, non posso dirvi nulla per i Principi, ma se mi mettete ai loro piedi mi farete piacere.

Allora gli domandai tout court: ma non c'è mezzo che al Vaticano facciano un poco giudizio, giacchè Eminenza tenga per fermo ·che cosa fatta capo ha. Alzò gli occhi al .cielo e mi disse, lo so, ma non c'è speranza per ora, e poi con aria significativa pazienza! e ci lasciammo.

Le famose commedie si reciteranno venerdì, vi si era già rinunciato, ma come in tutti i 'circoli cattolici si è detto che ci era stato il veto delle potenze e che se ne faceva un gran parlare a Roma, fu miglior partito andare innanzi.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA

D. 307. Firenze, 13 aprile 1871.

Il R. commissario in Roma ha comunicato al Ministro degli Affari Esteri copia d'un rapporto dell'autorità di pubblica sicurezza di Civitavecchia nel quale sono esposti alcuni casi avvenuti in quella città fra alcuni abitanti del luogo e varii ma~inari deUa fregata francese Orénoque. Dal rapporto medesimo risulta che l'autorità procedeva per la scoperta e la punizione dei colpevoli, ed il R. commissario m'informa d'avere inoltre mandato a Civitavecchia un funzionario da lui dipendente per verificare esattamente tutte le circostanze dell'accaduto e vedere se altro resti a fare per assicurare il corso regolare e pieno della giustizia e per prevenire nuovi disordini. Sebbene le informazioni avute farebbero credere che si tratti unicamente d'uno di quegli spiacevoli casi di cui si ebbero purtroppo a deplorare molti esempi in tutH i tempi ed in tutti i paesi, desidero tuttavia che V. S. conosca esattamente i fatti occorsi, non meno che i provvedimenti presi dall'autorità per asstcurare l'azione della g.iustlzia ed il mantenimento deH'ordine. Se a lei fosse tenuto discorso di quanto è accaduto a Civitavecchia, mi lusingo che nella •presente comunicazione ella troverebbe gli elementi sufficienti ,per ri

durre i fatti alle vere loro proporzioni e per togliere ai medesimi qualunque carattere diverso di quello ·che essi ebbero realmente.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ART0J.\1, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA,

D. 101. Firenze, 13 aprile 1871.

Ella troverà qui unito copia d'un protocollo che in data del 10 aprile ho firmato coi ràppresentanti d'Inghilterra e di Francia. Scopo di questo documento è di assicurare sempre meglio l'incolumità dei diritti già concessi dal Bey ai creditori stranieri della Reggenza, in occasione dell'applicazione dell'art. 2 del primo protocollo da me firmato a Firenze il 5 aprile col generale Heussein. Conformemente a quanto è detto nel protocollo di cui oggi le trasmetto copia, la prego, signor agente e console generale di esaminare e di propormi, ove

ne sia il caso, gli accomodamenti che dovrebbero prendersi fra i tre Governi allo scopo sovra ind.icato.

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L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 106. Belgrado, 13 aprile 1871 (per. il 19).

A V. E. è noto che negli ultimi mesi furono in varii luoghi riunioni politiche ove le diverse provincie slave dell'impero Austro-Ungarico erano rappre·

:l5 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. Il

sentate, gli Sloveni incontraronsi a Lubiana e più recentemente si provò a Vienna di riunire rappresentanti degli slavi del nord come degli slavi del sud.

Dalla Serbia furono inviati il Signor Orescovié ed il Signor Tomcié, il primo probabilmente non aveva alcuna missione da questo Governo; ma il secondo, colto giovane, recentemente giunto dalla Dalmazia, recossi a Vienna per comando del Signor Ristié e per colà osservare e poscia riferire. Come è noto a V. E., non solo non si venne ad alcuna risoluzione comune ma non fu possibile riunire in una sol volta tutti quei rappresentanti, ed il risultamento fu di provare che non v'ha terreno comune sul quale le varie frazioni slave dell'Impero possano agire concordemente.

Fra gli stessi slavi del sud come ebbi più volte a notare sonvi parecchi centri di agitazione; primo e più importante è quello che ubbidisce alle inspirazioni del vescovo Strossmayer; egli mantiensi a capo dell'opposizione che in Croazia si fa al governo Ungherese e non valsero a distoglierlo da questa via le premure del Conte Andrassy in un colloquio cercato dal presidente del ministero Ungherese. Monsignor Strossmayer vorrebbe riunire ad una propaganda cattolica la diffusione di idee federaliste, e se dal Governo di Vienna fosse più facile ottenere un'autonomia più completa il partito nazionale croato non esiterebbe a volere sciogliere i suoi legami colla corona di Santo Stefano; e quest'accordo sarebbe stato possibile quando il generale Wagner cospirava a rimpiazzare le attuali frontiere militari prossime a disfarsi trasportandole nella vicina Bosnia. Se debbo credere a recenti informazioni questo personaggio istesso, quantunque dotato di notevolissima energia e perseveranza, comincerebbe a riconoscere che nei popoli mancano le qualità di coltura, di associazione, di concordia e di operosità che sole possono aprire la via alla federazione fra gli slavi del sud da Monsignor Strossmayer immaginata.

Di queste divisioni fra gli Slavi del sud lagnavasi negli ultimi tempi la Zastava di Neusatz, e con buone ragioni perchè nella città ove quel diario viene alla luce ha sede una fazione che non solo con tutte le armi che le leggi ungheresi non puniscono fa opposizione al Gabinetto di Pest, ma che dal suo programma pare voglia associarsi alle idee dei faziosi più radicali dell'Europa. Di Neusatz si vuoi far centro alla democrazia sociale slava e si combattono con pari virulenza il governo Ungherese ed il governo Serbo; i Serbi oppressi da quello sono da questi ingannati e traditi ed il Miletié, che vorrebbe farsi il Mazzini di questi luoghi, potrebbe solo condurre queste provincie ad indipendenza repubblicana. Fuvvi una riunione popolare a Neusatz per chiedere la liberazione dal carcere del Miletié, e per proclamare la illegalità della sua condanna. Non si fa gran caso a Pest di quell'agitazione e ciò perchè i serbi delle città sono i soli i quali vi hanno parte ed in queste stesse città ad ogni anno va scemando il numero degli abitanti di questa nazionalità ed accrescendosi quello dei tedeschi, i quali dagli ungheresi sono annoverati fra i migliori patrioti. Ed in verità da questi ungaro-alemanni partì una risoluta protesta contro le conclusioni della riunione di Neusatz.

L'anno passato io ebbi l'occasione di scrivere intorno alle difficoltà di una pacifica trasformazione dei confini militari alla vita civile: ora che fra le due parti della Monarchia fu conchiuso il modo di procedervi sembra che l'opposizione non sia così minacciosa: tuttavia v'ha agitazione e se in questo momento

o nel corso della trasformazione sorgessero complicazioni all'estero è sicuro che i reggimenti della frontiera, i quali sarebbersi mossi senz'esitare al comando di Vienna, esiterebbero di ciò fare sotto gli ordini dell'Ungheria. La difficoltà principale sarà il disarmo: poscia la divisione dei beni fra lo stato e le municipalità, e specialmente la vendita delle foreste; e nel parlamento croato domanderassi non solamente che sia accresciuto il numero dei rappresentanti suoi nella Dieta Ungherese, ma che lo sia il numero dei commissari alle Delegazioni e che questi siano scelti non a Pest ma a Zagabria. Se a queste differenze le quali più che a principii appartengono a circostanze momentanee e passeggiere, non dovessersi aggiungere discrepanze ben più essenziali, potrebbe credersi che col progredire delle idee e col riavvicinarsi degli interessi si giungerebbe una volta a potere parlare e scrivere di una nazione, e di una politica Jugo-Slava. Non è così e non lo sarà per un non breve spazio di tempo. Il Serbo non perdona al Croato l'usare i caratteri romani, il Serbo non perdona l'essere Cattolico all'altro Serbo e lo designa con nome speciale; la storia diversa e più o meno gloriosa e più o meno conquistatrice offre a ciascuno di essi argomenti invocati a futuro dominio e conquista, ma non appare un germe comune sia nelle idee, sia nella religione, sia nel commercio, sia nelle arti o nella letteratura. Se v'ha una frazione degli Slavi del sud che mantiene viva una coltura e sia atta a propagarla è la Dalmata; il Serbo non accoglie che mal volentieri il preziosissimo concorso dei pochi Dalmati che vengono a Belgrado ed il maggior numero di essi dopo aver incominciato a servire il governo del Principato si vede interrotta ogni via al progredire e talvolta si va perfino a cercarne il motivo nella desinenza non slava del nome. Non si osa in verità accusarli di volere propagare un ascendente italiano, il che sarebbe troppo assurdo: ma senza riflettere che dal nulla non si crea una nuova civiltà, e che fra tutte le civiltà la sola che non minaccia le nazionalità anzi ne promuove lo stabilimento è oggi la civiltà italiana, la Serbia vuoi racchiudersi in se stessa e far guerra al progresso che batte alle sue porte.

Queste considerazioni generali hanno a mio avviso un'importanza pratica. 'Dalla ·condotta delle varie frazioni degli Jugo-Slavi nasce una debolezza ai governi ai quali obbediscono ed offresi un campo di agitazione varia e continua a chi desidera che l'Ungheria e la Turchia non si consolidino e che fra gli Slavi del Sud non si formi un centro di egemonia, prenunziatore di uno stato federale, il quale radunando e difendendo gli interessi speciali di questi popoli renderebbe vano qualunque tentativo avvenire di effettuare le idee dei panslavisti di Mosca.

Non sono certamente fra coloro che nei minimi fatti dell'Oriente scorgono l'azione Russa, ma che in tutte queste disparate e sconcordi agitazioni degli Slavi del sud è palese l'intervenzione di emissarii moscoviti, sono numerosi e precisi gli indizii.

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L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AD ALESSANDRIA D'EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 158. Cairo, 13 aprile 1871 (per. il 25).

Per quanto il Vicerè ed il suo Governo cerchino dissimularlo pur si scorge, e da qualcuno dei confidenti di Corte si sente, che S. A. non è riescita ad assopire i sospetti della Porta, ed a renderla, se non benevola, almeno indifferente a quanto si passa in Egitto. Persona ben informata, il Conte Lavison, si lasciò dire in frase araba che da Costantinopoli non giungono che spine, e che il Gran Vizir si appiglia a qualunque futile pretesto per contrariare e creare imbarazzi e dispiaceri al Vicerè. Il principale argomento delle severe osservazioni della Porta è quello sempre degli armamenti. Il Vicerè lo nega e là e qui, ma in realtà, e con quella secretezza che può essere possibile, egli ha portato, dicesi, il suo esercito a 80 mila uomini riuniti in parte in due campi d'istruzione, ed in parte disseminati strategicamente nel Basso Egitto. La Missione militare Americana sostituita alla francese, lavora indefessamente a riorganizzarlo e mi assicurano che l'armamento è completo. Il difetto nell'esercito egiziano, come nel turco, è stata sempre l'ignoranza degli Ufficiali. Americani ne sono stati ingaggiati molti, ed in questi giorni mi è riescito quel che tentai con insuccesso per lo passato di far ingaggiare, per mezzo del Generale Motth, Capo Supremo, due Ufficiali dimissionari del nostro esercito, il Signor Chiesa, di Milano, ed il Conte Giustiniani, veneto.

Non si scorge però la stessa dissimulazione e secreto nel costruire o-pere di fortificazioni di difesa. L'anno scorso per le fortificazioni erette a Damiata ed Aboukir, le osservazioni della Porta presero un carattere di minaccia, ma con tutto ciò il Vicerè ha ultimamente ordinato la costruzione di tre forti sulla rada di Suez, che dominano nello stesso tempo la imboccatura del Canale, ed altri lungo tutta la costa del mar Rosso, e due strade ferrate militari, una lungo il littorale del Mediterraneo, e l'altra da Zagazig a Kautara, stazione sul Canale a 20 km. da Porto Said, che è la strada per la Siria. Le fortificazioni di Suez sono costruite dal Signor Dessaud di Marsiglia ed il Signor Lambertenghi R. Vice Console mi dice che i lavori sono incominciati con ardore febbrile.

Io credo che il Vicerè si sia allarmato della spedizione Ottomana in Arabia, e che abbia temuto, se coronata di successo, di vederla rivolta contro l'Egitto.

Se questa mia supposizione non è erronea, e se le notizie giunte jeri si verificano, una parte almeno dei timori di S. A. può calmarsi. Il Signor Wilkinson, rispettabile negoziatore inglese arrivato da Dgedda, ha riferito che la folle baldanza dei Turchi di voler penetrare nei deserti dell'Arabia ha avuto i risultati che da tutti si prevedevano. I Mowabiti (Assiri) si ritirarono nelle Montagne ove attesero il nem~co, H quale estenuato da fatiche e privazioni, che neppur possono immaginarsi, fu facilmente messo in rotta. E nella disastrosa ritirata, i Turchi non potendo reggere ai calori fenomenali di quelle regioni, gettarono armi, bagagli e per fino gli abiti. I resti del corpo spedizionario, se non immediatamente richiamati, soccomberanno a tutte le sofferenze patite, e che continua a patire.

Riferisco la sorgente di queste notizie che se vere possono avere gravi conseguenze per la somma Autorità religiosa del Sultano.

La questione finanziaria è anche una delle cause di gravi preoccupazioni del Vicerè. Non è possibile che possa salvarsi dal contrarre un nuovo imprestito. Da alcuni mesi Egli tratta con i signori Oppenheim per avere 87 milioni e mezzo di lire sterline. Si credeva l'operazione terminata, quando nacque un incidente che non può prevedersi ancora come terminerà. Alla vigilia di conchiudere cogli Oppenheim, l'Agente Prussiano presentò al governo un banchiere suo connazionale che si offriva negoziare l'imprestito. Io credo che il Vicerè abbia voluto profittarne per ottenere dagli Oppenheim migliori condizioni, ed accettò perciò di trattare col Prussiano. Lo tenne però a bada, ed era per conchiudere con gli altri, quando l'Agente Germanico si rivoltò del modo di cui si servivano del suo raccomandato, ed esercitando una pressione violentissima, ha obbligato il Vicerè di non conchiudere con gli Oppenheim, e di trattare anche con il suo nazionale. Questo fatto ha prodotto una vivissima impressione. Il Vicerè cercò la scappatoja delle garanzie dell'operazione, e dovette accettare che si sarebbero fatte venire da Francoforte, e si attendono.

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L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3652. Bucarest, 14 aprile 1871, ore 17 (per. ore 20,20).

Le Gouvernement roumain est informé que quelques centaines de garibaldiens sont partis de Constantinople. Dans la crainte que la démogagie roumaine attire des gens du parti avancé dans le pays, au moment des élections, le président du conseil voudrait les éloigner sans retard, et il a prié les agents diplomatiques d'Autriche, de France et d'Italie de ne pas s'opposer à leur renvoi. Je pense que nous devrions adhérer à cette demande, et je prie V. E. de m'autoriser à donner des instructions dans ce sens aux consuls du roi à Galatz et Brayla.

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L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, R. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 20. Madrid, 14 aprile 1871.

Il modo, a tutti palese, come i due partiti dinastici -progressista e della unione liberale -hanno lottato per le nomine alle alte cariche di Corte, ed il carattere e l'importanza politiche che ad esse son concedute in questo paese, mi consiglia di non indugiare nel farne all'E. V. relazione.

Sin dapprima che Sua Maestà non fosse giunta in !spagna, già quei due partiti si osservavano sospettosi, ed i capi della unione liberale o del partito conservatore, accusavano il generale Prim ed i progressisti di voler comporre la nuova Corte di seguaci loro, e di attorniare il trono in modo che non potessero, esclusi, tenervi la loro rappresentanza.

Ed è noto all'E. V. come il reggente, generai Serrano, tentasse, in allora, di far pervenire, all'insaputa del presidente del Consiglio, una lista dei nomi che al re di Spagna sottometteva per l'elezione delle varie cariche del Palazzo. La morte del generale Prim venne a mutar le parti, ed i progressisti non ebbero da quell'istante tregua pel timore che i loro avversari non si volessero prevalere d'ogni propizia occasione, onde Sua Maestà, accerchiata da cortigiani unionisti, non udisse che voci e consigli conservatori.

Avvezzi all'impero prepotente di CamariHe sotto la caduta dinastia dei borboni, in modo che un partito di un altro non poteva trionfare se non per quelle illegali influenze (e, se avverse, altro mezzo non rimaneva che di tentar la fortuna di sommossa militare o di rivoluzione condotte dalla spada devota al partito, che fosse quella di Espartero, di O'Donnel, di Narvaez o di Prim), i più preclari di questi uomini politici non si potevano convincere ·Che fossero quelle influenze extra-costituzionali per cessare affatto col nuovo re, e che il Palazzo non si avesse più ad imprimere nello andamento della cosa pubblica, epperò non dovesse più alla politica partecipare, nè più essere la rocca d'onde i partiti, per condursi o per reggersi al Governo, dovessero altri partiti discacciare.

Mentre, pertanto, i progressisti sostenevano minacciosi le nomine fatte dal Prim nella Casa militare del re, che non si ardivano cancellare perchè protette ancora dall'ombra di quel generale, e perchè non pericolasse l'alleanza dei due partiti dinastici, gli unionisti si affrettavano di fare altre nomine loro che potessero l'influenza supposta di quelle contrapparare.

Si fù tra cotesti sospetti e coteste sorde lotte che Sua Maestà dovette principiare il suo regno, ·e S. E. il generale Cialdini avrà, senza dubbio, informata la S. V. -sino al momento della Sua partenza --degli incidenti che accorsero.

Pochi giorni dopo dell'arrivo in Madrid della regina, il generai Zabala, primo aiutante di campo, o capo della Casa Militare del re, dette le sue dimissioni perchè contrario a nomine di personaggi civili nel Palazzo, si era opposto a quella del marchese de Los Magares per ciambellano della regina, quasi potesse la regina essere servita da militari. Non essendo state ammesse queste sue dimissioni, egli si credette potente abbastanza per proporre un regolamento di palazzo da lui formato e per poterlo quasi imporre al re. Le attribuzioni sue dovevano estendersi sovra ogni cosa e persona; ogni atto della vita del re sindacato; il re non avrebbe potuto, senza che il primo aiutante di campo ne fosse stato avvertito, ricevere alcuno, mentre questi a tutte le ore avrebbe potuto introdursi presso del sovrano, ed in tutte le stanze. Un cotale regolamento fu dal re respinto senza ammetterne la discussione, e Sua Maestà inviava al Consiglio dei Ministri un altro regolamento, non già perchè fosse esaminato, ma, come un ordine, accettato. Il generale Zabala, che il duca della Torre non potette

o non credette più di dover sostenere, dette le sue dimissioni che furono accettate.

In questa occasione Sua Maestà volle manifestare i suoi desideri e la sua volontà in modo ancor più chiaro ed energico che non aveva sino allora creduto di farlo. E chiamato a sè il duca della Torre, sendo presente la regina, gli disse che le ambizioni e le paure reciproche dovevano per le cose di palazzo cessare; intendeva che la sua Corte non avesse colore politico e fosse ai partiti estranea, e che in ciò seguisse l'esempio suo. Però non dovessero più delle .cose del Palazzo i ministri curarsi. Era suo volere di essere in casa sua l'assoluto padrone, e suo desiderio che i ministri cessassero dal radunarsi in continui consigli per quistioni di Corte, ma badassero a governare lo Stato. Sua Maestà propose di ripetere queste sue parole per iscritto al consiglio stesso, ed il generale Serrano, promettendo d'essere presso dei suoi colleghi l'interprete esatto di codeste volontà, ottenne da Sua Maestà che recedesse da quel proponimento di scrivere, che avrebbe potuto suscitare una crisi ministeriale. Il duca della Torre, la sera stessa parlando della conversazione avuta col re, disse (secondo mi fu riferito), ad alcuni suoi amici: «avemmo un re ed abbiamo un signore». « Hemos tenido el Rey, y tenemos el rey nuestro sefior ». Ed io le posso assicurare, signor ministro, che in questo paese ammiratore dei caratteri energici e delle volontà che s'impongono e di ogni indizio di forza, l'atto di autorità del sovrano è stato ricevuto con un senso di profonda soddisfazione e di contento, anche da coloro verso dei quali era volto.

Il successore del generale Zabala non è nominato. Corse la voce, e fu creduta vera persino dai ministri, che il generale Ros de Olano, focoso conservatore, (ed i ministri progressisti già ne dimostravano mal'umore) era in procinto di essere eletto perchè proposto dal sovrano; ma Sua Maestà vi si è rifiutata, dando prova di quella imparzialità dalla quale non un solo instante si è dipartita.

L'E. V. avrà saputo come, già da gran tempo, fu, per la scelta della « Camarera Mayor », menata con abilità e con pertinacia l'arte degli aggiramenti e delle coperte vie, e come il partito progressista, sin da quando la regina pervenne ad Alicante, si provò quasi ad imporre la duchessa di Prim. Io non sarò per raccontarle quanta opera facesse il Zorrilla per ottenere questa nomina, ch'egli ha considerata come « la soddisfazione di un debito di gratitudine verso la memoria di chi lasciò la vita per la dinastia». Ma la regina, che si è -per quanto pare -, risolutamente decisa di non avere una Camarera Mayor, non ha ceduto alle pressioni esercitate, e sebbene il fatto che nissun altro nome sia stato prescelto a quel nome avrebbe potuto acquetar gli animi, pure nè le querele hanno cessato ancora, nè i sospetti di parte.

Questo fatto, e l'altro che S. M. la regina non volle rimanesse cappellano maggiore di Palazzo un sacerdote interdetto dalla Santa Sede, ma progressista, sono le cause del malcontento del Zorrilla, che dura tuttora, e ch'egli non ha potuto o voluto celare, argomento di molte pubbliche dicerie.

Adesso, pertanto, dopo quel discorso tenuto dal re al generai Serrano, i ministri più non ardiscono di occuparsi apertamente delle cose di Palazzo e delle nomine agli alti carichi di Corte, o di patrocinarne presso del monarca o di fargli più rimostranze. Il signor Ulloa, ministro di Grazia e Giustizia, ha dichiarato in Consiglio si fidassero tutti alla lealtà del principe. Ma il Palazzo reale non ha cessato d'essere l'abbietto delle speranze, ambizioni e dei sospetti reciproci, quasi fosse lo steccato nel quale debbonsi assicurare una soverchiatrice influenza gli uni su degli aUri avversari. Tutti di,cono che Camarille qualsiensi non vi hanno da essere, e vi sarebbero se le contese politiche potessero nel Palazzo prendere stanza; tutti applaudono al sovrano che si mantiene neutrale, che vuoi essere signore in sua casa, che regna sullo Stato, ma vuoi governare il Palazzo, che si è rifiutato a un regolamento che instituiva un potere quale il consiglio dei dieci lo imponeva ai dogi, e che lo ha rigettato anche perchè, in un paese così diviso dalle parti politiche, quel potere eccessivo del capo della casa militare, -per ciò appunto che avrebbe ridondato a beneficio di una delle parti a seconda delle opinioni di chi ne sarebbe stato investito avrebbe creato allora un capo di Camarilla. Ma, poi, ciascheduno s'ingegna e spera che, per siffatte ragioni, distratti ed allontanati gli avversari, potrà rimanere padrone del campo.

I ministri d'Italia sono anch'essi la mira di timori, speranze ed illusioni, e

a seconda che si credono propensi per le idee più conservatrici o più liberali,

sono, e saranno, dichiarati o stranieri che offendono le giuste suscettibilità del

l'onore nazionale o integri agenti d'una nazione sorella. Però è qua segno di

generale sollecitudine e di curiosità chi sarà per essere il nostro rappresentante,

e non ha guari una settimana mi diceva un ministro di questa corona (ed io

non esito a ripeterle queste parole perchè indicano come, di sicuro, sarà tentata

quella rigorosa riserva in tutte le cose che la R. Legazione si è per suo primo

dovere imposta): « Egli è necessario che venga persona di grande prestigio ed

influenza onde ci possa prestar l'opera sua per far giungere al re quei consigli

che, nell'interesse della corona, si debbono dare, ma che non conviene di far

pervenire al trono direttamente».

La condotta equa ed imparziale del Re, è, !pertanto, ammirevole. A buon

diritto andiamo noi orgogliosi di quest'esempio di ogni virtù e di cuore e di

mente che l'Italia ha posto sul trono di questo paese. Il favore popolare ogniddì

si aumenta per le Maestà Loro nella capitale e nelle provincie, ed in ogni cir

costanza chiaramente si palesa. Se la confessione che n'è fatta dai nimici è

prova sicura, dirò che il presidente per la Spagna di quella setta che ha nome

la Internazionale, giunto qui da Barcellona, ha diramata una circolare ai vari

comitati, che dichiara essere necessario di contrastare questa influenza e questo

favore di popolo che non cessa dal progredire.

S. M. la regina ha gran parte in cotesti affetti, e non cessa dal visitare le scuole, gli ospedali, ed ogni Instituto fondato pel sollievo delle classi povere. È stato un avvenimento in questa città la sua visita alla casa dei trovatelli, dove, ricevuta dalle dame della associazione di beneficenza, tutte appartenenti, come la contessa di Montijo, alla più alta Società di Madrid, Sua Maestà seppe vincere ogni anteriore esitamento o ripulsione causata dalle contrarie opinioni politiche. Ond'è che la opposizione della nobiltà già si scema e si allenta, ed hanno ragione coloro che affermano essere una questione di tempo che la nobiltà non torni a circondare il trono.

Con tali principi che sono ammirati per le virtù nella vita domestica, la lealtà in ogni atto della vita pubblica, il valore che disprezza il pericolo, la prudenza politica che non manca di energia e di volontà quando si tratti di affermare la propria dignità od un proprio diritto, ben si comprende la fiducia per l'avvenire, della quale i difensori della dinastia di Savoia ,sono animati. Essi non considerano che passeggiere le presenti difficoltà. Danno poca importanza al problema parlamentare imposto dal numero di quelle opposizioni illegali coalizzate, ma che -affermano -sono già travagliate da fermenti di

·divisione. Non si sgomentano per le minaccie di sommosse carliste, o pei disordini provocati dalla Internazionale, la quale, dopo di essersi rovesciata sulla Francia, già torna alle sue trame in !spagna. Vorrebbero, anzi, che fosse lasciata ai carlisti ed ai socialisti piena libertà di mettersi in assetto di guerra, affinchè potesse alle minaccie seguir prontamente l'assalto della violenza, mercè del quale -abbandonate le indulgenze di cui furono oggetto sinora -venissero schiacciati o, perlomeno, ridotti ad una lunga impotenza. Però, molti uomini di Stato, che hanno sempre biasimata una politica ch'ebbe tanta pazienza quanta bastava a fare ingrossare il pericolo, disapprovano adesso quegli apparecchi e quei provvedimenti militari fatti con troppo chiasso e pubblicità in Catalogna,

e che vi hanno impedito testè lo scoppio già sicuro ed imminente degli elementi

anarchici, ma il quale, non pertanto, sarà per accadere quando o il momento

sarà creduto propizio o le impazienze non si potranno più contenere; sicchè ad

altro -secondo quegli statisti -il temporeggiare non avrà servito che a far

continuare troppo a lungo l'agitazione, l'irrequietezza e lo scandalo.

Ma ben si concepisce, ad ogni modo, quella così radicata fiducia che afferma,

poichè saranno distrutti gli ostacoli e vinte le lotte inevitabili agli inizi di una

dinastia, dover essere rigeneratore per questa nazione il regno di un principe

che -sostenuto da favor di popolo meraviglioso pel modo come subito si accese

ed ha poi sempre cresciuto e dall'esercito che altro capo, se non lui, più non

riconosce -è così degno della sua missione e della stirpe a cui appartiene.

362

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 283. Bucarest, 14 aprile 1871 (per. il 22).

Il Governo degli Stati Uniti d'America ha accreditato presso il Principe Carlo un Agente di cui mi sarebbe difficile indicar la qualità servendosi egli indistintamente quando del titolo di Console, e quando di Console Generale, di Agente diplomatico e di Rappresentante.

Israelita di nascita il Signor Beniamino Franklin Peixotto avrebbe per

missione di contribuire efficacemente agli sforzi delle Potenze Europee per far

trionfare in Rumania il principio dell'uguaglianza religiosa e civile.

Codesta credenza trova una conferma ufficiale nel discorso che accompagnò la presentazione delle lettere credenziali, discorso di cui unisco una traduzione perchè lo credo meritevole della attenzione del Governo del Re.

Il concetto dell'uguaglianza religiosa e civile fu nettamente e con tatto accennato dall'autore quando «lieto di poter servire agli interessi genemli dell'umanità», egli disse a Sua Altezza «che il Governo degli Stati Uniti non facendo alcuna distinzione fra i propri suoi concittadini sia sotto il lato della religione come sotto quello della nascita credeva fermamente allo spandersi nel mondo intero dei medesimi principi liberali ed universali».

Il Principe compendiò dal suo canto codesta spinosa quistione facendo nella sua risposta una passeggiera allusione allo spirito liberale ed ospitale da cui gli Stati Uniti sono animati.

L'indomani il Signor Peixotto mi disse che le idee da lui espresse nel suo discorso ufficiale erano conformi alle istruzioni di cui è in possesso.

Lo scopo umanitario che gli Stati Uniti sembrano essersi prefisso non può non essere altamente apprezzato. Ma il momento è poi opportuno di agitare una quistione che in Rumania non è solamente religiosa, ma è essenzialmente economica e politica?

Il Governo del Re conosce appieno la situazione precaria in cui versano i Principati, e non fa mestieri di molti argomenti per provare quanta responsa

bilità peserebbe su di una Potenza qualsiasi che anche volendo il bene aggiungesse agli imbarazzi non lievi da cui il Governo Principesco è circondato quelli d'invelenire una quistione largamente sfruttata dai partiti.

Già parlasi di un banchetto e di altre prove di simpatia che gli israeliti di Bukarest pensano di offrire al Signor Peixotto. Ma chi può calcolare le conseguenze di dimostrazioni che malauguratamente urtano i pregiudizi popolari, accortamente accarezzati dai partiti sovversivi che ora più che mai si agitano per un interesse demagogico ed antidinastico?

Più savio sarebbe se il Gabinetto di Washington desse istruzioni al Signor Peixotto di soprassedere, e di attendere un momento più propizio per far prevalere con migliori probabilità di riescita, e col concorso di tutte le Potenze europee, i principi di umanità é d'incivilimento cui fece allusione nel suo discorso. È stato intanto notato che nella ricorrenza delle feste pasquali non ha avuto luogo nessuna delle dimostrazioni anti israelitiche solite a verificarsi negli altri anni alla stessa epoca.

363

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 61. Vienna, 15 aprile 1871 (per. il 18).

Credo mio dovere chiamare l'attenzione dell'E. V. sul recente viaggio di

S. M. l'Imperatore nel Tirolo Italiano.

Ella non ignora che il Trentino non è rappresentato al Reichsrath già da lungo tempo, per non voler inviar deputati al Landtag d'Innsbruck. Gli abitanti di quella provincia corrono numerosi alle votazioni, onde far mostra di vera simpatia al regime rappresentativo, ma ostentano d'inscrivere invariabilmente sulle schede la parola « nessuno » dal che vengono appellati volgarmente « N essunisti ».

A somiglianza delle altre nazionalità dalle quali la Monarchia AustroUngarica è frastagliata pretendono essi una Dieta separata affatto da quella d'Innsbruck, ed una distinta amministrazione, protestando ad un tempo fedeltà e devozione al Sovrano.

Il Ministero Hohenwart che vorrebbe giungere, mercè transazioni e compromessi, al sistema federale, non si dissimula che per ottenere questo compito è mestieri soddisfare, nella misura del possibile, le aspirazioni delle frazioni Slave, Polacche ed Italiane della Cisleitania. L-e due prime, se non pienamente accontentate, godono pertanto di una forma autonomica e di particolari Diete. e Trieste anch'essa con un territorio speciale possiede una rappresentanza Provinciale. Si tratterebbe quindi, prima di concedere nuovi diritti a tutti i Landtag, di largire ai Trentini, annessi amministrativamente al Tirolo Tedesco, le stesse prerogative ed un'esistenza politica distinta. Tale è l'idea del Gabinetto e massime del suo Presidente, il quale conoscendo meglio di ogni altro le tendenze e le simpatie del Trentina, possedendovi proprietà ed aderenze, ne teme oltremodo il malcontento. Mentre il Sovrano ed i suoi Consiglieri tentennano tra l'adozione di questo progetto e 'l pericolo che lor viene dal partito tedesco di continuo soffiato, di rendere cioè con simile autonomia più agevole la via ad una separazione di quella Provincia in favore dell'Italia, il Conte Hohenwart indusse l'Imperatore a mostrarsi intanto a quelle ,popolazioni, avidissime di esporre le proprie condizioni ed aspirazioni direttamente al Sovrano. Il viaggio fecesi con pompa: S. M. si mostrò oltre ogni dire affabile, ed ebbe ovunque ad incontrare festosa accoglienza, luminarie ed acclamazioni, e senza respingere le domande delle diverse Deputazioni, tutte intente allo stesso scopo, rispose ugualmente che avrebbe preso in seria considerazione i loro reclami, animato com'era delle migliori intenzioni pel benessere delle popolazioni del Tirolo Meridionale.

Alcuni periodici accusano già l'Italia d'aver provocato queste dimostrazioni di giubilo, e non mancano di consigliare al Governo di por ben mente alla sua condotta in questo delicato affare. Mi adopererò onde conoscere quale temperamento verrà adottato, mentre mi onoro darLe, Signor Ministro, sicurtà piena della mia discrezione.

364

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 132. Lisbona, 15 aprile 1871 (per. il 23).

Mi pregio accusare ricevuta dei Documenti Diplomatici annessi alla Circolare Ministeriale delli 19 Marzo (l) ed al Dispaccio Serie Politica N. 59 (2).

Tali comunicazioni sugli Affari Romani mi porranno in grado di rettificare l'opinione pubblica qualora venisse ad essere forviata, eventualità fin qui non realizzatasi nè probabile per l'avvenire in un Paese qual'è il Portogallo, di sua natura religioso ma per nulla ·clericale nè oltramontano ed ove ·Re, Governo e Popolo hanno sempre per Io contrario da secoli mantenuti intatti i privilegi ecclesiastici del Regno contro le continue esigenze della Curia Romana, le quali si riproducono invano ad ogni cambiamento di Nunziatura. I miei passati Dispacci di Serie Romana ne resero già conto in dettaglio al Governo del Re.

Con tali elementi non avvi d'uopo temere che le esagerazioni Romane officiali od officiose trovino eco nel paese. Non mancai nullameno n è mancherò, in propizie occasioni, d'intrattenere il Ministro degli Affari Esteri di S. M. Fedelissima degli spiacevoli incidenti che insorgono ora di frequente a Roma, delle continue difficoltà di fatto che incontra il R. Governo, malgrado il Suo spirito di conciliazione, nonchè di segnalare le pubblicazioni erronee con cui si tenta d'ingannare a nostro danno l'opinione pubblica del Mondo intero.

Infatti a tal uopo credei opportuno di comunicare ojjìciosame1~te al Marchese d'Avila il rapporto autentico sui deplorabili fatti occorsi non ha guari nella Chiesa di Gesù, non che quello annesso al precitato Dispaccio Ministeriale N. 59.

(l) -Cfr. n. 276. (2) -Non pubblicato.
365

IL CONSOLE GENERALE A MARSIGLIA, STRAMBIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 64. Marsiglia, 15 aprile 1871 (per. il 18).

La R. Piro Fregata « Principe Umberto » comandante Buroni Lenari è giunta questa mattina alle sette e mezzo nel porto di Marsiglia. Il Signor Comandante di cui ricevetti poco dopo la visita, dissemi che aveva avuto l'ordine, prima della sua partenza da Genova, di chiedere a me le stesse istruzioni che erano state date in occasione dell'invio degli altri legni da guerra.

È a sperare che non sorga il bisogno di aver ricorso alla materiale protezione di questi, passato essendo il maggiore, anzi l'unico serio pericolo che ha sovrastato a questa città, quello cioè della defezione delle truppe, la cui attitudine, al loro arrivo, era più che incerta, tanto da necessitare misure varie di precauzione e di prudenza. La città quantunque in istato d'assedio ed occupata sempre su alcuni punti militarmente riprende ogni giorno più il suo ordinario aspetto, e pare anche che l'attività mercantile tenti manifestarsi di nuovo.

Rassegno gli atti ufficiali promulgatisi in quest'ultimi giorni ( 1), le misure con essi prescritte ricevendo soddisfacente esecuzione e quella massima del disarmamento.

366

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL CONSOLE A MARSIGLIA, STRAMBIO

T. 1648. Firenze, 16 aprile 1871, ore 16.

D'après des informations du ministre de l'intérieur près de cent garibaldiens qui devaient de Marseille s'embarquer pour l'Amérique sont sur le point de retourner en Italie. Pour prévenir des désordres, mon collègue désire etre informé tout de suite sur la réalité de ces nouvelles. Le ministre de l'intérieur vous recommande en outre de tàcher de faire que ces garibaldiens ne s'embarquent pour rentrer en Italie, qu'en petits groupes et peu à peu, de manière que la préfecture de Génes prévenue par vous puisse prendre les mesures nécessaires pour sauvegarder l'ordre public.

367

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3658. Vienna, 17 aprile 1871, ore 19,10 (per. ore 21,30).

Le comte Kalnoky, conseiller de légation partira bient6t pour Rome pour y faire l'interim pendant l"absence du comte Trautmansdorff. C'est un homme d'?

:noyens et de convictions cléricales. Le chancelier de l'empire m'a dit en toute confidence que l'ouverture de la Bavière au sujet de Rome avait consisté dans l'expédition d'une demande au gouvernement du roi que cette ville toute en restant la capitale de l'Italie ne fut pas la résidence de la cour. Ainsi que je l'ai annoncé par le télégraphe le 12 courant (l) Beust a refusé de s'associer à cette démarche.

(l) Non pubblicati.

368

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA

T. 1649. Firenze, 18 aprile 1871, ore 17,25.

Je vous ai écri.t le 1,3 (2) au sujet de l'incident de Civitavecchia et vous ai envoyé copie du rapport de la police. Il ressort de ce document que les faits n'ont pas eu toute la gravité qu'on leur attribue. Des arrestations ont été opérées, les personnes arretées ont été déférées au pouvoir judiciaire. Le commissaire royal a envoyé de Rome un inspecteur pour s'enquérir des faits et prendre toute nouvelle mesure qui serait jugée nécessaire. L'autorité locale, la municipalité et le officiers de la marine italienne ont exprimé au commandant de la frégate française et au consul de France leurs regrets. M. de Choiseul m'a adressée une note et m'a communiqué officiellement un rapport du consul français de Civitavecchia. Je vous enverrai copie de ces deux pièces. Je vais appeler de nouveau l'attention du ministre de l'intérieur sur cet incident facheux pour que la justice ait son cours vis-à-vis des coupables et qu'on prenne les mesures nécessaires pour prévenir le retour de semblables désordres. Je vous communiquerai les informations qui me seront données à ce sujet par le ministre de l'intérieur.

369

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA

D. 308. Firenze, 18 aprile 1871

Confermandole il mio telegramma di oggi (3), relativo al~o spiacevole fatto avvenuto in Civitavecchia fra alcuni abitanti di quella città ed i marinari francesi de11'0rénoque, le trasmetto copia della nota indirizzatami dal signor di Choiseul e del rapporto del console di Francia concernenti quel fatto (1). Questi documenti, benchè portino una data anteriore, mi furono rimessi soltanto ieri sera. Scorgendo io da[ telegramma di V. S. intorno a questo stesso affare (4), che il mio .dispaccio del 13 corrente (2) non le era pervenuto, reputo opportuno

unire al presente una nuova copia del rapporto dell'autorità di pubblica sicurezza di Civitavecchia, ed intanto gioverà ch'ella sia informata come in quella piccola città, contrariamente a quanto rilevasi dai documenti sovra citati, sono destinati a servizio permanente 12 carabinieri con un capitano e cinque agenti di pubblica sicurezza. Mi riservo poi di farle conoscere, signor Ministro, i provvedimenti che si prenderanno tanto per assicurare il corso della giustizia, quanto per prevenire la ripetizione di casi consimili.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 356, a firma Artom. (3) -Cfr. n. 368. (4) -Cfr. n. 370.
370

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3661. Versailles, 18 aprile 1871, ore 6,15 (per. ore 10,05).

Favre m'a adressé une dépeche m'informant que des matelots de la frégate française stationnant à Civitavecchia ont été assaillis maltraités et blessés le 9 courant par une bande de forcenés dont quelques uns revetus de l'uniforme de la garde nationale et il demande en termes du reste très courtois instructions sérieuses pour punition des coupables et des mesures propres à prévenir retour de pareils actes. Je vous prie de me mettre à meme de répondre de suite afin de ne pas laisser prendre un caractère facheux à l'incident.

371

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. S. N. Versailles, 17-18 aprile 1871 (per. il 23).

Il Signor Giulio Favre mi ha diretto ieri una lettera colla quale S. E. m'informa dei cattivi trattamenti che, secondo un dispaccio del Console di Francia a Civitavecchia, sarebbero stati inflitti in quella città nella sera del 9 corrente a 20 marinai della fregata :francese L'Orénoque da una banda di forsennati, per la maggior parte garibaldini, di cui alcuni rivestiti della divisa della guardia nazionale. Il ministro francese degli affari esteri domanda un'istruzione seria intorno a quei fatti, la punizione dei colpevoli che venissero scoperti e l'adozione di provvedimenti atti a prevenire il rinnovamento di tali eccessi. Mi feci premura d'informar per telegrafo l'E. V. (l) del contenuto deJla lettera del Signor Giulio Favre, ed ho in pari tempo l'onore di mandare qui unita la copia della lettera stessa (2). Non ho ancora risposto, nè avrei potuto farlo, in via ufficiale, al ministro francese degli affari esteri; ma lo assicurai in via particolare che avrei portato senz'indugio il contenuto della sua comunicazione a cognizione del

R. Governo, che io non dubitava che sarebbe provveduto secondo giustizia e che

sperava che l'incidente non avrebbe lasciato alcuna traccia sfavorevole alle relazioni d'amicizia delle due Nazioni.

Prego l'E. V. di volermi mettere in grado di rispondere alla comunicazione del Signor Giulio Favre. Le circostanze di luogo, di tempo e di persone potrebbero dare al fatto un'importanza che non deve avere, e che sarà tanto più facilmente evitata, quanto più pronti saranno i provvedimenti presi e le spiegazioni sull'avvenuto.

P. S. Versaglia 18 aprile.

Nel giornale ufficiale di Versaglia d'oggi, sotto la rubrica «Italia» nella parte non ufficiale si legge il seguente articolo relativo all'oggetto del presente dispaccio:

« On écris de Civitavecchia le 11 avril 1871. Plusieurs matelots de la frégate française l'Orénoque, ayant été l'objet d'attaques armées de la part de certains emigrés garibaldiens rentrés à la suite de l'armée italienne la municipalité en corps s'est transportée à la questure pour protester contre ces actes, dont elle a réclamé l'énergique répression. La .population s'est assodée à cette manifestation et a témoigné hautement de son indignation contre les auteurs de ces làches agressions ».

(l) -Cfr. n. 370, evidentemente minutato il giorno 17. (2) -Non pubblicata.
372

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 63. Vienna, 18 aprile 1871 (per. il 24).

Ebbi già a riferire alla E. V. con miei telegrammi del 12 e del 14 corrente (l) sulle premure fatte al Conte Beust dal Gabinetto di Monaco onde si concertasse tra quello e l'altro di Vienna un piano identico diretto ad esercitare una pressione sul Governo del Re in ordine alle cose di Roma, massime alle condizioni del Sovrano Pontefice: Ecco i ragguagli di quanto sommariamente esposi. Fin dalla dichiarazione del Dottor Dollinger contro il domma dell'infallibilità, il Re Luigi prese a difendere apertamente quel suo cappellano ad onta dell'attitudine dell'Arcivescovo Scherr e del partito gesuita, forse per convincimento, forse per fare atto di autorità l'indomani dell'entrata della Baviera nell'Impero Germanico con un carattere quasi che vassallo. Il Ministero Bray, ostile al Dottor Dollinger e difensore della politica ultramontana, senza venire a rottura col Sovrano, non ha cessato di incoraggiare il proprio partito e di dare istruzioni in conseguenza ai Rappresentanti bavaresi. Quello residente a Vienna, Signor Barone Schrenk, ha ·colto sempre ogni opportunità onde instigare il Conte Beust contro il Gabinetto di Firenze, ed appena segnati i preliminari di pace tra Francia e Germania fu uno dei primi a proporre un passo comune a tutte le Potenze cattoliche in favore del Papa. Malgrado le tristi vicende in cui versa la Francia, onde la sua partecipazione ad esercitare su di noi una pressione non potè ancora spiegarsi, il Gabinetto di

Monaco non perdè coraggio e profittò del recente viaggio del Cancelliere AustroUngarico per fare un nuovo tentativo.

Il tenore di questa insinuazione, siccome per telegrafo annunziai alla E. V.,

racchiudeva la proposta di dirigere da Monaco e Vienna due note identiche a

Firenze allo scopo di rappresentare la inopportunità di traslocare la residenza

della Corte a Roma, appoggiandosi sui continui inconvenienti che si sarebbero

prodotti per la presenza nella stessa città del Sommo Pontefice e del Re d'Italia,

e per l'attrito delle due Corti del Vaticano e del Quirinale.

Il Conte di Beust, che mi comuniciò confidenzialmente la proposta Bava

rese, mi soggiunse che egli non soltanto erasi rifiutato di associarsi al progetto

del Conte Bray, ma che aveva bensì declinato qualsiasi discussione sul proposito.

(l) Non pubblicati.

373

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 64. Vienna, 18 aprile 1871 (per. il 24).

In conformità di quanto ebbi l'onore d'annunziare all'E. V. per telegrafo (1), il Conte Kalnoky testè Consigliere dell'ambasciata Imperiale e Reale a Londra, è destinato a reggere quella di Roma durante l'assenza del Conte di Trauttmansdorf'f. Il Conte Kalnoky venne in questa congiuntura promosso ad Inviato Straordinario e Ministro Plenipotenziario sol perchè havvi già a Roma un altro Consigliere il Signor Palomba. Sebbene non si sia ancora deciso sulla questione di forma per ciò che concerne il modo col quale verrà egli accreditato presso la Corte Pontificia, visto il suo grado di Ministro, ho motivo per credere che sarà egli soltanto munito di lettere credenziali per S. E. il Cardinale Antonelli. Comunque il Conte Kalnoky non appartenga per età alla generazione dell'aristocrazia austriaca fedele alle teorie clericali della Corte, le sue tendenze son piuttosto tali e più volte lo sentii a dire che sembravagli ben diffici1e il conciliare la presenza del Sommo Pontefice e del Re, Nostro Augusto Sovrano, nella stessa città: è uomo colto, intellig-ente e di modi affabilissimo. In ogni modo credo che questa scelta, in mezzo alle tante influenze che si sono spiegate per ottenere la reggenza dell'Ambasciata di Roma, non è la più sgradevole per noi. Il Conte Beust mi promise ieri d'inviare tra breve all'E. V. copia delle istruzioni che saranno date al Conte Kalnoky pel disimpegno della di lui missione.

Il Conte Trauttmansdorff ha ottenuto sei mesi di congedo, ma la sua vacillante salute fa fortemente dubitare del suo ritorno a Roma.

374

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 107. Belgrado, 18 aprile 1871 (per. il 23).

Sembra che alla Serbia sia giustamente dovuta la lode che negli anni scorsi seppe tenere lontano qualunque ascendente straniero e specialmente quello della

Russia, e ciò al fine principalmente di provare alla Porta ed alle Potenze occidentali che se un mutamento a suo favore nelle cose orientali potesse accadere, questo non sarebbe ricercato che con mezzi morali, coll'ajuto di quei Potentati e mantenendo saldi i legami di vassallaggio verso la Turchia. Non fui quindi meravigliato nell'udire dalla bocca del Signor Blasnavatz parole di risentimen!o e di dolore per il mutamento che va notandosi nelle relazioni fra la Russia e la Porta; in altri tempi, diceami egli, ci si accusava a Costantinopoli di volere essere un istrumento di quella Potenza in Oriente, ed oggi invece possiamo chiedere ad Aali Bascià per quale diritto egli consegna l'Impero e noi stessi nelle braccia della Russia.

La conseguenza la più severa per il Principato, nascente dalla condizione politica iniziata e prodotta dalla convenzione di Londra, è questa: che i Reggenti non raccolgono alcun vantaggio dal modo nel quale condussero gli affari della Serbia, e che al contrario dalla resistenza loro a servire i disegni della Russia sorgeranno difficoltà nel governo interno dello Stato, le quali essi non potranno superare pacificamente e le quali li costringeranno a cedere il posto al Signor Garachanine ed al suo partito, accetto alla Russia.

Se i Signori Reggenti osassero sperare di potere compiere essi stessi quel cambiamento di fronte, ardirei credere che vi si proverebbero; ma non sarebbe possibile, ed in questo giudido mi ·conferma il linguaggio ogni dì più acerbo del Signor Chichkine, il vincere in un giorno il risentimento e la diffidenza che andarono crescendo da più anni.

Come accade nei paesi ove la stampa non è libera e le sorgenti d'informazione rare e dubbie, oggi si assicura dai membri del governo che il paese rifugge da qualunque atto non di malcontento solamente, ma di mitissima opposizione, e da altro lato si odono voci di numerose ed illegali vessazioni di polizia contro persone non benevise e di un cupo e crescente malumore nella città di Belgrado.

(l) Cfr. n. 367.

375

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA

T. 1652. Firenze, 19 aprile 1871, ore 17,45.

Ensuite des incidents de Civitavecchia, des arrestations ont déjà été opérées. La justice procède et procèdera avec vigueur pour la découverte et la punition des coupables. Le premier conseiller de la préfecture de Rome, et un inspecteur supérieur de la sureté publique sont envoyés à Civitavecchia pour faire une enquete sur la conduite de l'autorité et des agents, et sur les moyens de prévenir le retour de faits aussi regrettables.

ili -Documenti di?Jlomatici -Serie II -Vol. II

376

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VERSAILLES. NIGRA

D. 309. Firenze, 19 aprile 1871.

Ieri l'altro l'Agenzia Stefani riceveva da Versag.lia un telegramma che smentiva la notizia della presenza di zuavi ponHficii nell'esercito d'operazione impegnato ~contro Parigd.. Una simile smentita era g,ià stata pubblicata n~el giornale le Monde, degli 11 e 12 corrente. Siccome l'articolo di questo diario contiene dati di fatto degni d'essere verificati, così io ne unisco qui un ~estratto, acciocchè Ella ne possa avere più facilmente cognizione. Mi parve rimarchevole che, dopo aver esposto i motivi politi:ci pei quali il corpo degli zuavi non ha ancora abbandonato aa città di Hennes, e dopo aver ricordato l'appeLlo fatto di recente dal de Chareth per completare l'effettiva forza di queUa milizia, il giornale ultramontano si faccia ad indicare dove, ed a quali condizioni, in VersaiUes, possono arruolarsi coloro che vogliono ascriversi a quella legione.

Al momento in cui tutte le forze della Francda sembrerebbero dover con

vergere a rinforzare l'esercito che combatte l'insurrezione, reca non poco mera

viglia il sentire che in Versailles si siano aperti arruolamenti per un corpo che

ha stanza in Rennes, arruolamenti i qual1i riV1estirebbero quasi un carattere pri

vilegiato se fosse vero, come il Monde lo afferma, che per decisione ministeriale

gl'iscritti nei ruoli di leva della classe 1871 sono stati autorizzati ad entrare

nella legione de Chareth. Ella ben comprende che non può entrare nelle nostre

intenzioni di fare in questo momento presso il Governo francese passi ufficiali

ed ufficiosi a tal riguardo; ma io stimerei cionondimeno cosa uUle e conveniente

neH'interesse del R. Governo che la S. V. mi procurasse informazioni precise

intorno a tutto ciò; e lascio quindi al savio criterio di V. S. di suggerire, ove

sia d'uopo, con quali miglion mezzi si potrebbe esercitare sulla formazione della

legione di Rennes e sui progetti dei suoi capi, un'efficace vigilanza.

N. B. -L'indirizzo dove avere informazioni pei zuavi è a Versaglia, Rue des Bourdonnais N. 22, presso il Signor Fiot. Gli arruolamenti sono per tre mesi; ogni volontario deve presentarsi mun.ito del suo atto di nascita.

377

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA

(AVV)

L. P. Firenze, 19 aprile 1871.

Ieri ho avuto una lunga ,conversazione sugli affari di Homa col Conte di Choiseul. Mi ,affretto a rende1 vene conto. Il Conte di Choiseul prese l'iniziativa di questo discorso. Egli mi di~e volermi anzitutto dkhiarare che la politica dell'attuale governo francese non aveva nella quistione romana alcuna arrière pensée e prendeva per base il fatto compiuto, qualunque fosse il giudizio che potesse farsi degli avvenimenti pe' quali Roma era stata unita all'Italia. Ma la quistione romana sollevava al governo francese delle difficoltà di .cui noi dovevamo tener conto, noi dovevamo sentire la necessità, l'interesse che avevamo a usare tutti i riguardi possibili verso il Pontefice e verso i tsentimenti cattolici, a non rin.crudire le condizioni presenti, a rendere possibile una pacificazione futura. Egli non doveva nascondermi che la partenza del Papa da Roma avrebbe creato dei serii imbarazzi al Governo !francese, e avrebbe preparato delle gravi diffi·coltà all'Italia nell'avvenire, difficoltà sulle quali il Governo franc·ese chiamava tutta la nostra •attenzione anche nell'interesse dei futuri rapporti fra l'Italia e la Francia. Ora il Governo francese credeva che per prevenire questa complicazione della fuga del Papa, per far atto di savia moderazione, per attenuare la critsi e rtcondurre una maggiore calma nella situazione, il Governo italiano avrebbe dovuto ritardare l'epoca del trasporto della sede del governo in Roma, rinviarla a un tempo più lontano, ritardare

un atto che avrebbe probabilmente spinto il Pontefic·e a una risoluzione irreparabile. Senza fard una domanda formale, senza pretendere di esercitare sopra di noi una pressione, il Conte di Choiseul aveva ricevuto l'istruzione pressante di darci questi consigli e di fare ogni opera per ottenere questo risultato. Non vi ripeterò ora tutte le argomentazioni del nuovo Ministro di Frlancia che mi pa;rlò a lungo 1con molta moderazione ma anche con molta insistenza. La conclusione delle sue parole era la seguente: Noi abbiamo luogo di temere che il Papa lasderà Roma il giorno in cui voi trasporterete effettivamente la sede del .governo; badate alle conseguenze tprossime e remote di questo fatto; noi vi chiediamo istantemente questa prova di moderazione e d'amicizia per la Francia; senza cedere ad alcuna pressione straniera, voi potete trovare dei pretesti per chiedere alla Camera una proroga indetevminata del termine fissato nella legge.

Eccovi in poche parole il riassunto della mia ll"isposta al Conte di Choiseul. Gli di•ssi certo che noi sentivamo la nec·essità di procedere •con moderazione e di avere tut,ti i riguardi pel Pontefice e pei sentimenti cattolici, che comprendevamo l'interesse nostro a che il Pontefice rimanesse a Roma e lo desideravamo sinceramente. Ri.condurre dunque una maggio;re calma e una maggiore skurezza nella situazione attuale delle cose era anche per noi lo scopo della nostra politica. Ora allo stato presente, dal punto di vista pratico della situazione in lttalia e in Roma, un ritardo al trasporto della capitale, una domanda di proroga !fatta al Parlamento, era un mezzo atto a condurre quell'apaisement di .cui parlava il Conte di Choiseul?

!lo avrei potuto, gli dissi, pormi puramente e semplicemente dietro il

voto della Camera, dietro una legge dello Stato che era nostro dovere di

eseguire, poichè su quanto toccava alla quistione nazionale, non potevo

accettare una qui,stione di principio.

Ma, fatta questa riserva, amavo però trivolgermi alla ragione stessa del

mio interlocutore e a quella del Governo !francese.

Era ora inutile cercare se sarebbe stata possibile una soluzione inter

media, un'altra .combinazione politica per Roma. Que.sta .soluzione intermedia

non sarebbe, in ogni caso, stata possibile, che in determinate cir.costanze, che

non si sono presentate, né poteva effettuarsi nel passato che mediante una inteHi~enza col Papa, il quale si nfiutò sempre ad ogni specie di accordo. Ora questa era diventata nulla più che una questione .storica.

Oggi noi non potevamo in alcun modo consentire a ·prendere altra base che quella dei <fatti compiuti, e il Governo francese comprendeva la necessità di porsi esplicitamente in questo terreno.

Dal momento dunque che Roma era, ormai, una ci·ttà italiana, che vi erano a Roma le autodtà, le leggi, •la libertà politica dell'Halia, era meglio per il Pontefice il trovarsi in presenza d'un Governo rispettoso per esso e che sentiva la sua responsabilità verso il mondo .cattolico, o il trovarsi in presenza dei .suoi sudditi, animati da un vivo .sentimento di reazione contro le memorie del passato governo, e che avrebbero reso responsabile il Pontefice di un dtardo apportato al .compimento de' loro desideri, ai vantaggi materiali che porta seco la capitale, di un ritardo che avrebbe gettato nello spirito pubblico lo scontento del presente e l'incertezza dell'avvenire? Era meglio trovarsi in faccia un Governo che, a Roma sarebbe stato CO[npletamente paàrone della situazione o di autorità subalterne .che male avrebbero potuto resistere all'agitazione e all'irritazione generale? Riporre in dubbio con una proroga il programma nazionale di Roma era imporre al paese una crisi di cui il Governo non poteva prendersi la responsabilità. La soluzione della quistione romana aveva assoda,ta la ·situazione interna dell'Italia; il paese profondamente tranquillo, ogni arma efficace d'agitazione tolta ai partiti estremi, delle elezioni conservatrici, questi ne erano i ,risultati. Se avessimo seguito il consiglio che d era dato, avremmo rimesso tutto in dubbio, riaperta la quistione di Roma all'interno, e ridestata intorno ad essa un'agUazione alla quale sarebbe .poi stato impossibile di resistere. Offendere .e suscitare il sentimento nazionale .contro il Pontefi.ce considerato come un ostacolo aUa costituzione definitiva d'Italia, non era un mezzo per ricondurre la calma nella quistione romana. Dal momento che era desiderabile che il Pontefi·ce rtmanesse a Roma, era meglio che si trovasse in una capitale tranquilla .che in una .città inquieta e scontenta, perché per Roma non v'era altra alternativa. Parlai a·l Conte di Choiseul della legge delle guarentigie e gli dissi che, infine, se il Papa fosse andato altrove, nissun paese gli avrebbe fatto ·condizioni migliori e neppure eguali a quelle fa.tte da noi e gli 50ggiunsi che portando

la sede del Governo a Roma, l'avremmo fatto senza alcun éclat di cattivo gusto, che sarebbe parso un'offesa diretta al Pontefi.ce. Gli dissi anche che a me non risuLtava che il Papa avesse realmente il proposito di lasciar Roma, benché il partito ·fanatico e i gesuiti ve lo s.pingessero sempre, e che a di1storlo da questo estremo partito sarebbero molto giovati i consigli della Francia, ai quali facevamo di nuovo appello.

Ho voluto tosto informarvi di questa conversazione e riferirvene il sunto. Il linguaggio del Mini·stro di Francia !fu assai amichevole, ma insistente, egli mi parlò delle i'struzioni avute per fare questo tentativo. Io fui estremamente .conciliante nella forma, ma non lasciai adito al dubbio in quanto alla conclusione. Ora vi aggiungerò che io ero .stato informato ~che, qualche tempo fa H Cardinale Antonelli aveva fa.tto un passo presso alcuni rappresentanti drplomatici, minacciando la partenza del Papa pel momento in cui il Re avreblbe definHivamente fissata la sua dimora a Roma, e che il Conte Bray, al passaggio del Conte Beust pe,r Monaco, alcuni giorni or sono, gli aveva proposto un'azione <Comune dei Governi verso l'Italia perché, pur rimanendo Roma italiana, non ci si trasportasse effettivamente la Capitale. Il Conte Breust si rifiutò. Gioverebbe ora il sapere quale sia la vera portata data dal Governo francese, nel ;pensiero del Signor Thiers e del Signor Favre, a questo passo di cui fu incaricato il Conte di Choiseul. È a ·credersi che dietro la domanda del Cardinale Antonelli, il Governo francese non abbia creduto di rifiutare i suoi ufficii, e abbia fatto questo tentativo per disimpegnare la sua responsabilità senza il pensiero di darvi altro seguito? Oppure è questo pel Governo francese l'obbiettivo di una vera azione d1plomatica alla quale cercherà di associare altre potenze? È uno scambio di idee che possiamo considerare terminato, o é il principio di una campagna alla quale dobbiamo prepararci?

Lascio al vostro tatto e alla vostra conoocenza degli uomini e delle cose in Francia questa esplorazione. Se credete, potete dir.e al Signor G. Favre ch'io v'ho informato della ,conversazione avuta col Conte di Choiseul e spiegarvi pure con lui.

Dalle mie informazioni di Roma risulterebbe che si parla bensì della partenza del Papa pel trasferimento della capitale come una minaccia e un mezzo di azione, ma che ancora non c'é alcun partito preso di partenza.

378

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3664. Versailles, 19 aprile 1871, ore 10,40 (per. ore 14,15).

La question des matelots de l'Orénoque a, dans les circonstances actuelles, un cOté po!iJtique qui ne vous échappe cer,tes pas et qui rend important que les coupables soient découverts et punis.

379

IL SEGRETARIO GENERALE ALLA GRAZIA E GIUSTIZIA, FERRERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. 2174. Firenze, 19 aprile 1871.

Trattandosi di stranieri pei ,quali l'E.V. potrebbe ricevere delle rappresentanze diplomatiche, credo opportuno trascriverle un rapporto del signor Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Roma relativo al ferimento di due marinai francesi. «Il P.ro·curatore del Re in Civita Vecchia con nota 10 stante, ricevuta in questa mattina, mi dà avviso che, nelle ore pomeridiane del precedente dì 9, alcuni ma:rinari francesi, appartenenti aLla Fregata Orénoque anco·rata in _quel porto, vennero a diverbio senza che ancora se ne conosca il vero motivo con tale Oreste Gasparri, caporale della guardia nazionale che era in montura,

il quale, estratta la daga di cui andava armato, vibrò un colpo contro tal Pomier uno dei marinari, senza che però ne rimanesse investito.

Quasi contemporaneamente tal Rabaur, pure marinaro, usciva da un caffé, ed imbattutosi con un gruppo di borghesi, veniva da uno di questi ferito, piuttosto gravemente, nella mano sinistra, e dai connotati, che ne dà lo stesso Rabaur, sembra che il feritore sia un •fratello del Gasparri.

Egualmente ceilto Quart, marinaro francese, riceveva al dorso un colpo d'arma tagliente, ma la ferita non presenta molta gravità. L'Oreste Gasparri é già ristreHo in carcere, e la forza pubblica si é posta sulle tracce del di ·lui fratello Lui.gi. Vengo assicurato che il ~rocedimento sarà compila·to con tutta prontezza, ed io pure non mancherò di fare, ove possano occorrere pressanti sollecita

~ioni.

Se la istruzione del processo presenterà qualche cosa di notevole, mi farò premura di riferirne » (1).

380

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA

D. 310. Firenze, 20 aprile 1871.

Nel fascicolo 29, intestato prerogative ed immunità diplomatiche, dei documenti destinati per di Lei informazione Ella troverà al N. 2 una mia comunicazione alla Legazione :francese circa una questione di immunità diplomatica sollevata a Roma dall'Incaricato d'affari di Francia presso la S. Sede.

Il Signor Rothan avendo trasmessa al Signor Lefebvre de Béhaine una copia di quel documento ne ebbe in risposta una nota che l'attuale rappresentante francese in Firenze ha lasciato in mie mani a.cciocché io ne prendessi cognizione. Ella ne troverà qui runtta una copia. Approfittando della forma nella quale mi é s•tata fatta ·quest'ultima comunicazione io non intenderei di replicare benché, come Ella potrà vedere, mi sarebbe facilissimo il dimostrare l'insussistenza degli argomenti addotti del Signor Lefebvre. Mentre a riservare i diritti della giurisdizione civile dello Stato basta infatti la mia prima risposta, io non mi dissimulo che il protrarre inutilmente discussioni di questa natura, a nulla giova e può anzi essere ·causa di incovenienti. Ma sotto un altro aspetto non posso nascondermi che la questione che si é affacciata a Roma, in un affare risguardante gli interessi del demanio verso l'amministrazione dei luoghi pii francesi, potrà rLsorgere quandochessia per altri affari analoghi tra privati e quell'amministrazione ed in tal caso la pretesa dell'Incaricato d'affari francese presidente e membro di detta amministrazione di non voler ricevere gli atti di dtazione che per essere rego1al"i e validi debbono venire notificati a tutti i componenti [a deputazione ammini.strativa, potrebbe essere causa di altre difficoltà e di nuovi incidenti. Desidero pertanto che V.S. sia >ben informata della quistione, affinché, se a Lei ne fosse tenuta parola, Ella potrebbe facilmente esporla

nei suoi veri tevmini distruggendo così nell'animo di codesti uomini di Governo qualunque meno esatta opinione che si fossero formata intorno alla medesi•ma.

A questo fine .converrà che Ella abbia un'idea ben esatta del carattere dell'amministrazione eststente a Roma e che si intitola dei Pii stabilimenti francesi. Nelle memorie storiche sulle istituzioni della Francia in Roma per Monsignor Pietro La Croix (P.aris, imprimerie de Vidor Grupy, 5 rue Garancière, 18<68) è narrata l'origine di quest'amministrazione la quale risale al 1793 nel quale anno sulla istanza del Cardinale di Bernis, per applicare una parte della rendita degli stabilimenti reli<giosi ·e beneficii ecclesiastici francesi esistenti in Roma a soccorrere l'emigrazione venuta di Francia, Papa Pio VI ordinava con un breve del 10 dicembr·e che l'ammintstrazione di tutti i beni appartenenti a quegli istituti e benefici fosse concentrata nelle mani di un solo amministratore che fu l'Uditore Carlo de l'Estache addetto al Cardinale di Bernis che rivestiva egli stesso la 1qualità di visLtatore apostolico. Sino al 1815 l'amministrazione de' Luoghi pii francesi, era rimasta affida·ta ad un solo Amministratore retribuito sulle rendite amministrate. Con ordinanza del 9 dicembre 1816, il Conte di Blacas, allora Ambasciatore a Roma, ha sostituito alla amministrazione stipendiata, che riusciva troppo gravosa a quel .corpo morale, una congregazione di notabili francesi la quale dovea riunirsi sotto la presidenza dell'Ambasciatore ·per sentire il resoconto amministrativo che farebbero tre deputati designati fra i suoi componenti dall'Ambasciatore stesso per amministrare sotto la sua 'sorveglianza i beni dei Luoghi Pii francesi. Questa ordinanza :liu approvata in nome del Re dal Duca di Richelieu, Ministro degli Affari Esteri con lettera del 27 gennaio 18'17. Intewennero successivamente altre modificazioni nell'amministrazione di questi Luoghi Pii e segnatamente nell'occasione in cui vennero mediante accordi colla Santa Sede le parrocchie di San Yve;,; e di San Luigi. Lo scopo deHe fondazioni ecclesiastiche f·rancesi, le loro rendite e pesi furono riconosciute e determinate in un accordo del 14 maggio e 8 settembre 18•28 fra l'Ambasciatore di Francia ed il Cardinale Pedicini. A questo accordo si riferisce l'ultimo regolamento, per l'amministrazione ed il servizio reHgioso dei Pii stabilimenti francesi, in data del 10 dicembre 1860. Nell'art. l di questo regolamento é detto che le fondazioni pie d'origine francese eststenti a Roma sotto 11 nome di San Luigi, San Yves, il Salva.tore, San Claudio, San Nicola, la Puri<ficazione, la Trinità dei Monti, San Dionigi, ed a Loreto sotto il titolo di opera pia Joyeuse, sono riunite in una sola amministrazione la quale é affida·ta, sotto il titolo d'ammministrazione dei Pii Stabilimenti Francesi all'Ambasciatore di Francia ,presso la Santa Sede e dal medesimo delegata sotto l'alta sua direzione e speciale protezione a tre deputati ch'egli sceglie fra dodid notabili francesi formanti un'Assemblea consultiva detta Congregazione dei Pii Stabilimenti dii Francia. Coll'articolo 5 dello stesso regolamento è poi stato stabilito che i tre deputati amministratori dei beni saranno

il 1o Segretario dell'Ambasciata, Presidente, un ecclesiastico ed un laico, membri della congregazione. In caso d'assenza o d'impedimento il 1° Segretario é surrogato dal 2" Segretario.

Da tutto ciò rtsulta che la massima parte dei beni ora componenti la dote

degli Stabilimenti pi:i francesi di Roma formava in origine la dotazione di veri

benefici ecclesiastici e che anzi non ,pochi di quei beni appartenevano a benefici parrocchiali soppressi più tardi mediante un accordo colla Santa Sede. Se si dovesse definire in oggi la natura del patrimonio di detti Stabilimenti, dopo le successive modificazioni introdotte nella loro amministrazione, si potrebbe tutto al più ritenere che quella massa di beni abbia l'indole di una opera pia mista, avente cioé un carattere laicale rispetto all'amministrazione, ed ecclesiastico rispetto ai ,pesi ed alla destinazione della rendita. Ma in nessuna ipotesi sembra si possa sostenere che i beni degli Stabilimenti pii !francesi abbiano il cara·ttere demaniale come lo avrebbero ad esempio i palazzi che akuni Governi posseggono in varie capitali per la residenza dei loro rappresentanti diplomatici.

Ciò posto é certo che ai beni stabili posseduti dai pii Stabilimenti francesi in Roma sono applicabili unicamente le leggi del luogo (lex rei sitae) le quali ugualmente si estendono a tutte le azioni reali che contro quei beni 'si possono esercitare. Senonché la procedura civile stabilisce che quando un'amministrazione é composta di parecchi membri, gli a.tti di citazione debbono farsi a tutti i singoli componenti l'amministrazione stessa epperciò chiunque voglia esperire nelle vie giudiziarie un proprio diritto sui beni delle fondazioni pie francesi o ·relativamente ai medesimi deve necessariamente far intimare gli atti ai tre deputati amministratori. Tutte ·le volte che questo ·Caso si presenterà, e può presentarsi spesso, trattandosi di un ente .che possiede molte case nel perimetro di Roma, nasceranno dei conflitti che impovterebbe evitare ·tanto più che parecchi mezzi 1si presentano per prevenirli. Così ad esempio all'Ambasciata francese a Roma ,potrebbero essere date istruzioni di fare anche al pvesente ciò che fu già praticato anteriormente accettando senza difficoltà la giurisdizione del tribunale locale. Per consenso unanime degli autori i diplomatici stranieri possono in determinati casi rinunciare a far valere i diritti che loro accorda l'immunLtà generalmente ammessa, senza perciò pregiudicare la condizione privilegiata di cui godono per tutti ,gli altri casi non compresi nella rinuncia. Potrebbesi anche stabilire che la qualità rappresenta,tiva di Incaricato d'Affari non si ·trovasse mai congiunta con quella di deputato amministratore dei beni degli Stabilimenti pii. E ·la lettura dei regolamenti coi quali vennero suc

cessivamente introdotte le norme dell'attuale Amministrazione a quegli stabi

limenti basta a suggerire questo concet•to distinguendosi in quei regolamenti

le attribuzioni dell'Ambasciatore che si limitano alla sorveglianza ed alla tu

tela, da quelle del 1° Segretario che è dichiarato amministra·tore nato. Anzi,

come fu espressamente notato sopra, i regolamenti hanno anche preveduto il

caso in cui il 1° Segretario d'Ambasciata sia impedito ed hanno per tal caso de

signato a rimpiazzarlo il 2° Segretario. Ora non sembrerebbe fosse cosa natu

rale che si considerasse come una causa d'impedimento l'essere nel 1° Segreta

rio dell'Ambasciata concentrate le attribuzioni di Incaricato d'affari? Egli deve

sorvegliare l'ammini,strazione, come mai dunque deve egli conservare nel ~tem

po stesso la qualità di amministratore? Se quando il 1° Segretario d'Ambascia

ta riveste la qualità d'Incaricato d'Affari le funzioni di Amministratore fossero

assunte dal 2° Segretario le difficoltà al punto di vista della giurisdizione civile

locale troverebbero più facile componimento.

Mi limito a darle queste indicazioni perché a Lei possono servire nel caso le si porgesse l'Oipportunità di valersene nei suoi colloqui con codesti ruomini di Governo.

Mi pare .che essi debbono essere interessati come noi a non impegnarsi a questo riguardo in una discussione che tanto facilmente può essere da pal'lte loro evitata senza pregiudicare alcuna quistione di principio. Per esaurire questo argomento rimane ora soltanto ad osservare che anche nel nostro paese il Governo, in quanto ·é proprietario ed esercita diritti ed azioni in vie giudiziarie, non può sottrarsi alle regole della procedura civile ordinaria, stabilite per tutte le persone indistintamente, e che per ciò manca d'ogni :fondamento la pretesa che il Governo abbia ad adottare altre forme di procedura quando sta in giudizio come starebbe appunto una persona privata ed esercita uno di quei diritti che un pr~vato cittadino potrebbe come lui esercitare. Ella ben sa che in Italia non esistendo un foro .privilegiato per il Governo non potrebbesi neppure concepire l'idea che questi debba adottare una procedura differente da quella comune a tutti i cittadini.

(l) Il documento trasmesso è firmato dal procuratore generale presso la Corte d'Appello di Roma Ghiglieri.

381

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, R. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 28. Madrid, 20 aprile 1871 (per. il 27).

H Governo continua ad essere preoccupato del lavorìo della Setta che si dà nome d'Internazionale. I suoi -tre centri principali di comando e di azione sono Barcellona, Bejar ~città della vecchia Castiglia -e Madrid, dove negli ultimi tempi non cessarono di giungere emissari, consi-gli ed ordini francesi. Gli avvenimenti che sconvol•gono la nazione vicina dettero speranze e coraggio ai repubblicani spagnuoli che accelerarono l'ordinamento delle masse pronte alla sommossa, onde, se le -cose volgessero favorevoli, !POtesse lo scoppio immedia•to seguire in questo paese. E la politica ed il governo di Francia continuano, per siffaHa guisa, ad avere l'antica influenza in ·!spagna malgrado ogni sentimento così decantato di indipendenza contro degli odiati invasori -che, qua « francese» suona sempre come fra noi suonava la parola «tedesco».

In un locale detto di Sant'Isidro concorrono i socialisti di Madrid a periodiche riunioni-copie ed imitazioni di quelle del sedicente «Congresso della Pace». Qui pure i .più violenti ed i più insensati discorsi sono pronunciati, e chi più eccede nelle confessioni di socialismo, raccoglie tributo maggiore di acclamazioni e di entusiasmo, dato ugualmente alle dottrine che più si contraddicono particolariste o co.ZZettiviste, e che solo concordano nel desiderio della anarchia e nella volontà di sfasciare l'ordine sociale.

Osservando questo solo lato della società spagnuola, e del come vien travagliata da quel veleno, e dall'opera di quei partiti estremi ed ora coalizzati a rovesciare con la dinastia ogni instituzione fondamentale, ben si comprendono quelle parole, dette in un momento di scoramento: ~Principi esemplari, popolo d'Essi ~mmeritevole; la condotta del sovrano dà fiducia nell'avvenire, quella dei sudditi sgomenta».

E s'io le ripeto cotesta frase si è perché racchiud-e un pensiero da molti liberament-e manifestato, che provano sdegno e dolore nello scorgere tanta profonda perturbazione mora.Ie, e come -raggiunto aUa perfìne un ideale ch-e sono pochi anni sarebbe stata follia lo sperare -ora concordino assieme repubblicani pei quali è la Commune di Parigi un modello da imitare, e monarchici ch-e vorrebbero, scacciata ogni libertà, chiuderle i varchi dei Pirenei.

II Governo di Versailles ha nominato ambasciatore di Francia in !spagna il marchese di Bouillé, qua solamente conosciuto per aver servito il ramo primogenito dei Borboni, e però creduto antico legttttmista.

Il ·telegramma Ietto dal ministro di Stato alle Cortes sull'armistizio conchiuso a Washington tra la Spagna e le repubbliche del Pacifico è stato rettificato in questo senso che non si contrae l'obbligo di non commettere ostilità di guerra che tre anni dopo di averne fatta notificazione per mezzo degli Stati Uniti, ma bensì che per tre anni dalla data dell'armistizio ogni ostilità di guerra è proibita. La prima versione parve, difatti, inverosimil-e.

382

IL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA, DE FALCO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA.

N. RISERVATA. Firenze, 20 aprile 1871.

Ringrazio l'E. V. della riservata comunicazione che Ella si è compiaciuta di farmi colla pregiatissima Sua lettera di qu-esta mane intorno ai reati di sangue di cui sarebbero stati vittima alcuni marinari francesi in Civitavecchia, e che dettero luogo a vive rimostranze per parte della Legazione di Francia.

Io pos.so assicurare l'E.V. ch-e l'Autorità Giudiziaria di Civitavecchia non ha mancato e non mancherà a' :Suoi doveri per lo scoprimento dei colpevoli e per la pronta ed esemplare loro punizione.

Ad ogni modo, oggi stesso ne scrivo al Signor Procuratore Generale del Re in Roma per richiamare sopra l'istruttoria in corso la particolare sua attenzione, onde la medesima venga spinta colla massima alacrità, e vi succeda prontamente il giudizio.

Così l'E.V. può essere ben certa che la giustizia punitiva avrà il suo più sollecito ed effica·ce corso ai sensi delle nostre leggi, ed Ella potrà pure, ove lo creda, darne pieno affidamento alla Legazione di Francia.

383

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3669. Versailles, 21 aprile 1871, ore 11,20 (per. ore 14,15).

J'ai vu Favre, je lui ai donné sur les faits de Civitavecchia !es ex,plications que vous m'avez fournies. II s'est montré satisfai-t mais il insiste pour la punition des coupables et pour que l'on prenne des mesures pour prévenir renouvellement de ces faits. Démarche de M. de Choiseul pour retarder transfert ne peut pas modifier les délibérations du Gouvernement et du parlement. Je ne doute pas qu'on le comprenne ici. Franchetti est retabli et a repris son service.

384

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 103. Costantinopoli, 21 aprile 1871 (per. il 28).

Dal R. Agente a Bukarest V. E. è stata già ragguagliata delle diverse fasi cui è andata soggetta la quistione rumena. Mi è d'uopo soltanto confermarle che la Sublime Porta e il Gran Vizir specialmente, comprendendo meglio la vera posizione delle cose, e le disastroSE' .conseguenze che potrebbe trascinar seco la caduta del Principe Carlo, si dimostra sempre più benevolo verso di lui e deciso a prestargli il suo morale appoggio. Aali Pacha ha accolto assai benignamente il Signor Strat qui giunto pochi giorni fa, latore di una lettera particolare del Principe Carlo <per Sua Altezza. Il Gran Vizir, per quanto mi assicurava il Signor Strat, non si rifiuterebbe a dare al Principe Carlo un pubblico testimonio dell'interesse ·Che prende la Sublime Porta al consolidamento del ·suo Governo. Il Signor Strat crede che un tale atto sarebbe di gran giovamento al Ministero attuale nelle prossime elezioni e mi ha pregato d'intercedere presso il Gran Vizir per che non indugi al compierlo. Ed io mi presterò volentieri a siffatta richiesta, unendo le mie istanze a quelle che farà puranche negli stessi sensi il mio Collega d'Allemagna.

Stimo utile intanto trasmettere all'E. V. la ·copia delle istruzioni che sono state date al Signor Strat dal Governo Rumeno (1).

385

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 104. Costantinopoli, 21 aprile 1871 (per. il 28)

Col passato vapore postale del Lloyd giunse qui Monsignor Franchi inviato dalla Santa Sede in missione speciale presso il Governo Ottomano, con la qualità di A:mba,sciatore Straordinario. Al suo sbarco dal vapore trovò assembrate sul ponte di legno che mette in città una cinquantina di persone di tutte le nazionalità, che vollero fargli una specie di ovazione e qualcuna tra esse emise anche il grido di «Viva il Papa Re». Mi assicurano che Monsignor Franchi uomo per quanto mi dicono d'indole mite e conciliante, non fosse rimasto molto soddisfatto di tale dimostrazione e ne avesse espresso il suo rammarico a coloro che lo accompagnarono, di uni

tà agli alti funzionari del Clero latino ed Armeno, in carrozza fino alla sua abitazione.

Benché egli avesse detto di avere istruzioni di non rivolgersi, per appoggio ad alcuna delle Estere Ambasciate, o Legazioni qui presenti, pure si è l'Incaricato di Francia che si è intromesso per regolare col Decano del Corpo Diplomatico, Generale Ignatieff, la quistione delle visite e dei ricevimenti.

Il Gran Vizir mi disse che nel primo e fino allora solo abboccamento che aveva avuto con Monsignor Franchi, questi non aveagli punto parlato di affari relativi alla sua missione. Soggiunse essergli sembrato uomo di molto tatto e di bei modi, e mi confermò che era rivestito della qualità di Ambasciatore e non di quella di Nunzio. Osservava Aali Pacha che forse il Sommo Pontefice stimava che non convenisse dare il carattere di Nunzio ad un Inviato presso una Corte non Cristiana.

Nella sua qualità di Ambasciatore Monsignor Franchi ha dritto dopo che avrà avuto la sua udienza solenne dal Sultano, che è fissata a posdomani, di ricevere pel primo le visite degli Inviati Straordinari qui accreditati.

Io non dubito che i miei colleghi si unìformeranno a quest'uso. In quanto a me crederei che non mi sarebbe lecito mancare ad un simile atto di civiltà. Ma attese le non buone relazioni esistenti tra il R. Governo e la Santa Sede, userò la precauzione di mandar prima dal prelodato Monsignore il lo Interprete di questa Legazione Cavalier Vernoni per assicurarmi se la mia visita gli tornerebbe gradita. Spero che V. E. approverà questa mia riserva.

Benché l'E.V. sarà forse al fatto dello scopo della Missione affidata a Monsignor Franchi pure stimo mio debito informarla di ciò che qui se ne dice.

Si tiene dunque per fermo che l'abbietto principale cui debbano tendere gli sforzi dell'Inviato Pontificio sia quello di regolare in modo soddisfacente col Governo Ottomano l'importante assunto della nomina dei Vescovi. È noto come in Oriente questa quistione sia di sua natura assai spinosa e delicata, dappoiché le attribuzioni dei Vescovi non 'si limitano alle sole funzioni e cerimonie ecclesiastiche come nei paesi della Cristianità, ma sono sotto 1parecchi rapporti veri funzionari amministrativi ed in taluni casi anche giudiziari.

E se il Governo del Re ha potuto per la separazione netta da noi stabilita

fra le cose temporali e religiose, largheggiare su questa materia verso la Santa

Sede e disinteressarsi in essa completamente, il Governo della Sublime Porta

che travasi in condizioni ben diverse, non potrebbe, nello stato attuale delle cose,

seguirne l'esempio senza compromettere i suoi diritti di sovranità. Indi è che la

Sublime Porta si è veduta costretta a non riconoscere gli effetti della ben nota

Bolla Reversurus, con la quale il Santo Padre, non tenendo alcun conto de' pri

vilegi di cui godeva la comunità Armeno-CattoHca avocava a sè esdusivamen

te la scelta del loro Vescovo.

Il componimento della scissura causata nella detta comunità dalla nomina

di Monsignor Hassoun fatta dalla Santa Sede a senso della Bolla Reversurus

sarà anche per naturale conseguenza uno de' compiti assegnati a Monsignor

Franchi.

Se debbo prestar fede a persone che hanno discorso a lungo con lui s'U

queste controvel\Sie parrebbe che la Santa Sede sia disposta a cedere dal suo

primo non possumus ed a venire ad accordi. Egli sarebbesi dimostrato assai

conciliativo ed avrebbe perfino espresso la opinione di essere ormai giunto

il tempo che la Chiesa Cattolica si rimodentizzi.

Se ciò fosse vero, se le concessioni cui la Santa Sede sarà trascinata a farE' dovessero esser-e inaugurate in Oriente, il fatto, come sintomo, sarebbe assai notevole e la missione di Monsignor Franchi porterebbe un significato ed una importanza maggiore di quel che non paia.

(l) Nc.n pubblicate.

386

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. RISERVATA 1527. Firenze, 21 aprile 1871.

Viene riferito a questo Ministero che il Comitato internazionale repubblicano di Londra, di ·cui fanno parte i Signori 1Marx Cari, Dennolt, Bettini, ed altri, tiene attiva corrispondenza coi capi del partito d'azione in Italia; e che impartisce a questi istruzioni, e fornisce mezzi per l'attuazione dei loro prog-etti sovver,sivi.

L'E. V. pertanto vorrà r~chiamare in proposito l'attenzione del rappresentante del nostro governo in Londra, acciò abbia a praticare le opportune indagini ed a riferire 'quale fondamento abbiano siffatte notizie, per quegli ulteriori provvedimenti che saranno del ·Caso.

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IL VIOE PRESIDENTE DEL SENATO, VIGLIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

Firenze, 21 aprile 1871.

Il Senato al quale ho avuto l'onore di comunicare nella tornata del 18 corrente il nobilissimo indirizzo con cui la Camera dei Deputati di Bukarest si congratula col Parlamento Italiano pel voto di trasferimento della sede governativa d'Italia a Roma, ed il dispaccio del Signor Ministro degli Affari Esteri di Romania che si associa ai sentimenti di quella Camera, ha accolto con vivo compiacimento i benevoli e generosi ,sensi, espressi nell'indirizzo e nel dispaccio dai degni rappresentanti e dai governanti di un popolo che cotanto si dimostra memore dei vincoli di comune origine, di comuni aspirazioni verso la politica libertà e il civile progresso, e di affetti e riconoscenza che fermamente legano insieme i Rumeni e gli Italiani entrambi usciti dalla stirpe latina.

Il Senato vivamente penetrato da questo solenne atto di stima e di ·simpatia di un popolo e Governo amico all'Italia, mi dava l'incarico di pregare

V. E. che le piaccia di r.fare esprimere i suoi sensi di alta considerazione e di viva riconoscenza verso la Rappresentanza Nazionale ed il Governo della Romania e ad un tempo i più .caldi e sinceri suoi voti perché quel popolo risorto da sì lunghe ·sventure progredisca felicemente e saviamente per la via della libertà e della civiltà nella quale coraggiosamente è entrato.

Ringraziando V. E. in nome del Senato della comunicazione onde gli é stato cortese, e di 'quella di cui Ella degnerà incaricarsi, la prego di accogliere...

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA

D. 311. Firenze, 22 aprile 1871.

Ho ricevuto il telegramma (l) col quale V. S. m'informa che il Signor Favre si é mostrato soddisfatto della comunicazione da lei fattagli relativamente all'incidente occorso nella sera di Pasqua a Civitavecchia.

In data del 13 (2) ebbi già a spedirle il primo rapporto dell'autorità di pubblica sicurezza e, col dispaccio del 18 (3), le ho inviato copia di una comunicazione fat·tami dal Signor Conte di Choiseul. [ Mini.stri dell'Interno e della Giustizia che prendono a cuore d'impedire la rLpetizione di simili spiacevolissimi fatti hanno preso i provvedimenti che erano necessarii per assicurarsi che la procedura penale sarà condotta colla voluta energia e che l'accaduto non é imputabile a trascuranza degli agenti della forza pubblica. Ho sotto gli occhi un rapporto del Procuratore Generale del Re in Roma (4) che non mi lascia akun dubbio sull'impegno che mette il potere giudiziario a !procedere con prontezza ed energia.

Mi fu parimenti .comunicata la relazione dell'lspet•tore mandato appositamente dal R. Commissario per assumere informazioni in Civitavecchia. Sebbene nella sostanza questa relazione non modificherebbe molto ciò che fu già esposto nel primo rapporto, cionondimeno S.E. il Presidente del Consiglio Ministro dell'Interno ha stimato di dover mandare a Civitavecchia una Commissione d'inchiesta composta del Consigliere delegato di Roma e di un magistrato per fare le più accurate indagini sulla condotta delle autorità e degli agenti della pubblica sicurezza. Il Governo è deciso a procedere con rigore contro chiunque risultasse aver mancato al proprio dovere e le istruzioni le più severe sono date perché nella città di Civitavecchia si eserciti una sorveglianza speciale per prevenire disordini simili a quelli già lamentati. Ma d'altra parte il Ministro dell'Interno ha creduto necessario d'informarmi delle cause che se non attenuano la gravità dei mi·sfatti commessi, spiegano come essi abbiano potuto accadere. Stimo utile che la S.V. abbia cognizione della nota, direttami in !proposito da S.E. il Cavalier Lanza, epperò ne unisco una copia alla spedizione d'oggi.

Debbo inoltre chiamare tutta la di Lei attenzione sovra un altro inci

dente che fa seguito ai fatti occorsi in Civitavecchia e pel quale l'Ispettore

mandato appositamente da Roma in quella città ebbe già a riferire. In data

del 14 aprile il Capitano Comandante L'Orénoque ha scl'itto una lunga lettera

al Luogotenente dei Carabinieri, stanziati in Civitavecchia, in cui ricordando

l'avvenimento del giorno di 'Pasqua, deplora ·che le autorità italiane non sia

no sufficienti per guarentire il suo equipaggio, e dice che, rinnovandosi simi

li casi, farà discendere a terra tutti i suoi marinari armati per agire contro

la cittadinanza. Lascio alla S.V. di giudicare il contegno del Comandante francese. Se in un momento in cui gli animi sono disgraziatamente molto concitati dalle due parti, chi ha l'autorità ed il comando non dimostra quella prudenza e quella moderazione che sarebbero necessarie in qualunque condizione di cose, si può temere che impreveduti incidenti vengano a crearci nuove complicazioni. Dal canto nostro si userà tutta la circospezione necessaria per prevenire gli attriti, ma sarebbe certamente .cosa desiderabile che il contegno del Comandante dell'Orénoque e del suo equipaggio agevolasse a tutti il compito di impedire la ripetizione di casi che, rinnovandosi potrebbero avere gravi conseguenze.

(l) -Cfr. n. 383. (2) -Cfr. n. 307, a firma Artom. (3) -Cfr. n. 369. (4) -Cfr. n. 379.
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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 816. Berlino, 22 aprile 1871 (per. il 26).

J'ai parlé à M. de Thile de l'insistance des journaux à affirmer que la France aurait le projet de proposer une conférence sur les garanties à donner au Pape et pour ce qui concerne les établissements religieux étrangers existant à Rome. Les journaux vont jusqu'à prétendre que certaines démarches préparatoires auraient été faites déjà à Vienne et à Berlin. Je savais seulement, de l'aveu du Prince de Bismarck, qu'à Versailles M. Thiers avait entretenu S. A. sur les affaires de Rome, dans un sens qu'Elle n'avait pas jugé à propos de me faire connaitre. Le Secrétaire d'Etat n'avait pas interpellé son chef sur ce point, mais il

pouvait me donner l'assurance qu'aucune démarche n'avait été faite ici à cet égard par le Gouvernement de la République.

S. E. relevait le fait que les dernières discussions au Reichstag avaient produit une impression favorable en Italie. Quant aux manifestations dans le Midi de l'Allemagne, à Munich où le Gouvernement refuse le placet pour la publication des décrets du Concile recuménique, et dans le Wiirtemberg où un arreté Royal enlève aux résolutions de cette assemblée toute force légale politique et civile dans le Royaume, M. de Thile m'a dit, que d'après la législation de la Prusse le placet était abolì, que les Evèques pouvaient librement correspondre avec le St. Siège, et que l'Eglise Catholique était soumise au droit commun. A moins que celui-ci ne fut violé par quelque acte contraire aux lois générales, le Gouvernement n'avait pas à s'immiscer dans de semblables questions.

390

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 228. Pietroburgo, 24 aprile 1871 (per. l' 1 maggio).

Debbo innanzi tutto scusarmi con l'E. V. dell'indugio frapposto finora allo

scrivere, di cui fu causa principalmente la ricorrenza delle feste pasquali, che interrompono quasi del tutto in questo paese le conversazioni ufficiali; onde che nessuna notizia non corse nè alcuna pratica fu iniziata dai diplomatici qui dimoranti, che portasse il pregio di farne relazioni al R. Governo.

La proposta dell'Ambasciata Ottomana risguardante l'eventualità di un intervenimento nei Principati Danubiani comecchè da alquanti giorni ufficiosamente annunziata, non si è finora avverata altrimenti, però è da credere che lo stato delle cose in quelle Provincie siasi alquanto mutato in meglio, e che il Governo del Principe Carlo corra meno gravi pericoli che non si creda dopo le ultime commozioni politiche di quel Paese. So di buon luogo che il Governo Imperiale di Pietroburgo desidera il mantenimento di quel Principe al Governo di Romania, e ha indotto il Divano di Costantinopoli a dare opera che smentisse le voci sparse, non so con quanto fondamento, in Bukarest, che la Turchia gli fosse avversa. Il linguaggio dei diplomatici Russi è poi sempre il medesimo quanto alla eventualità suddetta : quello cioè di ammetterne in principio l'opportunità quando la condizione delle cose si aggravasse; ma in ogni caso mercè l'accordo ed il consenso delle altre Potenze firmatrici del trattato, di cui al bisogno la Sublime Porta potrebbe essere rappresentante e mandataria. Il tentativo d'accordo fatto dalla Legazione Alemanna per la protezione degli interessi finanziarii, del quale feci parola nel mio telegramma del 27 Marzo/ 8 Aprile (l) non ebbe altro seguito. Intendimento principal·e di quel tentativo fu il desiderio di venire in ajuto dello Strousberg, concessionario delle strade ferrate Rumene, nella cui intrapresa dicesi implicato qualche alto personaggio,

e del cui fatto, come di quello che contribuì in gran parte ·alle ultime rivolture, l'E. V. ha certamente avuto contezza ,per le informazioni ricevute dal R. Agente in quella sede.

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IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARAOCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RISERVATO 229. Pietroburgo, 25 aprile 1871 (per. l' l maggio).

Nel discorrere con il barone di Iomini, primo Consigliere del Ministero Affari Esteri, dei possibili negoziati sulla questione di Roma e sulle guarantigie della Sovranità Spirituale del Pontefice, questo diplomatico mi rinnovò i sensi di benevolenza per l'Italia già espressimi dal principe Gortchakow, e mi disse che a Lui non pareva nelle presenti emergenze, nè la Francia, nè gli Stati Cattolici della Germania potersi immischiare con troppo zelo di cosiffatta questione in favore delle pretensioni Papali, e che tal pericolo non potrebbesi avverare se non quando gli uomini di Versailles riprendessero balia e vigore sufficiente da soddisfare le aspirazioni del clero e degli oltramontani di Francia, il che giovava sperare non sarebbe accaduto che dopo l'ordinamento definitivo del Governo in Roma capitale.

Intanto volle informarmi di una notizia la quale per fermo all'E. V. deve già essere pervenuta, cioè che la Corte Pontificia avea fatto interrogare il Signor Giulio Favre sull'accoglienza che sarebbe stata fatta al Santo Padre, ove questi

'

venisse a tramutarsi in alcuna città della Francia; al che quel Ministro degli

Affari Esteri ebbe a rispondere, che certo ove il Papa si conducesse in qualsiasi

terra Francese il Governo e la popolazione non sarebbero venuti meno a quegli

atti di rispetto e d'ossequio che al Supremo Gerarca erano dovuti; ma che al

tempo stesso egli non si rimaneva dal confortarlo a non aggravare le difficoltà

della situazione allontanandosi da Roma, ed a venire possibilmente agli accordi

con i Ministri del Re.

Nel riferirmi cotesta notizia ufficialmente trasmessa al Ministero dal signor

Okounew, Incaricato Russo in Versailles, il barone di Iomini ne traeva argo

mento da credere che la controversia di Roma non dovesse essere trattata nei

consigli diplomatici di Europa... Ed avendogli io fatto cenno nei termini più

generali di un negoziato, o di conferenza che dir si vogHa, mi rispose che sapeva

dei disegni che si attribuivano all'Austria su tal soggetto, e delle riserve fatte

intorno a quello dal Gabinetto di Vienna; ma che egli persisteva nondimeno

nell'opinare che mancato il concorso eventuale della Francia, il Governo

Austriaco non avrebbe potuto far forza nelle sue pretese, ove da noi si resistesse.

Un'opinione conforme a quella di sopra enunciata mi esprimeva eziandio il Principe di Reuss giunto ieri di ritorno da un suo congedo a presentare nuove lettere che lo accreditano qual Ministro dell'Impero Alemanno presso questa Corte; egli cioè dicevami non avere inteso ragionare a Berlino di progetto di Conferenza quanto a Roma, e ritenere che il suo governo si atterrebbe al programma di non ingerimento svolto nella discussione sull'indirizzo del Parlamento Germanico.

(l) Non pubblicato.

392

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VTSCONTI VENOSTA

R. 230. Pietroburgo, 25 aprile 1871 (per. l' l maggio).

Fra le questioni che ebbe a trattare in questi giorni l'Ambasciata Ottomana presso questa Corte, importantissima si fu quella dell'autonomia della Chiesa Bulgara che si agita, è già gran tempo, fra il Governo del Sultano e il Patriarca di Costantinopoli e in cui la Sinodo Greca di Russia prese ingerimento.

L'E. V. ben sa come negli ultimi anni una forte propaganda Cattolica siasi operata in Bulgaria e come la conversione di quegli Slavi di Turchia al Cattolicesimo, che era per compiersi, fu impedita, nelle ultime istanze, dall'assolutismo Teocratico di Roma, che non volle consentire, per quella rigidezza di portamenti che la contrassegna, a veder praticato da quella Chiesa il rito dei Greci uniti, che era nei suoi desiderii, imponendole in questa vece l'osservanza del Rito Latino. Che l'autonomia del culto Nazionale fosse il motore precipuo di quel movimento religioso che si andava operando fra gli Slavi della Mesia, il dimostraron poi nel processo le pratiche da Loro iniziate nuovamente presso

27 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. II

il Governo Ottomano per attenerne l'autonomia della Loro Chiesa, rimanendo pure nei termini Religiosi della Religione Greca Ortodossa, al qual'uopo fu stabilito con Firmano Imperiale un Esarcato Bulgaro, e un consiglio a Costantinopoli, a trattarvi in disparte gl'interessi di quella Chiesa.

Ora il Patriarca di Costantinopoli non si mostrò men rigido e severo che non soglia in simili casi il Pontificato di Roma, e oppose tutta l'autorità sua all'attuazione di quel disegno, significando esser necessaria all'esame di così grave vertenza, la convocazione di un concilio ecumenico, particolarmente per quanto è alle Diocesi del Sud dei Balcani, nella Tracia e nella Macedonia, ove continui e fieri sono i conflitti tra Greci e Slavi per causa di religione. Contrastarono alla proposta del concilio i Vescovi Russi e Slavi, attesa la causa del dissidio che per essere tutta di ragione amministrativa e politica, punto non avea tratto per loro avviso alla religione del Dogma. Anzi le chiese Bulgariche furono avvalorate in codesta opinione dai Ministri del Sultano e dalla Sinodo Greca di Russia, presso cui il Conte Tolstoi Ministro della Pubblica Istruzione regge l'ufficio di Procuratore Imperiale, e che dichiarò, consultata all'uopo, non essere opportuna la riunione del Concilio e potersi sancire la costituzione della Chiesa Greca nella Mesia inferiore, e negli altri distretti, in istato d'autonomia, al medesimo ragguaglio che furono già prima quelle di Serbia di Cipro e del Monte Athos. Consentirono invece alla proposta del Patriarca i Vescovi Greci, come quelli d'Alessandria di Antiochia e di Gerusalemme, mantenendo, anzi rifermando per tal guisa, lo screzio religioso originato dalla diversità della nazione. A questo punto trovandosi ora il trattato, il Divano propone la formazione di un Comitato misto, cioè a dire, di due delegati ecclesiastici Bulgari e di due Greci, ad esaminare l'assunto, salva la finale risoluzione delle autorità supreme; se non che a questo partito ancora il Patriarca resiste con richiedere innanzi tratto la cessazione dell'Esarcato e del consiglio stabilito in Costantinopoli.

In tutto questo negoziato i Governi Imperiali di Pietroburgo e di Stamboul

procedono perfettamente d'accordo, ed io m'indussi a farne menzione special

mente per questo, che esso mi parve uno degli indizii di quella cordiale intel

ligenza che governa presentemente le relazioni politiche fra Turchia e Russia,

e contrassegna propriamente la fase in cui mostra che sia entrata da alcun

tempo in qua la Politica Orientale, e di cui la Conferenza di Londra fu la più

segnalata manifestazione.

E di tal negoziato invero la Stampa Europea non si è punto commossa,

anzi non fece verun cenno, comecchè la diplomazia Russa ne prendesse occa

sione di grande incremento della sua morale influenza in Oriente, e desse prova

di singolare abilità nel modo in che lo condusse. Ed in effetti, essa si comportò

in modo a Costantinopoli da far le viste di patrocinare gli interessi del Patriarca,

mentre davvero parteggiava per i Bulgari, traendo per tal guisa in errore la

diplomazia Francese e Brittannica che argomentavansi di osteggiare la Russia

col difendere i Bulgari, e l'ajutavano in quella vece a raggiungere il suo intento.

Degnissima di nota su tal soggetto, è la risposta della Sinodo di Pietroburgo

alla lettera del Patriarca emanata fin dal Settembre 1870, risposta che porta

la data del 2 Marzo 1871, ed in cui per la seconda volta la ,Sinodo suddetta inter

viene nel dibattito. Tal documento che fu senza alcun dubbio ispirato in gran

parte dai più alti Rappresentanti della Politica Imperiale, fu pubblicato non ha guari nel Messaggiero Imperiale ed io avrò cura di spedirlo all'E. V., come prima ne avrò in pronto la versione in Lingua Francese, che attesi a procacciarmi.

393

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 223. Tunisi, 25 aprile 1871 (per. il 29).

Col postale di jeri ho ricevuto il pregiato dispaccio di questa serie N. 101 (1), il quale, stando alla sua data 13 corrente, avrebbe dovuto giungermi con quello della settimana scorsa.

Nel trasmettermi in seno al medesimo copia del protocollo firmato a Firenze il 10 Aprile coi Rappresentanti d'Inghilterra e di Francia, V. E. mi richiede di esaminare questo nuovo documento, e di proporle, ove ne sia il caso, gli accomodamenti che dovrebbero prendersi fra i tre Governi allo scopo di meglio assicurare l'incolumità dei diritti già concessi dal Bey ai creditori stranieri della Reggenza nell'applicazione dell'Art. 2o del Io protocollo firmato egualmente a Firenze il 5 Marzo scorso dal Generale Heussein plenipotenziario del Governo tunisino.

Col memorandum di cui V. E. favoriva ultimamente comunicarmi la mi

nuta, dimostrandosi all'evidenza che colle stipulazioni riguardanti le tariffe da

una parte, la piantagione e l'esportazione del tabacco dall'altra, niun pregiudizio

ne deriva alla massa dei creditori del Bardo, come tampoco non siano state

intaccate le attribuzioni della Commissione finanziaria internazionale, sem

brami non essere per ora il caso di passare in proposito ad accordi di sorta

colle sullodate Potenze. Come diggià osservai, non è punto intenzione di essa

Commissione di proporre al Bey degli aumenti nei diritti doganali; ed in quanto

al tabacco dirò oggi che per evitare ogni qualunque difficoltà sarebbe oppor

tuno si provvedesse sin d'ora con un regolamento che ne fissasse il modo e le

condizioni; importa però che siffatto regolamento proceda dal Comitato esecu

tivo che rappresenta il Bey, e venga quindi approvato dall'intiera Commissione

chiamata dalle 3 Potenze a tutelare gl'interessi dei creditori del Governo

tunisino.

Di tal fatta si allontanerebbe una soverchia ingerenza dei Consoli d'Inghil

terra e di Francia, i quali sono persuaso si adoprerebbero in questo momento

ad attraversare lo scopo che ci siamo prefissi col protocollo suddetto.

Del resto nessuna partecipazione o proposta essendomi stata fatta sinora

dai Signori Wood e Botmiliau, stimo mantenermi nella più grande riserva,

disposto dall'altra parte a regolarmi secondo le circostanze, e a far in modo di

non avere senza necessità ad urtare coi medesimi.

(l) Cfr. n. 357.

394

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AD ALESSANDRIA D' EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 171. Cairo, 25 aprile 1871 (per. il 5 maggio).

L'Inviato Ottomanno è ripartito ieri per Costantinopoli.

Dal Vicerè e suoi Ministri si serba la più grande segretezza sulla missione · di Nevres Pascià. Nell'opinione pubblica si ritiene che l'Inviato del Sultano non abbia chiesto altre spiegazioni che sull'aumento dell'esercito e sulle fortificazioni che si costruiscono nel golfo di Suez. Questa supposizione si basa principalmente sulla brevità del soggiorno di lui in Egitto. La maggioranza che crede a questa supposizione, aggiunge poi sottovoce, che S. A. abbia saputo servirsi del solito mezzo, così efficace sui turchi di Costantinopoli, per rendere persuasive le assicurazioni date che non vi è nessuna verità sulle voci che Egll abbia aumentato l'esercito, e che sospenderebbe i lavori delle Fortificazioni incominciate.

Alcuni p·erò sussurrano secretamente che l'Inviato Ottomano abbia avanzate dimande molto più serie, quali sarebbero, disarmo generale -ragioni di un nuovo imprestito -e che il Corpo di spedizioni nell'Arabia potesse passare i mesi estivi in Egitto. Spiegano l'immediata partenza dal non avere istruzioni di trattare, ma soltanto di ricevere le risposte di S. A.

Non mi è possibile riferire all'E. V. la versione che possa avere una probabilità d'esser veridica. Mi sembra soltanto difficile, giudicando dalla riserbatezza che si vede nelle alte sfere, che la missione di Nevres Pascià fosse limitata a delle spiegazioni sugli armamenti. Mi adopererò per sapere qualche cosa di positivo, e mi premurerò communicarlo all'E. V.

Intanto da una conversazione avuta questa mattina con Nubar, ho chiaramente visto ch'Egli ritiene per esageratissimo l'allarme del Vicerè ed infondate le di lui supposizioni, rapportate col precedente mio dispaccio N. 160 (1), che l'Inghilterra possa incoraggiare la Porta a danno dell'Egitto. Egli ritiene molto più probabile, se non certo, un accordo tra la Turchia e la Russia.

395

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 108. Belgrado, 26 aprile 1871 (per. il 2 maggio).

Le gazzette del Principato e quelle della Dalmazia riprodussero i brani principali dell'opuscolo che il distintissimo Signor Cavaliere Sironi pubblicò intorno alla Serbia ed al suo organamento militare; quell'opuscolo fu universalmente lodato e per la precisione sua e per la simpatia dimostrata verso la nazione serba. Il governo serbo ordinò ne fosse fatta una traduzione la quale, credo, sarà data alle stampe. Nei diarii Dalmati notai frammezzo alle stesse

lodi una riserva rispetto al giudicio che all'Italia convenga tentare di fare prevalere in Serbia un particolare ascendente; e com'era ad aspettarsi si combatte quell'opinione e sostiensi che la Serbia debba escludere qualunque ascendente del di fuori.

Il libro del Cavaliere Sironi fece molto perchè il nome italiano sia rispettato ed amato in queste regioni e confermò questi statisti nel pensiero che l'Italia desidera che i popoli dell'Oriente si innalzino colle loro forze ad una condizione di indipendenza e di coltura civile e commerciale la quale concordi collo svolgimento dei soli interessi che l'Italia può ricercare di promuovere nella penisola Balcanica.

(l) Non pubblicato.

396

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Versailles, 26 aprile 1871.

Ho ricevuto la vostra interessante lettera del I9 corrente (l) del cui contenuto già m'avevate succintamente informato per telegrafo. Nè il Signor Thiers che più volte m'intrattenne di cose meno importanti, nè il Signor Giulio Favre m'avevano fatto parola della questione d'un possibile ritardo nel trasporto della Capitale d'Italia a Roma. Il Signor Thiers s'era bensì mostrato meco preoccupato degli imbarazzi di cui sarebbe stata cagione al suo Governo l'eventuale determinazione del Papa di lasciar Roma e di domandare l'ospitalità della Francia; ma non aveva indicato come rimedio a questo pericolo il ritardo del trasporto. Io attribuisco quindi il passo fatto dal Conte di Choiseul forse ad una indiretta istanza del Vaticano e forse anco allo zelo del Conte di Choiseul. Fatto sta che essendomi recato ieri dal Signor Giulio Favre ed avendo posto la conversazione su questo terreno, il Ministro francese degli Affari esteri mi disse esplicitamente di non aver mai avuto l'idea di domandarmi di rimettere in questione il voto del Parlamento sul trasporto della Capitale e sull'epoca di questo trasporto. Il suo pensiero fu, secondo ciò che mi disse, che convenisse allo stesso Governo italiano di differire in pratica l'esecuzione del trasporto in presenza delle difficoltà materiali e del difetto di tempo e della malsana stagione in Roma. Avendogli io esposto le principali ragioni che sono sviluppate nelle vostre lettere e che dimostrano che un ritardo sarebbe più nocivo che utile allo scopo che tutti ci proponiamo cioè di impedire che il Papa lasci Roma, il Signor Giulio Favre mi parve convincersi dell'inutilità ed anche del danno del rimedio proposto dal Conte di Choiseul. Il linguaggio del Signor Favre fu tale, che io ne riportai l'impressione che la questione, a meno di nuovi e non previsti incidenti, rimane esaurita su questo punto. Anche del progetto di conferenza il Signor Favre mi parlò nel senso della pratica impossibilità di darvi seguito.

Io credo adunque che potete rassicurarvi sull'una e sull'altra questione. Non posso a meno d'approvare altamente e di consigliarvi a mantenere in ogni

occasione il linguaggio moderato ma fermo che avete tenuto al Conte Choiseul e in seno al Parlamento intorno ai due punti capitali del nostro programma, cioè abolizione del potere temporale e trasporto della Capitale a Roma all'epoca fissata dal Parlamento. Nelle questioni minori e nei dettagli, e specialmente per quanto spetta alle questioni secondarie che interessano il Governo francese vi consiglio invece tutta la possibile condiscendenza. Queste piccole concessioni, una grande moderazione nell'applicazione, un costante impegno nell'evitare ciò che possa irritare il Papa e nel mostrarci benevoli alla Francia, ci ajuteranno a far trangugiare insensibilmente a quest'ultima l'amara pillola. Non dico che non avremo delle seccature. L'Assemblea Nazionale è in fondo clericale e simpatie per l'Italia non ce ne sono, o almeno sono rare e disperse. Sarà impossibile l'evitare a lungo una discussione sul potere temporale e sul modo con cui ci siamo impadroniti di Roma. E già nella seduta di domani mi si dice che sarà deposta una petizione per reclamare l'intervento dell'Assemblea in favore del Papa. Ma nè la Francia per qualche anno sarà nella possibilità materiale di tentare avventure armate all'estero, nè il suo Governo potrà esercitare efficacemente un'azione diplomatica che possa compromettere i risultati da noi ottenuti e revocare i fatti compiuti. A confermare questi risultati ed a levare al Governo francese la tentazione di suscitarci imbarazzi su questo terreno, gioveranno anche molto l'azione e la condotta dei Governi cattolici. Chiamo su ciò tutta la vostra attenzione. Dal Governo di Madrid e da quello di Lisbona possiamo, credo, aspettarci piuttosto ajuti che incagli. Rimangono l'Austria e la Baviera. È della più grande importanza per noi che queste due Potenze non ci osteggino nelle cose romane. Fate ogni sforzo per ottenere questo risultato. I due posti diplomatici di Vienna e Monaco sono diventati di capitale importanza per noi. Mandate colà uomini che valgano ed esercitino una reale influenza su quei Governi per quanto concerne la questione romana. Qui in Francia la cosa grave ed importante era di ottenere in primo luogo che ci lasciassero fare, in secondo luogo che si accettasse come base della politica del Governo verso l'Italia il fatto compiuto. Ciò fu ottenuto. Due Governi successivi quello del 4 settembre e quello del signor Thiers hanno adottato questa base e ce lo hanno dLchiarato. La situazione mi sembra quindi, benchè disag·evole e molto delicata, scevra d'ogni reale pericolo. Usando prudenza, moderazione e fermezza, e facendo entrare nello spirito della nostra popolazione il sentimento delle difficoltà inseparabili da questa situazione, si può ragionevolmente sperare che dopo aver superato i maggiori anche i minori ostacoli si vinceranno.

(l) Cfr. n. 377.

397

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 67. Vienna, 27 aprile 1871 (per. l' l maggio).

Fra le tante e svariate nazionalità che frastagliano la Monarchia austroungarica, la Boema è quella che incontrastabilmente primeggia per sentimenti

ultra-cattolici sì nella classe aristocratica che nelle popolazioni campestri sottomesse ciecamente ai grandi proprietari ed al Clero. Nei soli grandi centri, ove il commercio e l'industria alimentano l'intelligenza e le arti libere, havvi una maggioranza che, sebbene debolmente, non cessa di controbilanciare l'influenza degli altri. Oltre a ciò bisogna eziandio tener conto delle frazioni evangeliche e loro sette sparpagliate in quel Regno, le quali, siccome in tutti i paesi dove le confessioni sono frammiste, servono grandemente a tener vivo il fanatismo religioso.

I dì 11 e 12 corrente si raccolsero in Assemblea in Praga meglio di 60 cattolici allo scopo di discutere sui mezzi atti a promuovere il bene della Chiesa e dello Stato. Alla lor testa figuravano i Principi Carlo Schwarzenberg e Giorgio Lobkowitz, i Conti Ledebour, Deym, Wolkenstein e Schonborn: quest'ultimo nel cui palazzo tenevasi l'adunanza ne venne eletto Presidente.

Il programma proposto e accettato suona così: «I qui radunati cattolici dichiarano anzitutto di voler difendere energicamente e fedelmente la libertà della Chiesa, ed il carattere cristiano del matrimonio e delle scuole, e voler combattere indefessamente pel ristabilimento del poter temporale del Papa».

L'adunanza cattolica prese quindi un carattere politico essendo che si ammise siccome condizione sine qua non della potenza della Monarchia, l'unità dell'Impero, la difesa e della Dinastia e dei diritti e prerogative dei singoli paesi e nazionalità che da quella sono governati.

Il Cardinale Schwarzenberg intervenne alla seconda seduta esclamando: tempus est faciendi quia dissipaverunt legem tuam (Domine!) ed impartì l'Apostolica benedizione. Dopo varii discorsi le seguenti proposte furono adottate:

1<>. Spiegare una comune attività politica nel senso del programma politico suaccennato. 2°. Nelle elezioni proporre uomini che si obblighino a questo programma. 3°. Nomina di un Comitato di 10 persone destinate a preparare il terreno nelle elezioni.

Prima di chiudere la discussione fu esaminata la questione di rappaciare i due organi c1ericali il Vaterland ed il Volkstreund opposti :fra loro sul terreno della ,politica, propugnando il primo il Federalismo ed il secondo il Centralismo, ma riconosciuta l'inutilità degli sforzi che all'uopo si farebbero, vi si rinunziò.

Malgrado lo splendore dei nomi e delle dignità rappresentate in quella assemblea cattolico-federalista, i programmi elaborati ed i comitati eletti, lo scopo sperato mancò affatto; nessun eco vi rispose ancora ed i futuri frutti saranno ben difficili a raccogliere. Tutti i periodici, pur clericali o federalisti, della Monarchia biasimano il congresso di Praga: i primi per essersi quello fatto scudo della religione a toccare la questione politica e gli altri perchè non vorrebbero veder spiegata fra i federalisti altra operosità all'infuori di quella

in favore delle autonomie nazionali, lasciando da parte il Pontefice ed il potere temporale. Non discorrerò di altri convegni cattolici la cui importanza, sotto ogni aspetto, non merita se ne parli.

398

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. I05. Costantinopoli, 28 aprile 1871 (per. il 5 maggio).

Mi sono astenuto dall'intrattenere V. E. sulla missione di Nevrès Pacha, Primo Ciambellano del Sultano, presso il Vicerè d'Egitto, perchè la Sublime Porta ha serbato finora il massimo segreto sul vero scopo della medesima, e il Gran Vizir, interrogato in proposito da alcuni miei Colleghi, ha risposto invariabilmente che egli ne era del tutto ignaro.

Però la luce comincia a farsi e si è saputo che il mistero dapprima serbato sulla partenza di Nevrès Pacha avea per iscopo di far sì che il Khedive non fosse stato avvertito preventivamente dell'arrivo di lui. E perchè la cosa non fosse buccinata fu prescelto a tale missione un funzionario di Corte anzichè della Porta.

Vuolsi dunque, questo almeno è ciò che d,ivulgasi, che Nevrès Pacha sia andato a far rimostranze al Khedive da parte del Sultano, per gli armamenti straordinarii che da qualche tempo si fanno in Egitto, e a chiederne spiegazioni. Il Sultano non vede qual pratico obbietto essi possono avere, poscia che l'Egitto non è minacciato da alcuna estera potenza, e insisterebbe quindi perchè il Khedive si tenesse, a questo riguardo, strettamente ne' limiti che gli sono additati dai firmani.

V. E. saprà d'altra parte che i motivi che spingono il Khedive ad armarsi, ma che egli non potrà mettere innanzi per sua giustificazione all'Inviato del Sultano, sono, non una minaccia estera, ma le apprensioni che in lui desta l'agglomerazione di soldatesche ottomane sulla riva opposta del Mar Rosso, le quali si teme, che dopo aver sedata la rivolta delle tribù del Yemen, possano tentare un colpo di mano sui suoi Stati.

E veramente non mancano qui le suggestioni di un partito fanatico presso il Sultano che vorrebbe veder la Porta incamminarsi su questa sdrucciola via, sulla via della rivendicazione della piena Sovranità in Egitto e in Tunisi. Gli stessi giornali uffiziosi, sfruttando da qualche tempo in qua il tema della ricostituzione delle nazionalità, sostengono che l'Impero Turco non sarà ben solido sulla sua base, se non quando avrà ricongiunte fortemente insieme le sparse membra dell'islamismo.

Le Potenze Estere, essi dicono, hanno fino ad ora impedito alla Turchia questo 'lavorio, ma ora che H principio delle Nazionalità ha ottenuto in Europa un sì splendido trionfo, esse non avrebbero dritto ad oppugnarlo in Oriente.

La saggezza di Aali Pacha ha finora tenuto a freno questo partito, ma non si può negare che la sua influenza vada sempre crescendo.

399

IL CONSOLE GENERALE AD ALGERI, VICARI DI SANT'AGABIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 47. Algeri, 28 aprile 1871 (per. il 4 maggio).

Mi pregio confermarLe i due rapporti direttiLe dal Signor Avvocato Corte, durante la breve mia malattia (l) ed i fatti dal medesimo narrati, che disgraziatamente, sono purtroppo veri ed esatti. La condizione delle cose peggiora ogni giorno e si può ormai dire che l'insurrezione è generale in tutta la Colonia, cosicchè per sedarla converrà conquistare di bel nuovo il paese, impiegarvi 150.000 e più uomini e fare gravi sacrifizii. Il Governatore Generale chiede continuamente a Versailles l'invio di rinforzi, che gli vengono pel momento, negati o mandati in dosi omeopatiche. Perciò egli ha consigliato ai Coloni di ritirarsi nei Centri principali, ove possano difendersi lasciando che il nemico scorazzi, a suo beneplacito, il paese. Si annunzia da Orano, che tutti gli Arabi del Sud sono insorti, che numerose bande passano dal territorio del Marocco in su quello dell'Algeria, e che Tlemcen è circondato. Il R. vice console in Bona, in data del 25 corrente mi scrive che la rivolta, già quasi sedata, ha assunto d'improvviso le più gravi proporzioni. Mi aggiunge, che notizie recentissime di Setif annunziano l'incendio e la devastazione di tutti i villaggi circonvicini, la fuga dei coloni europei entro le mura della città, minacciata d'imminente assedio, la rottura del telegrafo. Si sa poi, che le tribù del circondario di Batna stanno per assalire quella città, e che hanno già incendiato tutt€ le cas€ coloniche ed i villaggi dei dintorni ed assassinato gli abitanti. Nella Provincia di Algeri, tutti i Cabili si sono rivoltati, cosa non mai veduta per l'addietro, e si può a gran stento impedir loro l'accesso nella pianura della Mitidja, la quale come ho già avuto l'onore di dirLe, si estende dalle Porte di Algeri alle falde dei monti del piccolo Atlant€, in cui dimora quella razza belligera. Quest'oggi, due Deputati della città di Bougie vennero da me e dal console di Spagna, muniti di una lettera del nostro agente consolare (che fa pure le funzioni di vice console spagnolo) pregandoci di presentarli al Governatore e di ottenere dal medesimo l'invio di pronti rinforzi, per difendere quella città, la quale non poteva opporre lunga resistenza all'assalto di 30.000 Cabili che da più giorni l'attaccano. L'ammiraglio, Conte De Gueydon, ci accolse colla maggior cortesia, ma rispose non potere pel momento mandare un sol uomo, che avrebbe però spedito colà una nave di guerra. Non Le parlo infine dello stato ben triste in cui versa sempre la città di Alg€ri, giacchè Le venne con molta verità descritto dal mio collega, Signor

Avvocato Corte; Le partecipo però che ricevo frequenti lettere ed istanze di rtaliani, dimoranti nella pianura d'Algeri, per dimandarmi armi, protezione, aiuto.

In questo stato di cose, io La prego vivamente, di bel nuovo, di degnarsi spedirmi subito, ma subito se pur si vuole che arrivino a tempo due legni di Guerra, uno dei quali potrà rimanere in questo Porto e l'altro percorrere le coste, dove sarà maggiore il pericolo.

Ho ragioni fondate di credere, che lo invio di questi legni, massime se grossi e con milizia a bordo, riescirà gradito alle Autorità locali, rassicurerà ad ogni modo gli animi e potrà prevenire fors'anca gravi pericoli a questo digraziato paese, in cui sì grande è il numero dei nostri concittadini e tanti i nostri interessi.

Che se poi il R. Governo vorrà dar facoltà ai comandanti di quei legni, di aiutare la popolazione tutta ed anche di secondare le operazioni delle Autorità francesi, avrà la buona fortuna di smentire coi fatti le tante accuse d'ingratitudine lanciateci contro, e di fornire alla Francia una prova dei buoni sentimenti, da cui il nostro paese fu sempre animato per la medesima. E ciò, senza ledere punto le relazioni e le suscettibilità politiche d'altra nazione, imperocchè qui si tratta, non già di guerra con potentati stranieri, ma di difesa contro orde selvagge, che incendiano, devastano ed ammazzano tutti gli europei, senza distinzione di razza.

Io ho fatto il mio dovere di informarLa della vera condizione delle cose: ora attendo gli eventi senza timore e farò, in ogni modo, quel poco di bene che potrò.

(l) Non pubblicati.

400

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. 207. Firenze, 29 aprile 1871.

Ringrazio la S. V. dei rapporti politici pervenutimi regolarmente fino al

n. 818 inclusivamente.

Chiamò la mia particolare attenzione il colloquio ch'Ella ebbe col Signor de Thile circa le estesissime ramificazioni ch'egli attribuisce alla setta conosciuta sotto il nome d'Internazionale tanto in Inghilterra ed in Francia, quanto in altri paesi di Europa. A questo proposito, S. V. ricorderà probabilmente che, fino dal novembre 1869, in seguito alle comunicazioni di questo Ministero ed a una conversazione col principe Gortchakow, Ella ebbe occasione d'intrattenersi col Signor Thile sopra questo argomento, ed egli, allora, non sembrava preoccuparsi dei pericoli che minacciavano l'ordine sociale. La Germania dominata in questo momento dall'influenza che esercita il prestigio militare, si trova in condizioni migliori di tanti altri paesi di Europa in ciò che concerne la sua sicurezza interna e la conservazione dell'ordine nel quale riposa l'edificio sociale; ma anche in Italia, la vigilanza del Governo ha finora bastato a rendere impotenti le mene degli agitatori, a sventare gli intrighi ed a premunire il paese da così gravi pericoli. Ed in mezzo alle difficoltà inerenti alla nostra situazione politica, ben possiamo affermare, che la condotta del R. Governo deve apparire ancor più savia e previdente.

401

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3685. Londra, 29 aprile 1871, ore 16,50 (per. ore 10,20 del 30).

Granville m'exprimant son opinion personnelle me dit qu'il lui parait plus utile que l'Italie fit explorer elle-meme les cabinets avant de leur faire la communication de la loi des garanties. Cette exploration faite par l'Angleterre qu'on ·COnnaìt etre la plus favorable à ,l'ltalie et qui est protestante pourrait paraitre un détour et produire un effet moins utile. Il est pourtant pret à communiquer à ses collègues votre désir que ce soit l'Angleterre qui fasse cette exploration si vous y insistez. Il m'a répété que les sympathies du Gouvernement anglais sont acquises à la cause italienne et qu'il croit que l'idée d'une conférence soit tombée. J'ai aussi conféré avec Gladstone qui m'a parlé en vrai ami de l'Italie. Je vous écris (1).

402

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 578/213. Londra, 29 aprile 1871 (per. il 3 maggio).

Come ebbi già ad annunciarLe col mio rapporto dell'H corrente n. 207 politico (2), io aveva mandato al Signor Conte Granville il contenuto nel di Lei telegramma del 9 corrente, da me ricevuto il giorno 10 relativo agli Affari di Roma (3), accompagnandolo eon una mia lettera particolare.

Essendo il Signor Conte ritornato da qualche giorno dalla campagna, ebbi or ora col medesimo una conversazione su questo soggetto, della quale Le comunicai il sunto col mio telegramma d'oggi (4).

S. S. mi confermò che l'Italia aveva tutte le simpatie del Governo Inglese, e mi confermò puranche che le sue informazioni gli facevano credere che l'idea di una conrferenza fosse stata abbandonata.

Passando poi a parlare del desiderio da Lei manifestato che questo Governo si incaricasse a suo tempo di esplorare i principali Gabinetti se essi fossero disposti ad accogliere favorevolmente la comunicazione che ai medesimi da noi si facesse della legge per le garanzie al Pontefice, il Signor Conte mi disse non averne ancora parlato ai suoi Colleghi nel Gabinetto e che perciò si limitava, per ora, ad esprimermi la sua opinione personale. Egli mi fece notare che esaminando ciò dal punto di vista del nostro migliore interesse, al quale Egli mirava, gli pareva che sarebbe stato meglio che questa esplorazione si facesse nelle forme confidenziali direttamente dallo stesso Governo Italiano. Parevagli

14) Cfr. n. 401.

che questo procedimento diretto, inspirato da maggiore confidenza fosse per essere per noi più utile nei suoi risultati che non quello di servirsi a tal fine di un altro Gabinetto, e del Governo Inglese il quale sapevasi da tutti essere il migliore amico dell'Italia, e che per di più era protestante.

Egli mi soggiunse che però era del tutto disposto a parlarne coi suoi Colleghi nel caso che Ella persistesse nella idea che aveva messa avanti, e che lo avesse desiderato.

Dissi a S. S. che ne avrei informato tosto V. E. e, cogliendo l'occasione favorevole La trattenni ancora sul soggetto di una conferenza esaminandolo dal lato pratico e giovandomi delle considerazioni da Lei comunicatemi colla Sua lettera particolare delli 12 corrente (1). Insistetti sull'importanza che mettevamo a che una proposta di conferenza fosse impedita, e sull'azione facile ed utile dell'Inghilterra a questo fine, ed indicai specialmente il Belgio e la Baviera. Il Signor Conte non entrò a discorrere di questo soggetto fa{!endo notare che l'idea di una conferenza non era più una questione di attualità. Cadde poi il discorso sulla attitudine e sulle disposizioni delle potenze a riguardo dell'Italia, ed a questo riguardo io dissi a S. S. ciò che Ella mi aveva significato intorno alle comunicazioni amichevoli esistenti con tutte ed in ispecie alle informazioni fornitele dal mio Collega il Conte Nigra.

S. S. mi lasciò travedere come le sue informazioni gli facevano credere che il nuovo Ministro Francese a Firenze avesse manifestato costà sentimenti e tendenze meno favorevoli di quelle da me indicate. Debbo poi soggiungere che in tutta questa conversazione S. S. espresse costantemente e vivamente il concetto che il Governo Inglese era il migliore e più sicuro amico dell'Italia, e che le osservazioni che mi faceva erano tutte ispirate da questo sentimento. Io non mancai di ringraziarne il Signor Conte e questo Governo soggiungendo come ciò fosse vivamente sentito dal Governo del Re non solo ma ben anco da tutto il paese al quale i nomi del Signor Gladstone e di Lord Granville erano perciò molto cari e riveriti.

Pochi giorni fa ebbi pure un colloquio col Signor Gladstone sugli affari di Roma. Il Signor Gladstone mi disse le ragioni per le quali aveva espressa l'opinione che una conferenza fosse per essere utile all'Italia. Sostanzialmente esse si possono riassumere in questa, che gli ultimi fatti dell'Italia a Roma non furono ancora riconosciuti da molte Potenze; che qualcuna pare non esserci molto favorevole e che il primo e fondamentale risultato di una conferenza sarebbe stato quello di recare la ricognizione dell'Europa per quei fatti.

Ripetei al Signor Gladstone tutte le cose che aveva già esposte in altre occasioni al Conte Granville sia considerando la questione dal lato politico interno dell'Italia, e riguardo alla impossibilità di comprare quella ricognizione a danno della nostra indipendenza e dignità e pace interna al presente e per l'avvenire, come pure considerandola dal lato pratico per l'inutilità, la vanità e le cattive conseguenze del tentare una conferenza, che era evidente che non avrebbe mai potuto riuscire.

Il Signor Gladstone insistette molto nel dirmi che le osservazioni che Egli aveva fatte e che faceva non gli erano dettate che dalla sua simpatia per l'Italia

(I) Cfr. n. 354.

e dal desiderio che tutto potesse avvenire pel suo meglio e pel suo bene. Soggiunse che poichè dell'idea di una conferenza più non si parlava Egli ne era contento.

A questi sentimenti espressi dal Signor Gladstone con molta cordialità io risposi che tutti gli Italiani conoscevano e sapevano che fra gli uomini di Stato più ragguardevoli del nostro tempo Egli era il più antico ed affezionato amico dell'Italia, e che il Suo nome vi era ovunque amato e riverito.

Nella conversazione che ebbi or ora con Lord Granville Lo posi a parte del colloquio avuto col Signor Gladstone ed Egli se ne mostrò soddisfatto.

Debbo pure significarLe che pochi giorni fa, in una visita che feci al Duca di Broglie dopo il suo ritorno da Versailles, introdusse Egli medesimo il discorso intorno alle nostre questioni politico-religiose, ed al sistema che noi ponevamo in atto colla legge che è in corso di discussione. Il Signor Duca non disse neppure una parola intorno alla cessazione del potere temporale ed al trasporto della Capitale Italiana a Roma, nè dal suo discorso trapelò alcun sentimento poco benevolo per l'Italia. Egli si trattenne solo sul sistema che noi stavamo attuando di sciogliere la grande questione delle relazioni fra la Chiesa e lo Stato col mezzo della più larga libertà. Io gli diedi molte spiegazioni su questo soggetto ed a riguardo dei nostri concetti su questa quistione e sul buon risultato che speravamo col tempo dal nostro sistema applicato all'Italia, che era preparata ad un tale scioglimento. Il Duca di Broglie mi disse che avevamo sulle braccia una quistione di una enorme difficoltà, che non era persuaso che si potesse riuscire col nostro sistema, e negli Stati d'Europa ad un risultato utile, ma che se noi avessimo potuto riuscire, era ben certo che tutti i paesi Cattolici ci avrebbero imitato.

Io non repplicai nulla a questa allegazione del Signor Duca, ma mi permetterò ora di dire che, secondo il mio avviso, lo scioglimento di codesta grande quistione col mezzo di una grande libertà non può applicarsi che in que' paesi in cui si verilfichino queste due condizioni cioè, che vi sia in diritto ed in fatto una grande libertà, e che il popolo, avendo un giusto concetto della libertà, non minacci il paese degli abusi di essa e dell'anarchia.

(l) -Cfr. n. 402. (2) -Cfr. n. 350. (3) -Cfr. n. 346.
403

IL MINISTRO DELLA MARINA, ACTON, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. RISERVATA 4618/1832. Firenze, 30 aprile 1871.

Presa conoscenza del foglio in margine distinto (1), senza indugio il sottoscritto telegrafava al Comandante in Capo della R. Squadra perchè con tutta sollecitudine inviasse a Tunisi la piro corazzata « S. Martino», ed egli colla

«Roma» si recasse in Algeri per proteggere, d'accordo colle Autorità Consolari, le persone e gli averi dei nostri connazionali colà residenti.

Appena ultimate le riparaziom m corso, anche la «Vedetta» muoverà per Algeri per riunirsi al predetto Comandante in Capo che potrà così all'occorrenza distaccarla in altri punti del littorale Barbaresco.

(l) Si tratta del n. 87 del 29 aprile.

404

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. S. N. Versailles, l maggio 1871 (per. il 7).

Ho l'onore d'accusar ricevimento dei dispacci che l'E. V. mi fece l'onore di dirigermi in data del 13, 18 e 22 Aprile scorso (l) e che si riferiscono all'incidente occorso nella sera del 9 dello stesso mese a Civitavecchia. Ho gia informato col telegrafo l'E. V. (2) che io aveva intrattenuto verbalmente di questo spiacevole fatto S. E. il Signor Giulio Favre, il quale s'era mostrato soddisfatto dei ragguagli, delle spiegazioni e delle assicurazioni che io gli aveva dato a questo proposito a nome del Governo del Re, conformemente al dispaccio dell'E. V. del 13 ed ai successivi suoi telegrammi del 18 e del 19 Aprile (3). Dopo che ebbi ricevuto i dispacci precitati del 18 e del 22 Aprile, ho creduto di dover rendere più completa la mia comunicazione al Signor Giulio Favre e valendomi del contenuto dei medesimi ho diretto a questo Ministro la lettera di cui ho l'onore di mandar qui unita la copia all'E. V. Nel redigere questa lettera mi sono inspirato al pensiero espresso nei dispacci dell'E. V. e nei documenti che vi erano annessi. Spero perciò che l'E. V. vorrà approvare il linguaggio da me tenuto in questa emergenza.

ALLEGATO.

NIGRA A FAVRE

Versailles, 30 avril 1871.

Par sa lettre en date du 16 courant, en m'informant des mauvais traitements dont queques matelots de la frégate française l'Orénoque auraient été l'objet à Civitavecchia, dans la soirée du 9 Avril, de la part d'individus dont quelqucsuns étaient revetus de l'huniforme de la Garde Nationale, V. E. m'engageait à appeler sur ces faits l'attention du Gouvernement du Roi et Elle demandait la poursuite et la punition des coupables s'ils étaient découverts et des mesures propres à prévenir le retour de pareils actes.

J'ai eu soin de porter en son temps cette communication à la connaissance du Ministre Royal des Affaires Etrangères et j'ai eu ensuite l'honneur de vous informer verbalement que le Gouvernement du Roi, qui avait appris avec un vif regret les désordres commis à Civitavecchia, avait ordonné et pris les mesures convenables pour que prompte justice fut rendue contre les coupables et pour que de pareils actes ne pussent se renouveler à l'avenir. Ayant reçu depuis lors de nouveaux renseignements je viens maintenant rendre plus complètes les informations verbales que j'ai eu l'honneur de vous donner.

Les individus à la charge desquels existaient des indices de culpabilité ont été immédiatement arretés par les Agents de la Sureté publique et par les Carabiniers Royaux, et déférés au pouvoir judiciaire. Farmi les arretés se trouve précisément l'individu qui a été signalé camme étant revetu de l'uniforme de la Garde Nationale et qui se serait servi de sa dague contre un matelot français. Cet individu s'appelle Gasparri Oreste. Le Commissaire Royal à Rome envoya expressément un Inspecteur pour s'enquerir des faits et proposer les mesures nécessaires pour prévenir de nouveaux désordres. S. E. le Président du Conseil, Ministre de l'Intérieur envoya aussi à Civitavecchia une commission composée d'un Conseiller de la Préfecture de Rome

et d'un Magistrat avec la meme mission. De son còté l'Autorité judiciaire, par les soins du Procureur Général du Roi à Rome, poursuit cette affaire avec tout l'empressement qu'elle comporte et elle remplira consciencieusement son mandat. Le

Gouvernement du Roi est résolu à procéder, avec rigueur, contre tous ceux dont la culpabilité sera établie, ou qui auraient failli à leur devoir, et des instructions sévères on été données pour qu'il soit exercé à Civitavecchia une surveillance spéciale afin de prévenir le renouvellement de désordres pareils à ceux qui se' sont malheureusement produits dans cette circonstance.

Ce ql.!e je viens d'avoir l'honneur de vous exposer, M. le Ministre, répond, je pense, d'une manière satisfaisante aux plaintes que vous avez fait parvenir au Cabinet de Florence. Les assurances du Gouvernement du Roi et les manifestations sympathiques dont le Commandant de I'Orénoque a été l'objet, en cette occasion, de la part de l'Autorité Municipale et des officiers de la Marine Royale sont du reste de nature à òter à cet incident tout caractère facheux au point de vue des bonnes relations des deux Pays, auxquelles nous attachons le plus grand prix et qui n'ont été et ne pouvaient étre mises en question par un fait très regrettable sans doute mais d'une nature accidentelle, et dont malheureusement on a trop souvent des exemples dans tous le pays.

Maintenant il est juste d'ajouter, non certes pour justifier ni méme pour

atténuer les faits, mais pour en déterminer les causes et le caractère, que la conduite

des matelots de l'Orénoque n'a pas été exempte entièrement de faute et de provoca

tion. Les rapports parvenus au Gouvernement du Roi ne permettent pas d'admettre

à cet égard, camme sur d'autres points, l'exactitude des informations données par

le Consul de France à Civitavecchia. Ces rapports constatent que pendant leurs

excursions dans la ville les matelots de l'Orénoque se mettent trop souvent dans

un état d'ivresse tel qu'ils se trouvent quelquefois dans l'impossibilité de se rendre

à bord sans l'aide des Agents de police; qu'ils se livrent dans les cafés à des discus

sions politiques irritantes et y cherchent querelle. Ainsi lorsque le matelot Fabre

reçut la blessure mentionnée dans la lettre précitée de V. E., il se trouvait camme

les autres matelots qui l'accompagnaient dans un tel état d'ivresse que ni lui ni

ceux qui étaient avec lui ne purent donner le jour suivant, à l'Autorité judiciaire

qui s'était rendue à bord de 1'01·énoque pour recevoir leur déposition, aucune

explication propre à la mettre sur la voie pour découvrir les coupables et pour

parvenir à la constatation des faits. Il serait vivement à désirer que ces inconvénients

disparaissent. Le Gouvernement du Roi a donné l'ordre à ses Autorités d'user de

toute la fermeté et de toute la circonspection nécessaires pour prévenir les collisions.

Il aime à espérer que de son c6té le Commandant et l'équipage de 1'0rénoque lui

faciliteront par leur attitude, la tache d'empecher des désordres dont le retour

pourrait entrainer des conséquences plus graves. Je suis persuadé que telle est

aussi la pensée du Gouvernement français et celle du Commandant de 1'0rénoque.

Aussi je ne releverai pas la déclaration que ce dernier, sous l'empire d'un sentiment

que je m'explique facilement, a faite de ne laisser descendre ses matelots à terre

qu'en armes afin qu'ils puissent se défendre par la force. Un tel fait ne saurait

étre admis, et s'il pouvait l'etre, il éloignerait, plut6t que de l'atteindre, le but que

les deux Gouvernements se proposent, et qui est d'empécher soigneusement et de

faire disparaitre toute cause de grief Iégitime entre eux.

(l) -Cfr. nn. 356. 370 e 388. (2) -Cfr. n. 383. (3) -Cfr. nn. 368 e 375.
405

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. Berlino, 1 maggio 1871.

D'après votre lettre particulière du 23 Avril (1), qui m'a été remise ainsi que ses annexes par le courrier de Cabinet Longo, vous me chargiez de vérifìer comment la situation sur les affaires de Rome était jugée à Berlin, quelles étaient les dispositions de ce Gouvernement, et ce que nous devions penser de certaines initiatives prises par le Cabinet de Munich.

J'ai réussi à me ménager hier au soir un entretien avec le Prince de Bismarck. Pour mieux le mettre en veine de causer, je lui ai promis che son langage ne serait pas reproduit dans ma correspondance officielle, que je m'abstiendrais de l'interpeller, le laissant lui-mème juge de notre intéret à connaitre ses impressions et ses intentions. Nous n'avions d'autre mobile, que celui de témoigner de notre confìante sympathie et de notre désir d'établir, autant qu'il dépendait de nous, une certaine communauté de vues entre les deux Gouvernements au sujet d'une question de cette importance. Pour l'engager à se prononcer, je lui ai donné lecture confidentielle de plusieurs passages de votre lettre particulière au Chevalier Nigra, du 19 Avril (2), et je me suis appliqué à mettre en évidence combien l'Angleterre se montrait amicale à notre égard, ainsi que cela résulte des intéressants rapports de M. le Commandeur Cadorna.

S. A. m'a dit que la conduite de la fraction catholique au Reichstag, et le vote de cette Assemblée en réponse au discours du Tròne, lui avaient délié la langue et qu'il était à meme dès lors de s'exprimer avec moins de réserve, que lors de notre entretien du 23 Mars dernier.

cAucune proposition de conférence n'est parvenue à Berlin. La Bavière, ou plutòt le Comte de Bray, a cherché il est vrai à s'entendre avec nous sur des démarches en faveur du Pape, mais j'ai paré le coup de quarte en portant une botte de tierce. En d'autres termes, j'ai communiqué ces ouvertures aux Commissaires Bavarois, au Conseil fédéral. Ceux-ci ont objecté 'qu'il ne résultait pas qu'une telle initiative partìt du Roi et des Conseillers légaux de la Couronne. Là dessus, j'ai fait savoir à Munich que, si on le désirait, je pourrais saisir de la question le Bundesrath. La Bavière n'y compte que 6 voix sur 58. Je n'ai plus reçu signe de vie. Au reste, cet Etat n'a pas le droi:t de faire la guerre. S'il a conservé le privi1ège de traiter de la politique étrangère, en son propre nom et pour son propre pays, s'il a voix au chapitre dans le comité diplomatique, je m'en remets aux Puissances étrangères, pour juger de la valeur d'une action ainsi circonscrite. D'ailleurs je ne vois jusqu'ici que des velléités et des tendances personnelles du Comte Bray.

Pour l'Autriche, on ne saurait incriminer les intentions du Comte de Beust. Protestant, il ne se range pas parmi les défenseurs du Pape. Mais il ne faut pas oublier les embarras multiples de sa position. Son origine étrangère, la haine ou

(l} Non pubblicata.

la jalousie d'un parti toujours puissant, l'obligent à rester sur la bréche pour résister à ceux qui voudraient l'évincer d'une piace, qu'il tient à conserver. En manreuvrant au milieu de nombreux écueils, il évite de froisser les sentiments très catholiques de la Cour et de quelques Provinces de la Monarchie. Mais le fait du congé accordé au Comte Trautmannsdorff dévoué à la cause du St. Père, et de la geS:tion intérinaire du Hongrois le Comte Kalnoky n'est certes pas un symptòme alarmant, lo11s ·meme que ce dernier, ainsi que me le mande le Général de Schweinitz, aurait pour instruction de tacher de former une espèce de coalition du Corps diplomatique RU Vatican, pour l'indépendance et la protection personnelle du St. Père.

Relativement à la France, les nouvelles reçues ici portent que le Gouvernement de Versailles serait en effet disposé à accorder, le cas échéant, l'hospitalité au Pape et à Lui ass'.Jrer sur le territoire français toutes les conditions nécessaires à l'exercice de son autorité spirituelle, mais M. Thiers aurait laissé entendre à Monseigneur Chigi qu'il préférait, dans les circonstances actuelles de la France, ne pas s'occuper de la question du pouvoir temporel. M. Thiers m'a parlé dans le meme sens à Versailles. De mon còté, je lui ai exprimé la meme manière de voir, si le St. Père jugeait à propos de diriger ses pas vers l'Allemagne. Au reste, la France le voudrait-elle, ne serait pas en mesure d'exercer de sitòt une action sérieuse contre l'Italie.

Quant à ce qui nous concerne, j'espère que vous ne vous étes pas mépris sur ma réserve. Un souffie de zéphir n'est pas un orage. Je vois avec satisfaction que vous ne m'interpellez pas directement. Mettez-vous en notre lieu et piace. Une jolie fille ne peut donner que ce qu'elle a. Nous continuons à nous abstenir, mais vous connaissez assez l'esprit qui. règne en Allemagne, pour comprendre qu'aucun Gouvernement ne pourrait faire cause commune avec vos ennemis. N ous ne vous créerons pas des difficultés. De votre còté, ne négligez rien pour que votre presse tienne un langage amicai vis-à-vis du nouvel Empire Germanique. Cette attitude fera plus que des dépeches, pour le développement de bons rapports entre les deux Pays. Puisque nous causons à creur ouvert, permettezmoi d'ajouter qu'il vous convient d'user des plus grands ménagements vis-à-vis de la personne du Pape. Ayez un gant de velours. Suaviter in modo. Un instant, vous avez peut-etre passé la brosse à contrepoil. Vous avez peut-etre dépassé le but, en procédant avec trop de rigueur contre des couvents, des religieuses, et en fait d'expropriation. Il eiìt été mieux avisé, sans céder pour le fond, de vous montrer en pénitents. Le Pape porte robe longue, traitez-le avec tous les égards, toutes les cajoleries, diìes au beau sexe. L'opinion publique, meme dans les pays protestants, vous en saura gré.

Je ne sais si vous irez à Rome au mois de Juillet ou, comme on me le mande, en automne, mais si vous vous décidiez pour une époque rapprochée, je ne sais encore si notre représentant à Florence pourra vous y suivre. De toute manière, je ne doute pas que, le cas échéant, vous envisageriez les choses avec calme. Soyez persuadés que notre attitude est celle de la passivité, et non d'une action contraire à votre cause. Aidez-nous autant que possible dans cette ligne de conduite '>.

J'ai remercié le Prince de Bismarck de ces sentiments bienveillants, dont je n'avais jamais douté. Sa réserve, dans le mois de Mars, m'avait paru fort

28 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. II

explicable, au point de vue strictement constitutionnel, mais, depuis les discussions au Reichstag, H m'avait semblé que •cha·cun avait pu remeler quelle serait sa conduite ultérieure. Il suffisait au reste de suivre avec attention la polémique des journaux catholiques, pour en induire que ce parti n'est rien moins que satisfait du Cabinet de Berlin. La Germania notamment fait appel, d'une manière très accentuée, à .la parol-e d-e l'Empereur et Roi.

Je faisais allusion au récit suivant, du journal précité. En recevant à Versailles une adresse présentée au nom des chevaliers de l'Ordre de Malte et de plusieurs membres de la noblesse de la Westphalie et de la Province Rhénane, l'Empereur aurait répondu au Due de Ratibor, Président de la députation: «Les sentiments de S. M. pour le Pape comme chef spirituel de ses sujets catholiques, étaient toujours les memes. Elle voyait dans l'occupation de Rome un acte de violence, de meme qu'une usurpation (anmassung), de la part de l'Italie, et S. M. aviserait après la guerre, et d'un commun accord avec les autres Princes, à des démarches eventuelles ». La presse officieuse s'est empressé de déclarer que le langage du Souverain n'avait pas été exactement rapporté, et qu'Il s'était borné à dire, en termes généraux, qu'Il serait disposé à prendre en son temps en considération les intérets qui se rattachent à la question. La Germania maintient sa version.

Le Prince de Bismarck connaissait cet incident. Seulement, au dire du Dur: de Ratibor, le récit publié était mensonger, mais H n'osait y opposer un démenti, de crainte de compromettre sa position dans sa province. «Jusqu'ici, ajoutait le Chancelier, nous sommes restés dans une position expectante vis-à-vis de la fraction catholique, mais, si par un faux calcul elle nous pousse à bout, nous accepterons la lutte, et nous lui démontrerons aue sa prétendue force ne repose que sur une illusion ».

En terminant l'entretien, j'ai cru devoir insister sur ce point, que vous n'aviez jamais cessé de vous conduire avec une grande modération à Rome, que vos dépéches et lettres particulières en faisaient foi, de meme que votre langage dans les deux Chambres de notre Parlement. Je me référais, entre autres, à votre dernier discours au Sénat.

(2) Cfr. n. 377.

406

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL' INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI

T. 1658. Firenze, 2 maggio 1871, ore 13,45.

J'ai dit au chargé d'affaires d'Autriche que le transfert de la capitale aurait certainement lieu au jour fixé par la loi. Les difficultés materielles pourront retarder la translation des administrations secondaires, mais les ministres seront établis à Rome dès le premier juillet. Dans la dépeche qui m'a été lue par le chargé d'affaires d'Autriche il était question d'une proposition du comte de Beust pour les établissements réligieux à Rome. Je vous écrirai prochainement à ce sujet.

407

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. RISERVATA 10900/1. Firenze, 2 maggio 1871.

Soddisfacendo al desiderio espresso da V. E. con la nota citata in margine (1), ho rammentato alle Autorità politiche di confine le istruzioni loro già date circa il rimpatrio dei Garibaldini, le quali consuonano perfettamente con quanto codesto Onorevole Ministero ebbe a rispondere al Governo francese, nei termini cioè di non impedire, come non lo impedirono fin qui, il ritorno de' garibaldini di origine italiani, e di rifiutare l'entrata sul territorio dello Stato a quelli che appartengono a nazionalità straniere.

408

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 579/214. Londra, 2 maggio 1871 (per. il 7).

Nell'accusarle ricevuta del di Lei Dispaccio particolare, relativo all'ultima vertenza col Bey di Tunisi, in data del 22 Marzo p. p (2) ho l'onore di significarle che, usando della facoltà in esso contenuta, l'ho comunicato confidenzialmente al Signor Conte Granville il 7 del p. passato Aprile nel mentre mi trovava presso il medesimo a Walmer Castle. Ho in quella circostanza approfittato delle altre considerazioni espresse in altra di Lei lettera particolare.

S. S., qualche tempo dopo il suo ritorno dalla campagna, mi restituì il predetto di Lei Dispaccio accompagnandolo colla sua Nota del 25 Aprile della quale mi pregio di qui compiegarle la traduzione.

Avendo avuto occasione di conversare dopo di ciò con Lord Granville, colsi l'occasione per dirgli che la mia attenzione era stata principalmente fermata su quella parte della predetta nota di S. S. nella quale insisteva sul fatto che nella ratifica dei Protocolli intervenuti fra l'Italia ed il Bey non si fosse fatta la dichiarazione che Ella aveva preso l'impegno di fare contemporaneamente alla detta ratifica. Feci notare a S. S. che questa sua osservazione era già stata prevenuta da V. E. in modo da allontanare ogni ragione di lagnanza poichè risultava che quella omissione aveva avuto luogo per un fatto fortuito indipendente da V. E. ed inoltre che V. E. appena conosciuto il fatto erasi affrettato di scrivere immediatamente a Sir A. Paget per constatare il di Lei impegno e la determinazione di mandarlo subito ad effetto con atto separato il che erasi eseguito tostamente.

Il Signor Conte non replicò a questa mia osservazione e mi disse solo che

ciò che lo aveva un po' penosamente impressionato erano le accuse fatte al

Console Britannico a Tunisi e che erano ripetute nel predetto di Lei Dispaccio

particolare del 22 Marzo, le quali accuse egli non credeva fondate.

Essendomi io riferito a quanto già avevagli detto precedentemente ed a ciò

che risultava a questo riguardo dagli stessi di Lei Dispacci ,la conversazione non

ebbe seguito.

Debbo solo aggiungere che sebbene l'osservazione di S. S. contenesse

l'espressione d'una lagnanza pure mi venne da essa fatta nel modo il più cortese

e tale da allontanare l'idea di una alterazione qualsivoglia alle relazioni intime

ed amichevoli dei due Governi.

.ALLEGATO.

GRANVILLE A CADORNA

(traduzione)

Foreign Office, 25 aprile 1871.

Ho l'onore di qui acclusa restituirLe la lettera del Signor Visconti Venosta, che

Ella ebbe la bontà di !asciarmi perchè la esaminassi, nella quale S. E. passa in rivista

le recenti negoziazioni tra ,l'Italia e Tunisi.

Siccome le differenze che esistevano fra i due paesi possono ora considerarsi come praticamente composte, non sarà necessario che io mi faccia ad esaminarle, però io non posso passar oltre in silenzio circa le rimarche del Signor Visconti Venosta sulla condotta del Signor Wood, durante l'ultima fase della questione, e sull'asserzione che per ispirito di rivalità Egli abbia favorito le disposizioni non amichevoli del Governo Tunisino verso la Colonia Italiana.

Al principiare della contestazione il Signor Wood agendo di concerto col suo Collega di Francia, ottenne certe concessioni dal Bey, e queste essendo ravvisate insufficienti dal Governo Italiano Egli comunicò a Sir Augustus Paget per sua informazione il desiderio del Governo Tunisino di inviare a Firenze il Generale Hussein per negoziarvi una soluzione. Quando gli accordi a stipularsi tra questo Inviato ed il Signor Visconti Venosta furono portati dal Bey a conoscenza del Signor Wood, questi credè suo dovere di far notare al Governo di Sua Maestà alcune obbiezioni che Egli trovò esistere contro i proposti accordi, ma in cosi fare Egli non fu spinto da inimichevoli sentimenti verso la Colonia Italiana in Tunisi, ma unicamente dalla considerazione in cui era obbligato di prendere gli interessi dei sudditi Inglesi.

Mentre cordialmente ricambio il desiderio espresso dal Signor Visconti Venosta che un buon accordo possa sempre esistere tra il Governo di Sua Maestà ed il Governo Italiano per rapporto agli affari di Tunisi, io non posso dissimularLe che sono rincrescente del corso seguito rispetto alle ratificazioni del Protocollo firmato col Generale Hussein.

Quando Sir Augustus Paget, agendo secondo le mie istruzioni, richiese il Signor Visconti Venosta di ritardare le ratificazioni finchè i Governi Inglese e Francese avessero avuto ampia opportunità di studiare la portata del protocollo, S. E. medesima suggerl che dovesse essere indicato nel protocollo che nulla di quanto -vi si contenesse dovrebbe pregiudicare gli interessi Inglesi o Francesi, o gli attributi della Commissione Internazionale, ed Egli dichiarò che aveva dato istruzioni al Rappresentante Italiano a Tunisi, perchè notificasse al Bey come Egli era disposto ad inserire una tale dichiarazione nel protocollo di scambio, e rilasciò a Sir Augustus Paget una copia della dichiarazione.

Fu però con qualche sorpresa che il Governo di Sua Maestà venne a sapere che le ratificazioni erano state scambiate senza che la dichiarazione fosse stata sottoscritta ed egli non può astenersi dal riguardare un tale procedimento come allontanantesi dagli impegni presi dal Signor Visconti Venosta verso Sir Augustus Paget.

Egli non si è con intendimento di sollevare una discussione sopra una questione la quale è ora assestata che io ho fatto allusione a questo affare, ma, come dalla lettera del Signor Visconti Venosta, questi apparisce dubitare del desiderio del Governo di Sua Maestà di agire cordialmente col Governo Italiano al riguardo degli affari di Tunisi, io ho creduto giusto di rimarcare che il Governo di Sua Maestà aveva qualche ragione di essere rincrescente del corso che il Governo Italiano tenne nello assestamento delle controversie che esistevano tra il medesimo e quello di Tunisi.

(l) -Si tratta del n. 81 del 26 aprile. (2) -Non pubblicato.
409

IL CONSOLE GENERALE A NIZZA, GALATERI DI GENOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 133. Nizza, 2 maggio 1871 (per. il 5).

Eccole, Signor Ministro, il risultato delle elezioni Municipali di Nizza fattesi, in piena tranquillità, il giorno 30 dello scorso Aprile. Gli elettori iscritti essendo 11.211, perchè l'elezione sia valida alla prima votazione deve avere riunito almeno il quarto degli iscritti cioè 2804 voti.

Tre soli fra i 32 nomi, perchè trentadue sono i Consiglieri municipali di Nizza, portati sulle liste dei varj partiti riportarono voti a sufficienza per essere eletti, e sono il Signor Gilly Giulio, banchiere, che s'ebbe il maggior numero di voti, cioè 3467, il Signor Mereu Luciano ex Maggiore Garibaldino ed il Signor Draghi, capo attuale del Municipio.

Tutti gli altri non raccolsero che una quantità di voti inferiore al quarto

degli iscritti, dunque per questi dovrà farsi un'altra votazione domenica pros

sima.

La lista del partito Italiano trionfò intieramente, di cui la maggioranza

dei candidati appartiene al partito democratico, e di essi alcuni al partito ultra.

Il partito francese, scisso in due, presentò al pubblico due liste di candi

dati di colore politico più o meno carico e fu totalmente sconfitto.

Resta a vedere se le due frazioni del partito francese non si riuniranno per

contrastare compatto alla seconda votazione la vittoria definitiva del partito

Italiano, che lotta coi monarchici riuniti ai repubblicani.

410

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. Berlino, 2 maggio 1871.

Il me semble que le langage qui m'a été tenu par le Prince de Bismarck répond suffisamment aux points sur lesquels vous désiriez etre renseigné. Vous voyez que j'avais raison d'affirmer, le 24 Mars (1), qu'aucun danger ne nous

menace du còté de l'Allemagne. Non pas que j'accepte comme paroles de l'Evangile les assurances du Chancelier Fédéral. En véritable homme d'Etat, il n'a, ni préjugés, ni sympathies, ni antipathies: il ne consulte que le bien de son Pays, et il n'hésiterait pas à se tourner contre nous, le jour où il y trouverait ses convenances. Mais ce qui inspire confiance, c'est l'intéret du Cabinet de Berlin à ne pas s'aliéner l'Italie. II s'est fait un ennemi juré de la France, et il doit éviter de toute manière qu'un Gouvernement quelconque républicain, orléaniste, légitimiste ou impérialiste, ne trouve chez nous un soutien à ses rancunes. N'était la nécessité d'user d'adresse pour se conduire entre les deux grands partis religieux en Allemagne, il n'hésiterait pas à sacrifier le Pape. Vous aurez pu vous en convaincre, en lisant de quelle manière peu respectueuse il s'·est exprimé à l'égard du St. Père. Comme me le disait M. de Thile, « nous devons ménager la chèvre et le chou. Comprenez-nous à demi mot, sans vouloir nous forcer dans nos derniers retrachements ». Si M. de Bismarck nous tendait un piège, il ne nous indiquerait pas lui-meme, quelle est à son avis la meilleure voie à suivre pour ne pas y tomber.

Vous aurez aussi remarqué le jugement qu'il porte sur les dispositions de la France, de l'Autriche et de la Bavière. Quant à l'Allemagne, nous ne devions pas confondre le souffie du zéphir avec l'orageux aquilon...

Je ne vois donc aucun danger sérieux dans le présent. Ils ne pourraient surgir que dans l'avenir, si nous ne savions pas tirer parti, par des allures conciliantes et modérées, d'un concours de circonstances aussi favorables.

C'est précisément parceque je ne vois aucun nuage menaçant à l'horizon, qu'il n'y a aucun péril en la demeure, que nous sommes parfaitement libres d'agir, sans qu'il vienne à l'idée de personne, de prétendre que nous céderions à une intimidation quelconque, si nous jugions à propos de faire de notre propre gré au St. Siège les concessions compatibles avec notre programme national.

Vous savez que je n'ai jamais poussé à la roue pour le transfert à Rome de la capitale; j'ai toujours pensé que mieux valait attendre le bénéfice du temps pour concerter une entente directe avec le Pape. Pourquoi l'aspiration à .Rome était elle le symbole si vivant de l'indépendance italienne? Parceque nos sentiments étaient à juste titre froissés par l'action violente et oppressive de l'intervention étrangère: parceque la France entendait piacer sa volonté seule entre l'Italie et Rome. Ce cauchemar a disparu. Nous avons maintenant en poche les clefs de notre maison. Les clefs de St. Pierre n'ajouteraient rien à notre Puissance. Personne ne saurait trouver anormal que nous ayons la sollicitude de vouloir que les derniers jours de Pie IX et les scrupules de sa conscience, liée par le serment d'investiture à la conservation de ses prérogatives, fussent ménagés. C'est une délicatesse de la part des contemporains, de respecter et de ne pas troubler la fin de cette existence, déjà agitée par tant d'épreuves. En pareille conjoncture, les conseils de la modération sont ceux de la véritable force. Je puis me tromper, mais quand on cite l'opinion publique qui entraine les Gouvernements dans telle ou teHe voie, ma pensée se reporte vers la politique du Prince de Bismarck, qui aurait du s'arreter dès le début de sa brillante carrière, s'il avait trop tenu compte du courant des esprits. En effet, en 1866 c'est presque à lui seul, qu'il a entrepris l'ceuvre qui devait aboutir à l'unification de l'Allemagne. S'il avait taté le pouls à la majorité de ses compatriotes, il n'aurait pas

déclaré la guerre à l' Autriche. E lui seui il a empeché, en 1867, une rupture avec la France, en se pretant pour le Luxembourg à une transaction, vivement crìtiquée par ceux qui ne se .rendaient pas compte de la justesse de ses vues. Aujourd'hui, chacun lui est reconnaissant d'avoir su, contre vent et marée, tenir le timon de l'Etat, tantot avec énergie, tantòt avec une extreme prudence. Et cependant, l'opinion publique est bien moins maniable en Allemagne, où chacun se pique davantage qu'en Italie d'avoir sa propre manière de voir en tout et pour tout. Le Chancelier Impérial estime, cela lui a trop bien réussi pour qu'il soutienne la thèse contraire, que la tache des Gouvernements est celle de tracer eux-memes leur programme, et de l'exécuter quand meme, Iorsqu'ils le croyent conforme aux intérets véritables de la nation. Or, dans notre cas spécial, il nous convient, maintenant surtout que le gros de la besogne est fait, de ne pas heurter trop de front les sentiments des catholiques lfervents, dtsposés par l'ardeur meme de leur croyance, à croire la religion en danger, si le Pape est dépouillé de la plupart de ses privilèges extérieurs. Comme le disait le Comte de Cavour, c'est peu à peu, par la persuasion, que nous devons régler cette question si délicate. Traversons cette crise avec patience et sang froid. En un mot, j'estime que le but de l'homme d'Etat doit etre, au point où nous en sommes, d'obtenir la conciliation ou la résignation presque amicale du Pape, de donner à cet effet à Sa Sainteté et à son entouvage le temps de se reconna~tre au milieu de la nouvelle situation politique de l'Europe, et de ne pas les pousser dans des partis extremes. L'homme d'Etat italien qui saurait ainsi arracher des mains des ennemi:s de l'ItaHe l'arme qu'iLs lfournissent aujourd'hui avec tant d'ardeur, et réunir à l'intérieur dans un seui fatsceau toutes les forces du Pays, acquérrait par là une réputation, qui pourrait marcher de pair avec celle du Comte de Cavour. Tel est mon avis, et je l'exprime avec la meme confiance que vous voulez bien m'accorder, en me parlant de votre coté à creur ouvert. Votre présence aux affaires est pour moi, comme pour tous ceux qui vous connaissent, un gage de sécurité pour la modération de notre conduite.

Le Prince de Bismarck a glissé légèrement sur le projet de réunir une espèce de concile diplomatique des Puissances. Aucune ouverture n'avait été faite à Berlin. C'est un esprit trop pratique, pour croire à la réalisation d'un tel projet, dont personne jusqu'ici n'avoue la paternité. Il a si peu de chance de succès, que je partage assez la manière de voir, qu'il nous conviendrait, si nous recevions une invitation, de l'accepter en princ.Lpe, sauf à demander, camme en 1867, qu'on en fixat le programme d'avance. Aujourd'hui comme alors, toute discussion préalable ferait sans doute reculer plusieurs Cabinets. L'antagonisme des principes excluerait une dose générale de complaisance et un consentement unanime. Nous aurions fait preuve de déférence à bon marché.

Quant aux ouvertures du Comte de Choiseul, il est permis de supposer que, en présence de votre fin de non-recevoir, il ne reviendra pas à la charge. Nous ne saurions, par simple condescendance vis-à-vis de l'étranger, aUer à l'encontre d'une loi votée par le Parlement. Seulement je me demande si, de notre propre et libre initiative et du consentemen1 des Chambres, nous ne pourrions pas en effet surseoir au transfert de la Capitale, lorsque les préparatifs nécessaires semblent etre en retard, selon le récit du moins des journaux, lorsque la saison de l'été doit paraitre si peu propice aux députés pour opérer cette transmigration.

Tout ce que nous pourrions gagner dans le présent, ne vaudrait pas ce que nous nous exposerions à perdre dans l'avenir.

A ce sujet, vous aurez remarqué ce qui m'a été dit par M. de Bismarck. Il ne savait si le représentant du Cabinet de Berlin pourrait nous suivre de sitòt à Rome. Je n'ai jugé, ni digne, ni à propos, d'insister. Il me semble que, si nous y tenons, le mieux serait de travailler sur l'esprit du Comte Brassier, qui à son tour chercherait, par ricochet, à influencer son Ministre des Affaires Etrangères.

Il me parait aussi assez indiqué, que nous communiquions aux Puissances la loi des garanties, votée par le Parlement et sanctionnée par le Roi. Mais, comme V. E. l'écrivait au Commandeur Cadorna, il conviendrait à l'avance d'explorer le terrain, pour savoir si les Gouvernements seraient disposés à y faire une réponse satisfaisante, ou du moins à se borner à en prendre acte, en nous laissant tacitement l'entière responsabilité de notre conduite. C'est là un point que je n'ai pas voulu toucher avec le Prince de Bismarck. Je n'en avais pas l'instruction, et d'ailleurs, comme il n'aime pas à etre interpellé par des diplomates étrangers, la voie à suivre serait celle de faire quelques allusions au Comte Brassier, qui ne manquerait .pas d'en réferer à Berlin et de solliciter une réponse, pour y conformer son langage. Qui sait meme s'il ne préférerait pas que nous imitassions son attitude d'abstention, et que dès lors nous ne fassions aucune communication officielle à laqueUe il serait embarassé de répondre. C'est là aussi un point, sur lequel nous pourrions pressentir le Comte Brassier.

Il est mieux de procéder par une pression indirecte sur l'esprit du Prince de Bismarck. Vu son tempérament nerveux, irritable au plus haut degré, il n'est pas aisé de saisir le moment opportun, pour le mettre en demeure de s'expliquer. En outre, il n'est pas facile de l'aborder. La plupart de mes collègues jettent les hauts cris de n'avoir jamais l'occasion de s'aboucher avec lui. Depuis bientòt deux mois qu'il est de retour à Berlin, il n'a reçu que les Envoyés d'Italie, de Russie, d'Amérique et d'Autriche. Il m'a accordé deux audiences, mais, pour ne pas faire des jaloux, M. de Thile m'a laissé entendre qu'il convenait de n'en souffier mot à personne. Il est vrai que quelques uns de mes collègues sont à l'index, pour s'etre permis de critiquer hautement la conduite du Cabinet de Berlin, ou des armées allemandes pendant la guerre. Aussi, l'on s'attend à plusieurs changements diplomatiques. Le Ministre des Pays-Bas ouvre la marche, l'Ambassadeur d'Angleterre le suivra bientòt. Comme l·e disait M. de Bismarck: « Il nous faut à Berlin des diplomates bienveillants pour la Prusse. La bienveillance n'exclut pas une attitude indépendante ».

Ma lettre particulière -sous la rubrique Affari in genere -a trait à l'incident du palais Caffarelli. Dans I'entretien que j'ai eu à ce sujet avec

M. de Thile, quelques jours avant d'etre reçu par le Prince de Bismarck, le Secrétaire d'Etat m'a aussi parlé, d'une manière tout à fait privée, du cimetière acatholique situé à Rome à la porte de St. Pau!. Le bruit courait que la Municipalité de cette ville visait à une expropriation. Si la chose se confirmait, elle produirait ici la plus facheuse impression. On ne saurait invoquer pour motif la salubrité publique, car ce terrain d'inhumation est situé bien en dehors des fortifications: il a été régulièrement acquis et la Légation de Prusse préside le comité préposé à .l'administration. «Il y va de notre intéret, ajoutait M. de Thile, de nous employer pour mettre en garde la Municipalité de Rome contre des mesures qui indisposeraient l'opinion publique en Allemagne, sans aucun profit réel pour notre cause ». Et en général il nous recommandait d'éviter ces piqures d'épingle, qui irritent quelquefois davantage que le coup des grands événements.

J'ai répondu que cette question de cimetière m'était inconnue, mais que je vous en écrirais, s'il le désirait. Quoique il ne m'y ait pas engagé, je crois bien faire d'appeler là dessus votre attention.

(l) Cfr. n. 295.

411

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI MINISTRI A LONDRA, CADORNA, E A VERSAILLES, NIGRA

D. 314. Firenze, 3 maggio 1871.

Mes communications précédentes et les documents dont vous avez eu connaissance, vous ont informé que le premier des deux protocoles •signés à Florence le 5 Mars dernier par les plénipotentiaires de l'Italie et de Tunis, avait rencontré une vive opposition de la part des Agents et Consuls Généraux d'Angleterre et de France qui, au nom des intérèts des créanciers étrangers de la Régence, avaient demandé au Bey de surseoir à la ratification des stipulations contractées avec son consentement préalable.

Cette opposition nous a péniblement surpris, car le Gouvernement du Roi ne s'était jamais proposé un but exclusif dans ses négociations avec Tunis. Etant lui-mème intéressé, à l'égal des autres Puissances, à ne porter aucun préjudice aux intérets des nombreux créanciers italiens de la Tunisie, il avait eu soin de ne créer aucune entrave à l'exercice des droits concédés par le Bey à ces derniers, et de demander seulement à S. A. quelques restrictions à la liberté absolue qu'Elle s'était réservée sur certains points dans ses arrangements avec la Commission financière.

Convaincus de n'avoir pas dépassé ces limites, nous avons accepté avec empressement la proposition des représentants anglais et français et nous avons signé avec eux un protocole dans le but de maintenir intactes les attributions de la Commission financière, et de préserver de toute atteinte les droits et les intérets des créanciers représentés par cette commission. Bien qu'un protocole semblable eiìt déjà été signé à Tunis entre l'Agent et Consul général d'Italie et

S. A. S. le Bey, bien que vos déclarations au gouvernement auprès duquel vous ètes accrédité, m'auraient donné le droit de surseoir à la signature d'un nouvel acte jusqu'au moment où la question soulevée à Tunis, aurait pu etre examinée par Ies Cabinets intéressés, je n'ai pas jugé à propos de m'opposer au désir manifesté par les représentants de l'Angleterre et de la France et j'ai préféré leur donner une preuve, peut-ètre superflue, mais en tout •cas éelatante, de la sincérité de nos intentions et de la franchise, que nous avons mise dans cette affaire.

J'ai donc signé avec eux le protocole que vous connaissez.

La nouvelle preuve que nous venons de donner de notre ferme volonté de ne point séparer nos intérets à Tunis de ceux de la Grande Bretagne et de la France, suffira-t-elle pour nous assurer, de la part de ces deux gouvernements, des dispositions également conciliantes? C'est non seulement à l'esprit de conciliation, mais aussi à la justice et à l'équité des deux Cabinets che nous devons faire appel maintenant qu'il s'agit d'examiner le fond de la question soulevée à propos des obligations contractées dernièrement par le Bey enver.s l'Italie.

Cette question avait été étudiée chez nous bien avant que notre dernier différend avec Tunis nous eut fourni l'occasion de la résoudre.

Dès le mois de Novembre 1870, le Consul Général de S. M. dans la Tunisie avait informé le Gouvernement que les droits de douane existants ne pouvaient etre réduits sans le consentement de la Commission financière; mais que le Bey pouvait s'engager par une déolaration additionnelle au traité de commerce en vigueur, à ne point élever les tarifs et à comprendre dans ces tarifs des articles jusqu'ici passés sous silence, tels par exemple que le tabac. M. Pinna a été

immédiatement autorisé a faire des ouvertures dans ce sens au gouvernement Tunisien, car, sans une pareille déclaration préalable, les clauses du traité de commerce relativement à la formation d'un tarif conventionnel pour l'esportation, devenaient tout-à-fait illusoires. Ces négociations n'avaient ·encore abouti à aucun résultat, lorsque les difficultés survenues dans nos rapports ·avec la Régence nous forcèrent à exiger d'elle l'application immédiate de toutes les clauses du traité de 1868 et la solution de toutes les affaires pendantes.

Nous avons donc demandé au Bey, entr'autres choses, de signer la déclaration que nous avions jusqu'alors vainement sollicitée de lui; mais en agissant de la sorte, nous ne demandions que l'application d'une des clauses les plus importantes de notre traité de 1868, et c'est ainsi en effet que notre demande a été interprétée à Tunis. Le négociateur tunisien, après avoir pris les ordres du Bey, avait admis sans difficulté notre demande, en observant qu'elle n'était que l'explication logique et naturelle d'une obliga:tion préexistante de son gouvernement.

Si je tiens à vous faire connaitre en détail les négociations dont le protocole du 5 mars a été le résultat, c'est pour vous mettre à meme de faire mieux apprécier au Gouvernement anglais (français) le soin que nous avons apporté à respecter les droits d'autrui et à demander au Bey uniquement des engagements qu'il était entièrement libre de prendre envers nous. Nous pouvions cependant nous méprendre involontairement sur l'étendue des droits acquis de la Commission financière comme sur la liberté que le Bey s'était réservée relativement au tarif des douanes, à l'assiette et à l'exploitation du revenu des tabacs. Nous avons donc pris à tàche d'examiner toutes ces questions en suivant pas à pas les négociations qui ont précédé, accompagné et suivi la formation de la Commission financière.

Vous trouverez ci-joint un mémoire (l) dans lequel sont résumés tous les arguments par lesquels il est facile de démontrer que les engagements pris par

le Bey de Tunis envers l'Italie sont parfaitement exécutables et ne sont polnt en opposition avec les Droits concédés précédemment par S. A. aux créancders étrangers de la Régence ou à la Commission qui les représente. Bien qu'il me pariìt très difficile de ne pas se rendre à l'évidence de ces arguments, j'ai voulu, pour plus de précautions, interroger, par l'entremise de M. Pinna, quelques uns des notables de la colonie italienne à Tunis, particulièrement intéressés dans les affaires de la dette tunisienne. Notre Agent et Consul général s'est donc adressé aux membres italiens du Comité de controle et spécialement à M. Fedriani, président du Conseil d'administration délégué par la commission financière. Les .personnes consultées partagent complètement no'tre avis quant à !a faculté qu'avait le Bey de s'engager à ne point élever l:es droits d'exportation au dessus du taux actuel. Elles pensent que .si la culture et l'exportation du tabac étaient soumises à des I"èglements spéciaux, elles ne por:teraient aucun préjudice aux créanciers du Bey qui trouveraient au contraire une nouvelle source de revenu dans les droits dont le tabac serait frappé à la sortie.

Je vous prie, M. le Ministre, de soumettre à la haute appréciation du Gouvernement auprès duquel vous ètes accrédité, le mémoire ci-joint, a·insi que une copie de cette dépèche.

Vous devez insister pour que la question traitée dans ces documents soit examinée avec la ,pl:us grande attention. Si, dans l'étude que nous en avons faite, nous nous sommes mépris sur quelques points essentiels, nous serons toujours prets à prendre en considération les observations que l'on nous fera parvenir; nous porterons dans l'examen des objections qui pourront nous ètre faites, un esprit constamment impartial et conciliant. Mais nous comptons en meme temps sur une parfaite .réciprocité de la part des autres •cabinets intéressés. Nous avons trop de confiance dans l'esprit éclairé et dans les intentions amicales de l'homme éminent qui dirige les affaires étrangères de la France (Grande Eretagne) pour supposer que, après les explications que vous lui aurez données, il hésite encore a envoyer à Tunis des instructions tendant à faire cesser l'opposìtion faite par l'agent français (anglais) à l'exécution des •engagements librement conWactés par le Bey envers l'ltalie.

Le Cabinet français (anglais) adhèrera d'autant plus facilement à cette demande que le danger de nuil"e aux intérèts d!es ·créanciers étrangers de la Régence une fois écarté, il doit etre tout naturellement amené à considérer que les avantages assurés au commerce italien, s'étendent également aux négociants anglais (français) établis à Tunis. Quant à nous, nous sommes d'avis que si les droits des créanciers de l'Etat tunisien méritent toute la protection des Gouvernements, la sauvegarde de ces droits ne peut jamais aller jusqu'au sacrifice des autres intérèts légitimes des commerçants faisant des affaires avec la Tunisie.

Nous avons l'espoir que, si cette manière de voir est partagée par tous les Gouvernements intéressés, ceux ci, après un miìr examen des questions qui se ratta·chent à l'exécution des protocoles du 5 Mars, trouveront, dans les clauses de ces actes, une nouvelle garantie pour les intérets communs du commerce étranger à Tunis.

(l) Non si pubblica.

412

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI

D. 18. Firenze, 3 maggio 1871.

Le chargé d'Affaires d'Autriche-Hongrie est venu il y a quelques jours me donner lecture confidentielle d'une dépeche de S. E. le Comte de Beust sur l'attitude que le Chancelier de l'Empire a cru devoir prendre dernièrement relativement à Rome. Bien que j'aie déjà chargé M. Zaluscki de remercier directement M. le Comte de Beust de cette communication, je dois néanmoins vous charger, Monsieur, de saisir la première occasion pour lui exprimer de nouveau mes remerciements.

La dépeche du Comte de Beust abonde en effet en expressions courtoises et amicales vis-à-vis du Gouvernement du Roi. C'est après avoir insisté sur le désir sincère du Gouvernement Impérial de maintenir avec nous les rapports intimes qui existent actuellement, que S. E. le Chancelier, faisant allusion à des bruits qui ont couru dernièrement, indique quel a été le but des dernières communications que le Chancelier a cru devoir adresser à certains Cabinets relativement à la question romaine. Je tacherai de résumer sommairement autant que je pourrai le faire sans avoir la dépeche sous les yeux, le contenu de ce document.

On s'est préoccupé, dit S. E. le Comte de Beust, du bruit d'une Conférence et on l'a attribuée à notre initiative. Or nous n'avons pas fait une proposition formelle, nous nous sommes bornés à une suggestion. Il ne s'agirait pas dans notre pensée, de réunir une Conférence chargée de prendre des décisions sur la question romaine: ce que nous croirions utile ce serai t que l es représentants à Rome des puissances ayant à s'occuper des intérets eathoJ.iques, puissent étudier en commun Ja question des pieux étab1issements et cher,cher en 'connaiJSsance de cause quels sont ceux d'entr'eux qui méritent une protection spéciale soit à titre de fondations nationales étrangères, soit comme institutions appartenant au catholicisme universel. Il y aurait à examiner quelle situation leur est faite par la législation italienne et à considérer si des garanties particulières pourraient etre demandées au Gouvernement Italien.

Je constate d'abord avec plaisir qu'il ne s'agirait pas, dans la pensée de

S. E. le Comte de Beust, de réunir une Conférence pour le fond meme de ce qu'on a appelé jusqu'ici la question romaine. Le Chancelier de l'Empire AustroHongrois est trop clairvoyant, il a trop d'expérience des affaires pour ne pas savoir qu'une telle proposition, si jamais elle était faite aurait bien peu de chances d'aboutir à un résultat pratique. La seule idée d'une telle Conférence susciterait aux différents Gouvernements les plus graves embarras; elle surexciterait d'un còté les passions du parti ultra-cathoHque, de l'autre celles du parti libéral; elle tfroisserait les plus légitimes suscep'tibilités de l'Italie sans parvenir à satisfaire des exigeances surannées qui ne visent pas à moins qu'à un bouleversement complet de l'ordre actuel. L'impossibilité d'établir d'avance un programme, celle de le faire accepter ou de l'imposer sans s'exposer aux plus graves complications sont trop évidentes pour que je m'arrete à les démontrer.

Quant à la réunion diplomatique que S. E. le Comte de Beust n'aurait pas proposé formellement, mais qu'il se serait borné à suggérer, pour la question

des étabUssements pieux existants à Rome et ayant certains rapports juridiques avec des Puissances étrangères, je ne suis pas bien convaincu, je l'avoue, de l'opportunité de ce moyen. Nous ne contestions pas ,qu'il y a à Rome des institutions ayant un caractère religieux spécial, et qui ont à ce titre droit à des égards exceptionm~ls. Le Gouvernement s'est sérieusement préoccupé du sort de ces établissements, et il croit avoir donné la preuve la plus évidente de ses intentions à leur égard, en instituant comme il a fait récemment une commission composée de jurisconsultes, de conseillers d'état et d'autres hommes considérables, pour étudier les questions qui se rattachent à ces établissements et soumettre le résultat de ces études au Conseil des Ministres. iii s'agit en effet de voir si et en quelle mesure les lois actuellement en vigueur dans le Royaume peuvent s'appliquer à ces établissements. Cette commission aurait donc à remplir préc1sément la tàche que S. E. J.e Comte de Beust aurait eu 1',idée de confier à la réunion diplomatique don:t il parle. Sans contester l'autorité de cette réunion je pense ·que tout au moins pour ce 'qui regarde les connaissances de droit positif italien, la Commission italienne peut sous le rapport de la compétence soutenir sans désavantage la comparaison. En effet les diplomates des différentes puissances auprès du Pape ne sont nullement tenus à connaitre les lois italiennes: ces lois n'ont pas meme, à une seule exception près, été promulguées à Rome jusqu'à présent: leur promulgation et leur applicabili:té aux institutions dont il s'agit dépendront précisément du résultat des études consciencieuses de la Commission italienne. La réunion diplomatique dont il s'agit serait donc sans objet tout au moins tant que la Commission italienne n'aura pas achevé ses travaux. Les questions relatives à ces établissements ont en effet un caractère éminemment juridique. Nous ne pensons pas etre trop exigeants en demandant qu'on nous laisse le temps de examiner les titres et les documents qui constatent le caractère particulier de ces institutions, et les rapports qu'ils ont avec les Gouvernements étrangers. Aussitòt que la Commission italienne aura soumis au Gouvernement du Roi le résultat de ses travaux, nous nous empresserons de tenir compte des observations que les Puissances étrangères seraient dans le cas de nous faire parvenir. Nous ne pouvons certes pas empécher

les diplomates a·ccrédités auprès du St. Siège d'envoyer à leurs Gouvernements respe.ctifs les informations qu'ils jugeront opportunes; mais il ne parait pas nécessaire qu'il se réunissent en Conférence, ce moyen étant hors de proportion avec le but qu'on se propose d'obtenir.

Je n'ai aucun doute, Monsieur, que M. de Beust n'accueille ces observations avec le méme esprit amicai qui me les inspire, et qui a inspiré, je m'empresse de le répéter, la communication que M. Zaluscki m'a fait.

413

IL MINISTRO A BRUXELLES, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 337. Bruxelles, 3 maggio 1871 (per. il 6).

Depuis quelques jours, les journaux cléricaux faisaient des allusions plus ou moins transparentes sur la mission qu'avait la France, aussitòt qu'elle se

serait reconstituée, de rétablir, en sa qualité de fille ainée de l'Eglise, le pouvoir temporel du St. Père à Rome. Dans son numéro d'aujourd'hui le Jom·naL de Bruxelles traite ouvertement de cette question, et ses assertions ont un tel caractère d'assurance et de netteté que je crois devoir mettre ici sous les yeux de V. E. l'article qui s'y rapporte (1).

La meme feuille ajoute que, d'après une correspondance de L'Univers, le Comte de Mérode aurait remis dernièrement entre les mains de MM. Thiers et Favre une pétition de Catholiques Belges, revetue de plus de 100 mille signatures, et demandant l'intervention de la France pour le maintien du pouvoir temporel du Pape. Je me réserve de faire bientòt connaitre à V. E. ce qu'il y a de vrai dans cette assertion.

414

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 70. Vienna, 4 maggio 1871 (per. il 7).

Martedì scorso fu diretto al Ministero Comune (Reichsministerium) un

indirizzo munito di cento e più mila firme allo scopo di «decidere il Governo

ad escire dalla inerzia e dalla indifferenza relativamente alle estorsioni di cui

fu vittima il Pontefice, parlando all'Italia un linguaggio energico e commina

torio:~>. Questo indirizzo era accompagnato da una lettera del Signor Havant,

Consigliere della Luogotenenza dell'Austria-Inferiore, quale Presidente del

Casino Cattolico della stessa Provincia, che qui unita trasmetto all'E. V. (1).

Tale incidente corroborato da altre petizioni analoghe di Vescovi al So

vrano m'ha dato occasione di discorrerne col Conte Beust e chiedergli qual caso

l'Imperatore ed egli facessero di questi indirizzi.

Mi è grato assicurare l'E. V. che oggi stesso il Cancelliere mi ha informato d'avere ricevuto ordine da S. M. di rispondere invariabilmente a tutti che la linea di condotta del Governo trovavasi con esattezza tracciata nelle istruzioni date al Conte Kalnoky delle quali Ella fu già resa consapevole.

415

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, .ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. RISERVATO 105. Firenze, 5 maggio 1871.

Le notizie pervenute al R. Ministero da Algeri dipingono la situazione di quella colonia sotto i più tetri colori. L'insurrezione araba ha invaso non solo le province interne ma anche i distretti più vicini ad Algeri, e varie città del litorale sono attualmente minacciate dell'estrema rovina. In mezzo all'univer

sale sgomento ed al terrore che inspira l'insurrezione, contro la quale non bastano i mezzi di difesa che il Governo di Versaglia ha messo a disposizione del governatore generale dell'Algeria, non è forse possibile al R. console generale, cavalier S. Agabio, di avere informazioni sull'estensione vera della rivolta, la quale, secondo che egli scrive ora abbraccerebbe tutto il paese dalla frontiera del Marocco sino a quella di Tunisi.

Al ricevere di così gravi notizie il Governo del Re ha stimato non dover frapporre alcun indugio nello spedire ad Algeri una fregata di prim'ordine, disponendo ad un tempo perchè un'altra nave corazzata facesse un'apparizione nelle acque di Tunisi. La sicurezza che Ella mi ha dato circa il nessun pericolo presente che l'ordine possa venir turbato anche in codesta reggenza, ha suggerito poscia al R. Governo l'idea di far partire anche questo secondo bastimento per Algeri. Il breve soggiorno che avrà fatto nella rada della Goletta avrà però bastato per dare testimonianza dell'impegno che il Governo di S. M. metterebbe a tutelare la sua colonia nella Tunisia, se questa disgraziatamente dovesse ·trovarsi minacciata da serio pericolo.

Questo e non altro è il motivo dell'invio della fregata corazzata che è improvvisamente comparsa in vista della Goletta; ed io desidero ch'Ella di tale motivo sia informata acciocchè possa ove se ne presenti l'occasione farlo conoscere a chi può interessare di saperlo.

(l) Non si pubblica.

416

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RISERVATO 581/215. Londra, 5 maggio 1871 (per. il 9).

A riscontro del pregiato di Lei dispaccio Politica n. 85/Riservato (l) col quale l'E. V. m'incarica di far sorvegliare alcuni membri del Comitato internazionale repubblicano esistente in questa città, deggio riferirmi a quanto già questa Legazione ebbe in altre simili occasioni a significar·e a codesto R. Ministero.

Egli è impossibile di ottenere qui il concorso d·ella Polizia in affari di tale natura; io non avrei perciò altro mezzo onde procurare di conseguire le dette notizie fuori quello di prendere un agente speciale e di incaricarlo di fare le opportune indagini retribuendolo ad un. tanto al giorno. Ciò può portare una spesa ascendente anche a 1000 o 1500 franchi massime che l'agente deve poi fare egli stesso altre spese per l'esecuzione del suo compito. È perciò necessario che, come nel presente caso, così pure in altri simili, il Ministero dell'Interno

voglia farmi sapere, contemporaneamente all'incarico che mi da, se mi autorizza a fare le necessarie spese. Starò perciò attendendo le ulteriori di Lei istruzioni e colgo... (1).

(l) Non pubblicato, ma cfr. n. 386.

417

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 107. Costantinopoli, 5 maggio 1871 (per. il 12).

Sabato scorso il Generale Ignatieff Ambasciatore di Russia conducevasi in gran treno ed accompagnato dal Gran Cerimoniere Kiamil Bey, al Palazzo di Dolma Bagtché per presentare a S. M. il Sultano le insegne di S. Andrea in brillanti conferitegli da S. M. l'Imperatore Alessandro.

Il Sultano si mostrò riconoscentissimo di questo atto di cortesia usatogli dall'Imperatore di Russia e volle testimoniarne il suo particolare gradimento al Generale Ignatieff conferendogli di persona e durante la udienza il Gran Cordone dell'Osmaniè.

Il Governo Imperiale di Russia ha inoltre spedito il Gran Cordone di S. Alessandro Newski in diamanti al Gran Vizir e molti altri cordoni di Ordini Minori agli altri Ministri, e a parecchi altri dignitarii di Governo e di Corte.

Varii sono i commenti che si fanno in proposito di tali straordinarie larg1zioni onorifiche e non mancano coloro che vedono in esse la prova manifesta di quel tale Trattato di Alleanza offensivo e difensivo che vuolsi già conchiuso tra i due paesi.

Non ho bisogno di assicurare V. E. che tali voci non hanno nè possono avere alcun fondamento. Fin da quando la Russia affacciò con la Circolare de' 19 Ottobre ultimo la pretesa di non considerarsi più astretta agli obblighi derivanti dall'art. XI del Trattato di Parigi, ebbi a segnalare all'E. V. l'attitudine circospetta e riservata assunta dalla Sublime Porta su tale quistione, attitudine impostagli dallo spostamento di forze operatosi nell'equilibrio delle Potenze Garanti mercè i prodigiosi risultamenti della guerra franco-germanica. Fin d'allora il Governo Turco comprese essergli mestieri mostrarsi animato de' migliori sentimenti verso il suo potente vicino, e la sua condotta nella Conferenza di Londra pose il suggello a questi suoi benevoli intendimenti.

Ne è a meraviglial'e che il Governo Imperia,le di Russia, soddisfatto per ora di aver ottenuto il suo intento, si mostri anche dal canto suo disposto a vivere con la Porta nel massimo buon accordo.

Ciò non toglie però che questo reciproco scambio di cortesie tra i due Governi limitrofi susciti gelosie ed insospettisca talune altre Potenze, l'Inghilterra cioè e l'Austria più che ogni altra.

Io credo però che esse invece di concepire timori vani e del tutto insussistenti, dovrebbero rallegrarsi di uno stato di cose che, infin che dura, lungi dal compromettere, assicura la pace in Oriente.

(l) Annotazione marginale: c Comunicato all'Interno •.

418

IL CONSOLE A MANILA, GOMEZ DEL VALLE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 14. Manila, 6 maggio 1871.

L'atto solenne della proclamazione di Amedeo lo Re di Spagna e delle sue colonie, mi porge occasione Signor Ministro, di partecipare all'E. V. il vivo entusiasmo e l'immenso giubilo che nell'acclamare Sovrano nostro il Duca d'Aosta, presero indistintamente tutti gli abitanti di quest'isola, salutando con ardenti vittori [sic] e ripetute mostre d'affetto e di fedeltà, il R. Princtpe che per volontà della nazione Spagnuola, siede oggi sul trono di San Ferdinando.

All'ombra del glorioso stendardo di Castiglia, inalberato durante i primi tre giorni di questo mese sui muri di Manilla, e al grido di « Castiglia e Filippine per il Re Amedeo 1° », la Capitale dell'arcipelago accolse festosa il suo nuovo Monarca.

L'accertata scelta della degna autorità che in nome del Re Amedeo governa la colonia, e lo zelo da essa spiegato per solennizzare la regia proclamazione, sono parimenti oggetti della generale approvazione.

Del fausto avvenimento che ci occupa ho creduto bene rendere conto al Signor Ambasciatore d'Italia in Madrid, nella stessa data che all'E. V. includendo in ciascuna delle comunicazioni un esemplare della Gazzetta ufficiale di Manilla, pei ,fini che si credano opportuni.

Approfitto questo lieto successo per pregare l'E. V. di degnarsi far presenti a S. M. il Re d'Italia i rispettosissimi omaggi della mia adesione e fedeltà per la sua Reale persona e dinastia, e di felicitarla inoltre pel ben meritato innalzamento al trono di Spagna del suo figlio Amedeo, nostro amato Sovrano.

419

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. RISERVATA 1739. Firenze, i maggio 1871.

Nel ringraziare l'E. V. della comunicazione fattagli colla Nota a margine indicata (1), civca l'indirizzo della Società democratica di Firenze a.Ua Comune di Parigi, il sottoscritto si pregia significarLe che questo Ministero ebbe già ad essere informato dello invio dello stesso indirizzo, allorchè ebbe cognizione del verbale della seduta nella quale la detta Società deliberò in proposito.

-Documenti diplomatici -Serie II -Vol. Il

(l) Si tratta della nota n. 91 del 5 maggio, non pubblicata.

420

IL MINISTRO A L'AJA, BERTINATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 31. L' Aja, 8 maggio 1871 (per il 13).

Siccome ebbi l'onore di farlo pressentire col mio rapporto n. 28 (l) la questione romana venne rimessa in campo nell'occasione appunto da me indicata, cioè nella discussione del bilancio del Dicastero degli Affari esteri. Essa ebbe luogo negli ultimi giorni della scorsa settimana e riuscì animatissima particolarmente dal canto della parte cattolica, che vuoi far dipendere la sua salute eterna da uno strascico di territorio in mano al Papa, come tosto si ventilò la questione: se fosse tuttavia necessario di mantener presso il Pontefice un Ministro neerlandese dacchè il suo potere temporale più non esisteva.

Riservandomi di far pervenire al Ministero i discorsi pronunziati in questa circostanza che potranno più specialmente meritar l'attenzione dell'E. V. appena sarà finita la loro traduzione integrale, mi limito ad informarla intanto, che uno fra i più distinti, e moderati oratori, il Signor Cremey, deputato cattolico, e già Ministro degli Affari esteri, e dei culti, come l'E. V. non ignora, togliendo argomento dal nostro Libro Verde, da me messo anteriormente a sua disposizione, trovò modo di difendere dalle critiche, e dalle grossolane invettive dei nostri accaniti avversarii sì l'attitudine dell'antecedente amministrazione batava rispetto a noi, sì il Governo italiano stesso onde fece spiccar lo spirito di conciliazione, e di moderanza quali vennero d'altronde, e prima d'ora, avvertiti da altri governi.

Al Signor Cremey tenne dietro il Signor Jonckbloet, scrittore e pubblicista di non comune merito (al quale avevo altresì comunicata la 1'elazione del Senatore Mamiani sul progetto di Legge per le guarentigie delle prerogative del Sommo Pontefice) che con eloquente ed appropriato discorso sviluppò gli argomenti del suo Collega aventi l'uno, e l'altro per iscopo di chiamar a segno il partito cattolico oltrespinto, ed in special modo il Signor Bergmann, che in questa discussione si mostrò altrettanto povero di argomentazione seria, ed attagliata alla circostanza, quanto fu ricco di espressioni violente, e tutt'altro che ammisurate a nostro riguardo.

A queste intemperanze di linguaggio il Ministro degli Affari esteri, pigliando la parola con quella calma e dignità che lo distinguono, avvertì non intender egli opporre il menomo ostacolo alle libertà delle opinioni quali esse si siano nell'Assemblea legislativa, ma non poter egli per altra parte, e come Ministro sopra le relazioni esterne, lasciar passare senza abbiezione parole scortesi e sconvenienti verso un governo amico col quale si mantenevano le migliori relaz.ioni; ed il Bergmann, e con esso i suoi acoloiti credettero cosa prudente il non controrispondere.

Queste avvertenze del Barone De Geriche, onde gliene ·feci complimento

nel giorno stesso in cui le fece, mentre provan, da un lato, che egli conosce i

doveri dell'importante sua carica, e sa adempierli all'occorrenza, mostran, dal

l'altro, la sua fermezza in faccia ad un partito procacciante col quale ha pure comuni le religiose credenze senza però dividerne le esagerazioni, e le cieche collere, ma che egli deve ad ogni modo, cercar di non inimicarselo come Ministro, sovratU:tto in giornata, onde non incontrarlo quale avversario reciso, od almeno impacciante, nelle elezioni politiche dell'imminente mese di giugno.

Checchè ne sia, il Gericke ottenne un voto unanime pel suo bilancio, epperciò il posto di Roma venne mantenuto.

P. S. -Invio provvisoriamente in giornata la traduzione del sommario delle due sedute della 2a Camera degli Stati Generali quale è contenuto nel Vaduland avvertendo però, che questo giornale, il quale vorrebbe soppressa definitivamente la missione di Roma per parte del Governo Batavo, porta conseguentemente un giudizio conforme alle sue idee in proposito nell'analisi parziale, ed incompleta che esso fa dei discorsi pronunziati dai varii oratori in questa discussione.

(l) Non pubblicato.

421

IL PRESIDENTE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI, BIANCHERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. 3550. Firenze, 8 maggio 1871.

Il Sottoscritto trasmette a S. E. il Ministro degli Affari Esteri l'indirizzo (l) che la Camera dei Deputati del Regno d'Italia ha votato nella seduta del 21 p. p. Aprile in risposta a quello rivoltole dalla Camera dei Deputati della Romania per congratularsi del voto relativo al trasferimento della Capitale a Roma, con preghiera di procurarne a suo tempo la trasmissione all'Onorevole Presidente della Camera Rumena.

422

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI

D. 19. Firenze, 9 maggio 1871.

Gl'intrighi e le mene che dai capi ed agenti dei partiti sovversivi si ordi

scono in Italia ed all'estero con minaccia agli ordini sociali, hanno ripetutamente

occupato l'attenzione del Governo del Re.

Fra le persone sulle quali si è più specialmente rivolta la vigilanza delle

autorità del Regno è l'ex deputato Siccoli. Infatti da una nota testè indirizzata a

questo Ministero dal Dicastero dell'Interno, risulta che quest'individuo il quale

fece ultimament,e un breve soggiorno a Venezia, sarebbe partito il 5 corrente in

compagnia di certo De Mattia ex commissario distrettuale alla volta di Vienna.

Degl'intendimenti e degli scopi della missione Siccoli e compagno a Vienna

così si esprime il Ministero dell'Interno.

Durante il suo soggiorno a Venezia il Siccoli avrebbe avuto contatti con

affiliati al partito sovv€rsivo con uno dei quali si 1sarebb€ così espresso: «non

ci si può fidare, €, perciò, giriamo noi onde ,intendercela coi vostri vecchi ,com

militoni e preparare il terreno. Ora vado a V,ienna, per om non posso dir ,altro).

È desiderio del R. Ministero ch€ Ella eserdti una spec,iale sorveglianza sui

movimenti del Siccoli, servendosi a ,oiò dei mezzi che Le parranno più conve

nienti all'uopo, e non appena egli sarà giunto a Vienna e Le verrà fatto racco

gliere alcuna notizia sul conto suo, Ella vorrà tosto darmene avviso.

(l) Non pubblicato.

423

IL MINISTRO A BRUXELLES, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 338. Bruxelles, 9 maggio 1871 (per. il 12).

Depuis quelques jours, le mouvement catholique pour le rétablissement du pouvoir temporel du Pape, semble avoir repris un caractère marqué de recrudescence. L'on croit savoir ici que la France et mème l'Autriche auraient conseillé en forme tout amicale au Gouvernement du Roi de surseoir au transfert de la capitale, et cette circonstance, en révéillant les espérances des catholiques, est venue donner une nouvelle impulsion aux démonstrations et manifestations en faveur du St. Père. Quant à la pétition Beige revètue de cent mille signatures présentée par M. de Mérode au Parlement de Versailles et dont faisait mention ma dernière dépèche, je dois ajouter aujourd'hui que le Ministre des Affaires Etrangères m'a dit qu'il ne savait pas le premier mot de cette démarche; que du reste M. de Mérode s'était depuis longtemps fait naturaliser Français; et qu'en supposant que la pétition eut été réellement présentée, elle ne pouvait etre que la reproduction de celle adressée au Roi et qui était restée sans réponse. En un mot M. d'Anethan décline toute espèce de responsabilité pour un fait qu'il ignore, et auquel dans tous !es cas, m'a-t-il di't, il ne peut attribuer ,qu'un caractère purement religieux.

La discussion sur la réforme électorale continue à la chambre des représentants avec un acharnement et des incidents personnels qui sont venus témoigner une fois de plus qu'entre les deux partis il n'y a ni accommodement ni conciliation possibles. Comme terme de transaction avec le parti libéral, l'on avait espéré un moment que 'le fait de savoir lire 1et écdre donnerait le droit d'ètre électeur. Mais, soit que la constatation de cette ,capadté fiìt trop difficile à établir, soit que le Ministère ne tint pas à cette extension de son projet, il parait certain aujourd'hui que la réforme consistera exclusivement dans ,l'abaissement pur et simple du cens.

La discussion générale étant close et les trois premiers articles, Ies plus importants du projet, ayant été adoptés avec des amendements insignifiants, Ies débats n'ont plus de raisons de se prolonger encore longtemps. L'on croit que l'on votera Samedi prochain sur l'ensemble du projet de loi, et je ne manquerai pas, en ayant l'honneur d'en adresser le texte à V. E., de l'accompagner des cons~dérations politiques qu':H ·comporte.

L'on n'a encore rien appris ici sur le résultat de l'ent'revue de M. Favre avec le Prince Bismarck. Tout ce que l'on sait, c'est que la difficulté capitale portait sur le payement de l'indemnité de cinq milliards que la Prusse exige tout entière sans la moindre diminution, tandis que la France croyait pouvoir en défalquer, en le capitalisant, le montant des impòts dus par l'Alsace et la Lorraine.

424

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RISERVATO 233. Pietroburgo, 9 maggio 1871 (per. il 16).

Sono in grado di confermare all'E. V. il mio telegramma di ieri (1), informandola puntualmente che il Marchese di Gabriac Incaricato d'Affari del Governo di Versailles presso questa Corte, erasi già da alquanti giorni indirizzato al Principe Cancelliere per richiedere i buoni uffici del Governo Imperiale di Pietroburgo verso quel di Berlino, nell'intento di ottenere da questo facilitazioni maggiori per condurre a termine con vigore le operazioni di Guerra contro la Comune e contro i Federali di Parigi. Queste facilitazioni secondo un dispaccio del Signor Giulio Favre indirizzato all'Incaricato d'Affari suddetto nei giorni che precedettero la partenza di quel Ministro per Francoforte, avrebbero dovuto consistere nella restituzione di tutto il rimanente dei prigionieri di Guerra ancor dimoranti in Germania, e nella facoltà da concedersi alle truppe di Versailles di occupare, od almeno di avere libero il varco per il forte di S. Dionigi, presidiato dai Tedeschi, a poter cinger del tutto militarmente la città di Parigi, e venir a capo della sua reddizione senza tentar la prova suprema di un assalto.

Il Principe Gortchakoff mostrossi dapprima esi'tante a raccomandare tali richieste alla Cancelleria Federale di Berlino, considerando che l'effettivo di Guerra di 40.000 uomini stabilito nei preliminari di pace era stato già oltrepassato di molto, anzi quasi due volte raddoppiato per concessione della Prussia. Gli eran noti altresì alcuni tentativi fatti dal Signor Thiers presso altre Potenze, a Londra segnatamente, per invitare il Principe di Bismarck a riprendere in esame qualcuna delle condizioni preliminari risguardate come troppo onerose per la Francia: e avvertiva che tutto ciò avea messo il Gabinetto Alemanno in suspicione sui disegni dei repubblicani moderati di Versailles per modo da riuscir malagevole il trarlo presentemente a consigli che loro facilitassero il Governo.

Ma il diplomatico Francese che ebbe occasione di favellare direttamente coll'Imperatore Alessandro, alla festa da ballo data in onore del Principe d'Orange, gli fece di persona le medesime istanze che prima per mezzo del Cancelliere Imperiale gli avea fatto pervenire, e fu da Lui trattenuto in più lungo colloquio che non soglia in simili congiunture, onde vennegli fatto di

attenerne l'assenso ai desideri che il Ministro di Versailles lo avea incaricato di manifestargli. Il perchè nel ritornare che fece il Gabriac dal Principe Cancelliere il ritrovò deliberato del tutto a secondare la sua domanda, anzi da Lui stesso riseppe che avea già indirizzato suo telegramma al Principe di Bismarck, per raccomandargli vivamente il partito, e che il simigliante avea praticato, ed in forma assai chiara e decisa, nel conferire col Principe di Reuss. Crede anzi il Gabriac aver l'Imperatore Alessandro scritto anch'esso all'uopo sua lettera particolare all'Imperiale Zio per indurlo ad accogliere la proposta Francese, il che non sarebbe da meravigliare, atteso il carattere dell'insurrezione Parigina, che muove da ragioni sociali cosmopolite e sovversive, ed in cui hanno cosi larga parte i proscritti di Polonia dei quali nell'Impero degli Czar è sempre vivo il timore. Non è da dubitare ,quindi che l'inframmettenza del Gabinetto di Pietroburgo in questa fase della Guerra si eserciterà in favore del potere esecutivo di Francia per quanto mai il comporteranno le buone relazioni da serbare fra Russia e Germania, perciocchè il criterio politico degli uomini di Stato Moscaviti non può esser dominato dalle considerazioni speciali che rendono meno increscevole a quelli di Germania la ~continuaziune deHa lotta fratricida che si combatte oltre il Reno; essa è dominata invece dalle ragioni di ordine pubblico generali cui gli eventi di tal lotta possono minacciare e che formano la prima e principale sollecitudine della mente di Alessandro.

Il linguaggio dell'Inviato Alemanno presso questa Corte, è tale da attribuire ai buoni uffici operati dalla Russia un intendimento piuttosto officioso che formalmente diplomatico, e da far presumere che la risposta del suo Governo importerà forse l'assentimento alla richiesta anzidetta, di lasciare libero il passaggio per alcuni dei forti prima del termine prescritto, ma sotto condizione che si acceleri la conclusione del trattato di pace iniziato in Bruxelles, e che i negoziatori francesi cessino da quelle pretensioni da loro poste innanzi, la qual conclusione trarrebbe seco eziandio di necessità la restituzione dei prigionieri e il pieno uso delle forze militari ad espugnare la comune Parigina. Onde il

risultamento ultimo di siffatte scambievoli pratiche parrebbe dover riuscire del tutto rispondente al bisogno presente d'Europa, quello cioè di menar di fronte le due imprese, e precipitare verso il loro fine entrambi questi esiziali conflitti che la travagliano, quello cioè fra le due grandi Potenze vicine, a cui non tenne ancor dietro una pace perfetta, e l'altro non men doloroso che lacera la Francia con sì sconsigliate fazioni civili.

Or questa combinazione giungerà ella fino ad implicare un intervento armato dei Tedeschi contro Parigi? Nelle regioni ufficiali di Pietroburgo s'inclina ad ammettere la possibilità di questo evento, e si giunge fino a dire che in uno degli ultimi consigli del Governo Imperiale di Berlino, se ne sia deliberata l'attuazione in un caso determinato. Certo è per le comunicazioni del Signor Giulio Favre a questa Legazione di Francia, che la proposta di un intervenimento militare fu fatta più d'una volta dal Principe di Bismarck ai Governanti di Versailles, e che non senza qualche meraviglia il Cancelliere Federale di Germania la vide finora da quelli respinta.

Il nuovo Ambasciatore di Francia annunziato già da alquante settimane non sembra intanto dovervi giungere per il presente, avendo la Corte di Russia fatto comprendere a Versailles che attese le condizioni in cui versano ora le cose di Francia, sarebbe inopportuna per qualche rispetto la presenza di un Legato, che avesse il grado eminente e la sovrana rappresentanza d'ambasciatore.

(l) Non pubblicato.

425

IL CONSOLE GENERALE A NIZZA, GALATERI DI GENOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 134. Nizza, 9 maggio 1871 (per. l' 11).

A complemento di quanto ebbi a riferire all'E. V. col mio rapporto precedente (l) circa le elezioni municipali ho l'onore di parteciparLe che dalle seconde votazioni eseguitesi, con ordine imperturbato, nella ora scorsa domenica, 7 'Corrente, riuscirono eletti i candidati portati dal Pensiero di Nizza, g,iornaie gallofobo, per cui tutt'i Consiglieri, in numero di 32 neppure uno eccettuato, appartengono al partito Nizzardo Italiano, cui del resto lasciarono il campo libero gli oppositori del partito Francese e Nizzardo Francese, perchè dalla prima votazione prevedendo l'esito della seconda, la maggior parte di essi pubblicamente dichiarò, alcuni giorni prima, di ritirare la propria candidatura.

Il partito Francese, che nelle lotte attorno alle urne non l'ho mai visto vincitore, è naturalmente mortificato di questa sua totale sconfitta.

Nei giorni ,5 e 6 corrente lasciarono l'ancoraggio di Villarfranca la fregata francese Normandie, che si diresse per Algeri e la Corvetta americana Juniaba, che ,partì per destinazione ignota. Resta ancora in quella rada la corazzata Francese Océan con venti cannoni e 670 uomini di equipaggio.

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L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 228. Tunisi, 9 maggio 1871 (per. il 13).

L'ordine di far partire per Algeri la nave corazzata «San Martino» cui si riferisce il dispaccio riservato di V. E. n. 105 delli 5 corrente (2), mi venne trasmesso telegraficamente dal R. Ministro della Marina, ed in virtù del medesimo il Comandante salpava l'indomani stesso per quella destinazione.

Pare diffatti che l'insurrezione araba nell'Algeria guadagni ogni giorno terreno, perchè qui si stanno ora raccogliendo delle truppe per il caso il movimento si estenda alle provincie limitrofe della Reggenza. In ogni modo è opinione generale che nulla abbiasi a temere nella Tunisia per l'ordine e la pubblica sicurezza.

L'arrivo improvviso d'una fregata italiana di prim'ordine, quale è la « San Martino», avendo prodotto una grandissima impressione non meno nel pubblico,

che nel Bardo, e più segnatamente in alcuni de' miei Colleghi, non ho esitato un momento a spiegare sin dal principio il vero motivo della sua comparsa in queste acque, e l'Associazione del Commercio italiano scorgendovi una nuova testimonianza della sollecitudine che pone il Governo del Re a tutelare la vita e gl'interessi della Colonia, mi richiese con apposita deputazione di volerne esprimere a V. E. la più sentita gratitudine.

(l) -Cfr. n. 409. (2) -Cfr. n. 415.
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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3705. Berlino, 10 maggio 1871, ore 16,20 (per. ore 19,35).

Dans l'état actuel des choses, il n'y a pas d'inconvénient vis-à-vis du Cabinet de Berlin à maintenir la légation de Stuttgart, aussi bien que celle de Munich.

Les négociations entre M. de Bismarck et M. Favre termineront probablement dans la semaine par la signature de la paix définitive à Francfort.

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DIOMEDE PANTALEONI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Roma, 10 maggio 1871.

Ella mi invitava in un cortese foglio del 22 Marzo a scriverle talvolta e darle conto delle mie impressioni e delle mie informazioni sulle cose di Roma. Le confesso schiettamente che mi sono a lungo peritato a farlo. Sono stato qui in Roma così indegnamente trattato: le calunnie ,Je infamie imaginate e spacciate sul conto mio sono di tale forza, che più volte ho dovuto domandarmi, se le mie parole avrebbero più autorità a Firenze, ove so che da tutti i lati si lavora a demolir me e la mia riputazione. Io ho dovuto di tanto più temere, quantochè di Firenze o dal governo non mi venne mai una parola sola di conforto; e so, che l'amministrazione Ospitaliera è la sola che vada qui regolarissimamente, grazie sopratutto ai miei sforzi; e sì che gli Ospedali da me diretti sia per la parte amministrativa che sanitaria a senso di tutti ed a pruova di cifre giammai andavano così bene. Ma anco troppo di me. Le mando un Rapporto scritto in somma fretta, dettato di getto e senza mala copia: ne scusi quindi la frase e il dettato. Stimo però giuste le considerazioni come garantisco veri i fatti. Ma vi ha una parte che non dovea nè poteva dettare ad amanuense, ed è quella che le esprimo in questa lettera confidenziale. Per ciò che concerne l'interno, il malcontento nella classe media è un po più spiegato che nol dissi nel Rapporto, ma nol credo molto importante. Havvi però molte esistenze spezzate, mQlte famiglie in una grande sofferenza. Il governo

ha spesso avuto la mano dura, e quel che è peggio non certo coi papalini, pensionati tutti da noi e dal Vaticano; ma con molti dei nostri o taluni di coloro che si sono separati dal Vaticano per seguire le nostre sorti. Ella sa però quanto è difficile riparare, non dico a tutti, ma a molti casi particolari, specialmente in seno alla voragine degli affari e la povertà di mezzi in che siamo.

Ma molto più grave parmi la nostra posizione all'estero. Gli è difficile non intravedere in Europa, ma specialmente in Francia, una grande reazione in senso antiliberale. Questo non mi spaventa per l'Italia. Con una dinastia leale come la nostra, un partito liberale i cui destini sono per necessità saldati con quelli dell'indipendenza e dell'unità d'Italia, stimo che fra noi si abbia molto più a temere l'eccesso, che il difetto della libertà. Ma ciò che mi ange il cuore, e mi tormenta egli è la condizione della Francia, e le risoluzioni probabili da attendersi da quella sciagurata e folle popolazione. Sono sicuro, perchè lo ho troppo patentemente io stesso le mille volte in Francia provato: noi siamo cordiaLmente detestati dai Francesi. Quest'odio a quanto mi riviene di colà anzichè attutirsi è cresciuto per le attuali vicende. E in prima noi eravamo i beneficati dell'Imperatore, e l'Impero vi è detestato. Ancora nel cieco orgoglio che li domina e li accieca i Francesi stimano noi tutto dover loro, e perciò si attendevano che noi vassalli marciassimo a loro riscossa. Aggiungasi ora la rabbia del Clero per lo spento poter temporale, e vedrassi se possiamo da quel lato attenderci ad altro che ostilità e peggio. Ma havvi un secondo punto che mi rende ancor più inquieto ed ansioso; ed è che la Francia non avrà assettamento pacifico, finchè una guerra esterna e gloriosa (almeno per la loro vanità) non venga a distrarli e soddisfacendo alla loro boria e vanità renderli soddisfatti e contenti. Ora il solo vicino sul quale possano ed ad agio sfogar la loro ira è l'ItaLia, ,comechè l'odio sia intenso contro di noi e perciò la guerra vi sarebbe ;popolarissima. Vorrei andar errato ma il mio timore è più forte di ogni altra mia considerazione. In fondo credo che la sola salute per noi stia in ciò che le follie dei comunisti non posassero così facilmente ed occupassero l'esercito in casa.

So di certa scienza che il Favre è in tutto e per tutto nelle mani di Thiers: So che con tutta la di lui simpatia per l'Italia ha una grande deferenza per il Papa, e non ha espressioni abbastanza delicate e cortesi per lui. La legazione di qui è giurata inimica nostra e fa di tutto per eccitare contro di noi il Governo francese e la nazione. Io le confesso che non mi addormenterei tranquillamente sugli allori e se non stima troppo insolente per mia parte il darle qualche consiglio ecco cosa le proporrei. lo Mandare un uomo destro che studiasse bene la posizione di Francia. Il Nigra (se però le simpatie imperiali o le aderenze non l'accechino come all'agosto passato) è giudice dei più sicuri. 2° Agire sul Favre A questo proposito ho fra le mani un elemento che mi par prezioso, se sappiamo servircene. Ho grande influenza sul famoso Père Hyacinthe che è qui, amico al Favre, e che vede giusto delle cose di qui, e stima indegna la condotta della Legazione di Francia. Il Pè1·e Hyacinthe è uomo di coscienza purissima, di fede sicurissima senza vanità (miracolo per un francese) leale, povero e nel momento bisognoso di una mano che il soccorra e lo ajuti in una via ove possa ancora far valere i suoi talenti. A me pare un elemento prezioso. Io il manderei a spese nostre (la spesa sarà ben poca cosa) in Francia per esporre al Favre onestamente la verità delle cose di qui. Non è uomo da farne un diplomatico o chiedergli [altro] che l'onestissima verità. Egli potrebbe allora riferire a lei sulle dispo

sizioni in Francia ed essere di un utile intermedio. Egli è molto amico dell'arcivescovo Darboy uomo egregio, e che grazie alle persecuzioni subite dai comunisti dovrebbe essere potentissimo cogli avversarii. Bisogna dare secretissimamente al Père Hyacinthe i mezzi per fare delle conferenze a Parigi contro il potere temporale, contro il gesuitismo, contro il così detto ultramontanismo. La vecchia parola cattolica, se il può, ci distruggerà: La nuova sarebbe non solo nostra allea:ta ma vivrebbe più per noi o almeno in principio soltanto solo da noi. L'arcivescovo entrerebbe o è già in quelle idee... Se la cosa è accettata m'incarico io, se ella iL vuoLe, di tutto. Badi che il père Hyacinthe non solo nulla sa di questa mia idea, ma non si sogna neppure un sospetto di questi miei concetti. Io lo ho per ora affiatato col Monsignore che le mandai a Firenze. 3° Quando un uomo abita a Parigi presentisce bene l'avvenire: bisogna ajutar di danari

o d'altro chi debba venire in Francia al potere. Mi ricordo che nel 1852 persuasi Azeglio ad usare ogni maniera d'avances al Presidente Bonaparte preveggendo il suo trionfo e l'Impero: e le confesso me ne sono felicitato in tutto il resto della mia vita.

Passo ad altro particolare non meno interessante o almeno abbastanza urgente. Che cosa ha preparato il Governo in caso di un Conclave? Il fatto può verificarsi da un giorno all'altro ed allora bisogna avere già in antecedenza tutto tutto preparato. 1° Il locale. 2° Tutti gli atti f;:ttti e perchè non solo il Conclave sia libero, ma tale si paia ed evidentem~mte a tutti. 3o Avere idee chiare, nette positive, ben fisse in tutti i particolari che si presentano in quelle contingenze. 4° Avere preparato il campo per quanto per noi si possa al trionfo di un plausibile candidato. 5° Avere quindi prae manibus, la vita, valore, potenza, importanza di ciascun cardinale. 6° Avere fin d'ora all'estero lavorato onde accordandosi con la più parte di governi provvedere ad un Papa che salvi la Chiesa e comprenda la civiltà moderna. Dopo la promulgazione e lotta per l'infallibilità potremmo facilmente aver con noi Austria ed Ungheria, Baviera, e per le domestiche alleanze Spagna e Portogallo. Potremmo con la destrezza avere anco la Francia, o guadagnarcela anco cedendo a qualche sua velleità o vanità, che per giunta a noi giovasse. Non posso più a lungo estendermi in questo particolare -benchè solo, abbandonato, e senza nessun aiuto del Governo (parlo di ajuto e sostegno morale), sto preparando lavori di fatto per quella contingenza. Ho anco troppo abusato del permesso da Lei datomi.

Ella può, se il crede, e se stima che presso il Commendator Lanza abbiano qualche peso le mie parole comunicare ad Esso, o a chi altri pensi che sia utile quanto io Le ho scritto nel Rapporto, ed anco quanto confidenzialmente qui Le comunico. Abbia solo qualche riguardo per la persona che le nomino.

ALLEGATO I.

SULLE CONDIZIONI ATTUALI DI ROMA

E SUI RAPPORTI ATTUALI COL PAPATO

E ALL'ESTERO PER_ QUANTO POSSA DI ROMA GIUDICARSENE

Si parla ognora del malcontento delle popolazioni a Roma e sopratutto in seguito del cambiamento politico. Dal 22 settembre in poi non ho lasciato un sol giorno quella capitale; e mi sono adoprato a studiarne tutti i particolari senza alcuna prevenzione o pregiudizio.

In tutti i cambiamenti politici havvi per necessità due generi di malcontenti, all'esistenza de' quali è necessità ch'ogni buon governo si rassegni, comechè quella sia il portato del cambiamento stesso politico che si è fatto. La prima classe di questi malcontenti sono coloro che aderendo al governo decaduto usufruivano dei vantaggi della sua esistenza. L'altra classe dei malcontenti è composta di coloro, i quali in ogni cambiamento politico sperano un cambiamento della loro situazione personale, speranza che spesso condusse molti di loro a favorire il cambiamento politico e perciò a reclamare come una specie di diritto il miglioramento di situazione, che poi trovano sempre al disotto del loro vero o preteso merito.

Dirò a parte di ciascuna di queste classi in Roma, e poi mi studierò a notare quanto v:i abbia di reale in quelle Iagnanze, ed in che potesse il Governo adoprarsi a migliorare le condizioni di questo paese.

Per ciò che riguarda la prima classe de' malcontenti dirò schiettamente, che, ragion fatta di quanto ho veduto avvenire nel cambiamento politico a Napoli, in Sicilia e altrove, parmi che questa in Roma sia poco numerosa, poco valida e non molto temibile. Mi è necessario spiegare intiero il mio concetto, perchè non paia troppo strana questa mia proposizione.

Il Governo Pontificio nell'ultimo decennio era caduto quasi per l'intiero nelle mani di persone estere a Roma ed all'Italia. Era estera quasi per intiero la milizia, e nei ranghi superiori era il più spesso il fanatismo, la moda, l'opinione politica che facevano lo stipendio de' gradi; ond'è che la soppressione di quest'esercito non ha portato negli interessi economici delle famiglie quasi nessun disquilibrio. Aggiungi che la tremenda guerra di Francia ha attratto ed assorbito tutti quegli elementi, e ne ha liberato il nostro paese. L'aristocrazia superiore del Governo

(Cardinali e Prelati) certo sono malcontenti, ma l'età nei primi, la conservata distinzione di posizione, i pochi privilegi di che godeano nell'ultimo decennio (assorbito tutto il potere nella persona del Segretario di Stato) li rende lontani dal fanatismo; di tanto meglio quanto che il Governo nella sua temperanza ha messo più grande cura ad evitare di dargliene l'occasione o il pretesto. I prelati di carriera politica erano ridotti a pochissimi dopo la perdita di tutte le provincie dal 1859 al 1861. Gli impiegati dell'ex Governo Pontificio messi per la più parte a riposo o cacciati dagli impieghi avrebbero certo formato una schiera abbastanza numerosa, e sotto l'urgenza del bisogno e dell'impoverimento della famiglia, abbastanza temibile. Se non che il Papa stesso si è incaricato di liberarci Egli stesso da quel flagello, venendo in soccorso di tutti loro con una generosità e liberalità tanto più gvande, quanto meno costa a coloro che l'esercitano. A mio avviso non si è mai ben rilevato o messo in evidenza l'immenso benefizio che il Papato e tutti i fanatici sovventori cattolici dell'universo hanno reso e rendono alla nostra causa mentre scialacquano tesori in sostegno, com'essi credono, del potere temporale. Tutti questi pensionati del Vaticano che senza lavoro e quasi sempre senza merito o talenti per guadagnarsi la vita, sarebbero in un modo od in un altro ricaduti sulla società e quindi in pericolo del Governo vivono nell'ozio, e contenti, salvo un piccolo numero di coloro che non si sono mai dichiarati troppo nè per l'una nè per l'altra parte. Il basso, popolo dei lemosinanti ha forse più che altro sofferto nel cambiamento; ma le straordinarie elargizioni venute d'ogni parte in seguito dell'inondazione ha fatto che neppure questa classe (d'altronde sì poco interessante) sia stata o sia in vero stato di sofferenza. Per tale titolo gli è dunque vero che questa classe di malcontenti non è nè numerosa, nè valida, nè temibile. Quando faccio paragone al tremendo brigantaggio eccitatoci dai Borboni nel 1861 e 1862, nel Napoletano, alle spedizioni armate gettate sulle coste, al garibaldinismo in Sicilia e nel regno di Napoli, l'opposizione che si vede qui si può dire ridicola.

È molto più rimarchevole l'opposizione che muove dalla seconda classe commenzionata di sopra. Trattasi spesso di gente attiva, fanatica, immaginosa, liberale, atteggiata per lo più a martire ed a vittima della così detta consorteria e del Governo; ed è quella che fino ad ora ha tenuto in qualche agitazione il paese; ma non ha formato mai un corpo potente, ben ispirato, ben condotto da potersi considerare come occasione a pericolo per l'ordine pubblico e per le sorti del paese.

Confesso però che se il Governo avesse avuto qui persona più capace, più destra e con sufficienti poteri, avrebbe potuto evitare molti di quei disordini più morali che materiali che si sono verificati in questi primi mesi. Fortunatamente pel Governo le ire a Roma si 'sono sfogate tutte sopra degli individui che si sono, non so perchè, stimati più o meno ispiratori delle azioni del Governo o ad ogni modo ne sono stati presi come capri espiatori: io il primo, (e posso dirne qualche cosa) poichè l'eco ne deve esser giunto a Firenze e presso il Ministero sotto la forma d'ogni maniera di calunnie, di accuse, di lamenti da farmi perdere quel poco d'autorità che io m'avessi ancora potuto avere costì. Non me ne lagno per me; ma non tutti forse posseggono quel grado di devozione che mi ha fatto con rassegnazione e nel silenzio sopportare la vigliaccheria in tutti quegli attacchi. Quando però si faccia ragione della subitanea libertà e sopratutto di quella della stampa piovuta qui ad un tratto, il disordine morale è stato molto inferiore di quanto il fosse altrove, salvo la Toscana, ove fu nullo.

Gli è che in fondo non havvi in Italia una popolazione che più facilmente si governi che quella di Roma sol che non la si offenda nel suo amor proprio. Le maniere alquanto dure e asciutte e perentorie di taluni dei primi incaricati del Governo, eccitarono molto malcontento; ma più grande d'assai lo produsse in alcune classi il vedere che dal resto dell'Italia, anzichè da Roma, si prendessero gl'individui per la Cattedra Universitaria e per gl'impieghi distinti. È questa una piaga ancora sanguinosa, specialmente fra la classe media, che è di tutte la più numerosa, la più indigente, dotata spesso di molta intelligenza, ma ben di rado di un'eguale dignità. Si andò all'invasione, alla conquista; e l'opposizione municipale trovò un plauso gene·rale, contro il qua,le lottarono con fermezza gli uomini più devoti, anco nel Municipio, al Governo. Un'opposizione della stessa natura è quella che lavora in mezzo alla Deputazione Provinciale che è causa delle emanazioni di quelle risoluzioni prese o in spregio del Governo o in odio di coloro che se ne estimano amici e più devoti.

Non vi ha dubbio che coll'andamento delle cose una parte di questa opposizione si sia affievolita; ma non è men vero che il Governo potrebbe con pochi sacrifìzi, se pur fossero tali, attenuare in gran parte ques·te opposizioni. Si devono per necessità instituire parecchie cattedre all'Università, nominare parecchi Ispettori, Consultori, Consiglieri per g.lj Uffici Governativi; se in queste nomine si terrà conto dell'elemento romano puro, se ne avrà una grande soddisfazione. A Roma il ceto medio è collocato in una posizione d'inferiorità la più patente, e frattanto gli è questo ceto che deve rappresentare la società moderna, e il sistema costituzionale.

Gli è questo un punto sul quale vorrei più particolarmente attirare l'attenzione

del Governo, perchè forse è uno dei più importanti a conoscersi per chi assumerà

a governare questo paese. In Roma il piccolo proprietario di terre non esiste, e nello

stato attuale non può esistere. Non è solo la secolare esistenza dei fedecommessi,

primogeniture e mano-morte che ha accumulato la proprietà in circa 93 o 97

possidenti (che poi in fatto si riducono forse ad un 60 perchè più possedimenti

sono riuniti sia in uno stesso corpo morale sia in una stessa famiglia) ma è la vera

condizione fisica del suolo e l'assenza della popolazione che ha prodotto quest'ac

cumulamento delle terre in poche mani. I latifondi qui perdidere Italiam a Roma

sono ancora mantenuti dalla stessa causa che li produsse, l'impossibilità della pic

cola colonìa a cereali per il caro della mano d'opera. Questo sistema di pastorizia

che si esercita ora in cinque o sei settimi dell'agro romano, dovrà in un prossimo

futuro avvenire probabilmente accrescersi anzichè diminuire. Ma checchè sia dl

ciò è un fatto che la borghesia territoriale in Roma non esiste, salvo come pro

prietaria di qualche vigna, la cui coltivazione è per lo più passiva. La borghesia

possiede qualche caseggiato, ma anco di questo la più gran parte sta in Roma in

mano di mani morte e dell'aristocrazia. Di fabbriche e d'industrie Roma non ha

quasi tvaccia; e la sola borghesia potente ma ristrettissima è quella dei mercanti

di campagna o grandi affittuari di tenute. Tutto il resto della borghesia è dunque

rimasta povera, si è dovuta dedicare alle arti, alle esigenze, alle professioni liberali; e come queste tutte dipendono per l'impiego loro dai ricchi e possidenti, questll borghesira non ha avuto la menoma indipendenza, ed è diventata servile, falsa, invidiosa altrettanto che bisognosa per la numerosa concorrenza in ogni ramo d'impiego. L'aristocrazia si è tenuta quindi superbamente fuori da ogni contatto con la borghesia a Roma, e sopratutto nei rapporti di ~società. Da ciò un'evidente e marcata mancanza di cognizioni e scienze nell'aristocrazia. La condizione quindi di una poco abile aristocrazia: lo stato inferiore, sopratutto per le qualità morali e civili, della borghesia a Roma si rivela da per tutto nel Consiglio Municipale, nel Provinciale, in tutte le amministrazioni come in tutte le riunioni anco sollazzevoli. Le poche individualità che si sono formate nell'esilio sono quindi invidiate, combattute e rese impotenti.

Un tale stato di cose sarebbe veramente gravissimo se l'accorrere di una eletta e nuova popolazione da tutte le provincie d'Italia non desse la sicurezza, che sarà ben presto quello stato di cose modificato.

La classe migliore a Roma è la più inferiore: sana, robusta, coraggiosa non rifugge dralle fatiche, ed ha conservato una fierezza di modi, un'indipendenza di concetti, mirabile, se la si raffronta sopratutto con la arrogante serviUtà del ceto medio, in generale. E questa classe per soprassello è la più manegevole, la più ordinata, la meglio governabile del mondo. Essa ebbe a soffrire per la mancanza del lavoro ne' passati mesi, ma ora con ~l'avviamento che cominciano a prendere le costruzioni, si trova in migliori condizioni; e se la Capitale prenderà su ciò f.' negli affari quello sviluppo normale che non dov:rebbe mancare, parmi, che in un tale sviluppo il Governo ed il paese potrà trovare quella tranquillità e quella prosperità, le quali sono insieme talmente legate che una non saprebbe senza l'altra esistere.

Imperocchè mancherei al vero se non dicessi qui, che un notabile malcontento è stato sviluppato dalle nuove tasse, tanto più g~ravi delle antiche, e venute sopra al popolo a togliere, prima che lo sviluppo degli interessi e gli accresciuti guadag~.ni le rendessero non solo leggiere a portarsi, ma vantaggiose. Arroge a ciò un fatto ben lamentevole, al quale potrebbe e dovrebbe il Governo porre e sollecitamente riparo, ed è il ritardo dei pagamenti dovuti dall'erario sia per pensioni, per debiti, per compensi o per servizi; e sospesi o per troppe formalità di contabilità,

-o per incuria, ma sempre con molta iattul'la della privata e pubblica fortuna, e con discredito del Governo. Il trasporto della più parte delle contabilità a Firenze -o altrove ~per ragioni della sede del Governo produce qui un grande imbarazzo, e tanto maggiormente sentito, quanto che le formalità nuove danno più facilmente luogo a dispendio ed a nullità di atti. Una gran parte di tali inconvenienti spariranno col trasporto della capitale a Roma; ed io confesso che sono f,ra quelli che ammirano e plaudiscono alla fermezza, con la quale il Governo ha tenuto forte il proposito di venire qui per i primi di LugUo.

Ai nostri dì la vera temibile opposizione a mio avviso è solo quella degl'interessi, ed è però che fin QUi mi sono a lungo occup~ato delle condizioni economiche di tutte le classi a Roma, e del modo onde provvedere ai bisogni di quelle. L'opposizione che muove dalle opinioni in Roma poco conta, perchè le convinzioni sono fiacche e povero il sentimento. Nell'alta aristocrazia la maggioranza si tiene col Papa e fa gran mostra d'opposizione; ma quest'opposizione si risolve in ridicole dimostrazioni di visite, d'indirizzi, in vestire a corruccio ed evitare il Corso per andare a diporto fuori Porta S. Giovanni od altra.

L'aristocrazia romana ha, è vero, ricchezze; ma queste sono legate a pesi tali di Ville, Cappelle, patronati, benefici etc. che spesso le famiglie le più ricche possono appena spendere quello che altrove fanno centinaia di cittadini del mezzo ceto. L'aristocrazia romana non dà che uno scarso contributo di pecunia al Papato, che Essa paga di omaggio e lustre, e queste lustre e questi omaggi, se non ci hanno reso tutti i servigi che mostrai di sopra essere il portato del denaro estero inviato al Papa ed all'obolo di S. Pietro, ci sono stati utilissimi per due punti: il primo è stato quello di mostrare a tutti che il Pontefice non è vittima, ma anzi può senza pericolo alcuno ogni maggiore omaggio prestarglisi, come chè anco fatto in onta al Governo nostro; il secondo è che lusingando' l'animo molto proclive agli omaggi di Sua Santità, hanno contribuito a tenerlo in Roma ed a tenerlo soddisfatto e contento, e perciò meno ostile a noi.

Queste considerazioni mi portano ad entrare nella seconda parte che mi proposi di trattare; quella dei rapporti nostri col Papato, e per di lui causa con l'estero.

Quando si faccia calcolo dei timori e dell'aspettativa di tutta Europa per la tremenda catastrofe del potere temporale del Papa, delle difficoltà anticipate, delle impossibilità predetteci da tutti i lati, non si può a meno di restare meravigliati della tranquillità e pace comparativa, con le quali questo grande fatto, il più grande per avventura dei tempi moderni, si è compiuto. Gli è che esso era di lunga mano preparato e maturato in Italia; gli è che ogni prestigio era per noi cessato pel potere temporale, che non era più che una feticce, un idolo senza divoti e senza credenti in Italia; gli è (mi si consenta il dirlo) che non vi era altra gente, altl'a nazionalità al mondo che avesse potuto e saputo condurre quel fatto con abilità più consumata, con più fina intelligenza, con un tatto più ammirabile dell'italiana.

Tre sono le classi di personalità da considerarsi per noi nella questione papale. 1". Le nostrane. 2". Quelle del Vaticano. 3". L'estero.

Delle nostre dissi già qualche cosa; ma se l'opposizione politica per la caduta del temporale non ci-ha presentato molte difficoltà, non vuolsi però obliare che molte e gravissime ce le offre ancora l'esercizio dello spirituale sotto le nuove contingenze di una Chiesa libera (la sola soluzione possibile a mio avviso per la questione cattolica), e sotto le nuove contingenze della cessazione del potere temporale a Roma, ove frattanto resterà, non vi ha dubbio, la sede del cattolicismo.

Nella tensione de' rapporti della Curia Vaticana con il Regno d'Italia, ha stimato quella di poter esercitare una grande influenza e portare su noi un colpo tremendo con la cessazione delle funzioni per un lato, col rifiuto de' Sagramenti per l'altro a persone alto o anche basso locate, e sulle quali si è creduto con ciò agire potentemente. Fin qui l'effetto è stato talmente nullo, che è invero anche per me, volto alle romane cose, mirabile. Quanto alle funzioni il Governo non ha che vedere, e basta che si adopri a volta a volta ad offrire a questo popolo avido di spettacoli, ai forastieri che in certa stagione v'accorrono, qualche cosa onde trattenere questi, contentare quelli, come lo si è fatto fin qui e dal Municipio e dal Governo. Son piccole .considerazioni sulle quali non mette il conto più a lungo parlare. Quanto alla parte sentimentale vi ha circostanze sotto le quali le cose potrebbero volgere a scandalo o pericolo come avvenne a Torino per il S. Rosa, e suppongo che il Governo abbia al suo servizio una suppellettile di preti, cappellani, Vescovi in partibus, o altri Ecclesiastici privilegiati, i quali possono in ogni caso esercitare i loro poteri ecclesiastici anco qui e da mettere avanti alla circostanza, come il frate del Cavour, finchè le cose si compongono fra noi e il Vaticano.

Sulla certezza di una tale composizione finale io non ho mai nudrito alcun dubbio (tanto quanto la stimo impossibile a presente); e ciò sol che per noi si segua una politica destra e sapiente, temperante, accomodante ne' particolari, ma ferma, irremovibilmente ferma ne' punti fondamentali di nostra civiltà. Non vi può aver dubbio che più presto o più tardi il c:lero dovrà affarsi al nostro incivilimento, alle condizioni del nostro regime, alle esigenze della nostra società. Gli è impossibile che una classe qualsiasi, e il clero come ogni altra, più presto o più tardi, non assuma le idee del paese ne·l quale vive, i sentimenti delle popolazioni in mezzo alle quali si trova, i principi professati dalla scienza o dalla letteratura dell'arte che lo circonda. L'essenziale è il fare ch'esso non s'isoli come infaustamente ·s'is'olarono per secoH gli Ebrei chiudendoli nei ghetti: cosa che poi tanto contribuì al mantenimento di quella fede: essenziale si è che non lo si getti perseguitandolo ed avversandolo in una sistematica opposizione ed in una separazione da noi e dalla società, come lo si fece in Francia. Gli è perciò ch'io avversai nei miei scritti la soluzione della città Leonina; gli è perciò che io insisto, che noi diamo aU'alto clero pontificale ospitalità in mezzo alla città e lo fondiamo con noi e coi nostri; perciò io stampai già ed anco adesso insisto presso il Governo, perchè le istituzioni teologiche e canoniche stiano nell'Università, e se il prete è stato assoggettato alla coscrizione, molto più esso si metta a far parte d'ogni altra istituzione civile. Non è che mescolando il clero al popolo, non è che facendolo vivere nel paese ed in mezzo agli elementi del paese che noi daremo al clero gli stessi sentimenti del popolo e ne faremo dei veri cittadini, un frutto, un portato del paese stesso.

Quest'ordine di fatti e di considerazioni mi ha portato ad entrare nel secondo punto in occupandomi di un elemento che s'informa a quello del Vaticano, e che sul Vaticano potentemente può influire. E dovendo par!lare più specialmente del Vaticano mi accade di fare un'osservazione pratica che muove dalla lunga conoscenza che ne ho. Non bisogna mai giudicarlo da un atto ufficiale che sono tutti stereotipati su di una modula antica. In questi il Vaticano è sempre lo stesso, ed anzi al momento di venire a termini d'accomodamento su di una questione ti emetterà un'allocuzione o un breve o bolla di principi che quelli potentemente avversa, salvo poi ad accettavli in pratica tanto più latamente, quanto stima meglio garantito l'avvenire da quella protesta. Non vuolsi dunque da quegli atti giudicare dei veri sentimenti della Curia, e sopratutto del Papa. Il Governo italiano errò forse a principio per troppa peritanza (almeno tale fu ed è la opinione della diplomazia estera qui a Roma) in non dare ad un sol tratto e quando la Curia era terrificata, un colpo decisivo a tutte quelle istituzioni che è nel nostro compito l'abolire. La loro esistenza e specialmente quella dei Gesuiti è un inciampo fortissimo alla riuscita della conciliazione fra noi e il Pontificato, e se dal primo momento noi avessimo atterrito la Curia, questa avrebbe molto più ammirato e gradito poi la nostra temperanza e moderazione tanto più pregiata allora quanto meno aspettata.

Ma fatta una tale riserva la politica del Governo non potea essere meglio condotta, specialmente in questi ultimi tempi. Il Generale Lamarmora si fece un po' troppo infinocchiare dalle melate astuzie della Prelatura, e dopo avere a quella troppo ed inopportunamente ceduto, e uomo onesto e leale fidandosi troppo un tempo finì poi per dovere scrivere quelle acerbe risposte che tutti leggemmo alla protesta del Vaticano. Il Gadda ha proceduto con eguale temperanza, ma con fermezza e prudenza, e nell'insieme le cose non potrebbero procedere meglio. I rapporti che io ho avuti col Governo e col Vaticano per il Palazzo della Cancelleria debbono avere dimostrato come in fondo si attutino con un poco di misura e di tatto le ire del Vaticano, purchè eguale alla lealtà sia la fermezza che si dimostra. Ne ho avuto anco recentemente altre prove. Gli adepti de' Gesuiti voleano farmi una ripetizione dei disordini della Chiesa del Gesù alla stessa epoca ed inventarono di dare esercizi spirituali agli infermieri e per far poi una comunione solenne pel famoso anniversario del 12 aprile, mandando, così si dicea, a Sua Santità i nomi di tutti coloro che avessero preso il Sagramento. Era una dimostrazione politica sotto il velo della religione. A mezzo del Cardinale L. d'Amat mandai a Sua Santità notizie della cosa annotando che pareami impossibile che si volesse sanzionare un simile sacrilegio. Nulla più si fece o si disse, e la dimostrazione andò in fumo. Le accludo copia di un atto che ricevo ora per parte di Sua Santità, alla quale mi ero diretto per la tranquillità di una capitalista che mi forniva una somma con ipoteca sui beni di S. Spirito; prestito pel quale esisteva un Rescritto SS.mo. L'affare per sè stesso non ha importanza, ma lo ha che Sua Santità mi faccia scrivere da un Porporato come Deputato Amministratore di S. Spirito riconoscendo così la nomina del Luogotenente del Re, ed il Governo nostro.

Dimando scusa di citare fatti che mi concernono; ma non posso citare che quelli che mi sono ben conti, e dei quali posso guarentire l'esattezza.

Non è che da ciò debba argomentarsi la possibilità di venire ad un componimento di cose nei termini attuali delle cose stesse e sotto il Pontificato di Pio IX, lo credo impossibile, ma credo però che a poco a poco si potrà stabilire un modus vivendi, ed ove gli eventi seguano a correre per noi sì favorevoli, e la nostra temperanza e moderazione non si smentiscano, si potrà stabilire un componimento di fatto che sia base come solito a quello del giure che su quello poi si basa.

Qui entra una questione troppo delicata, della quale terrò parola nella lettera confidenziale che accompagna questo rapporto; ed in quella altresì accennerò ad alcune particolarità relative ai nostri rapporti con l'estero, che mal potrebbero in una generale relazione trovar luogo.

Dirò quindi solo poche parole su questo terzo punto e duolmi il dover dire che nell'insieme io non ,stimo la Diplomazia a Roma troppo favorevole con noi. Vi ha perfino dei cambiamenti difficili ad intendere e comprendere. Talune di quelle legazioni che più vivamente vituperavano l'amministrazione del Papato temporale, paiono ora volte a rimpian~erlo, e si sono rese, sia compassione, sia spirito religioso, sia il solito spirito d'opposizione, favorevoli al Vaticano, e disposte a vituperarci. Ciò dipende in prima dacchè la Diplomazia s'ispira all'Aristocrazia, e quella, il dissi, si tiene col Vaticano. Poi la borghesia malcontenta leva alte le grida, che trovano un'eco nella libertà della stampa, sfrenata qui come suoi essere ognora al suo principiare. Poi, non vi ha dubbio, le amministrazioni sono ancora tutte disordinate, ed ho già accennato come il malcontento sia grande benchè non temibile. Poi la Diplomazia estera accreditata al Vaticano solamente, si lascia da quello infinocchiare. Quante poi siano le arti de' Gesuiti a guadagnarsi gli Uditori, i Segretari, gli Avvocati delle Legazioni è difficile immaginarlo, per chi non vive a Roma, e nei segreti dei negozi. Ora costoro sono sempre i vecchi arnesi degli antichi tempi, e perciò non possiamo attenderci a nulla di buono da loro. Se con la capitale verrà la Diplomazia accreditata presso al nostro Re allora potremo attenderci

o. maggiore equità di giudizi.

Gli è sopratutto per la Francia che la cosa può essere grave. È la sola nazione -che può accampare diritti propri che partono da una convenzione, e la Legazione di Francia ci è onninamente ed interamente ostile. Pel resto mi riporto alla mia lettera confidenziale.

ALLEGATO II. AMATA PANTALEONI Roma, 4 maggio 1871.

Relativamente alla richiesta fatta dalla S. V. Illustrissima sulla esistenza e validità del Rescritto SS.mo in data 14 giugno dello scorso anno 1870, il Sottoscritto Cardinale si dà premura significarle essere realmente vero il detto Rescritto, col quale il Santo Padre, come ha detto allo stesso Cardinal sottoscritto, facoltizzava Monsignor .Acchille Maria Ricci, allora Amministratore del Pio Istituto di S. Spirito a poter -contrarre il debito, che in esso Rescritto viene accennato.

Tanto occorreva allo scrivente in riscontro al pregiatissimo Suo foglio, mentre pieno di stima ha il piacere profferirsi.

429

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA

(Eredità Nigra)

L. P. Firenze, 11 maggio 1871.

Rispondo in fretta all'ultima tua lettera. Prima di tutto ti dirò che ho raccomandato a Peiroleri di dar la decorazione al Maddalena, passando sopra, per le straordinarie circostanze attuali, alle considerazioni burocratiche che Io vietano. Ho pure firmato un altro mandato di L. 8 mila per Cerruti. Egli avrà così in tutto L. 12 mila. Il primo di 4 mila era stato assegnato da Peiroleri, che mancava d'ogni dato positivo sulle perdite reali sofferte. Però permettimi di aggiungere che se si volesse fare un esame della nota dei danni data dal Console sarebbe impossibile d'ammetterli tutti. È evidente che il Ministero non può

essere obbligato a rifarlo del lucro minore che ha fatto sui diritti consolari. Il Ministero non guarentisce nè punto nè poco l'ammontare di tali diritti. Sarebbe un precedente ben pericoloso il farlo, se tu rifletti che in questo momento infierisce la febbre gialla a Buenos Ayres, che ad ogni istante in America avviene qualche fatto di forza maggiore che turba l'andamento regolare delle riscossioni ecc. Il buon Galletti, che sai favorevolissimo al Cerruti, mi disse che in nessun modo egli ammetterebbe una simile domanda. Anche le 5 mila lire spese per mantenere la famiglia a Rouen sono di assai dubbio rifacimento. Se il Console avesse mandata la moglie in Italia, come lo fa ogni anno, non avrebbe avuta codesta spesa. Tuttavia io non volli procedere a quest'esame minuto, e stabilii d'accordo col Ministro, che gli si dessero altre L. 8 mila. Queste osservazioni ti fo soltanto perchè tu faccia comprendere al Console le difficoltà della mia posizione. Devo litigare colla Corte dei Conti, che dopo l'istituzione della Ragioneria generale è divenuta insopportabile per meticolosità e lesineria: inoltre tu conosci le condizioni del nostro bilancio, e la ferocia di Sella, modello insuperabile, almeno per questo rispetto, d'un Ministro delle Finanze. Ho quindi d'uopo d'un po' d'indulgenza per parte vostra. Non abbiate paura di

chiedere quanto è giusto; non lasciate al nostro criterio, per quanto equo e benevolo esso debba essere, e per quanto io mi sforzi d'esser tale, più del bisogno. Forniteci le indicazioni necessarie per discutere colle Finanze e la Corte dei Conti: il Ministero non ha veramente poteri discrezionali che in limiti angustissimi.

Ora permettimi di parlarti d'altro, e di chiederti consiglio. Il Ministro andò ieri a Roma per cercare un Palazzo pel Ministero. Egli m'incaricò di scriverti anche a nome suo. La Camera votò a gran maggioranza la legge delle guarentigie quale fu emendata dal Senato d'accordo col Governo. Essa sarà tosto promulgata. Qual'è il metodo migliore per comunicarla ai Governi Esteri? Dobbiamo !imitarci ad una sobria circolare che non richieda risposte? Dobbiamo andare al di là? Il mio avviso sarebbe di non fare una comunicazione identica e pubblica a tutte le potenze. Vorrei cominciare da quei Gabinetti che ci sono più favorevoli, cercar d'ottenere un'adesione più o meno esplicita, poi procedendo dal noto all'ignoto, comunicarla alle altre, giovandoci delle risposte ottenute e fa,cendosene un appoggio per chieder le adesioni ·che più c'importano. Questo metodo sembra il migliore anche a Visconti ed a Minghetti. Anzi, questi, benchè rifiuti assolutamente di riprendere la Legazione di Vienna, non è alieno dal recarsi colà privatamente per pigliarvi sua moglie, ed egli spera che i suoi buoni rapporti personali col Beust lo metteranno in grado di ottenere da lui una risposta generica, ma non isfavorevole. Eguale risultato possiamo forse sperare da Londra, da Pietroburgo, da Madrid e da Lisbona. Se ciò si fosse ottenuto, sarebbe forse meno difficile che Thiers e Favre, invece di chiudersi in un silenzio enimmatico, imitassero l'esempio altrui. Ultima verrebbe la Prussia, non isfavorevole in fondo, benchè non abbia voluto ancora pronunciarsi categoricamente. Ma v'è una difficoltà. Tutto ciò richiede un tempo più o meno lungo. Ora è a temersi che v'abbia costì un mutamento di persone che non giovi al nostro intento. Ripresa Parigi, firmata la pace, Thiers e Favre, .saranno essi ancora al potere? Gli elementi monarchici così preponderanti nell'Assemblea non verranno a galla, e non prenderanno verso di noi un atteggiamento ostile? Questa considerazione

:lc> -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. II

ci farebbe propendere a non ritardare questa comunicazione. È su ciò che io chiedo il tuo consiglio. Rispondi per telegrafo appena abbi ricevuta questa lettera. Dimmi apertamente il tuo avviso. Sai quanto io senta d'averne d'uopo, e quanto l'apprezzi anche Visconti. Io vorrei anzi, se ciò fosse possibile, che tu stesso ti incaricassi di redigere la comunicazione da farsi al Governo Francese. È cosa sommamente delicata. Tu solo sai per quale verso s'hanno a pigliare codesti signori. Se tu accetti questo partito, sarà certo il migliore. Se no, dimmi apertamente per telegrafo o per lettera, come la pensi.

Forse è voler troppo il chiedere all'Europa un'adesione alla legge. Importano assai meno le dichiarazioni teoriche in essa contenute che l'applicazione di esse. Ma per la pace d'Europa è d'uopo non pretermettere nulla che ·giovi a non lasciar più oltre aperta la questione. Tanto più che le altre Potenze non possono rinchiudersi in un'assoluta astensione. Il trasferimento della capitale fa sì che le Legazioni debbano seguirei a Roma: il loro rimanere qui, sarebbe un atto ostile e gravissimo. Finora tutti si prevalgono della stagione estiva per chieder congedi ecc. Il turco però ha fissato un appartamento a Roma e verrà: il russo e l'inglese pure. Non dubito della Spagna, della Grecia e del Portogallo. Il congedo dato al Trautmannsdorf pare indichi migliori disposizioni per parte dell'Austria. Kubek recatosi a Vienna deve giungere oggi o domani. Da lui sapremo qualche cosa di più. Tutti intanto ci chiedono l'annuncio officiale del trasferimento nostro per avere una ragione materiale di chiedere istruzioni ai loro governi. Il mal volere della Baviera non potè concretarsi in alcun modo positivo. La proposta della Conferenza si dileguò. Beust le sosUtuì il progetto d'una riunione dei diplomatici accreditati presso il Papa per studiar la questione degli Istituti cattolici aventi rapporti coi governi esteri. Ma anche a questa noi obbiettammo l'incompetenza per l'ignoranza assoluta del diritto positivo italiano, che del resto non si vuole applicare tal quale, ma con importanti modifìcazioni, che un'apposita commissione indicherà.

Sono in pectore alcune nomine diplomatiche. Migliorati lascierà Monaco ed anderà ad Atene. Greppi sarà probabilmente nominato in Baviera. Lanza e Visconti vogliono nominare Robilant a Vienna; io mi vi oppongo rispettosamente. Barrai andrebbe a Madrid e Blanc a Bruxelles. iLatour a Stockholm. Cavalchini ritornerebbe a Rio; Rati andrebbe a Stuttgard, e Spinola sarebbe reggente a Copenhagen. Ma queste nomine non sono ancor decise e s'attenderà forse dopo la discussione dei provvedimenti finanziari. Sella e la Camera non sono d'accordo.

Addio ·in fretta. Rammentami a Ressmann che spero in salvo. Quando potremo stringerei la mano dopo tanti avvenimenti?

430

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. s. N. Versailles, 11 maggio 1871 (per. il 14).

L'esito del convegno a Francoforte fra i Ministri francesi degli Affari Esteri e delle Finanze ed il Principe di Bismark fu pronto, e com'era da aspettarsi, favorevole alla conclusione della pace. Il Signor Thiers, capo del potere esecutivo, annunziò difatti all'Assemblea Nazionale nella seduta d'oggi che il trattato di pace definitivo era stato conchiuso tra la Francia e l'Allemagna. Il Signor Thiers non espose all'Assemblea i particolari della stipulazione intervenuta. Egli si limitò a dire che se le condizioni di pace, in presenza delle circostanze presenti, non poterono essere migliorate, d'altra parte però le gravi difficoltà che erano a temersi vennero eliminate. Egli aggiunse che tutti i prigionieri sarebbero immediatamente restituiti, e che il valoroso esercito francese, così benemerito della patria in questi momenti, potrà così essere considerevolmente accresciuto. Il Signor Thiers conchiuse dicendo che il ritorno dei prigionieri permetterà al Governo di inviare soccorsi in Africa, ed a questo proposito diede soddisfacenti notizie sulla prossima repressione dell'insurrezione che aveva avuto luogo in quella colonia.

La comunicazione del capo del potere esecutivo fu accolta con applausi dall'Assemblea.

431

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 820. Berlino, 11 maggio 1871 (per. il 15).

Ensuite d'un renseignement qui m'avait été fourni par le Secrétaire d'Etat et que j'ai télégraphié hier à V. E. (1), on s'attendait dans le courant de cette semaine à la signature de la paix définitive à Francfort. Mais c'est dans la journée meme, que cet acte important a eu lieu. La nouvelle en a été donnée par l'Agence Wolff. Il m'a été impossible de controler si elle provenait de source officielle. Aucun avis certain n'était encore parvenu au Ministère des Affaires Etrangères. Ce matin seulement j'en ai eu la confirmation, et j'ai jugé superflu de transmettre un télégramme à Florence, car notre consul à Frandorr't m',aurait certainement devancé.

M. de Thile m'avait déjà laissé entrevoir une prompte conclusion. Chacun comptait ici sur le génie politique du Chancelier Impérial, pour triompher de toutes les résistances et pour aplanir les divergences sur le mode d'exécution des préliminaires de Versailles. La discussion ne pouvait porter que sur des questions de détail, aucune concession sérieuse n'étant admissible ici sur les conditions essentielles, déjà fixées par les préliminaires précités. Sans rien céder sur le fond, le Prince de Bismarck se sera montré conciliant dans la forme, et son esprit fécond en expédien:ts l'aura mis à meme de suggérer à cet égard bien des combinaisons propres à accélérer une entente. S'il n'avait dépendu que de lui seui, lors des négociations à Versailles, Metz eut été conservé à la France, mais il ne réussit pas à vaincre l'opposition de l'Etat-Major Général, persistant à soutenir que, sans la possession de cette piace forte, la ligne de défense de l'Allemagne vers l'Est ne serai t pas suffisamment sauvegardée par Strasbourg.

M. de Thile citait aussi, comme preuve des vues conciliantes de S. A., que c'était à Elle que la France était redevable de la conservation de la ville et des fortifications de Belfort.

Au reste, comme je l'ai déjà dit dans un rapport précédent, le négociateur

allemand avait beau jeu pour en finir avec les hésitations du Gouvernement de la

République. Il n'avait pas besoin de recourir à la menace: il suffisait de subor

donner à la conclusion de la paix la réalisation du désir, exprimé avec beaucoup

d'instance par M. Thiers, pour le prompte retour en France de tous les prison

niers qui sont encore en Allemagne, et pour l'évacuation des forts de Nogent,

de Charenton, de Romy et de Noisy. On tenait surtout, à Versailles, à ce que

les troupes françaises devinssent libres de ,franchir en nombre indéterminé la

ligne de la Loire, afin de se porter sur différents points où l'action de l'Autorité

est plus que jamais nécessaire pour en finir avec la guerre civile.

Comme je l'ai dit plus haut, les clauses essentielles du Traité sont évidemment conformes aux préliminaires. Mais le texte ne sera publié qu'après la ratification des hautes Parties contractantes. Ce Traité n'établit ·certainement pas une paix définitive, dans toute l'extension du mot, mais, quelles que soient les velléités d'une révanche chez les français, ceux-ci ne seront pas à meme de lutter de sitòt contre la prépondérance de l'Allemagne.

Ci-joint une lettre parUculière pour V. E. {1).

(l) Cfr. n. 427.

432

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 112. Belgrado, 11 maggio 1871 (per. il 17).

Da altre parti dell'Oriente giungono sicuramente a V. E. notizie del malumore dei popoli cristiani verso la Russia, specialmente per le dimostrazioni di onore fatte al Sultano. La medesima opinione si professa in Serbia ove inoltre fu profondamente sentito che la Russia, la quale tanto ascendente vanta oggi a Costantinopoli, non l'abbia avuto per mitigare la condanna all'esiglio a Tripoli di Barberia toccata aN'archimandrita Semfino Petrovié, di Mostar, imprigionato e condannato per essersi scoperte certe sue lettere scritte e ricevute dalla Russia e trasformate a prova di macchinazioni politiche.

A questo governo, sebbene quel personaggio siagli noto e benaffetto, non è conveniente il chiedere mitigazione alla pena inflittagli: ma di un altro fatto recente il Principato intende porgere reclamo a Costantinopoli, e pare risoluto a non lasciare che nei modi soliti cada in prescrizione.

Alcuni serbi di Ujitiza, capoluogo di distretto presso il confine Bosniaco, recaronsi, con un passaporto nel quale tutti erano inscritti, sul territorio ottomano per tentare di riavere alcuni bovi da sudditi turchi stati derubati. Furono come sospetti arrestati: sottoposti ad interrogatorio fu imputato a colpa l'essere ascritti alla milizia serba, e l'avere con seco lettere di raccomandazione al capo del villaggio ove erasi rifugiato il ladro. Di qui per telegrafo si fecero lagni a

Savfet Bascià; questi riconobbe essere il caso senza gravità, ed annunciò a Belgrado sarebbero riconsegnati alla frontiera i cittadini serbi, mentre dal canto suo questo governo si obbligava a fare procedere ad inchiesta giudiziaria. Passò tempo e le persone non erano ritornate finchè un dì si seppe che incatenate erano state inviate a Costantinopoli: al primo lagno il Gran Vizir ne ordinò la liberazione, ma volle la sorte, che l'uno dei Serbi, giunto a Rusciuk, vi morisse per lesioni cagionate da una caduta di cavallo nel tragitto fra la Bosnia e Salonicco. La famiglia dell'estinto è povera e numerosa e si chiederà dal governo serbo alla Porta un largo risarcimento di danni. Parmi che questo governo sia perfino determinato a ritenere la somma che si chiederà sul tributo se la Porta non farà diritto al reclamo.

Per sicuro un fatto di simile natura in altre contrade non dovrebbe aver posto nella corrispondenza politica; ma non così, parmi, in questo Oriente ove poca scintilla può, in determinati casi, produrre la fiamma.

(l) Non pubblicata.

433

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 71. Vienna, 12 maggio 1871 (per. il 15).

Da più tempo già si fa qui parola di una cordiale intesa, e forse alleanza, tra Germania Russia ed Austria, e probabilmente altri ne avrà riferito all'E. V.

Comunque alcuni tra i rappresentanti accreditati presso questa Corte ed altre persone alto locate prendessero tal rumore sul serio, io non ebbi motivo bastevole per esserne preoccupato, onde che mi astenni finora dall'intrattenerne l'E. V. E non l'avrei fatto oggi se il Conte Andrassy non m'avesse porta egli stesso la congiuntura di toccare l'argomento in discorso, parlandomi della stampa Ungarica, la quale da qualche settimana, a suo dire, insisteva nello spargere la nuova che il Gabinetto di Firenze cercava con ogni maniera di stringersi intimamente con quello di Pietroburgo. Senza dare una smentita ufficiale al mio interlocutore, sebbene convinto della insussistenza del fatto, gli feci osservare che sarebbe difficile sostenere con pruove tale asserto: che l'Italia aveva sempre avuto cura di coltivare buoni rapporti con tutte le potenze, indistintamente, ed essersi continuamente adoperata ad evitare difficoltà e complicazioni tra queste: la nostra attitudine alla Conferenza di Londra e la formola da noi proposta dovrebbero bastare per giustificare la nostra politica di conciliazione e, se non potette conseguirsi in quel Consesso un equivalente pari alle concessioni fatte alla Russia, del che il nobile Magiaro non sa consolarsi, non debbesi ciò accagionare alla politica dubbia dell'Italia, siccome han preteso alcuni giornali Transleitani. Il Conte Andrassy convenne della verità de' miei argomenti e mi disse che mai egli aveva prestato fede a quelle dicerie, convinto com'era che l'Italia al pari dell'Ungheria dovea preoccuparsi dell'idea di vedere un giorno nell'Adriatico il naviglio Russo.

Venni quindi a mia volta ad interpellarlo sul rumoreggiato accordo più o meno stabilito tra i Gabinetti di Pietroburgo, Berlino, e Vienna, tendente secondo alcuni, ad assumere un atteggiamento energico rispetto alle altre Potenze Europee

in eventuali questioni. N'ebbi in risposta non esservi nulla di vero in tali ciarle, che mai non si aveva avuto in mente a Vienna di stipulare un patto qualsiasi con la Russia stante gli interessi divergentissimi di quell'Impero con quelli della Monarchia Austro-Ungarica: vincolarsi con quel potente vicino sarebbe stoltezza grave, equivalendo un tanto passo ad una rinuncia implicita delle aspirazioni Ungariche verso l'Oriente ove così si lascierebbe il campo libero all'operosità febbrile della Russia. Il Conte Andrassy concluse col ripetermi che, oltre ai rapporti di buon vicinato che si desiderava assodare tra i due limitrofi Imperi, nessuna tendenza esisteva presso il Gabinetto di Vienna onde potesse inferirsi un accordo, anche futuro.

So poi da fonte non dubbia che nel libro Rosso che si appresta per le prossime Delegazioni vedremo vari documenti, la cui pubblicazione non andrà gran che a sangue al Principe Gortchakow.

II linguaggio del Conte Andrassy non fu identico per quanto concerne l'Impero Germanico verso il quale non si cessa qui d'esser larghi in cortesie e cordiali dichiarazioni, comunque a mio credere, nulla di preciso si sia tra i due Gabinetti determinato.

434

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 821. Berlino, 12 maggio 1871 (per. il 16).

Le Prince de Bismarck a annoncé aujourd'hui au Parlement fédéral la conclusion de la paix aux conférences de Francfort, par un discours que je m'abstiens d'analyser, car le télégraphe et les journaux se chargeront de ce soin et me dévanceront. Je me borne donc à compléter les renseignements fournis par le Chancelier Impérial sur les dispositions principales du Traité. Grace à l'obligeance de M. de Thile, j'ai pu en prendre lecture et quelques notes très à la hate.

Art. I. Frontières. Comme dans les préliminaires du 25 février, sauf que, pour Belfort, le Gouvernement Allemand est disposé à élargir le rayon de distance de la ville à la frontière, de manière qu'il comprenne les Cantons de Belfort, de Delle et de Geromagny, ainsi que la partie occidentale du Canton de Fontaine, etc. etc. Toutefois cette cession n'aura lieu, qu'à la condition que la République française consentira à une rectification de frontière, le long des limites occidentales des Cantons de Cattenau et de Thionville.

Art. V. Voies de navigation. Les deux nations jouiront d'un traitement égal, en ce qui concerne la navigation sur la Moselle, le canal du Rhin à la Marne, le canal du Rhòne au Rhin, le canal de la Sarre, et les eaux navigables communiquant avec ces voies de navigation. Le droit de flottage sera maintenu.

Art. VI. Circonscriptions Diocésaines. Les Parties contractantes se concer

teront pour ces circonscriptions, qui doivent à leur avis coi:ncider avec la nou

velle frontière. Les communautés, soit de l'Eglise Réformée, soit de la Confes

sion d'Augsburg, établies sur le territoire cédé par la France, cesseront de

relever de l'Autorité ecclésiastique française.

Art. VII. Indemnité. Le paiement de 500 millions aura lieu dans les 30 jours qui suivron't le rétablissement de l'autorité du Gouvernement français dans la ville de Paris. Un milliard sera payé dans le courant de l'année, et un demi milliard au 1er Mai 1872. Les trois derniers milliards resteront payables au 2 Mars 1874. A partir du 2 Mars 1871, les intérets de ces trois milliards seront payés chaque année, le 3 Mars, à raison du 5 p. % par an.

Les paiements ne pourront etre faits que dans les principales villes de commerce de l'Allemagne, et seront effectués en métal, or ou argent, en billets de Banque d'Angleterre, de Prusse, d es Pays-Bas, de Belgique, ·en billets à ordre ou lettres de change, négociables de premier ordre, valeur comptant.

Evacuation des territoires occupés. Après le paiement du premier demi milliard, et la ratification du Traité définitif, les Départements de la Somme, de la Seine Inférieure, et de l'Eure, seront évacués, en tant qu'ils se trouveront encore occupés par les troupes allemandes. Quant'à l'évacuation des Départements de l'Oise, de Seine et Oise, de Seine et Marne, et de la Seine, ainsi que des forts de Paris, el,le se 1iera Lorsque Le Gouvernement AHemand jugera le 1·établissement de L'ordre, en France et dans Paris, suffìsant pour assurer L'exécution des engagements contractés par La France.

Les troupes allemandes, dans l'intéret de leur sécurité, auront la disposition de la zòne neutre située entre la ligne de démarcation allemande et l'enceinte de Paris, sur la rive droite de la Seine.

Art. IX. Traitement exceptionnel accordé pour l'importation en France des produits de l'industrie d-es terl'itoires cédés. Il sera maintenu pour 6 mois, depuis le ter Mars, dans les conditions stipulées avec les délégués de l'Alsace.

Art. X. Prisonniers de guerre. Le Gouvernement Allemand continuera à les faire rentrer, en s'entendant avec le Gouvernement français. Il est convenu que l'armée de Paris et de Versailles, après le rétablissement de l'Autorité du Gouvernement dans la capitale et jusqu'à L'évacuation des forts par les troupes allemandes, n'excédera pas 80.000 hommes. Jusqu'à cette évacuation, le Gouvernement français ne pourra faire aucune concentration de troupes sur la rive droite de La Seine.

Vingt mille prisonniers seront dirigés sur Lyon, mais ils devront étre expédiés immédiatement en Algérie, après leur réorganisation, pour etre employés dans cette colonie.

Art. XI. Relations comme1·ciales. Elles auront pour base le régime du traitement réciproque, sur le pied de la nation la p1us rfavorisée; sont compris dans cette règle, les droits d'entrée, de sortie, de transit, formalités douanières, admission et traitement des sujets des deux Nations, ainsi que de leurs Agents.

Sont exceptées de cette règle, les faveurs qu'une des Parties contractantes, par des traités de commerce, a accordées ou accordera à des Etats, autres que l'Angleterre, la Belgique, les Pays-Bas, la Suisse, l'Autriche et la Russie.

Dans .son discours au Reichstag, le Prince de Bismarck a expliqué ,pourquoi

l'Italie nommément n'était pas comprise dans la liste. Les traités de navigation seront remis en vigueur. Art. XVII. Négociations ultérieures et mtifications. Le règlement des points

accessoires, sur lesquels un accord doit encore etre établi, sera l'objet de négo

ciations ultérieures, qui auront lieu à Francfort. C'est également dans cette ville que se fera l'échange des ratifications, dans un délai de 10 jours au plus tard. Suivent trois articles additionnels:

Io. Le Gouvernement français usera de son droit de rachat des concessions faites à la Compagnie des chemins de fer de l',Est. Le Gouvernement Allemand payera, à titre d'équivalent, 325 millions de francs, somme qui sera défalquée de l'indemnité de guerre.

2°. Le Gouvernement Allemand est disposé à payer deux millions de francs, pour les droits et propriétés que possède cette meme Compagnie sur la partie de son réseau située sur le territoire Suisse, de la frontière à Bàle, si le Gouvernement Français lui en fait tenir le consentement, dans le délai d'un mois.

3<>. La cession de territoire auprès de Belfort, offerte par le Gouvernement allemand en échange d'une rectification de frontière demandée à l'Ouest de Thionville, sera augmentée des territoires de quelques villages: Rougemont, Levai, etc. etc.

Le Chancelier Impérial a déclaré se charger de communiquer ces arrangements à la Bavière, au Wurtemberg et au Grand Duché de Bade, et d'obtenir leur accession.

C'est à titre confidentiel, que M. de Thile m'a permis de prendre lecture du Traité, car on laisse à la France l'initiative de la publication.

C'est ainsi que les préliminaires du 26 février ont été convertis en Traité définitif, non sans subir des modifications, dont je n'ai pas besoin de relever l'importance. Elles constituent, dans leur ensemble, de nouvelles garanties pour l'exécution des clauses principales déjà arretées à Versailles. Le Gouvernement de M. Thiers survivra-t-il à un accord semblable? Les français auront-ils assez de sens politique, pour comprendre qu'il faut rendre justice au patriotisme d'un homme d'Etat, qui a du faire de si douloureux sacrifices afin de sauver le Pays de plus grands désastres? J'entends exprimer des doutes à ce sujet. Il risque fort de devenir le bouc émissaire des différents partis, dont les compétitions au pouvoir ne tarderont pas à se faire jour, maintenant qu'on a écarté la grande pierre d'achoppement, à savoir le còté odieux de signer une paix achetée à ce prix.

435

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. S. N. Versailles, 13 maggio 1871 (per. il 16).

Alcuni giornali francesi hanno pubblicato una lettera del Conte di Chambord, della quale mi pregio di mandar qui unita una copia all'E. V. (1). In questa lettera, che a quanto mi si assicura, è autentica, è specialmente notevole il paragrafo relativo alle guarentigie in favore dell'indipendenza del Papato. È infatti degno di particolare considerazione il modo con cui il rappresentante della Legittimità in Francia si esprime a questo riguardo, astenendosi dall'accennare

al potere temporale dei Papi ed al possesso di Roma e limitando il programma legittimista all'ottenimento di efficaci guarentigie per l'indipendenza del Papato. Devo notare del resto che la lettera del Conte di Chambord non produsse in Francia, per quanto mi risulta, nessuna impressione appl'ezzabile.

(l) Non pubblicata.

436

IL CONSOLE A SCUTARI, PERROD, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 96. Scutari, 13 maggio 1871 (per. il 21).

Ho l'onore d'informare l'E. V. che la Commissione Turca Montenegrina di delimitazione dei rispettivi confini composta dai Signori Negib Bey (turco) e Pero Pejovich (Montenegrino) partì oggi stesso da Scutari per Podgorizza onde riprendere gli interrotti lavori. Il Commissario Montenegrino ha per istruzione di prolungare il più che sarà possibile quel lavoro sollevando difficoltà di ogni specie ed il Commissario Turco è deciso a non cedere su qualsiasi punto in controversia, di modo che è probabilissimo che con una gran buona volontà da ambe le parti questo lavoro si troverà nello stato in cui si trovava la tela di Penelope e che il tempo si passerà molto più in discussione che in delimitazione.

437

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3712. Versailles, 14 maggio 1871, ore 23,20 (per. ore 10,15 del 15).

J'ai reçu votre lettre (1). Je crois que le Gouvernement français, présent ou futur, quel qu'il soit, ne donnera pas une approbation explicite à la loi des garanties, mais je vous réponds qu'il ne fera rien d'efficace contre. Dès lors, il me parait qu'il faudra se borner à lui communiquer la loi sans exiger de réponse. En attendant, je crois important que vous annonciez dès aujourd'hui au corps diplomatique le transfert du Gouvernement à Rome, sans commentaires. Le fort de Vanves a été occupé aujourd'hui par les troupes.

438

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. S. N. Versailles, 16 maggio 1871 (per. il 20).

Ho ricevuto il dispaccio che l'E. V. mi fece l'onore di dirigermi in data del 3 corrente sotto il N. 314 di Serie Politica (2) e che si riferisce ai proto

colli firmati dal Governo di S. M. intorno alla questione di Tunisi. Ho ugualmente ricevuto il memorandum relativo alla stessa questione che vi era annesso. Mi sono fatto premura di comunicare la copia di questi documenti a S. E. il Signor Giulio Favre ed ho chiamato sulla questione in essi trattata, l'attenzione di questo ministro, pregandolo ad un tempo di far poi conoscere al Governo del Re il di lui apprezzamento, ed esprimendo la speranza che il di lui giudizio, dopo la lettura dei documenti in discorso, non sarebbe diverso di quello del Governo del Re.

(l) -Cfr. n. 429. (2) -Cfr. n. 411.
439

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1539. Versailles, 16 maggio 1871 (per. il 22).

Col mio rapporto di questa serie n. 1454 in data del 24 marzo ultimo (l) ebbi a segnalare all'E. V. la parte prevalente che nell'opera rivoluzionaria onde uscirono prima il « Comitato centrale » e poi il « Comune di Parigi » spettava agli affiliati della nota « Associazione internazionale dei lavoratori ».

L'importanza di questa Società già da tempo non isfuggì al R. Governo il quale nel corso della state del 1870 incaricava la Legazione di S. M. di trasmettergli il rendiconto dei dibattimenti giudiziarj che allora avevano luogo nanti il Tribunale di polizia correzionale in Parigi nel processo contro un considerevole numero di membri dell'« Internazionale».

I rapidi progressi fatti in appresso dalla Società, la recente sua apparizione sulla scena della politica in azione, le proporzioni formidabili della rivoluzione di cui essa fu ed è l'anima crescono necessariamente interesse a tutto ciò che valga a mettere meglio in evidenza le sue origini, le sue tendenze, i suoi mezzi di propaganda. E'pperò spero di non fare cosa discara all'E. V. inviandole la copia di un cenno storico sull'« Associazione internazionale de' lavoratori » il quale fu compilato nel giugno del 1870 per ordine del Ministro Ollivier e comunicato ad akuni Governi esteri (2).

Molti nomi che l'E. V. troverà in quell'esposizione sono oggi qui al potere

o per la meno dal 18 marzo fino ad oggi apparvero momentaneamente nelle file dei Comunalisti.

Non è mio intendimento d'inviarle il qui unito fascicolo come un mezzo di polizia. Credo bensì che le tendenze dell'« Internazionale », oggi vittoriose in Parigi, possano sorgere con più o meno forza anche in altre contrade; credo segnatamente che non sia senza pericoli, oltre alla propaganda ordinaria, il ritorno ne' loro paesi degli uomini che dopo la dottrina videro qui e praticarono l'esempio.

In quest'ora istessa per la sola loro forza cade in una città di due mi·Iioni uno dei maggiori monumenti di gloria militare e nazionale che la terra abbia portati. Ma, secondo me, l'onore del prevenire essendo maggiore di quello del

reprimere, giova tener conto d'ogni informazione che permetta quella spontanea iniziativa di miglioramenti e di possibili concessioni della quale il Governo del Re si mostra in ogni occasione geloso.

(l) -Cfr. n. 29.3. (2) -Non rinvenuto.
440

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 229. Tunisi, 16 maggio 1871 (per. il 23).

Sebbene mi sia recato a doverosa premura di comunicare al Bey le nuove proposte per la composizione dell'arbitrato e la relativa procedura per il rifacimento dei danni nella tenuta della Gedeida (Dispaccio delli 5 andante N. 104) (l) non ho riuscito sino ad oggi a strappare da S. A. una risposta definitiva.

Avendo quindi luogo di ritenere la condotta del Governo tunisino come uno dei soliti trovati per temporeggiare, e rendere così illusoria la parte del 2° Protocollo riflettente quest'affare, in attesa delle superiori istruzioni, non mi rimane che a protestare nelle forme le più solenni.

Dopo l'accaduto ed il ristabilimento delle nostre relazioni ufficiali, io mi attendeva a maggiore correttezza e ad un poco più di buona volontà nel Bardo, ma vedo pur troppo che la stessa mala fede ed un sordo lavoro continuano a contrariare i nostri interessi. Senza parlare dei nuovi affari basti il dire che molti delli antichi di cui venne nel citato 2° Protocollo stipulato eziandio il regolamento, si trovano tuttavia all'istesso punto, null'altro ottenendo che belle parole e vane promesse.

D'altra parte il Bey che l'anno scorso m'interessava a far in modo di avere un telegrafo sotto-marino da Tunisi a Cagliari, ha in oggi risposto evasivamente alla dimanda fattagliene dall'Ingegnere Mazzoni e dall'Avvocato Savini, mentre sono assicurato che non ha guari concedette al Signor Pat, già impiegato presso di questo Consolato inglese la posa di un cordone elettrico da Tunisi a Malta.

Ora considerando la debolezza del Governo tunisino non saprei spiegarmi questo suo modo di agire che per effetto d'influenze straniere secondate dal Generale Khereddin, le cui tendenze sono abbastanza conosciute.

In questo stato di cose non isfuggiranno certamente a V. E. la difficoltà della mia posizione, e la necessità di sortire una volta dal circolo vizioso in cui sono costretto ad aggirarmi.

441

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RISERVATO 237. Pietroburgo, 17 maggio 1871 (per. ii 24).

Io debbo pregare l'E. V. d'avermi per iscusato se il carteggio di questa Legazione non si stende gran fatto sulle cose di Roma, poichè l'attitudine di questo Gabinetto rispetto alla questione romana serba pure quel carattere che

s'ebbe fin da principiO rispetto ad essa, quello cioè di un astenimento assoluto che somiglia quasi aWindifferenza. n principe Gortchakoff evita di parlarne di piè fermo e di enunciare a tal riguardo nessuna chiara e decisa opinione; non crede alla conferenza, nè ad un ingerimento diplomatico, che possa riuscirei troppo molesto. Toccai con esso della nota Austriaca, diretta all'E. V. nello scorso Marzo e di cui il conte Chotek mi aveva data comunicazione, e notai che quantunque nella sostanza non avesse nulla di ostico, e di preciso a danno nostro, conteneva pure, laddove è parola dell'allarme e della impressione doLorosa del mondo Cattolico, alcuna espressione che non indicava sensi molto favorevoli alla politica nazionale d'Italia. Mi rispose che l'avea letta anch'egli, e senza mostrare di farne gran caso, non espresse pure verun chiaro avviso intorno a questo. Ripetè solo celiando un motto che egli suole ripetere quando s'abbatte a discorrere del Cancelliere Austro-Ungarico, lo comparò, cioè scusandosi della famigliarità poco diplomatica del suo dire, alla Zerlina del D. Giovanni di Mozart, e ricordò le parole dell'aria «Vorrei e non vorrei»! Insomma, Signor Ministro, la politica della Russia in ordine alla controversia Romana, si riassume (per ora almeno) in questa formola semplicissima: non far nulla e non dir nulla.

Ne ragionai ancora, a non lasciar nessuna via inesplorata, col Signor Kapniste, reduce in questi giorni a Pietroburgo. Egli ancora alla Conferenza non crede nè poco nè molto: la voce sparsane, mi disse, fu occasionata dal colloquio occorso ben due mesi fa fra il Bray ed il Bismarck, e da uno scambio di idee tra Vienna e il potere esecutivo di Versailles; ma il primo tentativo non riuscì che ad un accordo sul partito di non venire per il presente ad alcuna determinazione, ed il secondo, sul quale certamente l'E. V. è troppo meglio informata che non si possa a Pietroburgo, non mirava che a sottrarre, secondo il Signor Kapniste, i due Governi alla pressione che gli agitatori cattolici vanno esercitando sopra di loro, non già ad opporsi effettualmente all'operato del R. Governo. E soggiungevami che nella sua opinione sul poco zelo, e sul.la poca solerzia che dimostrerebbe l'Europa, nella fase presente del conflitto Romano, lo confermava la cognizione che Egli avea dei sentimenti personali del Cardinale Antonelli, a cui aveva udito esprimere un avviso contrario al disegno della Conferenza da cui non poteva riuscire che il partito di una transazione, e della rinuncia della sedia di Roma alla maggior parte dei vantati suoi diritti, transazione e rinunzia che, pur nei termini in cui è venuta, la Corte di Roma, perfidia [sic] pur sempre a voler rigettare, sperando tuttora da imprevedute contingenze, e dal prorompere di sconsigliate passioni occasione a ricuperare la mala Signoria che ha perduto.

(l) Non pubblicato.

442

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3719. Versailles, 18 maggio 1871, ore 11,35 (per. ore 13,45).

Veuillez m'envoyer quelques autres exemplaires français de votre discours au sénat. Il serait aussi utile de faire imprimer la traduction française de la loi des garanties.

Je vous conseille d'annoncer sans retard et sans commentaires au corps dtplomatique que le mi.nistère des affaires étrangères sera transféré à Rome. Je crois qu'on ne vous fera aucune observation ni difficulté, nulle part.

443

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 595/216. Londra, 18 maggio 1871 (per. il 23).

A conferma della corrispondenza telegrafica che ebbi con codesto Ministero

a riguardo delle mie relazioni con S. M. l'Imperatore Napoleone dopo il suo

arrivo in Inghilterra, ho l'onore di farne il seguente rapporto.

Le telegrafai il 17 Marzo p. p. (l) che l'Imperatore Napoleone sarebbe giunto in Inghilterra il 20 di quel mese. Il Principe Napoleone aveva preso una casa in Londra ove fra uno o due mesi sarebbe pure venuta S. A. I. la Principessa Clotilde. Ella sapeva già che S. A. I. il Principe Napoleone, al quale S. M. il Re aveva dato il titolo di Conte di Moncalieri, era stato a visitarmi, che Egli era in relazioni con me e che, in seguito alle istruzioni che io aveva ricevute dal Governo, io faceva visita ai Principi della famiglia d'Orléans. La pregava a volermi significare se io dovessi pure iscrivere il mio nome presso l'Imperatore Napoleone e se, venendone l'opportunità, dovessi farmi presentare al medesimo come aveva fatto coi Prindpi d'Orléans, i quali io incontrava sovente nella Società e da alcuni dei quali aveva pure ricevuto degli inviti.

Col di Lei telegramma del 18 Marzo (1), da me ricevuto il successivo giorno 19, Ella mi risponde che non vedeva inconveniente a che io avessi delle relazioni di cortesia con S. M. l'Imperatore Napoleone, come io le aveva coi Principi della casa di Orléans. 'Ella non dubitava che io saprei condurmi in modo da fare ciò che richiedevano le relazioni intime che erano esistite fra l'Imperatore e S. M. il nostro Re, senza fornire pretesti a sospetti del Governo Francese attuale e cortesemente soggiungeva che aveva la più grande confidenza nella mia prudenza a questo riguardo.

Con altro di Lei telegramma che non portava data, pervenutomi il 10 Aprile

p. p. (1), Ella mi significò che il Re mi pregava di far pervenire all'Imperatore Napoleone i suoi ringraziamenti per l'invio fattogli del suo libro sull'organizzazione dell'armata Prussiana. Ella soggiungeva che se io lo credevo conveniente avrei potuto cogliere quest'occasione per fare una visita all'Imperatore.

Io le rispondeva con telegramma del 19 Aprile (l) che mi ero già recato a Chislehurst (abitazione dell'Imperatore) all'indomani stesso del suo arrivo in Inghilterra, ove mi era inscritto nel registro dei visitanti; che aveva con mezzo particolare e confidente fatto offrire i miei servigi alla persona di S. M. la quale aveva gradita questa offerta. Quantunque l'Imperatore fosse allora indisposto di salute io aveva tosto domandato un'udienza onde eseguire gli ordini del Re ed aveva tosto ricevuto risposta dal suo particolare Segretario per la

quale mi era, per ordine dell'Imperatore stesso, significato che, tostochè egli fosse ristabilito in salute, mi avrebbe fissato un giorno ed un'ora in cui mi avrebbe ricevuto, e che mi avrebbe ricevuto con piacere. Io mi riservava perciò d'informarla dappoichè questo ricevimento avesse avuto luogo.

Essendo stato prevenuto dal Primo Scudiere dell'Imperatore che S. M. mi avrebbe ricevuto il 16 del corrente mese, io resi conto a V. E. della mia visita con mio telegramma dello stesso giorno (l) a conferma e ad ampliazione del quale, ho l'onore di significarle quanto segue:

Avendo presentato all'Imperatore i ringraziamenti di S. M. il Re, secondo l'ordine che ne aveva ricevuto, l'Imperatore mi disse che difatti aveva mandato a S. M. il Re un esemplare del suo scritto sull'organizzazione dell'armata Prussiana il quale aveva fatto per occupare g1i ozii di Wirlhelmshohe. Si mostrò sensibile all'ambasciata che gli faceva a nome del Re e mi disse che mi pregava di ringraziarlo. A riguardo degli avvenimenti della Francia egli si limitò a deplorare gli eccessi che vi si commettevano e lo stato deplorabile del Paese, mostrandosene sensibilmente tocco.

Mi domandò poscia come andavano le cose in Italia e specialmente gli affari di Roma ed avendo io risposto come tutto vi fosse tranquillo e procedesse con ordine e senza scosse, o commozioni, o d~sordini, egli mi disse con accento marcato: «In Italia, nel popolo Italiano, c'è molto buon senso».

Io non so se mi sia ingannato ma mi parve dall'accento con cui l'Imperatore pronunziò queste parole che esse contenessero non solo un giudizio ma anche un'allusione.

La mia conversazione fu piuttosto breve ed in essa l'Imperatore fece prova di molta bontà e cortesia. Lasciando S. M. lo pregai di volermi tenere al servizio della sua persona ed Essa me ne ha ,con gentilezza ringraziato.

L'Imperatore è assai meglio di sa•lute, ma, 'Come egli stesso mi disse, soffriva tuttora alquanto pei suoi dolori reumatici che rendono un po' difficili i movimenti della sua persona.

Avendo chiesto al Duca di Bassano, Gran Ciambellano, se avrei potuto avere l'onore di ossequiare l'Imperatrice fui introdotto presso la medesima tosto dopo la mia visita all'Imperatore. S. M. l'Imperatrice mi trattenne per più di mezz'ora ed ebbi da Lei il più cortese accoglimento.

Essa parlò molto degli avvenimenti della Francia •ed anche dell'Italia, indicando fatti, facendo giudizi ed apprezzamenti tanto del passato che per l'avvenire. Fece anche confronti fra fatti riguardanti l'Italia ed altri riguardanti la Francia per trarne delle induzioni. Mi disse poi apertamente che Essa riteneva come cosa certa che suo figlio avrebbe regnato sulla Francia; forse, mi disse, non sarà che dopo cinque, dieci, venti anni; ma ciò succederà certamente.

Non occorre che Le dica che su di ciò ed anche sopra altri pronostici del

l'avvenire, sui quali pareva che l'Imperatrice desiderasse da me l'espressione

dei miei pensieri e la comunicazione delle idee che mi aveva manifestato il mio

Collega il Cavalier Nigra, mi tenni nella più assoluta riserva.

L'Imperatrice mi espresse la sua riconoscenza per la prova di amicizia che

la famiglia Imperiale aveva ricevuta dal Cavalier Nigra. Ella fu molto affabile

e si mostro sensibile alla mia visita. Sì Essa che l'Imperatore cui chiesi notizie del Principe Imperiale mi dissero che era in buona salute. Anche l'Imperatrice come già l'aveva detto l'Imperatore, sta bene, sebbene mi parve che gli avvenimenti che ha attraversato abbiano esercitato qualche influenza su di Lei.

Ho ragione di credere che la mia visita sia stata gradita e dopo di essa ho ricevuto le carte delle persone che mi procurarono questa udienza e che mi introdussero presso l'Imperatore e l'Imperatrice.

(l) Non pubblicato.

(l) Non pubblicato.

444

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI RAPPRESENTANTI DIPLOMATICI ALL'ESTERO

CIRCOLARE 92. Firenze, 20 maggio 1871.

Ma dépeche circulaire du 18 Octobre 1870 (l) vous a indiqué en traits généraux la conduite que le Gouvernement du Roi se proposait de suivre par suite de l'annexion de Rome à l'Italie. Les idées contenues dans cette dépeche ont servi de base au projet de loi ,qui vient d'etre approuvé, avec quelques modifications, par le Parlement et sanctionné par le Roi. Vous trouverez ci-joint une traduction de cette loi (2).

Vous avez sans doute, Monsieur, suivi avec attention les discussions qui ont eu lieu dans les deux chambres à ce sujet. Elles forment naturellement le meiUeur ~commenta,ire de la loi. J'ai du moi aussi exposer dans plusieurs discours, dont je vous ai transmis le texte, la pensée du Gouvernement sur ces questions importantes et délicates. Vous etes donc à meme de donner dès à présent, à ceux qui en exprimeront le désir, des renseignements exacts sur le sens de chacune des dispositions de cette loi.

Les considérations succintes que je vais vous exposer ont moins pour but d'expliquer de nouveau nos intentions et nos sentiments, que de prédser le caractère de la communication que nous croyons devoir faire au Cabinet de..... de la loi ci-jointe.

Parmi les signes caractéristiques de l'époque actuelle, il n'y en a pas de

plus digne d'etre remarqué que la tendance constante, d'un còté du pouvoir

civil, de l'autre du pouvoir spirituel, à réclamer une entière indépendance. La

lutte résultant de cette tendance égale de deux pouvoirs si différents par leur

nature, leur origine et leur sphère d'activité, a eu surtout pour théatre Rome

et l'Italie.

L'Italie obéit donc en quelque sorte à la loi historique qui a présidé à la

formation de sa nationalité, en s'efforçant d'établir un équilibre entre deux

forces, qui sont toutes les deux impérissables, car elles sont également néces

saires à l'humanité. Dans cette ceuvre, nous avons du prendre pour base l'orga

nisation actuelle de l'Eglise. Nous bornant scrupuleusement au domaine de la

politique, nous nous sommes inspirés des idées, si généralement admises de nos

jours, sur la division des attributions et des fonctions sociales, et nous nous

sommes efforcés d'arriver à l'harmonie par la liberté. Avant tout, l'ltalie a eu soin de respecter dans le Pape son caractère de Souverain Pontife. Le premier titre de 1a loi du 13 Mai reconnait au St. Père toutes les attributions de la souveraineté. Il le maintient dans des conditions d'indépendance absolue vis-à-vis de tous les pouvoirs. Il lui conserve tous les moyens réguliers d'avoir avec les fidèles des rapports constants, qui sont soustraits à tout contròle. Enfin, la loi du 13 Mai en reconnaissant l'existence d'un Corps diplomatique accrédité auprès du St. Pèr-e, ainsi que le droit de continuer à envoyer des Nonces aupvès des chefs des autres Gouvernements, laisse intacte la grande situation que le droit public de l'Europe a reconnue au Pape, pour ce qui regarde l'exercice de Sa haute mission spirituelle.

Le Gouvernement du Roi a donc fait spontanément tout ce qui dépend de lui pour sauvegarder les grands intérets de la religion catholique. Ce que l'opinion publique pouvait justement réclamer de nous, nous l'avons fait d'accord avec le Parlement et avec la nation. Les fidèles de tous les pays sont désormais assurés que le chef de leur religion n'est soumis à aucune juridiction, qu'il est souverain dans l'exercice de ses hautes attributions, que aucun empechement ne sera mis à la publication ni à l'exécution de ses décisions. Aller au delà, prétendre que le salut des fidèles a pour condition nécessaire l'asserviment d'une population, ce serait soutenir une thèse aussi funeste pour la morale et la religion que pleine de dangers pour la politique.

Notre désir est donc de faire connaitre à l'Europe que rien n'est changé au point d-e vue du droit public dans la situation de la Papauté, en ce qui touche son pouvoir spirituel. C'est dans ce but que nous portons à la connaissance du Cabinet de ... la loi qui vient d'etre promulguée. Cette loi n'est en effet, dans sa première partie, qu'une reconnaissance explicite et formelle des prérogatives et des honneurs que le droit international accorde à la Papauté.

La seconde partie de la loi a un but différent. Remplissant des promesses mémorables, le Roi et le Parlement ont pensé que, s'il suffisait, à la rigueur,

de maintenir les préeminences et la liberté d'action inhérentes à la souveraineté spirituelle du Pape, il était digne de l'Italie de faire un pas de plus. Cette liberté dans la nomination des ministres du Culte, liberté que le St. Siège a cherché à revendiquer dans tous les pays, avec un succès qui n'a pas toujours répondu à son attente, le Roi d'Italie la lui ac'corde spontanément. Toutes les mesures préventives de contròle, suggérées par le désir de défendre la société civile contre les empiètements du pouvoir spirituel, sont désormais supprimées en Italie. Le Gouvernement du Roi entend donner ainsi un gage de conciliation, une preuve de confiance dans la sagesse du St. Père et dans l'élévation de ses sentiments. Ces innovations ne touchent qu'à notre droit ,intérieur. Cependant les autres Gouvernements y verront le témoignage de notre désir sincère et profond d'arriver à un accord durable avec la Papauté. L'Europe assistera sans doute avec intérèt à l'expérience, qui va se faire pour la première fois en Italie, de la séparation complète, de l'indépendance réciproque de l'Eglise et de l'Etat. Cette expérience ne sera pas sans difficultés, peut etre mème sans dangers: mais en tout cas, ces difficultés et ces dangers ne seront jamais comparables à ceux qui résultent de la confusion des deux pouvoirs. L'histoire de l'Italie suffirait à le démontrer. Aussi ·env-isageons nous l'avenir avec confiance, car nous pouvons affirmer que le St. Père ne saurait étre nulle part plus indépendant, et que l'Eglise n'est dans aucun pays plus libre qu'en Italie.

(l) -Cfr. serie II, vol. I. n. 282. (2) -Non pubblicata.
445

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA

(Ed. in Le Ca1·te di Giovanni Lanza, vol. VII, pp. 105-106)

L. P. Roma, 20 maggio 1871.

Ho pensato maturamente alla nostra conversazione di jeri sera e non ho potuto che confermarmi nel pensiero che le esposi.

Quando il Ministero si costituì, nelle circostanze che è ora inutile rammentare, esso si presentò al Parlamento piuttosto in nome delle proprie idee che di un partito, e aspettò che intorno a queste idee si formasse una maggioranza per appoggiarlo. Per parte mia, diedi volentieri il concorso del quale era richiesto perchè, date le idee sulle quali il Gabinetto s'era accordato, avevo fiducia che il mio partito sarebbe venuto a far parte della maggioranza che si trattava di costituire. Io non nascosi mai che era appunto in nome di questa fiducia ch'io entravo nel Gabinetto e che avrei considerata la mia situazione come inaccettabile e falsa il giorno in cui il Ministero avrebbe trovato una maggioranza indipendentemente dal mio partito dal quale credevo mio dovere il non separarmi.

L'esperienza fu fatta, essa riuscì e il risultato corrispose alla mia fiducia. Da un anno e mezzo il Ministero vive coll'appoggio concorde delle due frazioni che costituiscono nella Camera il partito liberale moderato; ed oramai esso non può fare astrazione da questo passato e dalla maggioranza della quale ha chiesto ed ottenuto il concorso.

Ora, jeri Sella, in nome del Gabinetto e alla vigilia d'una discussione finanziaria in cui è posta la quistione di Gabinetto, ha ammesso la possibilità di appoggiarsi tanto sulla maggioranza che ci ha seguiti sinora, come su un'altra maggioranza composta d'altri elementi. Ella ha troppa equità d'animo e di giudizio per non riconoscere che, malgrado tutta la mia amicizia per Sella, io non posso accettare a priori questo programma e non posso dividerne la responsabilità. Prima del discorso del Sella, poteva attendere che questa eventualità si producesse per pigliare in seguito il mio partito, ma ora che questa eventualità è preventivamente accettata bisogna che ricusi fin d'ora la mia adesione altrimenti non potrei più tardi respingere le conseguenze di un fatto che avrei sin d'ora ammesso in principio.

Io sento, e sento vivamente, i vincoli creati fra noi durante la vita fortunosa del nostro Ministero; ma io mi rivolgo a Lei con fiducia perchè, in fatto di delicatezza politica, Ella è un giudice troppo competente. Ed è colla stessa fiducia e per la stessa ragione che mi rivolgo al nostro amico Sella. Se Sella può fin d'ora ottenere un accordo preventivo fra lui e la maggioranza, io non ho più nulla a ridire, perchè l'eventualità lasciata da lui intravvedere sarà stata

31 -Documenti cliplomatici -Serie II -Vol. II

per tal modo e in prevenzione scartata da questo accordo, ma, se ciò non avviene, non mi sarebbe possibile attendere il risultato della votazione sulla legge finanziaria.

446

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 73. Vienna, 20 maggio 1871 (per. il 23).

Indi al mio rapporto n. 70 (4 Maggio corrente) (1), altri indirizzi al Sovrano ed al ministero si son succeduti con frequenza: il più importante è al certo quello de' 28 Prelati, del quale l'E. V. ha senza dubbio conoscenza e che riassumesi nell'implorare la potente iniziativa dell'Imperatore onde con ogni mezzo si ritolga all'Italia quanto prima apparteneva all'ex Stato della Chiesa. L'indirizzo fu presentato da alcuni Vescovi, con a capo il Cardinale Rauscher, a S. M., la quale li confortò pel momento con espressioni di deferenza e devozione pel

S. Padre e rimise quindi il documento al Conte Beust perchè ne riferisse.

Essendomi ieri stato detto dal Barone di Aldemburg come la sola risposta del Sovrano all'Indirizzo fosse la comunicazione al Cardinale Rauscher delle istruzioni impartite al Conte Kalnoky, mi faccio premura d'informarne l'E. V. Tale determinazione non fu presa che pochi giorni fa, e ne fu ordinato l'eseguimento dal Cancelliere che trovasi a Gastein fino a domani.

447

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA

(AVV)

L. P. Firenze, 22 maggio 1871.

lo vedo piuttosto di rado il Conte di Choiseul, che conduce a Firenze una vita alquanto solitaria. Nei colloqui però che ebbi in questi ultimi giorni con lui, egli mi manifestò con insistenza una preoccupazione dell'animo suo, preoccupazione che aveva già dato occasione di notare ad altri che avevano parlato solo della situazione politica. Egli mi disse che il suo desiderio era che si stabilissero ·fra i due paesi ,Je migliom relazioni, che tale era anche il desiderio del suo Governo. Ma a lui pareva ogni giorno più di avvedersi che v'era in Italia un sentimento di ostilità verso la Francia, che questo sentimento trapelava da mille sintomi, trapelava poi sopratutto dal linguaggio dei giornali i cui articoli gli erano segnalati dai Consoli francesi delle varie città d'Italia. Egli sapeva che quando un paese è infelice non può fare conto sulle simpatie degli altri paesi, ma non si sapeva spiegare questo sentimento d'ostilità che gli pareva ravvisare dovunque. Gli italiani che sono noti per il loro senso politico dove

vano pur scorgere gli interessi comuni che, nelle nuove condizioni politiche dell'Europa, dovevano riunire fra di loro l'Italia e la Francia e offrivano la base dei loro futuri rapporti. Ora perchè questa diffidenza e questi timori chimerici verso la Francia? Egli mi aveva già detto che la politica francese non aveva alcuna arrière pensée rispetto all'Italia nella questione di Roma. Noi non potevamo chiedere nulla di più e quando pensavamo al passato, alle tradizioni, alle condizioni politiche della Francia, dovevamo, per un sentimento di giustizia, tener conto delle difficoltà del Governo francese nella questione romana e comprend.ere le ragioni di una certa riserva di attitudine e di linguaggio. Il conte di Choiseul mi parlava di tutto questo come un uomo turbato da una preoccupazione che passava un poco allo stato d'idea fissa. Era un po' difficile far riuscire a qualche risultato pratico una questione posta in termini così vaghi. L'Italia ama la Francia, l'Italia non ama la Francia, queste discussioni appartengono piuttosto alle dispute degli innamorati che alla politica.

Io cercai di ricondurre il Conte di Choiseul ad un più giusto apprezzamento della verità delle cose, parlandogli con molta franchezza che m'era resa d'altronde più facile, perchè tutti conoscevano in Italia le mie simpatie .per la Francia e Choiseul stesso non le ignorava. La vera situazione in Italia, gli dissi, per quanto riguarda i rapporti colla Francia, è molto semplice. Che cosa desidera l'immensa maggioranza degli italiani ora che abbiamo raggiunto il nostro intento nazionale? Desidera la tranquillità, desidera di poter avere quel sentimento di sicurezza che ci è necessario per sviluppare il benessere interno e le nostre forze materiali e morali. Questa è la vera disposizione degli spiriti in Italia. Ora tale sentimento di sicurezza in Italia non è completo; lo riconosco. E perchè? In Italia vi sono molte e vive simpatie per la Francia, si può dire che, nelle classi elevate, queste simpatie sono generali. L'Italia desidera che la Francia riprenda il suo posto in Europa. Ma v'è in questo paese un'impressione, un presentimento ed è che non già noi alla Francia, ma che la Francia sarà a noi ostile nel.l'avvenire per gli affari di Roma. Il Governo può essere rassicurato dalle dichiarazioni che il Governo francese ci ha fatto più volte pervenire, ma questa impressione rassicurante non è ancora penetrata nel paese. Non parlo dei giornali. Non so che cosa dovrei dire delle disposizioni francesi verso di noi, se dovessi giudicarne dai giornali che a me pure mandano i nostri Consoli, specialmente dal mezzogiorno della Francia dove repubblicani e legittimisti si accordano a coprirci di vituperii. Ma v'è una osservazione che è impossibile non fare. Questa stampa è la medesima che ha sollevato contro di noi tante recriminazioni nell'opinione pubblica in Germania per le sue simpatie francesi. Che cosa ci ha rimproverato e ci rimprovera la Germania? Che, durante la guerra, la stampa italiana ha, per così dire, manifestato per tutti i pori le simpatie dell'Italia per la Francia. Ora se è vero che da questa stampa traspira un aura di sospetto, è perchè essa riflette le incertezze e i dubbi che occupano lo spirito pubblico nel paese. Non fa bisogno di un gran senso politico negli italiani perchè essi comprendano che le difficoltà della questione romana saranno composte quando le buone relazioni fra !'<Italia e la Francia fossero consolidate in modo che gli affari di Roma non potessero in alcun modo turbarle. Non sono dunque solo le memorie del passato e i sentimenti, ma gli interessi che ci fanno

desiderare l'amicizia cordiale ed intima dei due paesi. L'impressione che ora esiste e che il Conte di Choiseul rimarca è, egli afferma, un malinteso, il frutto di un timore chimerico. lo gli dissi che ne era convinto per parte mia e poichè era un malinteso, il tempo lo avrebbe dissipato. Certo se si fosse presentata pel Governo francese l'occasione di qualche atto, di qualche manifestazione che dissipasse ogni equivoco, le disposizioni dello spirito pubblico in Italia muterebbero come per incanto e si vedrebbe svolgersi, quello che è nella tendenza naturale del paese, vale a dire una corrente di simpatia verso la Francia. Già in altri paesi manifestazioni di questo genere ebbero luogo, dalle quali risultava più apertamente una politica aliena da ingerenze nelle questioni nazionali dell'Italia. A Berlino, e in nome della Germania, ci fu la manifestazione del Parlamento Germanico la quale produsse certamente una viva e profonda impressione sull'opinione italiana. In Austria il Governo in più occasioni non si peritò a dichiarare una politica rassicurante ed amichevole per l'Italia. lo comprendo le difficoltà speciali in faccia a cui si trova il Governo francese, mi faccio ragione dei motivi della riserva del silenzio che deve serbare e che mi erano esposti dal Conte di Choiseul. Ma in tal caso bisognava tener conto di questa circostanza, bisognava che il Conte di Choiseul aspettasse dal tempo e da una più lenta esperienza la cessazione di quella incertezza e di quelle apprensioni che egli lamentava, poichè evidentemente il silenzio non .poteva avere gli stessi effetti utili di manifestazioni più esplicite e più rassicuranti. Infine dissi al Conte di Choiseul che poichè la causa dei buoni ed intimi rapporti fra i due paesi era cara ad ambedue io lo pregavo d'associarsi ai nostri sforzi per raggiungere e porre fuori di dubbio questo risultato.

Ho voluto riferirvi queste mie conversazioni col Conte di Choiseul, quantunque esse non abbiano per verità una portata pratica. Ma, come vi ripeto, mi sembra che queste preoccupazioni piglino un po' nella sua mente il carattere d'una idea fissa, temo che sia questo il tema dei suoi rapporti e forse potrete avere occasione di correggere le impressioni che ne potessero ricevere gli uomini dell'attuale Governo francese.

(l) Cfr. n. 414.

448

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA

(AVV)

L. P. Firenze, 22 maggio 1871.

Leggerete, nella spedizione d'oggi, i rapporti relativi alle cose di Civitavecchia (1). Il Conte di Choiseul mi manifestò il suo dispiacere che il risultato del processo sul deplorabile incidente del 9 Aprile non sia stato corrispondente, a suo avviso alla gravità del fatto. Vi manderò, appena l'avrò, domani o domani

l'altro, la sentenza del tribunale. Solo vi dirò che le risultanze delle deposizioni e dei processi non solo non constatarono che i due processati fossero i reali

autori delle ferite arrecate ai due marinai, ma esclusero anzi che fossero essi gli autori, benchè fosse provato che essi presero parte a una rissa avvenuta prima in un caffè e poi in strada. Il tribunale li ha dunque condannati uno a un mese e l'altro a tre di carcere in forza dell'Art. 565 del Codice penale. «Se le ferite etc. furono commesse in rissa, nè si conosce il preciso autore del ferimento, tutti quelli che hanno portato la mano sul ferito o si sono resi in altro modo colpevoli nel fatto del ferimento sono puniti; se il fatto ha carattere di crimine, col carcere estensibile a sei mesi, se ha il carattere di delitto, col carcere estensibile a mesi tre». Ma perchè possiate, occorrendo, farvi una idea esatta della cosa, vi spedirò il processo.

Voi sapete dai rapporti che vi ho, altra volta, communicati che risse e ferimenti avvennero più volte fra individui del paese e i marinai dell'Orénoque che si trova da più anni a Civitavecchia. Sapete anche dai rapporti stessi come avvenga ora, dopo tutti questi precedenti colà quello che avviene talvolta nei porti, vale a dire che uno stato di antagonismo e di irritazione si stabilisce fra una parte della popolazione e l'equipaggio di un bastimento. Quando lessi i rapporti di cui oggi vi mando copia e sopra tutto quello che si riferisce a insolenze di questi marinai verso ufficiali dell'esercito mi recai io stesso dal Ministro di Francia e gli dissi che nell'interesse appunto di quei buoni rapporti di cui egli mi aveva più volte espresso il desiderio credevo di chiamare la sua attenzione su questo stato di cose. Gli lessi anzi il rapporto di cui vi ho parlato testè. Quando in un porto si stabiliscono questi antagonismi, queste reciproche anHpatie, malgrado il buon volere degli ufficiali da un lato e delle autorità da un altro, sono sempre a temersi degli incidenti deplorabili, se non se ne tolgono le cause e se non si taglia corto ad una situazione che, un giorno o l'altro, produce le sue conseguenze. Dissi al Conte di Choiseul che, quanto ai fatti che mi erano r1feriti contavo che gli ufficiali dell'Orénoque avrebbero mantenuta la disciplina, ma che, senza fargli alcuna richiesta, gli domandavo se non sarebbe stato utile, per prevenire ogni inconveniente, di rimpiazzare a Civitavecchia l'Orénoque con qualche altra fregata il cui equipaggio non avesse questi precedenti pericolosi ne' suoi rapporti colla popolazione.

Il Conte di Choiseul mi disse che ne avrebbe scritto al suo Governo, ma che gli pareva che se il risultato del processo avesse dato ai fatti del 9 aprile una sufficiente riparazione, la cosa sarebbe stata facile e naturale, ma che, nello stato attuale delle cose, gli pareva che ci potessero essere in giuoco delle suscettibilità di cui mi dovevo rendere conto. Gli risposi che, in primo luogo, io non formulavo una domanda, che tanto sull'Orénoque come su un'altra fregata v'era sempre la stessa bandiera francese, che quando in un porto si crea una condizione di cose come quella che gli segnalavo, il mutare, dopo una lunga stazione, un bastimento con un altro non diventava tanto un affare politico, come un affare stesso di servizio. Certo si potevano lasciare andare le cose per la loro china. Se i marinai provocheranno reclameremo noi, se saranno provocati reclamerete voi, ma mi pareva che sarebbe stato bene il prevenire le cagioni dei reciproci reclami, e, dopo i colloquii dei giorni scorsi, il Conte di Choiseul avrebbe certamente reso giustizia al sentimento che mi aveva consigliato a chiamare la sua attenzione su questo argomento. Leggendo i rapporti che vi mando proverete voi pure, ciò che provai io stesso, l'inquietudine che un giorno o l'altro non sorga qualche incidente disgustoso, che, nelle circostanze attuali e in una situazione delicata, piglierebbe una spiacevole portata politica.

Lascio a voi il giudicare se dobbiate farne parola al signor G. Favre. Se si potesse togliere questa cagione di .possibili pericoli ne sarei lieto assai e rassicurato.

In questi giorni avvenne a Roma un incidente del quale si fece gran rumore. I giornali clericali e primo l'Osservatore Romano che è l'organo del Vaticano, annunciarono che, in seguito ad una dimostrazione di biglietti di visita all'Ambasciatore di Francia organizzata dai clericali, il Conte di Harcourt si era recato a .far visita al Marchese Cavalletti, già Senatore di Roma prima del 20 settembre, per ringraziare di questa manifestazione cittadina quelli che, agli occhi suoi, era ancora il legittimo rappresentante della cittadinanza romana. Potrete credere l'impressione che fece questa notizia data con piena sicurezza dagli organi del partito clericale. Vi unisco un articolo del Diritto, giornale abbastanza moderato per darvene un'idea. Mi si voleva faTe un'interpel:lanza alla Camera che riuscii ad evitare. Fortunatamente l'ambasciata di Francia fece inserire in un giornale una rettificazione che vi sarà oggi spedita. Prima di questa rettificazione ne feci qualche parola a Choiseul, dicendogli però che non intendevo sollevare alcun incidente. Choiseul mi mandò in seguito una lettera che aveva ricevuta dal Conte di Harcourt nella quale ei toglieva al fatto ogni portata politica.

Del resto il mio partito è di avere una pazienza a tutta prova e portare una buona volontà attenta e instancabile a prevenire ogni soggetto di irritazione, a togliere di mezzo ogni malinteso e a fare tutto quanto sarà possibile per mantenere le buone relazioni con la Francia. Ci riusciremo? Direi di si; se dipendesse da noi soli.

(l) Non pubblicati.

449

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI INTERNI, CAVALLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. CONFIDENZIALE 1938. Firenze, 22 maggio 1871.

Penetrato della malefica influenza che eserciterebbe sulle classi operaie la instituzione nel Regno dell'Associazione Internazionale sulle basi di quella esistente in Inghilterra questo Ministero non ha mancato di preoccuparsene sempre con una cura speciale.

Però dalle indagini che a più riprese fece praticare al riguardo, ha potuto convincersi che essa associazione non ha attecchito sin ora in Italia.

Vi esiste bensì in Firenze un'associazione che si denomina Democratica Internazionale, la quale si compone di 50 circa soci, ma nulla induce a credere che essa sia un'associazione della vera Società Internazionale, e neppure che travisi colla medesima in rapporti.

La Società Democratica di Firenze non ha fondi e per la qualità delle persone che la compongono non esercita alcuna influenza. Inoltre havvi scissura tra i soci i quali succede di rado che s'accordino sopra un progetto; onde è a ritenersi che si estinguerà tra non molto.

Democratico radicali sono i principi ai quali essa si informa, ma tutta la sua opera si restringe ad aspirazioni di veder trionfare tali principi.

Di quando in quando manda qualche indirizzo, tra cui quello diretto non ha guarì alla Comune di Parigi, di cui trattava appunto la nota di cotesto Minist€ro del 5 andante mese n. 91 Registro Francia (1), ma anche questo atto fu un nuovo motivo di scissura tra i sociì, poichè non da tutti era diviso il pensiero di compierlo.

In questi ultimi anni e specialmente sul finire del 1868, e sul principio del 1869, venne segnalata a questo Ministero la partenza dall'estero per il Regno di agenti dell'Internazionale incaricati di trovar modo di stabilirla anche in Italia, svolgendo la loro azione nei centri principali come Torino, Milano, Napoli, Palermo, ma dalle investigazioni che nel tempo furono fatte praticare, non si è potuto acquistare la certezza dell'arrivo dei medesimi. Ad ogni modo se vennero, la loro opera deve essere riuscita insufficiente.

Né a ciò si limitarono le investigazioni di questo Ministero, che le ha estese anche a tutti gli scioperi di operai verificatisi in questi ultimi anni, non esclusi quelli recentemente avvenuti ad Oggiono (Como) ed a Milano, allo scopo di appurare precisamente se non vi fusse estranea l'azione dell'Internazionale. Però esse investigazioni portarono a stabilire il contrario, ed inoltre che vi fu anche estranea l'opera dei partiti politici, i quali del resto in questi momenti mostrano ben poche velleità di agitarsi, meno forse nelle Romagne, mentre tutto il resto d'Italia è pienamente tranquillo.

Tanto il sottoscritto pregiasi di accennare alla E. V. in risposta alla nota a margine citata e nella speranza che questi ragguagli varranno a soddisfare la richiesta fatta colla medesima.

450

DIOMEDE PANTALEONI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Roma, 23 maggio 1871.

Mi prevalgo del cortese invito da Lei fattomi del manifestarle alla circostanza l'opinione mia sull'andamento delle cose di qui, e il faccio senza velo come pratico ognora. Non ho mai avuto il menomo dubbio in credere, che si è fatto un passo falsissimo nell'indirizzo universitario al Dollinger. Ella sa che io ne divido anzi le opinioni, le ho mantenute a stampa; nè trattasi qui di sentimenti personali.

Trat,tasi che nella ,condizione nostra politica vuo1si per noi attutire e non esacerbare le passioni, estinguere e non ravvivare le ire specialmente clericali.

A mio avviso se vi ha momento da evitare ogni lotta col Vaticano è questo; e se lotta v·i ha da essere, non bisognava mai attaccar la battaglia sopra materie di fede e di coscienza, come si è fatto, nè attaccarla poi all'Università ove l'ardore di una gioventù senza responsabilità non terrà mai quella temperanza e prudenza che sono condizioni indispensabili onde trionfare della Curia romana.

Questa si è benissimo prevalsa della nostra imprudenza, e molina tacitamente e proditoriamente sottacqua onde renderei difficile la situazione. Ella già ne vede i risultati nelle lotte dell'università, la lettera di S. S. al Vicario e avantjeri si è cercato di sobillare parecchi malati della Clinica medica, onde si rivoltassero al Prof. Maggiorani segnatario dell'indirizzo. Quanto all'Ospedale dica pure a S. E. il Signor Ministro dell'Interno che può stare tranquillo. Ho fatto già saltar via un Capuccino che fu accusato d'aver preso parte a metter su quei malati e ci ho già compromesso il Presidente e il Superiore dei Capuccini a disapprovare quel falso zelo. Ma bisogna ajutare il Carlucci all'Università, perchè, se a mio senno Egli ha mal fatto ad impegnarsi in quella guerra, non possiamo abbandonare quell'uomo egregio che sarebbe poi sostenuto dalla gioventù, nè cedere vilmente la partita. Bisognerebbe adunque maneggiarsi con grande arte e destrezza prima che la lotta prenda dimensioni anco maggiori. Ella già vede come si è divisa in due la facoltà universitaria, e come s'invochino dal Ministro del pubblico insegnamento misure coercitive contro la parte che si è dichiarata per le opinioni del Vaticano! Bel momento perdio! di mettersi in tutte queste beghe da frati, quando si sta discutendo per le guarentigie ed abbiamo addosso la probabilità di una lotta coi clericali di Francia. Non sta a me di proporre nè al Ministro dell'Interno nè a quello dell'Istruzione pubblica il da farsi. Nè essi abbisognano dei miei consigli, nè io sono con loro in termini da suggerirne. So però bene che quest'infausta lotta va ad inasprire nella stampa e fuori le ire fra clericali e anticlericali: che io ne avrò il contraccolpo nella mia amministrazione e specialmente nell'ospedale militare, ove ho già sulle braccia un fanatico di Cappellano pontificio il quale pretende d'essere poco meno che Vescovo del luogo, vi predica ai militari nostri, e in fondo non ha alcun diritto. Sono d'accordo con l'egregio Gadda su tutto, aspetto il Cosenz, e per mio conto saprò trarmi d'imbarazzo. Bisogna però badare che questa inopportuna e stolida lotta non c'impegni al di là della cerchia interna la più stretta; perché ella può essere sicuro che il prete s'adoprerà a farne scandalo ·e mischiarci in un modo od altro l'estero. Gli è per ciò che scongiuro Lei, scongiuro gli altri Ministri a sopire un dissidio che non è neppure qualificabile per la vivacità delle credenze, che non esiste nè per l'una nè per l'altra parte. È stata una ragazzata da scolari, e corriamo rischio di farne le spese.

Quanto avviene qui tutti i dì mi conferma sempre più nelle idee che io le ho scritto sulle nostre eventuali condizioni con la Francia e sulla necessità di premunirei fin d'ora. Più ci penso e più parmi di non averle suggerito che un buon partito in quanto le accennai, e su che attendo risposta.

Se Ella stima comunicare questa mia lettera al Ministro dell'Interno il faccia liberamente, ma mi scusi anco del non essermi piuttosto diretto a Lui in cosa che riguarda l'ordine interno. Non avendo mai da lui avuto conforto o ingiunzione a farlo.

(l) Non pubblicata.

451

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 824. Berlino, 24 maggio 1871 (per. il 29).

L'échange des ratifications du traité du 10 Mai, a eu lieu dans le délai convenu. Le Prince de Bismarck, qui s'était rendu à cet effet à Francfort, en est revenu avant hier au soir. Tout porte à croire que les négociations supplémentaires avec M. Jules Favre et Pouyer-Quertier sur les détails d'application ont abouti à une entente parfaite.

M. de Thile, que j'ai vu aujourd'hui, n'était cependant pas encore à mème de me renseigner d'une manière exacte à cet égard. Mais je sais de bonne source qu'on s'est entendu, entre autres, pour admettre aussi des billets de la banque de France en payement de l'indemnité de guerre. En outre, les prisonniers de guerre seront immédiatement rendus. Le Chancelier Impéria1 a montré en mème temps beaucoup de condescendance pour preter un certain concours au Gouvernement de M. Thiers, en l'aidant à rendre plus efficace l'investissement de Paris, moyennant une concentration des troupes allemandes vers le Nord-Est.

Au reste, la paix ayant été signée, et les saturnales de Paris touchant à leur terme, les ordres sont déjà donnés pour faire rentrer dans leurs foyers les Vèrr.e et VIIèwe corps d'armèe et la 17ème division. Ces mèmes dispositions ne tarderont pas à ètre prises pour une partie de l'armée bavaroise et pour le corps de la Garde. L'entrée triomphale de cette dernière à Berlin aurait lieu dans la seconde moitié de Juin.

Il faut espérer qu'en suite de la conclusion de la paix avec l'Allemagne, la France saura employer ses forces matérielles et morales pour une réorganisation intérieure. Mais il faut s'attendre à bien des péripéties encore, avant qu'elle parvienne à se relever des coups qui ont failli précipiter une ruine complète, et à extirper les vices qui la gangrènent. M. Thiers restera-t-il au niveau de la tllche immense de remettre l'ordre partout, de rendre une bonne et sévère justice après tant de crimes qui ont troublé la sécurité publique, et de faire pénétrer un véritable esprit de patriotisme dans les classes égarées de la population que des reveurs ou des artisans de discorde ont si niaisement ou si malignement perverties? Trouvera-t-il des auxiliaires assez désintéressés dans les différentes fractions de la Chambre? Ou bien ce malheureux pays n'est-il plus qu'une arène où se débattent les partis qui le divisent? Il récolte aujourd'hui le fruit de 80 ans de révolutions successives. Un de mes amis qui vient de parcourir plusieurs départements et qui est lié avec des hommes de tous les partis, me communique ses impressions. Voici un passage de sa lettre:

«Il n'y a qu'un point sur lequel ils soient tous d'accord, c'est pour ne pas se soumettre aux devoirs qui pourraient redonner de la solidité à l'édLfice, chacun ne voyant que son parti, son avènement au pouvoir, et plaçant le pays à l'arrière plan ».

S'il en est ainsi, l'instabilité des conditions de la France est un argument de plus pour resserrer de préférence nos liens d'amitié avec l'Allemagne, et de ne pas nous laisser détourner de cette voie par les rodomontades de nos voisins.

« Lorsque la France, disait à l'Assemblée Nationale M. de Meaux, le rapporteur du projet de loi portant ratification du traité de paix, se sera retrouvée, les Puissances qui nous ont délaissés rechercheront un jour notre arbitrage ». Ici dans les régions officielles, j'ai entendu critiquer avec beaucoup d'ironie ce langage: «le ròle d'arbitre est souvent attribué à des Puissances qui ne sont pas en mesure d'imposer leu.-décision. A ce titre, un semblable ròle reviendrait à la France».

452

L'INCARICATO D'AFFARI A BRUXELLES, GERBAIX DE SONNAZ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 342. Bruxelles, 24 maggio 1871 (per. il 29).

Ho l'onore di qui unito trasmettere all'E. V. l'indirizzo dei vescovi del Belgio al Re Leopoldo circa il potere temporale (1). Questo indirizzo, malgrado i gravissimi eventi di Parigi, ha occupato alcuni giornali di Bruxelles. Io non ho voluto parlarne alla E. V. prima di sapere il risultato che aveva ottenuto fin qui.

Il Signor De Vaux Segretario particolare di S. M. mi disse che l'indirizzo in questione fu trasmesso al Re in una semplice lettera come si usa per tutte le altre suppliche e mi lasciò chiaramente capire che non vi si avrebbe dato altro seguito. Esso mi disse ancora partire questa dimostrazione da quel principio che già diede luogo a varii fatti di un gusto più o meno dubbio e che fa sì che non si vuole lasciare il silenzio intorno alla pretesa questione di Roma.

Ho avuto pure occasione di vedere questa mane il Barone d'Anethan: dopo avere parlato con lui delle notizie di Francia e dopo che esso mi assicurò essere state prese tutte le maggiori precauzioni per impedire a qualunque comunista di cercar ricovero nel Belgio onde non lasciare spandere quelle funestissime dottrine, lasciar cadere il discorso sull'indirizzo dei Vescovi. S. S. mi asserì non avere avuto conoscenza di questo documento che per mezzo dei giornali e non saperne altro. Mi disse che il Re non glie ne aveva fatto parola e che dovevo ben sapere che in Governo costituzionale una domanda diretta al sovrano non può avere importanza se questi non la trasmette ai suoi ministri responsabili perché la prendano in esame.

Da queste assicurazioni si può dedurre che la dimostrazione dei vescovi non è destinata a produrre maggior effetto di quello fatto da tutte le altre proteste che i cattolici Belgi fecero già varie volte ed in modo sempre diverso.

Riguardo a questo argomento debbo ancora osservare che un membro della rappresentanza nazionale mi ha offerto di fare fare, senza compromettere menomamente la legazione interpellanze nella camera dei rappresentanti .sui passi ed eccitazioni del partito cattolico contro l'Italia ho creduto molto miglior, più savio e più prudente consiglio ringraziare ma non accettare l'offerta: e non l'avrei accettata di certo prima di avere gli ordini dell'E. V. Penso tuttavia essere

dovere mio renderne avvertita l'E. V. pel caso in cui, caso del resto poco probabile, alcune manifestazioni troppo forti od altri gravi eventi sorgessero nel Belgio riguardo a Roma.

(l) Non pubblicato.

453

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, R. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 31. Madrid, 24 maggio 1871 (per. l' l giugno).

Il Duca di Montpensier, inviperito dal processo mossogli contro pel suo rifiuto di giurare il Re e credendo forse adesso i momenti propizj, dopo un finto riposo, ha riprincipiate più audaci e più attive che mai le sue trame e macchinazioni. Dai bagni di Alhama, vicini di Madrid, dirige i suoi emissarj, e affermasi che verrà tra giorni ad occupare lo scanno di Deputato. Egli ha detto -mi è riferito da persona degna di fede -che « darà l'ultima sua camicia per far cadere dal trono il Re Amedeo ». Ad ogni modo, non avvi dubbio che i molti suoi agenti lavorino per ogni dove e col solito mezzo di comperare chi si vende e col promettere e dar speranze a ogni odio invendicato e a ogni ambizione delusa.

Connivente coi Repubblicani, che si servono dell'oro suo, spera che, una Repubblica non potendo durare, la quale sarebbe qui pazzamente socialista, perchè in queste masse è repubblica sinonimo di guerra sociale potrebbe egli, venendo il trono ad essere rovesciato, pescar, come suoi dirsi, nel torbido la Corona. Ed in questo senso discorrono velatamente alcuni suoi partig.iani. Altri, poi, con un cinismo che corrisponde ai mezzi impiegati, dicono: « a togliere la cancrena » che ha invase tutte le membra del corpo sociale è mestieri che soffra la Spagna una convulsione demagogica, perchè, purificata non solo dagli elementi malsani che ora sobbolliscono, ma pure da tutt'i parasiti sì dell'amministrazione che dell'esercito, possa risorgere mercè dell'uomo predestinato per ristabilirne la decaduta grandezza e fortuna».

Ma il Duca di Montpensier, mentre così s'ingegna di ripetere la parte che ha data in Francia una triste celebrità all'avolo, e per non lasciare intentata alcuna via, sembra che mantenga stretti rapporti cogli Alfonsini, consenzienti ad una sua Reggenza del minorenne Alfonso di Borbone.

Ciò che, pertanto, preoccupa, in modo più diretto ed immediato, è l'opera sua per acquistarsi aderenti personali: il suo gittar danaro adesso senza ritegno, e le sue corruzioni, le quali parrebbero esagerate se non si conoscesse quanto egli sia straricco ed abbia potuto per lunghi anni con avarizia cumulare. Egli è simile oramai a uno speculatore disgraziato che si ostini a seguitare, e che speri, persistendo, di potersi degli antichi con nuovi sacrificj risarcire.

Il fatto, ad ogni modo, è certo, e dal Governo è riconosciuto. Il Duca ha sempre seguaci più o meno palesi nei varj gradi dell'esercito; la cavalleria, negletta sempre e in vera decomposizione, la si dice Montpensierista, e lo è pure, adesso, l'Ufficialità di alcun Reggimento di Fanteria, sedotta da quel pretendente, o spinta nel suo campo dalla negligenza del Governo a troncare in tempo quei maneggi. Il Capitan Generale d'Andalusia, signor Mackenna, stretto da antica amicizia e da compromessi col Duca di Montpensier, è stato solamente da pochi giorni richiamato da Siviglia. Si disse che questo generale abbia chiesto spontaneamente di lasciare il Governo di quella Provincia perchè a malincuore avrebbe potuto agire contro dell'amico se ordini superiori, la necessità o il suo dovere glielo avrebbero mai imposto. Ma è più verosimile che il Governo non abbia potuto più lungamente indugiare a richiamarlo da una città, sede principale del principe d'Orléans, e dove. per lo meno, chiudev·a gli occhj alle trame di costui. E diffatti par sicuro che il Montpensier sia riuscito a guadagnare gli Ufficiali subalterni della guarnigione di Siviglia, onde il Generale Cordova, qual Direttore Generale della fanteria, dovette alcune settimane fa inviare istruzioni ai Colonnelli e agli altri Ufficiali maggiori affinchè vigilassero e stessero all'erta.

Cotesta è pure, in parte, la ragione delle mosse di varj reggimenti e di cambj d'una in altra guarnigione, e dell'essere stato tolto da Siviglia e mandato in Catalogna il reggimento «del principe», quello travagliato da Montpensier, mentre si è spedito da Madrid a Siviglia il reggimento «San Quintino », che sarà surrogato nella Capitale dal reggimento di « Luchana » che stanziava in Granata.

Quando furono saputi cotesti permutamenti, subito sorsero grida contro del Ministro della Guerra accusato d'imprevigenza e imprudenza per aver levato da Madrid un reggimento di provata fedeltà; ma conosciutane la ragione, le inquietudini sonosi calmate, e specialmente quando fu noto che era pensiero e consiglio di tutti i Ministri quello di permutare a giro di ruota i reggimenti dalle Provincie alla Capitale, affinchè possa l'esercito intero via via conoscere il Re, e che il Generale Cordova, che ha oggigiorno tutta la fiducia del partito progressista, fu chi più consigliò e volle quei cambj di guarnigione.

Ma le mormorazioni non hanno potuto cessare tuttavia circa l'altra ragione degli ascensi di favore occorsi nei gradi dell'esercito. Ed eccone il tenore: « molte ingiustificate ambizioni speravano di essere soddisfatte con la venuta del Re. La ricisa volontà ch'Egli manifestò di non accordare altre promozioni se non per ordine di anzianità produsse una impressione eccellente in tutti come segno che sarebbero per cessare gli usi e gli abusi antichi, e che, col nuovo Principe, una era di giustizia e d'imparzialità sarebbe inaugurata; la simpatia dell'esercito pel Re da questo si accrebbe di assai; imperocchè, si diceva, se il Re non potrà a tante passate ingiustizie porre riparo, egli sarà pur sempre un argine che d'ora innanzi le contenga e le impedisca. Ma coteste hanno continuato, ed il Ministro della Guerra non ha fatto caso delle intenzioni e del volere Sovrano che tanto nell'esercito avrebbero sviluppato l'amore e la devozione al Principe».

Un sedicente parlamento repubblicano federale, che si radunò in Madrid

composto dai delegati del partito per ogni provincia, ha posto fine ieri l'altro

alle sue sedute. Scopo dei capi era, con una cotale adunanza generale, di con

servare l'unità e la disciplina del partito, mantener viva la fede e le speranze,

rieleggere il Comitato o Direttorio Centrale. Ma vi si manifestarono le due ten

denze contrarie degli uomini di teoria o di parola e di azione o di violenza, e il

signor Pi y Margal pronunciò l'ultimo giorno un discorso per dimostrare come

all'idea repubblicana conveniva meglio, se i partiti reazionarj minacciassero di

trionfare, di sostenere la monarchia liberale del Re Amedeo anzichè rovesciarla

a vantaggio di quelli. I fatti di Francia sono, per cotesti uomini meno forsennati,

dura lezione e avvertimento e ne vanno abbattuti e scorati. Ma il partito repub

blicano ad altra gente ubbidisce che dall'estero lo muove e lo sospinge: egli più che Spagnuolo è partito cosmopolita; e molti credono che i vinti di Francia vorranno provarsi a una riscossa in !spagna, e che gli Agitatori Supremi pongano qua la sede e il centro delle loro cospirazioni contro della società. Emissarj, mi diceva ieri il Ministro di Stato, furono già riconosciuti ed espulsi al Confine francese.

Le difficoltà della situazione sono, pertanto, gravi; nè giova farsi illusione.. Le fazioni illegali, nel Parlamento sempre tumultuanti e fuori minaccianti sempre di ricorrere alle armi, incagliano l'andamento ordinato della cosa pubblica, e per ogni dove mantengono ·l'irresoluzione e H disordine; Montpensier tenta malte vie coperte alla volta, per le sue arti e la sua ricchezza pericoloso nimico più dei carlisti e dei repubblicani, perchè, mentre questi vogliono irrompere ad aperta violenza (e sarebbe fortuna se si decidessero prontamente) quegli opera con velenosi raggiri; il Governo, intanto, è diviso in partiti antipatici gli uni agli altri, sicchè da molti sono più temuti i suoi proprj errori che le ostilità dei nimici.

Ma questi mali esistevano anche prima, nè perchè adesso abbiano incrudelito danno ragione allo scoramento che invade taluni che li vorrebbero con instantaneo miracolo sanati. A cotesti mali si contrappone sempre il favor di popolo ognora crescente per le Maestà Loro; la coscienza di tutti gli onesti che altra salvezza non avvi per la patria che in questa dinastia; la fedeltà dell'esercito che, malgrado le male arti Montpensieriste, è pur sempre sicura; la debolezza dei partiti illegali che tanto più strepitano quanto più sanno d'essere impotenti, e che se compissero l'annunziato sollevamento col farsi schiacciare e togliere di mezzo lascierebbero che gli ordini costituzionali si potessero alla perfine in modo normale esercitare e svolgere. E basterebbe per superare tutte quelle difficoltà, non il coraggio che disprezza il pericolo, ma l'energia che le sappia riconoscere a tempo e sappia provvedere perchè si dileguino anzi di scoppiare, o, scoppiate, sieno vinte sicuramente.

Mentre dura l'attuale sessione ogni crisi ministeriale sarà, perchè dannosissima, con ogni sforzo evitata; ma chiuse le Camere, il Gabinetto sarà trasformato. Partiranno i ministri del partito Democratico, Martoz e Moret, e la cura di comporlo verrà affidata -mi affermava un !fiinistro medesimo della Corona -al signor Topete. Da altra sorgente non meno autorevole mi si assicura che Sua Maestà convocherà i Presidenti del Senato e delle Cortez, i quali, assieme al signor Topete, riceveranno l'incarico di formare il nuovo Gabinetto. Ma rimane sempre in forse che accetti il signor Topete e che il Duca della Torre si ritiri.

454

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. S. N. Versailles, 25 maggio 1871 (per. il 29).

Ho ricevuto ieri dal Ministero Francese degli Affari Esteri la lettera in data

del 19 corrente, relativa all'incidente di Civita-Vecchia, che mi pregio di comunicare qui unita in copia all'E. V.

Con questa lettera del Signor Giulio Favre, scritta in termini molto concilianti, la questione sollevata da questo spiacevole incidente mi sembra chiusa in modo soddisfacente. L'E. V. stimerà probabilmente conveniente di far conoscere a suo tempo, al Governo Francese, l'esito della procedura di giustizia relativa al fatto. Conviene ora che le Autorità di Civita-Vecchia raddoppino di zelo e di precauzioni perchè all'avvenire non si rinnovino fatti che possono esercitare un'influenza politica dannosa e ben superiore alla loro entità, nei momenti presenti.

.ALLEGATO.

FAVRE A NIGRA

Versailles, le 19 mai 1871.

Vous m'avez fait connaitre dans votre lettre du 30 avril dernier, les mesures prises par le Gouvernement Italien en vue d'amener la repression des faits qui se sont produits à Civita-Vecchia et dont nos marins de l'· Orénoque. ont été victimes. De son còté, notre Ministre à Florence m'avait donné avis des assurances qu'il avait reçues dans le meme sens de M. Visconti Venosta. Nous avons été heureux de recueillir ces témoignages des dispositions du Gouvernement Italien. Le moyen le plus sur de prévenir le retour de ces désordres est, ainsi qu'il l'a compris, d'en chatier les auteurs et nous aimons à constater sa résolution de remplir cette tache avec toute la fermeté nécessaire. De notre còté, nous ferons ce qu'il dépendra de nous, le Cabinet de Florence peut en etre assuré, pour ne donner aucun sujet légitime de plainte, et pour ne laisser aucun prétexte aux fauteurs de ces regrettables agitations. Nous n'aurons pour cela qu'à maintenir la stricte discipline à laquelle nos matelots sont astreints et dont il n'a pu etre établi qu'ils se soient réellement écartés à Civita-Vecchia.

Il y a lieu de remarquer, en effet, que les imputations dirigées contre eux à ce sujet, et que vous avez bien voulu me signaler, ne reposent sur aucun fait articulé, et elles ne sauraient dès lors prévaloir contre l'ensemble des témoignages favorables résultant des procès verbaux de bord aussi bien que de l'enquete meme à laquelle il a été procédé dès le début, en présence de nos officiers, par les magistrats de la ville. Je dois ajouter que M. le Commandant de l'• Orénoque • a spontanément reconnu la néeessité d'apporter la plus grande circonspection dans ses rapports avec la terre et que nous avons tout sujet de compter sur les bons effets de sa prévoyance à cet égard. Il parait difficile en tous cas, que la sollicitude ainsi éveillée de part et d'autre ne réussisse point à conjurer de nouveaux incidents.

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L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 114. Belgrado, 2.5 maggio 1871 (per. il 14 giugno).

Non è a contestare che dal linguaggio di questi Signori Reggenti appare di molto scemata la fiducia loro negli Stati occidentali dell'Europa, ed essi vedono evidentemente avvicinarsi il giorno in cui dai mutamenti che accadranno nelle alleanze degli Stati dell'Europa, nascerà per la Serbia la necessità di pigliare l'uno od altro partito.

La Serbia, ammesso come fatto il desiderio suo di estendere il territorio e di promuovere l'egemonia sua sopra gli altri serbi dell'Impero Ottomano, è costretta a scegliere l'una fra le vie qui appresso descritte per giungere al suo fine:

mantenersi stretta alla Turchia cercando un futuro svolgimento delle relazioni sue colla Porta;

fare assegno sulla protezione e sulla garanzia dei Potentati che sottoscrissero il Trattato del '56 e che sarebbero chiamati a difenderlo colle armi; tentare di indurre quei Governi ad intervenire presso la Porta in favore suo;

ovvero fra gli Stati occidentali scegliere a protettore il più vicino: lasciare alla Monarchia Austro-Ungarica la cura di difende11lo e rkambiandolo con un'intera condiscendenza all'interno ed all'estero;

la Serbia può in quarto luogo lusingarsi di conservare un'egemonia di secondo grado, riconoscendo nella Russia il solo esecutore della futura grandezza slava nel mondo;

infine, il Principato o sia per i pericoli che incontrerebbonsi nell'una o nell'altra delle vie precedentemente indicate, ovvero per l'impossibilità di potere altrimenti ed in tempo utile tradurre con fatti l'egemonia sua morale sopra vicine provincie, o sia quando la Porta avesse altrove a combattere lontani nemici, abbraccierebbe l'avventuroso paTtito di ricorrere aUe armi.

Chieggo mi sia concesso da V. E. di aggiungere alcune brevissime riflessioni sul merito relativo di queste varie politiche.

Il Principato ha comune coll'Impero Ottomano l'interesse di opporsi a qualunque tentativo che avesse per oggetto un'intromissione straniera ed una conquista nella Turchia Europea: se fosse riconosciuto che i Cristiani sudditi della Porta non sono atti a progredire se non in forza di mutamenti legislativi ed amministrativi che a Costantinopoli non voglionsi concedere o non possono eseguirsi; e che un tale progresso è la sola condizione che possa essere fondamento ad una rigenerazione dell'Oriente, la quale in non lungo tempo ponga questi popoli in grado di difendere da aggressioni esteriori e loro stessi e lo stato al quale appartengono: e se infine fosse provato che la coltura che dee condurre a questo progresso dee essere coltura cristiana e che la Turchia non può servirsi che degli elementi cristiani dell'Impero per propagarla; ove queste proposizioni vengano ammesse ne conseguirebbe che la forza difensiva della Turchia è d'altrettanto diminuita quanto è minore l'armonia fra i serbi e gli interessi delle diverse provincie dell'Impero; e che se in forza di nuove obbligazioni alcuna fra queste provincie riuscisse a persuadere il Gabinetto del Sultano che invece di rompere i legami esistenti, si vorrebbero stretti maggiormente; che invece di turbare la pace nei paesi direttamente/sottomessi alla Porta, si vorrebbe che con provvedimenti opportuni a loro si togliesse il desiderio della rivolta ed agli agitatori esteri la speranza di riuscita, parmi che i vantaggi sarebbero grandi e reciproci.

Insomma pigliando la base del diritto esistente, sovranità della Porta e vassallaggio della Serbia, si dovrebbe tentare di aumentare e guarentire l'esecuzione dei doveri politici e militari del Principato verso l'Impero, ma nel tempo stesso e se non in nome del progresso almeno perchè la Serbia sia giustificata agli occhi dei Cristiani di stringere invece di sciogliere i legami suoi con Costantinopoli addivenire ad esame delle cause della bassa condizione degli altri Serbi della Penisola e porvi riparo concedendo ai Cristiani una qualche partecipazione al governo di loro stessi, sottraendoli nello spirituale alla tirannia del clero Greco e nel temporale a quella dei possessori delle terre, temperata talvolta dall'azione di un colto Bascià e talvolta invece accresciuta dal malgoverno di esso.

Militarmente si tradurrebbe il buon successo di un simile riavvicinamento nel seguente risultato: supposta una guerra nella quale sia parte la Turchia, la Serbia nelle presenti sue condizioni piglierà una posizione minacciosa e colla raunata di un corpo alla frontiera verso la Bosnia inviterà quella provincia a rivoltarsi od almeno ad atteggiarsi a rivolta. Nelle migliori condizioni la Porta dovrà riunire ai confini un corpo d'osservazione di cinquanta mila uomini almeno per tenere in rispetto il Principato e le provincie.

La Serbia alleata riunirebbe all'opposto quaranta mila uomini all'esercito turco e più che coll'aumento delle forze militari concorrerebbe alla difesa dell'integrità dell'Impero provando col fatto che fra i Cristiani ed il governo Ottomano v'è modo di transazione e di cooperazione per il rinnovamento e la trasformazione riconosciute universalmente necessarie.

Pare difficile a chi per abito ha sotto ogni aspetto considerata questa intricata questione d'Oriente, la quale sarebbe esattamente raffigurata da una equazione algebrica formata da un numero stragrande di incognite, il trovare una sintesi nella quale sia tenuto conto dei diritti dei popoli, dei diritti della civiltà e nel tempo stesso dei diritti sorti dalle convenzioni internazionali: la sola che può esercitare una seria considerazione è quella che vorrebbe mutata insensibilmente la centralizzazione dell'Impero in un discentramento di mano in mano più largo fino a giungere ad una federazione, sola forma politica che potrà guarentire le individualità nazionali politiche e volgerle non a mutue conquiste ma a mutua gara nella via della civiltà e del progresso.

Un'alleanza di così grande momento (scrivo alleanza perchè quando la Serbia ai suoi doveri di vassallo aggiungesse quelli di un concorso militare, essa farebbe il primo passo verso una federazione) incontrerebbe moltissimi ostacoli e tanti che il ragionarne parrebbe il compiacersi nei sogni, se non fosse talvolta utile il considerare le grandi questioni facendo astrazione dalle contingenze passaggiere : la Turchia non crederà alla buona fede della Serbia: il popolo serbo non si spoglierà del tradizionale suo odio verso i musulmani : e coloro ai quali è d'interesse che Cristiani e Turchi sieno in discordia e che gli uni sieno debolezza per gli altri, si maneggieranno come efficacemente operarono in passato a mantenere vive quelle discordie e quelle inimicizie.

Salutare alla Serbia sarebbe, sebbene in minor grado, il seguire in tutto, come fece fino ad oggi, i consigli dei Potentati dell'occidente: e se poteano alcuni fra questi essere, forse a ragione, accusati di dare il maggior .peso a quel l:ato deUa questione che è rappresentato dalla sovranità ottomana e di non tenere a mente a sufficienza del diritto dei popoli cristiani di essere cristianamente governati, almeno la protezione di quelli serviva a mantenere viva l'opinione universale che la Porta avea mestieri di essere eccitata permanentemente a riformare e che a riformare si mostrava inetta; l'intervenzione di quegli Stati guarentiva efficacemente i progressi stipulati nella convenzione di Parigi ed era uno scudo dietro il quale si aumentò fino all'indipendenza assoluta l'autonomia interna della Serbia. Ma più rilevante vantaggio era il seguente: che si poteva nel tempo

stesso, a vantaggio della Porta tenere lontano l'ascendente rivale della Russia

sui popoli affini, ed a danno della Porta e della Russia agire sopra queste stesse

popolazioni.

La Serbia sperava che la mala prova delle riforme sempre iniziate e sempre

interotte alla fine infonderebbe anche nelle .più reluttanti fra le Potenze occi

dentali il convincimento che l'elemento cristiano non può essere rappacificato

se non accrescendo la parte sua nel maneggio degli affari publi.ci: la Serbia

sperava che alla fine l'occidente cercherebbe il modo di favorire la civiltà ed il

progresso orientale favorendo la formazione di centri provinciali, ed in ogni

caso imponendo anche colla forza che agli orientali soli sia dovuta la rigene

razione della patria loro. E forse si sarebbe volto l'occhio all'Italia, alla quale

si riconosce una somma imparzialità nella questione non solo, ma gl'interessi

della quale richiedono che essa si svolga pacificamente, progressivamente, e per

forza degli stessi principi che la costituiscono, i sensi di patria, di nazionalità

e di libertà politica e commerciale, interessi che combaciano esattamente cogli

interessi di queste popolazioni.

Tutto è ora mutato: è affievolita l'alleanza occidentale ed è nata la sfiducia

che essa possa in tempo utile e prima che le nazioni orientali abbiano conqui

stata la forza di opporsi compatte al turbine che vedono avvicinarsi e nel quale

si sperderanno, rattenere e frenare, se non combattere, i potentati che mirano

ad edificare sulle rovine della Turchia e dei popoli suoi.

Si potea nel tempo che trascorse dal '56 scegliere tre vie per preparare l'Oriente a potere per se stesso difendersi dai suoi nemici ·e togliere dalle spalle di altri stati il peso della garanzia: ed a ciascuna di esse sta a fondamento il concetto di ciascuno di quegli stati intorno alle forze che poteano all'Oriente dare l'indirizzo necessario ad un progresso vero e durevole: o si sarebbe voluto porre in atto l'operosità del solo Governo ottomano, coll'aumentare l'accentramento e la dipendenza delle provincie, togliendo a queste ogni speranza di vedere rilassate le catene e di essere ammesse ad un misurato governo di se stesse: ovvero alle sole forze ed alla sola operosità dei cristiani si sarebbe lasciato di cercare la via del pvogresso, e dò avrebbe condotto a r1chledere con forza ed insistenza una legislazione che assicurasse ai cristiani quel grado d'ingerenza negli affari che avrebbe assicurata la educazione politica loro e posto la base dello svolgimento sempre ritardato ma sempre inesorabile, per il quale si debbe avere in Oriente non uno Stato che vuoi produrre frutto di progresso e civiltà mentre le radici ed il tronco non possono dare loro il nutrimento necessario, ma sibbene uno stato o degli stati che abbiano a radice del loro essere quei principii cristiani e comprensivi al di fuori dei quali possono esservi esperimenti ma giammai un buono e durevole successo.

A ciascuno di questi due modi di spingere al progresso l'Oriente era da opporsi: al primo, ed in fatto fu ciò che avvenne, che la Turchia anche se lo avesse sinceramente e fortemente desiderato non potea guadagnare il concorso dei popoli cristiani all'opera intrapresa nè farli atti a cooperarvi efficacemente senza accrescere i loro diritti e senza rispettarli poscia e farli rispettare: le prove fatte riuscirono a nulla e se bene mi penetrai dello spirito delle corrispondenze consolari che vi si riferiscono, ciò fu perchè gli elementi cristiani furono nel fatto tenuti in disparte od ammessi .per la sola forma nei consigli

:;2 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. II

provinciali. All'altro sistema secondo il quale a danno dell'autorità centrale ed a vantaggio dell'autonomia delle provincie, sarebbe stato all'elemento cristiano concesso di prevalere, si debbe per mala fortuna opporre che per la condizione sua di coltura sarebbe forse stato incapace di condurre a buon fine l'opera che gli sarebbe stata affidata.

Rimane un terzo cammino ed era star saldi in tutto ciò che minaccerebbe l'integrità dell'Impero Ottomano, il che per quanto si potè e fino agli ultimi tempi fu fatto, ma nel mentre stesso lasciare che al progresso ed alla civiltà nati ne1 seno stesso dell'Impero fosse aperta la v,ia a non isteriU.rsi ma a fare sentire l'azione loro sui popoli di esso: i quali rialzandosi da se avrebbero col progresso e coll'incivilimento loro accresciuta la forza dell'Impero ed incominciata un'opera di lunga lena ma di certo risultamento, cioè l'evoluzione e non la rivoluzione; a moderare, a regolare questa evoluzione ogni volta ne fosse nato il bisogno avrebbero prestato i loro consigli autorevoli ed unanimi le potenze garanti.

È il tempo presente favorevole a quest'opera? Lo sarà forse un prossimo avvenire? Nell'incertezza in cui sono caduti gli affari dell'Oriente non è lecito di sperarlo; ma non è forse lecito da un altro Iato lusingarsi che le potenze le quali nel passato furono principale ostacolo a questa politica, sieno dagli eventi ultimi sospinte a mutare di consiglio?

Se per buona ventura così accadesse la Serbia troverebbe suo vantaggio a continuare nella politica saggia e prudente finora seguita: si farebbe agevole quel mutamento o meglio quell'estensione dei rapporti politici del Principato colla Porta della quale credetti provare i vantaggi e, ciò che più importa, in questo stato troverebbero altri popoli dell'Oriente quel centro, quell'esempio egemonico che debbe rigenerarli; la lentezza stessa colla quale per la ristrettezza dei mezzi dei quali dispone la Serbia questa evoluzione si svolgerebbe, sarebbe garanzia contro i torbidi ed i rivolgimenti repentini, non preparati, non previsti, e pericolosi alla pace generale.

Da alcuni anni la monarchia Austro-Ungarica seguì nel Principato un sistema di politica che mi provai a descrivere mano a mano nelle mie relazioni e che puossi in breve così definire: distruggere l'ascendente della Russia, impedire che gli interessi degli Jugo-Slavi della Monarchia si accomunassero con gl'interessi della Serbia, incoraggiare la politica del Principato che accenna ad egemonia verso la Bosnia e l'Erzegovina. Sebbene talvolta a cagione del dualismo della Monarchia e dell'azione non interamente concorde dell'Ambasciata a Costantinopoli l'azione diplomatica di quello stato non abbia ottenuto quanto speravasi ottenere, è dovere tuttavia il riconoscere che fino ad oggi l'ascendente della Russia non è ristabilito e che la Serbia non legò se stessa ai partiti slavi dell'Ungheria.

Sta ancora a capo dei principi.J ai quali ce,rca di adattarsi Ja poEtica se,rba di tenere lontano da qualunque parte offerta la protezione esclusiva di un solo stato. Essa aveva fede che la garanzia occidentale era per lei forza sufficiente perchè da sola potesse procedere e progredire. Le dichiarazioni, oserei dire, le civetterie e le promesse di sostegno indiretto ad imprese vagheggiate non smossero questo governo dalla sua circospezione e quasi parea talvolta mettersi in dubbio la sincerità di esse. Si riconoscea e non puossi a meno di riconoscere anche oggi che in molti punti la politica della Serbia concorda con quella che in Oriente è chiamata a seguire la Monarchia Austro-Ungarica: così ambo minaccia la forza prepotente della Russia; a questa forza ambo hanno interesse ad opporsi: quanto più la Serbia forte è pronta ad ingrandirsi, tanto più fermo il suo proposito di non lasciare che senza lotta la sua egemonia sfumi nel panslavismo o nel panrussi,smo: ·l'unione stessa della Bosnia alla Serbia assicura il regno ungarico contro l'unione della stessa provincia al regno croato, con suo sommo pericolo a cagione della prevalenza che così ne verrebbe agli elementi slavi di quello stato. Interesse supremo della Monarchia sarebbe, e ciò non sembrami possa negarsi, di potere, quando chiamata a guerra contro la Russia, opporsi ad essa fiancheggiata non dalla Turchia quale è, ma dall'Impero Ottomano unanime e concorde, e non chiamata a difendersi all'interno dai popoli suoi, mentre tutte le forze sue dovrebbero essere radunate contro il nemico esteriore. Inoltre la Serbia dichiarò sempre ed esplicitamente di volere separata la causa sua da quella degli Slavi dell'Ungheria, ed a combattere le fazioni che dall'altro lato scrivono e schiamazzano porre maggior zelo la Serbia che l'Ungheria stessa.

Con tutto ciò per la costituzione interiore dell'Impero Austro-Ungarico e per il dubbio che da quella nasce che al momento opportuno le promesse fatte non possano venire all'atto, le conseguenze della politica seguita a Belgrado non possono dirsi positive, ma soltanto negative.

Di questo terzo indirizzo che la politica serba potrebbe prefiggersi può dirsi ciò che dei due primi fu detto: i destini e le aspirazioni del Principato non sono posti a repentaglio: è allontanato il pericolo di una subita occupazione militare alla quale lo stato vicino in caso di guerra si risolverebbe senza dubbio fors'anche se il Principato volesse mantenersi in dubbia neutralità; e se finalmente, come dovrà succedere un giorno, venissero a mutare le relazioni che la Turchia iniziò colla Russia, l'Austria potrebbe colla sua opera potentemente favorire a togliere gli ostacoli che a Costantinopoli come a Belgrado si frappongono perchè i due governi cooperino con sincerità ad un medesimo scopo.

In un ultimo caso la Serbia sarebbe costretta moralmente e materialmente

a fare comune la causa sua con quella della Monarchia Austro-Ungarica, e ciò

quando scoppiata lotta fra questa. e la Russia, ·la Turchia o riunisse le sue armi

alle Russe o si atteggiasse a minaccia dell'indipendenza della Serbia : e se dai

fatti avvenire fos·sero provate vere le predizioni del Fadejeff che la via del

l'Oriente dee essere tentata per Vienna e Pest, la minaccia della potenza Russa

si spingerebbe allora all'alto Danubio ed all'Adriatico; e nel sistema di alleanza

che ne sorgerebbe la Serbia sarebbe guarentita e sarebbe chiamata ad operare

con forze morali e materiali da non dispregiarsi.

Fra le combinazioni esteriori possibili è certamente questa la più favorevole

ma la più ipotetica. Rimane ora soltanto ad osservare che nei tre modi sopra

descritti la Serbia mantiene inviolata la sua indipendenza e non compromette in

verun modo l'ascendente e l'egemonia della quale essa fa l'oggettivo della sua

politica.

Non così se essa consentisse o fosse costretta a fare se stessa vassalla alla

Russia: minor male sarebbe il ricadere in maggior dipendenza della Turchia, perchè contro questa mantiensi illeso e non prescritto il diritto di postliminio: a fronte della conquista alla Serbia rimarrebbe la facoltà di invocare il diritto della nazionalità: la Turchia che noi potè finora, tanto meno potrebbe oggi assorbire ed annientare le individualità cristiane del suo Impero. La Russia invece semina sullo stesso campo ove la Serbia vorrebbe raccogliere: il jugo-slavismo, così incerto di confini, sarebbe agevolmente ingojato nel panslavismo, ed il Principato diverrebbe una lontana provincia del vasto impero.

La condotta della Russia verso il Principato fu sempre coordinata a che esso si consolidasse il meno che fosse possibi'le; ·ed a che negli aJ.tri slavi meridiona-li diminuisse la fiduc.ia nel governo serbo : con intrighi che vedonsi poco

s.u poco giù riprodursi in ogni cantuccio dell'Oriente, sono di tratto in tratto provocati malcontenti ed opposizioni che inquietano i governanti, già per altre cagioni poco sicuri di se e delle popolazioni; e ciò non coll'opera di agenti ufficiali o di emissarii, ma di persone a domicilio fisso che a lato dei Consoli esercitano la loro azione, e che o per relazioni religiose, o per benefici ricevuti, o per aver servito nell'esercito Russo, o per avervi avuta l'educazione a spese del Governo Russo, o per affiliazione a società politiche, pongono l'opera loro al servizio degli intendimenti palesi o nascosti di quello stato. Non so se v'ha un sol luogo nell'Oriente europeo od asiatico ove ciò non succeda. Ed in Serbia, anche ai meno sospettosi, sovente appare evidente, se si confrontano specialmente i fatti col linguaggio delle gazzette che servono agli interessi russi, che nelle piccole agitazioni, nei piccoli scandali v'è la mano di persone note per le relazioni loro coll'agente ufficiale della Russia

Parrebbe che oggi la politica della Russia si fa al di fuori delle popolazioni cristiane dell'Oriente: essa pare ignorarle e quasi disprezzarne il concorso; avvicinandosi alla Turchia con tanta ostentazione essa solleva il malcontento dei cristiani, e per questo modo quasi verrebbe a favorire gli intendimenti della Serbia, ma alla Russia son noti gli ostacoli che frappongonsi ad un'azione, sia essa morale o materiale, comune alle varie frazioni cristiane della penisola, e quasi sembra accennare a volere porre la base di dissensioni future, essendo larga di onori e deferenza verso il Montenegro che in un determinato giorno spingerebbe a rivaleggiare coll'egemonia della Serbia. A questo proposito fece gran senso una «Storia della Serbia » pubblicata dal Russo Popoff negli ultimi tempi: da essa appare che fino dai primordi della rivoluzione per la cacciata dei Turchi, la Russia seguì la politica che mantenne inalterata di .poi: indebolire a vicenda e la Turchia ed i popoli cristiani di essa.

Queste verità, o che almeno tali mi pajono, son comprese dagli uomini che governano la Serbia, e se in essi io scorgessi una tendenza a mutare da capo a fondo la politica loro e di stringersi alla Russia, giudicherei che essi hanno perduta ogni fede nell'avvenire della Serbia, e che lo scoraggiamento cagionato dal vedersi abbandonati da ognuno li ha gettati nel partito il più disperato. Non è venuto il tempo di osservare se la nuova intimità fra la Russia e la Turchia debba farsi sentire a Belgrado: e siccome la protezione di quello verso questo Impero debbe per farsi valere avere alcune occasioni non sarebbe a meravigliare se l'uno dopo l'altro ed in varie parti sorgessero in Oriente piccoli torbidi e piccoli subugli e così pure in Serbia e fra la Serbia e la Porta, per l'appianamento delle quali la Russia adoprerebbe efficacemente il suo ascendente. Assisteremmo alla ripetizione di alcune pagine dell'istoria del Regno di Pologna. Potrebbe la Serbia lusingarsi che la Russia sarebbe volenterosa od atta ad organare il vastissimo impero che formerebbero gli Slavi riuniti a forma di federazione di Stati? Sembrami che H concetto dello Stato Russo, la poca cultura dei popoli sarebbero un assoluto impedimento a questa foggia di governo; ed il modo col quale si distrusse o vollesi distruggere ogni germe della nazionalità Polonese dovrebbe insegnare agli altri stati quale sarebbe la sorte che toccherebbe loro.

Nella condizione presente della Penisola Balcanica sarebbe parimenti un partito disperato il fare appello alla rivolta in Bosnia ed in Bulgaria. Le armi del Principato pronte a difesa non sono organate per l'offesa: l'uscire dal territorio sarebbe a mio avviso l'andare incontro a sconfitta e nel sistema del reclutamento in vigore non vi sarebbe modo di rinnovare l'esercito e di persistere in una lotta che nel principio fosse disgraziata. Una rivolta avrebbe allora solamente speranza di buon successo quando palesemente o nascostamente fosse favorita da un altro stato, ed allora si cadrebbe nell'una delle ipotesi precedenti.

In un precedente mio dispaccio notai le difficoltà, la impossibilità di un'azione unanime concorde e contemporanea fra i varii Stati che in date circostanze potrebbero riunirsi a combattere la Turchia. Sarebbe un sogno il credere che a fronte delle armi nuove le rivoluzioni incominciate e combattute da Clefti, da Aiducchi avrebbero la buona sorte che ebbero nel primo quarto di questo secolo: a far giungere armi buone nelle provincie che vorrebbonsi rivoluzionare, ad istruire i combattenti nel maneggio di esse, le difficoltà e gli ostacoli sono a mille doppi accresciute al dì d'oggi; gli eserciti ben organati hanno una forza proporzionale superiore e non credo che qui a Belgrado si disconoscano queste considerazioni. Perchè il Principato risolvesse sul serio di fare appello alle armi rivoluzionarie bisognerebbe ch'esso decidesse di fare entrare in Bosnia il suo esercito ed allora a diversione certamente userebbe di ogni mezzo possibile. Ma fino a che l'occasione propizia non si presenti, metto pegno che la Serbia continuerà nella via seguita fino ad ora, nella prudenza e nella circospezione solite.

Muterebbe di aspetto la cosa o se altri volesse volgere a suo profitto un malcontento od un sollevamento nella Bosnia e nell'Erzegovina, o un sollevamento bulgaro ottenesse nei primi tempi un buon risultamento. A meno di abdicare alla missione sua e lasciar cadere in altre mani la direzione del moto orientale, la Serbia dovrebbe anche a rischio di non ottenere vittoria, scendere nel campo come campione dei popoli ad essa affini.

Questo esame, nel quale non tacqui che di quei fatti possibili nel futuro per i quali si muterebbe la condizione interna di alcun stato vicino alla Serbia come se per esempio nella monarchia austriaca prevalessero le dottrine federaliste, parmi doversi conchiudere che alla egemonia ed alla esistenza stessa della Serbia nulla potrebbe maggiormente nuocere che di abdicare la missione sua fra i popoli dell'Impero Ottomano nelle mani della Russia e se questo danno del Principato sarebbe in pari tempo danno all'Europa ed all'Italia, e se a questa od a quella convenga di opporvisi non spetta a me il pronunciare.

SOl

456

IL CAPO GABINETTO DI VITTORIO EMANUELE II, AGHEMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. 516. Firenze, 25 maggio 1871 (per. il 26)

La Società Agricola Italiana che ha attualmente, come è noto a V. E., una seria vertenza col Governo Tunisino, faceva sollecitazioni assai vive a S. M. il Re per ottenere che il legno da guerra nazionale ancorato nelle acque di Souza potesse esser mandato, anche per un solo dato periodo di tempo, in quelle di Tunisi.

La M. S. mi incaricò di fare noto a V. E. questo desiderio di que' nostri connazionali per quella considerazione in cui potrà esser tenuto da V. E., alla quale mi è grato poter attestare anche in questo incontro i sensi della mia profonda osservanza.

457

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

T. 1667. Firenze, 26 maggio 1871, ore 15,45.

Le Comte Brassier de S. Simon est venu pour me dire que son Gouvernement s'était abstenu de prendre part aux démarches de quelques puissances pour les établissements religieux existant à Rome, et qu'il croyait avoir, par là, rendu un service à l'Italie. Cependant, cette réserve n'est pas de l'indifférence; tout ce qui touche à la personne du pape et meme aux intérets généraux cathoUques, émeut profondément les populations catholiques de l'Allemagne. C'est par antipathie contre le parti ultramontain que l'opinion publique en Allemagne est favorable à l'Italie; mais, pour ne pas perdre cet avantage, nous devons ménager lès populations catholiques allemandes, et donner satisfaction à certains intérets commereiaux, comme l'affa,ire du Bt. Gothard et la question des a1cools.

M. Brassier a ajouté que l'attitude de la presse en Italie continue à exercer une mauvaise influence, et que, d'après des nouvelles reçues de Londres, le projet d'une conférence pour la question romaine serait mis de nouveau en avant par la France, et que lord Granville serait personnellement favorable à ce projet.

Veuillez faire savoir au prince de Bismarck que nous lui sommes reconnaissants de la réserve qu'il a gardé jusqu'à présent, et que nous espérons que les bonnes dispositions de l'Allemagne à notre égard, pourront se manifester sans aller à l'encontre de l'opinion publique en Allemagne. Le Gouvernement fera discuter le plus tòt possible la loi pour le St. Gothard, le rapport de la commission parlementaire sur le St. Gothard a déjà été présenté. Je vous l'euverrai a~insi qu'un rapport sur la questi!on des alcools. Dans la question des akools o n tiendra ~compte, aussi, des i!ntérets de ·l'ALlemagne. Quant'à la presse italienne elle est maintenant plus favorable à l'Allemagne qu'à la France, certains journaux allemands disent du roi d'Italie des infamies que nous n'avons jamais relevées. Pour la conférence nous nous sommes bornés à faire ressortir la presqu'impossibilité d'établir d'avance un programme, et les inconvénients qu'aurait la surexcitation des cléricaux, et des libéraux, qu'il est impossible de satisfaire. Je vous écrirai longuement à ce sujet.

458

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, ALL'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, R. DE MARTINO (l)

D. 15. Firenze, 26 maggio 1871.

Ella troverà qui unito copia d'una nota indirizzatami dal Ministero dell'Interno relativamente alla partenza per la Spagna d'alcuni individui ritenuti come pericolosi per i sentimenti politici che professano. V. S. potrà far uso di questa comunicazione confidenziale sia per esercitare possibilmente una sorveglianza sovra quegl'individui, sia per informare in via riservata le autorità spagnuole acciocchè queste possano dal canto loro vegliare sulla condotta di tali persone.

ALLEGATO.

LANZA A VISCONTI VENOSTA

GAB. 1960 R. u. Firenze, 24 maggio 1871.

Mi è stato riferito che il giorno 11 corrente imbarcaronsi a Genova sul Vapore Francese Picardie i contro nominati individui appartenenti al partito repubblicano, con destinazione a Barcellona dove, stando a recenti informazioni, pare sieno sbarcati.

Quantunque essi abbiano manifestato di fare quel viaggio per affari commerciali, si può tuttavia ritenere a motivo dei loro antecedenti, che la loro presenza in Spagna non .sia estranea a scopi politici, epperciò ne dò avviso a V. E. per le comunicazioni che credesse di fare in proposito.

Stampa Edoardo di Milano. Magnetti Cesare di Milano. Rossi Pietro di Milano. Vismara di Milano. Brutti Bresci di Milano.

459

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3731. Versailles, 26 maggio 1871, ore 11,50 (per. ore 17,50).

Je vous engage à prendre des mesures rigoureuses à la frontière pour ne pas laisser entrer dans le royaume les insurgés de Paris; l'irritation de la population contre eux, est extrème, et on ne manquerait pas de demander de nouvelles extradictions.

(l) Lo stesso dispaccio venne inviato, col n. 16, anche al console generale a Barcellona.

460

IL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 82. Washington, 26 maggio 1871 (per. il 10 giugno).

Ho l'onore di annunziare all'E. V. che nella sera d'avant'jeri il Senato approvò per voti 50, contro 12 il Trattato Anglo-Americano testè conchiuso dall'Alta Commissione mista, ed il Presidente lo ratificò nella giornata di jeri.

Quest'atto non avendo ad essere sottomesso all'approvazione del Parlamento Inglese, non rimane che lo scambio delle ratifiche onde esso abbia piena esecuzione.

È questo uno splendido trionfo per la Commissione, che ben meritollo per lo spirito di conciliazione, la prudenza e l'abilità di cui fece prova nelle diverse fasi dei negoziati.

Quando le ratifiche saranno state scambiate i due Governi avranno a notificare officialmente la conchiusione del trattato a quello di S. M. il Re per la parte che gli è assegnata nel Tribunale d'arbitraggio cui si deve sottomettere la quistione dell'Alabama. Nè altro m'occorre per oggi...

461

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI. VISCONTI VENOSTA

L. P. Berlino, 26 maggio 1871.

A l'occasion du 25ème Anniversaire de l'élection du Pape Pie IX, on se prépare dans les Provinces Rhénanes à envoyer à Rome une députation choisie dans les différentes classes de la société. Cette députation présenterait au St. Père les félicitations des catholiques de l'Allemagne. Il est évident qu'on vise aussi à renouveler par cet acte une protestation contre notre conduite.

M. de Thile n'était pas à meme de fournir des détails sur ce projet de manifestation, dont il n'y avait trace que dans les journaux. Ce serait d'ailleurs une manifestation due à l'initiative individuelle et n'ayant dès lors, malgré sa publicité, qu'un caractère tout à fait privé.

S. E. m'a dit en meme temps que l'Empereur et Roi avait l'intention d'écrire au Pape, pour cette date du 16 Juin, une lettre qui servirait aussi de réponse à une démarche officieuse faite par Sa Sainteté à Versailles vers le mois de Novembre dernier, dans le but d'amener une réconciliation entre l'Allemagne et la France. M. de Thile m'a laissé entendre que ce serait là un acte de courtoisie, à l'adresse du Chef spirituel de l'Eglise catholique, du Successeur de St. Pierre, puisqu'il s'agit de Le complimenter d'avoir atteint dans son Pontificat le meme nombre d'années que le Prince des Apòtres. L'Impératrice-Reine trouverait convenable que cette lettre fut portée et remise par quelque personnage envoyé ad hoc, comm lors du cinquantenaire (11 Avril 1869) de la première messe de Pie IX; mais aucune décision n'a encore été prise à cet égard.

J'ai remercié le Secrétaire d'Etat de ces esplications. En me parlant des affaires de Rome en général, il m'a tenu un langage analogue à celui du Prince de Bismarck, langage dont je vous ai rendu compte dans ma lettre particulière du 24 Mars (1). Il a renouvelé la recommandation de continuerà suivre la mème ligne de réserve, et de nous abstenir d'interpeller ou de demander au Cabinet de Berlin de se prononcer d'aucune manière, puisque nous devons aisément nous rendre compte qu'il est tenu, lui-aussi à ètre très circonspect dans ses allures. Il est en mème temps de notre intérèt de nous appliquer, dans chaque circonstance à user des plus grands ménagements vis-à-vis du Pape.

Au reste, M. de Thile, n'avait pas de renseignements de date récente sur Rome. «Le Bavarois, Comte de Taufkirchen, n'est pas notre homme :.. J'ai demandé si c'était peut-ètre pour ce motif que M. de Schloezer, ancien Secrétaire de Légation dans cette ville, y avait été envoyé. Il m'a été répondu que ce diplomate s'était rendu en Italie pour régler quelques affaires personnelles, avant son départ pour l'Amérique: qu'au reste, à lui aussi, il serait difficile de connaitre la véritable situation, car la meilleure source manquait à la Légation Impériale, depuis que M. Odo Russe! avait quitté le poste.

A en juger par les publications d'un des principaux organes du parti catholique, la Germania, un grand mécontentement règne chez lui contre le Gouvernement. Il prend à partie le Chancelier Impérial les Ministres de l'Intérieur et des Cultes, les Comtes d'Arnim et Brassier et mème, à mots couverts, le Cardinal Antonelli, qui se serait permis de critiquer l'attitude de la fraction du centre au Parlement Fédéral. Raison de plus pour nous, de ne pas mettre le doigt entre l'arbre et l'écorce. Contentons-nous de la réserve plutot bienveillante de ce Cabinet. Je doute fort que nous ayons à nous louer au mème degré du Gouvernement français.

Depuis plusieurs semaines, je vous demande à cor et à cris le 1·enjort d'un attaché. J'insiste nouvellement, quelle que soit la bonne volonté du personnel de cette Légation, il y aura nécessairement une lacune dans l'expédition régulière de la besogne.

462

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, R. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 32. Madrid, 28 maggio 1871 (per. il 3 giugno).

Col mio rapporto delli 17 di questo mese, n. 2,9 (2,), ebbi ad informare l'E. V. del come la maggioranza dinastica della Camera dei Deputati abbia deciso di modificare il Regolamento in modo che nissuna proposizione di riforma costituzionale possa essere avvocata in pubblica seduta se prima non l'abbia consentito la maggioranza degli uffici.

Nella seduta delli 22 il Signor Becerra, Deputato della frazione ultraliberale monarchica detta Democratica, ha presentato una mozione perchè la Camera dichiarasse proibita qualunque proposta di riforma costituzionale sino a tanto che non sia discussa la progettata modificazione del regolamento.

Intese egli di spezzare in cotal guisa, nelle mani delle opposizioni le armi delle quali desideravano di servirsi con tanta maggior fretta e violenza quanto era per essere più breve il tempo lasciato loro ad usarle.

Quella seduta delli 22 non fu che un tumulto continuo che dimostrò quanta collera invadesse le opposizioni nello scorgere che sarebbe paralizzata la vera e principale loro missione, anche prima della discussione sulla risposta al discorso del Trono cui da lungo tempo si preparavano e durante la quale avrebbero, per dir così, coronato lo scopo supremo della loro presenza nel Parlamento.

Tre giorni, -sendosi la Camera dichiarata in permanenza, -ha durata la discussione della mozione Becerra, prolungata dagli emendamenti che senza tregua sonosi succeduti sino alla notte delli 24 alli 25, nè che, -dopo di 32 votazioni per appello nominale, -avrebbe pur cessata se il Vice Presidente Martin Herrera, che in quel momento occupava il seggio della Presidenza, non avesse colta l'occasione dell'assenza dall'aula di molti Deputati delle opposizioni Carlista e Repubblicana per far votare, come per sorpresa, la mozione Becerra.

Oltre agli infiniti emendamenti e contro proposizioni dai Carlisti e dai Repubblicani presentate per solo rendere interminabile la discussione, volle ogni frazione, col presentarne, spiegare la sua bandiera. Ma l'emendamento che ·ebbe, a parer mio, più significazione fu quello del Signor Canovas del Castillo, chiedente che il consell5o della maggioranza degli uffizi non sia necessario se non per le sole .proposte che intendano modificare l'Art. 33 della Costituzione, ossia quello che stabilisce la forma monarchica.

La ragione di questo emendamento era d'impedire che venga intralciata la libera iniziativa del Deputato che volesse mai chiedere la soppressione o la modificazione di quegli articoli dello Statuto fondamentale sanzionanti libertà che sono dai Conservatori stimate nocive e un pericolo perenne del principio di autorità e dell'ordine sociale. La frazione Canovista, che è la più conservatrice, ed è nemica d'ogni innovazione portata in atto dalla Rivoluzione di settembre, accettava bensì tutti i procedimenti che arrechino forza e rispetto al principio monarchico, ma respingeva ogni limitazione dell'iniziativa di un deputato desideroso di restringere quelle libertà rivoluzionarie, e in modo speciale gli oramai celebri «Derechos Individuales » ed il Suffragio Universale.

Ed infatti l'Imperial giornale ministeriale, ma organo del partito democratico, ragionando sull'emendamento Canovas, usò le seguenti parole:

«È verità che il Signor Castelar non potrà chiamar famelici i Duchi di Savoia nè dire che i popoli rovesciano i Re come il mare scaccia i cadaveri, sino a tanto che la maggioranza delle Sezioni non autorizza una proposta per parlare del convincimento nel quale il popolo spagnuolo sia entrato di variar la forma monarchica cinque mesi dopo l'elevazione al trono del Re Amedeo, ma neppure i conservatori potranno parlare, se non con eguale autorizzazione, dei Diritti Individuali, nè i Carlisti contro la libertà Religiosa ».

L'emendamento Canovas fu respinto per motivi che gli si possono dire estrinseci per non dare alla discussione, coll'accettarlo, nuovo alimento nè ferire gli alleati democrati, ma egli esprimeva le aspirazioni sì del maggior numero degli unionisti che di molti Progressisti i quali consentono con quelli nel pensiero che non si debba tardare molto nel porre una regola e una limitazione ai diritti individuali e al suffragio universale.

Era credenza generale che le opposizioni illegali, vedutesi negare il diritto d'ingiuriare la Sovranità e il Sovrano, abbandonerebbero il Parlamento, e questo sarebbe il segno della comune sollevazione. I Carlisti si radunarono per deliberare in proposito, e i Repubblicani seguirono l'esempio. Gli avvisi contrarii furono accanitamente sostenuti, ma i Carlisti si decisero, per consiglio di Nocedal, uomo da lunghe abitudini parlamentari e riluttante alla violenza, di rimanere ancora nella Camera. Nel consesso Repubblicano fu più ostinata la lotta per essere il Castelar, divenuto bellicoso ad un tratto, nell'opinione di lasciare senza indugio la Camera. Il Signor Pi y Margall essendosi alla perfìne dichiarato in senso opposto, vinse per maggioranza di soli due voti la parte che desiderava seguire l'esempio dei Carlisti.

Ho l'onore di trasmettere qui unito in traduzione a V. E. il progetto di risposta al discorso del Trono. Fu mestieri in essa, come nella risposta del Senato, rispettare tutte le opinioni di tutti i partiti che compongono l'attuale maggioranza, e che tutte coteste opinioni avessero un capo-verso nella risposta che desse loro soddisfazione. Il punto che incontrò maggiori difficoltà nella sua compilazione fu quello sulla questione delle Colonie, chè V. E. non ignora essere la politica dei Conservatori da quella dei radicali affatto opposta in questo rispetto; i primi vogliono continuare seguendo, -con quelle limitazioni che il progresso dei tempi e la dura esperienza sofferta loro consiglia, -gli antichi sistemi, mentre i secondi vorrebbero si adottasse per la Colonia Spagnuola una politica identica a qurell.Ja degli Inglesi nel Canadà e nell'Australia. I democrati minacciarono, se non fossero soddisfatti, di emettere un voto particolare su di cotesta questione, e i conservatori dovettero, per mantenere la tanto necessaria unione cedere a dispetto delle proteste del,Signor Ayala Ministro delle Colonie che quasi ne fece questione di Gabinetto dichiarando di non poter difendere in Parlamento questa parte della risposta che a lui compete e la quale è in diretta opposizione coi provvedimenti e colla politica da 'Lui seguita.

Il Signor Nocedal, unico membro delle opposizioni che abbia potuto far parte della commissione per la formazione della risposta, ha presentato, come era certo, un voto particolare ossia una sua risposta personale al discorso del Trono, che debbo senza av,er tempo di tmdurlo qui acchiuso inv-iare all'E. V. (1). Ma d'altronde cotesto scritto non fa che riprodurre le solite teorie carliste sul principio della legittimità, sulle disgrazie provate dalla patria dacchè abbandonò la protezione della Chiesa, ed è, nell'esordio e nella perorazione, un'invocazione al Re Amedeo onde « con uno sforzo di abnegazione » abbandoni «quello che non è suo» affinchè «la Spagna si vegga liberata da maggiori conflitti».

.ALLEGATO.

PROGETTO DI RISPOSTA DELLE CORTES AL DISCORSO DEL TRONO

(Traduzione)

Sire

Compita la rivoluzione di settembre che l'irresistibile impeto del progresso umano suscitò al momento segnato dalla Provvidenza, e che fu iniziata dalla Spagna per costituirsi sovra basi conformi allo spirito dell'età presente, il popolo scelse e

fissò liberamente e legalmente la forma dello Stato. Ei pose a fondamento della sua legislazione i diritti dell'individuo indipendenti da qualsiasi Sovranità e superiori ad ogni convenzione, e giudicando che insieme ai diritti e ai principi del Diritto Moderno dovesse far parte della nuova Costituzione l'antico elemento tradizionale ed affinchè l'avvenire si colleghi col passato e il tramite magnifico di nostra storia non venisse a rompersi al momento di purificarsi, il popolo proclamò la monarchia ereditaria, per cui stava l'autorità e il 'lustro che 'le viene in !spagna da lunghi secoli di gloriosa vita, e l'esempio delle più illustri e più grandi nazioni della colta Europa.

Così costituita la Spagna, le Cortes nate dal suffragio universale, in nome del popolo da esse rappresentato e in virtù dei loro poteri straordinari e legali elessero

V. M. a supremo Magistrato e fondatore della nuova Dinastia. V. M. accettò questo illustre compito, e prestò giuramento a nostre leggi. Allora dinanzi al mondo, dinanzi al Tribunaie della Storia, coll'approvazione delle grandi Potenze cui siamo legati con stretti vincoli di amistà, e coll'applauso dei popoli liberi la nazione spagnuola per una parte e dall'altra V. M. per sé e in nome dei suoi discendenti, strinsero un patto, contrassero un fermo e durevole impegno che non potrebbe rompersi senza grave disdoro e senza taccia di inconseguenza per qualsiasi delle parti che la motivasse. Il Congresso dei Deputati poi ha il fermo convincimento che

V. M. non ha da temere che mai Le venga meno la confidenza della nazione, cui solo viene imposta un'obbligazione spontaneamente contratta. Il radicale ed utile mutamento della nostra condizione politica ebbe luogo con tal saggezza e misura che le Potenze amiche qualunque il sistema di governo da cui sono rette, non hanno mosso la minima osservazione né restrizione anzi hanno ancor più strette Ie loro relazioni colla Spagna dopo la rivoluzione, e sovrattutto dopo la venuta al trono di V. M. dandoci le più chiare e lusinghiere prove di amichevole interesse e di profonda simpatia.

La rivoluzione distruggendo gli ostacoli e cancellando senza scapito di nostro genio particolare e di nostra razza le differenze che ci separavano, ci ha reso più atti a rientrare nella unione e nel concerto di questa gran Repubblica delle nazioni europee, le quali, malgrado frequenti disordini, sono animate dallo stesso spirito e tendono al medesimo scopo di civiltà, esercendo da molti secoli un influsso intelligente e benefico sovra le altre razze che popolano la terra.

Già in altre epoche, con altre idee proprie dei tempi i popoli della nostra penisola sorpassarono tutti gli altri in questa nobilissima missione portando loro coltura, loro idioma, e loro credenze per non mai solcati mari, in remote regioni, fra genti ignote allargando così il campo all'umana razza, magnificando il concetto delle cose create, scoprendo cieli e stelle nascoste e aprendo alla civiltà nuovi mondi per trasformarvi e completarvi coll'arte l'opera portentosa della feconda natura. Caduto dipoi il popolo spagnuolo in una mortale decadenza, se ne separarono i popoli dell'America suoi fratelli ma oggi, quando il popolo spagnuolo rinasce volgendosi alle nuove idee, le Repubbliche del nuovo mondo dimenticano recenti e mutui aggravii per ricordare solo i passati beneficii e riconoscono e trattano la Spagna regenerata come cara madre.

La guerra civile che dura tuttora in Cuba, è retaggio fatale del passato regime, durante il quale bollirono le passioni e i rancori, e se ne preparò l'esplosione. II Congresso però divide con V. M. la speranza che essa termini prontamente e fortunatamente. L'energia del governo, il patriottismo, il valore, e i patimenti della marina dell'esercito e dei volontari, la perizia dei loro Capi e il costante sforzo della nazione intiera contribuiranno a questo fine, in un colla persuasione che dovrà penetrare nei ribelli che sottomessi, godranno delle Hbertà che ora cercano invano di ottenere colla forza. Solo l'impiego di essa ritarda il compimento delle promesse della rivoluzione, le quali non tarderanno senza dubbio, come desidera il Congresso, ad essere totalmente realizzate nell'altra grande Antilia spagnuola dove la pace non venne turbata, e dove il pieno godimento dei diritti politici e l'abolizione della schiavitù non potranno turbarla.

I Rappresentanti della nazione nel cui seno la Chiesa Cattolica novera tanti

e tanti amorosi figli si compiacciono sperando che il Sommo Pontefice ristabilirà

col Governo spagnuolo le buone ed antiche relazioni fondandole su di un accordo

meglio inteso e riconoscendo che la libertà e l'indipendenza che acquista la Chiesa

valgono molte volte più dell'appoggio esclusivo ed intransigente che prima Le

veniva accordato.

Il Cong~"esso trova nella Costituzione accettata da V. M. vigore e virtù sufficienti

a consolidare la pace di cui abbisogna nostra patria. Savia ed ampiamente discussa,

opera comune di tutti i partiti liberali, colla garanzia del successo mercè gli speri

mentati statisti che la dettarono, e colla sicurezza che debbano esserle fedeli tutti

gli uomini di differente provenienza che concorsero a promulgarla, ben si può e

si deve affermare che la Costituzione sviluppata nelle leggi organiche e tratta a

sue conseguenze pratiche, in tutte le sfere politiche amministrative e giudiziali,

formerà un complesso armonioso, perfetto e ben consentaneo per resistere ai più

violenti assalti, e creerà un sistema di autorità e di potere nel cui centro potrà star

sicura come in inespugnabile fortezza la libertà non in un riposo inerte ma in una

pacifica e feconda attività sorgente in breve di maggiore prosperità.

Per giungere a questo fine non dubiti V. M. che il Congresso si dedicherà con

predilezione ed attenta premura a rimuovere tutte le difficoltà che da molti anni

presenta la finanza, deliberando sulle misure che verranno proposte dal Governo,

accettando e domandando quelle economie che non arrechino danno allo sviluppo

della coltura intellettuale e della ricchezza, e approvando le riforme che possono

aumentare col minor gravame possibile dei privati le risorse e i redditi del Tesoro.

Nell'udire V. M. esprimere i sentimenti di amore e di rispetto che Le inspira

sua patria adottiva, il suo desiderio di pensare e sentire come essa, ed il fermo

proposito di unir sua sorte e quella della sposa e dei figli alla Spagna, il Congresso

ebbe una maggior prova che V. M. con animo veramente Reale comprende in tutta

sua grandezza l'importanza della posizione cui è stata elevata. L'ufficio di Re come

lo chiamano i saggi politici spagnuoli delle età passate, non è passivo neppure

colla Costituzione più democratica. Al di sopra delle opposte dottrine e scuole

politiche che combattono per predominare nel Governo e fra le quali il monarca

deve essere neutrale, egli è come la personificazione dell'idea della patria, tutela

e custodia dei diritti di tutti, e sintesi dei sentimenti che rappresentano, e delle

aspirazioni generose cui tutti anelano con sentimenti diversi e per distinte vie.

V. M. già cosi pensava e diceva in Italia nella sua risposta agli inviati delle Cortes Constituenti che Le offrivano la corona. Oggi V. M. ripete il medesimo pensiero con generale soddisfazione dei Rappresentanti del popolo che vedono V. M. il Re di tutti gli spagnuoli, simbolo vivo dell'unione più grande e più solida che possano formare le più numerose e più energiche riunioni politiche. Sia V. M. il Rappresentante dell'unità nazionale, e l'Augusto Rappresentante dei suoi più permanenti interessi, ,stenda il suo scettro con uguale amore e sollecitudine su tutti gli uomini e su tutti i partiti affinchè si arrivi ad uno stato comune di legalità in cui regni la pace. Con tali mezzi, avendo per guida l'illuminata opinione pubblica che ora senza arrecar turbamenti, si fa strada, e contando coll'aiuto di Dio ed il concorso delle Cortes, V. M. arriverà alla meta dei suoi desideri da Essa generosamente proclamati pella ventura del popolo spagnuolo che tanto lo merita per sua grandezza e suo magnifico carattere.

(l) -Cfr. n. 295. (2) -Non pubblicato.

(l) Non pubblicato,

463

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, R. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 33. Madrid, 28 maggio 1871 (per. il 3 giugno).

Io mi sono affrettato d'informare questo governo della venuta in !spagna dei nominati Stampa Edoardo, Magnetti Cesare, Rossi Pietro, Vismara e Brutti Bresci gente che appartiene a,l partito più esaHato.

Mentre il Ministro dell'Interno telegrafava a Barcellona perchè fossero invigilati, potetti appurare, per caso, che uno di questi individui, il Rossi Pietro, già si trovava in Madrid. Costui ha avuto l'audacia di presentarsi al Re, e, poi, al Suo Segretario Particolare Marchese Dragonetti, chiedente con ostinazione, prima un posto di ufficiale nell'esercito, poi di servitore nel Palazzo Reale. Il Marchese Dragonetti, da me a tempo avvertito, in modo condusse la conversazione da venire nel convincimento che il Rossi nutriva intenzioni malvagie. Infatti, sendo respinte le sue domande, egli manifestò l'intenzione anche di arruolarsi come semplice soldato per rimanere qui a qualunque costo, e consigliato di presentarsi in questa R. Legazione, egli vi si rifiutò energicamente e palesando quasi spavento. Seguito, quindi, all'uscita da Palazzo, egli si volgeva sempre indietro e si guardava attorn~ sospettoso d'essere sorvegliato. Raggiunse altri tre o quattro suoi compagni, sicchè par sicuro che gli altri individui citati nel telegramma dell'E. V. sieno pure in Madrid.

Il Signor Sagasta Ministro dell'Interno m'incarica di ringraziare vivamente l'E. V.

Questo Signore, che io vidi ieri mattina, mi confermò le apprensioni del governo Spagnuolo che la rovina dei partiti anarchici in Parigi non faccia straboccare in !spagna molti pe'rturbatori ed 'anche settarj che attentassero aJ,la vita del Re.

A questo proposito Egli mi disse che già alcuni socialisti francesi furono

dal confine espulsi; ma che adesso chiunque fosse sospettato di aver preso parte

ai delitti di Parigi non sarebbe più espulso dalle frontiere ma arrestato e che

già gli ordini in questo senso erano stati trasmessi ai Governatori. La Spagna

seguirà l'esempio del Belgio.

Mi si afferma che tutti cotesti Comunisti Francesi saranno riuniti in deposito

in un punto medesimo del territorio Spagnuolo per quindi procedere alla estra

dizione.

Appena avrò verificata questa ultima notizia mi affretterò d'informare

l'E. V. circa i dettagli del sistema adottato dal governo Spagnuolo per la con

segna di cotesti imputati al governo Francese. Ma ho creduto sin da ora di doverle

riferire la decisione che il Signor Sagasta mi disse d'essere stata presa.

464

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 290. Bucarest, 28 maggio 1871 (per. il 4 giugno).

Grazie alle sane ed energiche misure prese dal Governo, le elezioni in Rumania ebbero luogo senza che si manifestassero torbidi novelli.

Esse risultarono favorevoli alla causa dell'ordine e costituiscono il primo pegno di saviezza fornito dal Signor Catargi che, senza ricorrere agli arbitri dei suoi Predecessori seppe dare al paese, e con la personale sua influenza e con la saldezza dei suoi principi, un indirizzo che potrebbe rigenerare la Rumania.

Spetta ora alla Camera, la quale si riunirà il 4 Giugno, di fecondare codesto indirizzo lasciando da banda le gare e gli intrighi che ordinariamente sorgono ogni anno fra i Rappresentanti della Nazione per disputarsi il potere.

Le LL. AA. sono di ritorno da Jassy, soddisfatte dell'accoglimento che ricevettero in Moldavia e del ricevimento che trovarono al loro arrivo a Bukarest, ove furono salutati alla Stazione non solo dalla classe ufficiale ma anche dalla popolazione e dalla migliore società della Capitale.

465

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Versailles, 28 maggio 1871.

Ho ricevuto oggi, tornando da Parigi, le vostre due lettere del 22 corrente (1). Mi disponevo ad andare dal Signor Giulio Favre, quando mi si annunziò la visita di lui che veniva appunto per parlarmi dell'incidente d'Harcourt. Ebbimo una lunga conversazione di cui eccovi il sunto.

Per la questione del cambiamento della fregata a Civitavechia non ho creduto di dovere provocare io pel primo una discussione. Voi ne avete parlato a Choiseul che certamente avrà riferito le vostre idee a Versaglia. Se l'occasione si presenterà tornerò su questo soggetto e parlerò al Signor Favre nel senso che mi avete indicato. Per ora era importante che qui non si movesse reclamo per la tenuità della pena inflitta ai feritori dei marinai francesi. Credo che non si moverà. Il Signor Giulio Favre ha riconosciuto con me che importa che l'autorità giudiziaria si conservi dappertutto indipendente ed assoluta e che si accettino i suoi giudizi.

La questione d'Harcourt è più grave ed è indizio e sintomo d'una situazione delicata e molto tesa. Dall'un lato si può osservare con ragione che d'Harcourt avrebbe fatto prova di convenienza e di tatto andando a far visita al Principe ed alla Principessa di Piemonte ed astenendosi dal farla al Marchese Cavalletti. Il Signor Giulio Favre ne convenne, confidenzialmente, meco, ed aggiunse che se quando diede le istruzioni al Conte d'Harcourt avesse avuto campo ed agio ad entrare in minuti particolari di condotta ed avesse pensato che il Principe Umberto ed altri membri della Rea! famiglia si trovavano in Roma, non avrebbe mancato di suggerire all'Ambasciatore l'idea di domandar l'onore d'una presentazione. Quanto alla visita al Marchese Cavalletti, il Signor Favre mi disse che questa aveva avuto luogo all'infuori d'ogni sua istruzione, che era una visita privata, e mi assicurò che non vi era certamente in essa nessuna intenzione tendente a far cosa sgradevole all'Italia. La rettifica fatta dall'ambasciata e pub

blicata nei giornali lo prova. Naturalmente qui non v'è e non può esservi questione di diritto. È questione di convenienza e di condotta. Ma d'altro lato il Signor Giulio Favre si dolse meco dall'esplosione d'ire che ebbe luogo a questa occasione contro la Francia nelle colonne dei nostri giornali. Egli mi citò e mi lesse articoli, in verità molto violenti, specialmente del DiavoLo coLor di rosa, della Libertd e soprattutto del Tempo del 22 corrente. Mi domandò se il Governo del Re potesse deferire questi giornali dinanzi i tribunali e se avesse qualche mezzo d'agire moralmente sopra di essi pi!rehè cessassero dagli insulti e dalle minaccie. Risposi al Signor Favre, lagnandomi alla mia volta del linguaggio dei giornali francesi relativamente all'Italia, e spiegando le ragioni per cui nello stato di suscettibilità in cui si trova la nostra popolazione e specialmente la romana rispetto alla condotta del Governo francese nella questione romana, un passo imprudente qualsiasi dell'Ambasciata di Francia, benchè fatto senza cattiva intenzione, avesse potuto e potesse sollevare un movimento d'irritazione nella nostra stampa. Non celai al Signor Favre la gravità della situazione fatta a noi ed alla Francia in Roma in seguito dell'attitudine riservata presa dal Governo francese nella questione pontificia, egli disse che veramente il miglior mezzo, e forse l'unico, per far nascere la cordialità, non dirò già nei due Governi, ma fra le due popolazioni era quello di far sparire con qualche atto di evidente significazione ogni dubbio che il Governo francese tosto o tardi volesse rimettere sul tappeto la questione romana. Ma il Signor Favre m'ha ripetuto che nè egli nè il Gabinetto attuale francese potevano andare al di là delle assicurazioni di fatto dateci ripetutamente. Adunque un rimedio radicale della situazione non è sperabile per ora. La Francia, con una Assemblea clericale in cui domina l'elemento legittimista, sotto l'impressione degli orrori dell'insurrezione parigina, spinta dalla sanguinosa vittoria pur ora ottenuta a costo di sacrifizii indicibili ad una reazione violenta, potrà appena contenersi, nella questione romana, entro i limiti tracciati dal Signor Thiers. E d'altro lato l'Italia non si sente abbastanza forte d'armi, d'alleanze, di diritti riconosciuti di prescrizione di possesso, perchè possa contentarsi delle assicurazioni datele dal Governo francese e dall'impossibilità materiale in cui la Francia si trova di tentare colle armi il ristabilimento del potere temporale. Essa vorrebbe qualche cosa di più, e questo di più il Governo di Thiers non può o non vuol farlo. Non è in nostro potere di mutare sostanzialmente questa situazione. Non avendo uno specifico per curare il male nella sua essenza, siamo costretti dall'una e dall'altra parte a fare una cura empirica. Sconsigliai il Signor Favre dal tentare la via dei tribunali per gli articoli incriminati, ed egli mi parve aderire al mio consiglio. Gli dissi che vi avrei scritto .per consigliarvi di far esercitare possibilmente un'azione morale sulla stampa. Cercando col Signor Favre, che si mostra animato dei migliori sentimenti verso l'Italia, il mezzo di giungere ad una pacificazione degli spiriti intorno agli incidenti di cui discorro, egli propose uno scambio di dispacci tra i due Governi, diretti a tagliare ogni malinteso sugli incidenti stessi ed a ben chiarire la situazione reciproca sulla base delle assicurazioni di fatto dateci in ordine alla questione romana. Mi impegnò a sottoporvi quest'idee, ed ove l'approviate egli è disposto a prendere l'iniziativa. Gli promisi di scrivervene e ve ne scrivo. Rifietteteci e rispondetemi. Nel corso della conversazione dissi al Signor Favre che ben tosto noi gli avremmo fornito il modo di fare un atto che

avrebbe prodotto favorevole impressione in Italia e sarebbe di prescrivere alla Legazione di Francia a Firenze di trasportarsi a Roma subito dopo il trasferimento della sede del Governo in questa città. Il Signor Favre mi disse che ai suoi occhi il trasferimento della Legazione francese a Roma non poteva far dubbio e che non ci vedeva per parte sua alcun inconveniente.

Finisco coll'impegnarvi vivamente a fare il possibile perchè tutte le autorità e specialmente la polizia veglino a Roma ed a Civitavecchia. La cattiva stampa e i pessimi elementi delle popolazioni di questa città possono commettere atti che ci faranno un torto gravissimo agli occhi del mondo civile. È di tutta importanza che la tranquillità e la sicurezza siano guarentite in quelle due città.

Se capita un malanno all'Ambasciatore di Francia o se si rinnovano attentati contro marinai di guerra, sarà grande sventura pel nostro paese. Mi sembra che l'opinione pubblica dovrebbe rendersene ragione e che la stampa invece di creare imbarazzi in questo momento decisivo dovrebbe studiarsi ad impedirli.

(l) Cfr. nn. 447 e 448.

466

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA

T. 1672. Firenze, 29 maggio 1871, ore 15.

Je tacherai d'agir moralement sur les journaux du parti modéré dans le sens désiré par M. Jules Favre. Mais M. Favre n'ignore pas que la presse est entièrement libre, et que nos moyens de influence ne ,sont pas nombreux. Le Tempo est un journal d'opposition, et le Diavolo Rosa est une petite feuille de scandale, dont j'ignorais meme, il y a quelques jours l'existence. D'ailleurs, la presse cléricale est tout à fait au dehors de notre contròle, et c'est elle qui compromet l'ambassade de France en lui attribuant des intentions et des projets qui probablement n'existent pas. Dans ces circonstances, l'utilité d'un échange de dépeches dépend entièrement de la forme et du fond de la dépeche qui nous serait communiquée par la France. Si vous croyez que cette dépeche serait amicale sans ambiguité, et telle à pouvoir etre publiée en temps opportun, acceptez avec reconnaissance la proposition de M. Favre. Des inquietudes existant récemment en Italie sur l'attitude de la France, par suite de l'extrème réserve qu'elle a gardée jusqu'ici, M. Sella et moi nous avons saisi l'occasion qui s'est présentée d'elle meme, pour exprimer nos sympathies vis-à-vis de la France, et repousser d'injustes défiances. Les moyens ne manqueront pas à

M. Jules Favre de faire connaitre naturellement les véritables sentiments du Gouvernement français vis-à-vis de nous. Il peut accueillir favorablement la communication que vous serez chargé de lui faire pour la loi des garanties, et il peut donner à M. de Choiseul l'ordre de se rendre à Rome quand le ministère des affaires etrangères y sera installé. Cela suffirait pour réveiller en Italie des sympathies qui sont réelles et profondes, et qui n'ont jamais cessé d'exister.

33 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. II

467

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA

T. 1673. Firenze, 29 maggio 1871, ore 17,10.

M. de Choiseul vient de me dire qu'il a reçu des instructions de M. Favre au sujet de l'attitude de la presse de Rome vis-à-vis de M. d'Harcourt. Il propose un échange de notes qui seraient rendues publiques. Le Gouvernement français articulerait dans sa note ses griefs contre la presse et donnerait des explications, et le Gouvernement italien, à son tour, désavouerait le langage des journaux. J'ai répondu que peut-etre une discussion diplomatique aurait donné à cet incident plus d'importance qu'il n'a. Que si le Gouvernement français tenait un langage de nature à mettre en question la liberté de la presse en Italie, on irait directement contre notre but commun, qui est de faire cesser les défiances et les causes d'irritation. Cependant, étant convaincu qu'il est impossible que M. Favre mette en question la liberté de la presse, je le laissais complètement juge de l'opportunité de l'échange de la dépeche proposée, et que dans ma réponse j'aurais réglé de la manière la plus amicale mon langage sur le sien. Tachez de saisir quelle est la véritable pensée de M. Favre. Je vous envoie demain une lettre par la poste.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA

(AVV)

L. P. Firenze, 30 maggio 1871.

Ieri avevo appena risposto (l) al telegramma (2) col quale mi riferivate la vostra conversazione col Signor Jules Favre sul contegno della stampa romana verso l'Ambasciatore di Francia, quando il Conte di Choiseul venne da me. Egli mi disse, non senza una qualche amarezza, che le sue previsioni si erano avverate, che quelle manifestazioni di ostilità, di diffidenza verso la Francia fatte dalla stampa italiana, che quello spirito avverso di cui tali manifestazioni erano un sintomo, erano state constatate e rilevate dal suo governo. Il Ministro degli Affari Esteri aveva dovuto dichiarare che la dignità del Governo francese si sentiva offesa dalle polemiche di cui la stampa romana faceva oggetto il rappresentante della Francia a Roma. Il Governo francese si era posto un'alternativa, esso aveva dapprima pensato se fosse il caso di provocare, come era nel suo diritto, dei processi di stampa ma alcune considerazioni di opportunità lo avevano distolto da questo pensiero. Allora esso si era risoluto di chiederci uno scambio di dispacci da pubblicarsi. Nella sua nota il Governo francese avrebbe esposto i suoi reclami per l'attitudine di questi giornali e avrebbe dato·

delle spiegazioni, il Governo italiano avrebbe dovuto, nella sua nota, sconfessare il linguaggio della stampa. Il Conte di Choiseul mi ripetè, in seguito, con insistenza, con amarezza, quei lamenti e quell'ordine di idee che vi ho già fatto conoscere. Mi disse che il Governo italiano tollerava e aveva il torto di tollerare queste manifestazioni e di non preoccuparsene perchè, all'infuori e malgrado delle buone disposizioni dei governi, esse avrebbero creato in Francia una corrente di opinione ostile nei rapporti dei due paesi, una corrente d'irritazione a cui il Governo francese un giorno o l'altro avrebbe poi dovuto obbedire.

Ristabilire le relazioni amichevoli e benevoli fra l'Italia e la Francia, scongiurare per questo modo che è il più semplice e diritto, le difficoltà, i pericoli della situazione, è questa l'ambizione mia e la vostra. Risposi dunque a Choiseul colla maggiore franchezza e con premura amichevole. Gli spiegai a lungo quale era la situazione del Governo rispetto alla stampa in Italia. È questa la pura verità. Vi sono da noi dei giornali del partito moderato che sostengono le opinioni sulle quali s'appoggia il Ministero, ma ognuno d'essi colle proprie varianti. Dei giornali propriamente detti officiosi non ne abbiamo, forse l'Opinione, ma in certi limiti. S'io volessi ottenere dal Redattore della Nazione che egli scrivesse degli articoli simpatici alla Francia non mi riuscirebbe; se volessi ottenere dal Redattore della Perseveranza che scrivesse degli articoli simpatici alla Francia non mi verrebbe fatto. All'infuori dei giornali moderati vi sono i giornali d'opposizione e questi sono creati per combattere il governo e non per seguirne le opinioni. Più basso v'è la cattiva stampa, vi sono i giornali di scandalo, quasi ignorati, che non hanno alcuna importanza se non quando figurano come un annesso a qualche rapporto diplomatico. Chiederci d'influire in questa stampa spregiata e spregevole è come se noi chiedessimo al Governo francese d'avere influenze sui giornali di M. Rochefort. I consoli mandano accuratamente a Choiseul tutti questi giornali. Choiseul, questo non glielo dissi, che è alquanto nuovo e un pò esprit chagrin, non sa che cosa sono i Consoli in generale e i Consoli francesi in particolare. Bensì gli dissi che anche noi avevamo dei Consoli in Francia i quali mi mandavano dei pacchi di giornali francesi pieni d'ingiurie contro H Re e l'Italia. Io, dissi a Choiseul, vi confesso che, come gli altri uomini politici italiani, mi occupo poco dei giornali e spesso ignoro quasi l'esistenza di taluno di quelli di cui mi parlate. Per esempio non ho mai letto un numero del Tempo, e non ho mai veduto un numero del Diavolo Rosa. Ma dal momento che il contegno di una parte della stampa preoccupa voi e il vostro governo e produce le impressioni che voi mi segnalate, la questione muta d'aspetto e me ne preoccuperò. Noi cercheremo di esercitare tutta quella azione morale che ci sarà possibile, ma vi prego di non esagerare la responsabilità del governo oltre i limiti in cui questa azione può praticamente esercitarsi. Infatti farò quanto mi sarà dato e oggi stesso scriverò anche delle lettere particolari ai Prefetti delle grandi città perchè si occupino di ciò e cerchino anche di non lasciare i Consoli francesi alle so~e loro ispirazioni che generalmente ci sono ostili. Quanto alle istruzioni che il Conte di Choiseul aveva ricevuto dal Signor Jules Favre e alla conclusione delle sue rimostranze ecco ciò ch'io gli risposi. In primo luogo chiamerò tutta l'attenzione del Guardasigilli perchè l'azione repressiva sulla stampa si eserciti secondo la legge; se voi volete, come la nostra legge ce ne dà il diritto, promuovere delle azioni e dei processi per

offesa contro qualche giornale, faremo subito ragione alla vostra richiesta. Per ciò ,che riguarda le Note che H Signor Jules Favre propone non ho che una osservazione a farvi. Quale è lo scopo comune che noi ci proponiamo? Quello di ristabilire tutte le antiche simpatie, di togliere ogni motivo di irritazione, di fare cessare questo stato un pò morboso d'inquietudine che in parte almeno può esistere in Italia circa le disposizioni della Francia a nostro riguardo. Ebbene è certo che una nota la quale rendesse, in certo modo, responsabile il Governo italiano del contegno di qualche giornale, il che implicherebbe per conseguenza logica, la questione della libertà della stampa e delle leggi sulla stampa vigenti in Italia, una nota che quasi ponesse il Governo italiano nel caso di modificare queste leggi e questa libertà, produrrebbe un pessimo effetto, sarebbe considerata come una ingerenza straniera contro la nostra libertà interna, irriterebbe tutte le suscettibilità e andrebbe direttamente contro lo scopo che ci proponiamo. Io debbo fin d'ora segnalarvi i pericoli di questa via. Ma io ho piena fiducia in ciò che potrà essere un dispaccio che tocca all'argomento delicato della stampa uscito dalla penna del Signor Jules Favre. Sono sicuro che non può essere nelle vostre intenzioni di rinnovare le polemiche diplomatiche dei primi anni dell'Impero. Io dunque, dopo avervi fatto questa osservazione sulla quale chiamo la vostra attenzione, lascio giudice il Signor Jules Favre dell'opportunità della cosa e non posso rifiutare la proposta che mi è fatta. Un dispaccio del Governo francese in cui con un linguaggio di franca simpatia verso l'Italia e senza ambiguità si esprimessero quelle assicurazioni di una politica che si ispira al desiderio di migliori rapporti e che prende per base i fatti compiuti negli affari di Roma, quelle assicurazioni che mi avete più volte ripetuto a voce, un tale dispaccio non potrebbe essere accolto da noi che con riconoscenza. Quanto a noi, non possiamo certo avere difficoltà a ripetervi che rispondiamo con piena reciprocità a questo desiderio, e a dirvi che deploriamo un linguaggio non conforme ai sentimenti del Governo e del paese e che la nostra politica non è quella del Diavolo Rosa.

Dissi questo a Choiseul, ma, per verità, temo assai che il Governo francese sia ora in grado di farci veramente un dispaccio che non sia ambiguo e che non racchiuda, sotto il suo linguaggio, molte riserve.

Dovetti ritornare di nuovo ad esaminare con Choiseul la situazione generale dal punto di vista che vi ho indicato nella mia lettera precedente. Gli ripetei che, per la mia più profonda convinzione e per quella conoscenza che avevo del mio paese, non esisteva questo ardore contro la Francia, cito le sue parole, che gli sembrava di scorgere. V'era non lo negavo, una certa inquietudine, una certa diffidenza sull'attitudine della Francia nella questione romana. Potevo

..

anche ammettere che a Roma, non altrove, le memorie del passato avevano lasciato qualche traccia e non era da meravigliarsene. Se tutto il paese avesse potuto assistere alle nostre conversazioni o a quelle del Signor Favre con voi, queste inquietudini sarebbero scomparse. Al primo atto, alla prima manifestazione un pò esplicita da parte del Governo francese queste disposizioni si sarebbero totalmente mutate e avrebbero lasciato luogo alle naturali e antiche simpatie. Ora io comprendo la difficoltà speciale del Governo francese a fare una di queste esplicite manifestazioni. Comprendevo le sue difficoltà a farne sorgere l'occasione. Ma anche senza crearle artificialmente, queste occasioni si sarebbero

presentate da se stesse ed io contavo su di esse per fare cessare uno stato di cose che era parziale, in ogni modo, ma che consideravo anche, come accidentale e transitorio.

Su questo argomento dell'occasione non mi estesi più oltre con Choiseul. Ma vi dirò quale era il mio pensiero e voi vedrete se vi convenga parlarne più esplicitamente col Signor Jules Favre.

L'occasione si presenterà presto, da sè e naturalmente, e si presenterà in modo da non lasciare altra alternativa che fra una manifestazione positivamente favorevole e una manifestazione positivamente ostile.

Ai primi giorni del prossimo luglio il Ministero degli Affari Esteri sarà trasferito a Roma.

I capi di missione che si trovano qui, incontrano molte difficoltà, hanno i loro appartamenti a Firenze, non li hanno ancora a Roma, l'estate di Roma li spaventa. Molti di essi chiesero dei congedi, cogliendo l'opportunità della stagione. Tenendo conto di tutto ciò avrei anche volentieri offerto loro delle facilità, perchè potessero fare il loro trasferimento a miglior agio e più tardi. Ma, nell'attuale condizione di cose, l'esser o il non essere sollecitamente seguito dalla diplomazia accreditata presso il Governo italiano, diventa una vera questione politica. Se la diplomazia rimane a Firenze, ciò sarà in Italia inevitabilmente considerato come una riserva e una specie di protesta dell'Europa. L'opinione se ne allarmerà, il partito clericale getterà delle grida di trionfo, al Vaticano si ravviveranno tutte le illusioni e diventeranno le ostilità più ostinate e più vive. Ciò è nella natura delle cose. Io desidero dunque assai che i Ministri che stanno per prendere un congedo facciano, almeno per qualche giorno, atto di presenza a Roma, e per quelli che già vi sono in congedo si trasferiscano colà gli Incaricati d'affari e le Cancellerie. Il Ministro d'Inghilterra verrà a fare questo atto di presenza, così quelli di Spagna e di Portogallo. Quello di Russia è già in congedo, ma l'incaricato d'affari verrà a Roma e vi verrà il Ministro appena il congedo spirato. Credo che altrettanto farà quello d'Austria.

Quale istruzione riceverà il Ministro di Francia? È noto che s'egli venisse, almeno per qualche giorno, a Roma, ciò produrrebbe il miglior effetto e porrebbe fine a ogni incertezza e a ogni diceria. L'effetto morale del contegno contrario è facile il supporlo. Il Governo francese ha dichiarato che, da una parte, intendeva mostrare i più grandi riguardi al Papa, dall'altra intendeva porsi sul terreno dei fatti compiuti. Esso accreditò un Ambasciatore presso il Pontefice, ciò rispondeva alla prima parte del suo programma, la presenza del Conte di Choiseul a Roma risponderebbe alla seconda, e la linea di condotta prefissa sarebbe esattamente seguita con quell'equa bilancia che la politica francese dichiarò di voler tenere. Questa bilancia traboccherebbe da un lato se a Roma ci fosse il Conte di Harcourt e non il Conte di Choiseul.

Voi vedete quale è il risultato che vorrei cavare dallo scambio attuale di

spiegazioni col Governo francese. E vi confesso che pongo a questo risultato

molta importanza. La presenza di Choiseul a Roma sarà il fatto che in faccia

al paese determinerà nettamente la realtà della situazione.

Prima di chiudere questa lettera credo utile d'informarvi che ho avuto

notizia positiva che qualche tempo fa in una conversazione fra Lord Granville e il Ministro di Prussia a Londra si parlò degli affari di Roma. Lord Granville gli disse che, tempo fa, alcuni Governi e specialmente la Baviera e la Francia, avevano parlato d'un progetto di Conferenza, che però credeva che l'Italia avesse una grande ripugnanza ad accettare questo progetto. La cosa non aveva dunque avuto seguito, ma, in questi ultimi tempi, Monsieur Thiers aveva di nuovo fatto fare presso di lui qualche apertura in questo senso. Vi dico ciò a titolo di informazione. Ritornerò un'altra volta su questo argomento.

(l) -Cfr. n. 467. (2) -Non pubblicato, ma cfr. n. 465.
469

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3744. Versailles, 30 maggio 1871, ore 17,30 (per. ore 1,30 del 31).

A la suite de votre télégramme (1), Jules Favre et moi avons pensé qu'un échange de notes donnerait à l'incident plus d'importance qu'il ne mérite, et qu'il vaut mieux n'en rien faire.

470

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3745. Versailles, 30 maggio 1871, ore 23,40 (per. ore 9 del 31).

Idée d'échange de dépèches est abandonnée; et s'il ne survient pas d'autres incidents je considère celui-ci comme terminé: tout cela n'a d'autre cause que l'envoi fait à Jules Favre des articles que je vous ai signalés, dont quelques uns contenaient des menaces et défis contre M. d'Harcourt.

471

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 76. Vienna, 30 maggio 1871 (per. il 2 giugno).

Mi corre l'obbligo di riferirle alcune informazioni attinte da buonissima fonte in ordine agli affari di Rumenia.

V. E. non ignora quanto precaria sia la posizione del Principe Carlo in quello Stato, anche dopo le difficoltà superate di recente mediante la formazione di un nuovo Ministero. Gli impegni finanziarj difatti non furono ancora soddisfatti, e temesi più che mai qui e a Costantinopoli la prossima rovina del Principe, potendo tale eventualità condurre a serie complicazioni e probabilmente ad un intervento.

~-------

Preoccupato il Gran Vizir da questa idea, faceva a più riprese scandagliare il Gabinetto di Vienna, se, verificandosi la caduta del Principe Carlo, sarebbe esso disposto ad intervenire ne' Principati uniti insieme alla Russia ed alla Sublime Porta. Il Conte Beust ha rifuggito sempre, siccome rifugge attualmente da questo progetto, ed il Conte Andrassy, parlandomi nello stesso senso, dicevami che si sarebbe ad ogni costo opposto ad un intervento Austro-Ungarico, onde evitare quello della Russia, la quale, una volta in Rumenia, troverebbe modo di rimanervi. « Se poi, proseguiva il Ministro Transleitano, quella Potenza ad ogni patto interverrà, è ben probabile che sarà ciò il segnale della guerra in Oriente, e questa fiata, noi saremo il vero obbiettivo».

Ed a questo proposito ho l'onore di segnalare all'E. V. essermi stato confidenzialmente assicurato da un Diplomatico accreditato presso questa Corte, che da Pietroburgo si sia esortata la Reggenza Serba ad astenersi da qualsiasi dimostrazione atta a destare sospetti. II piano Russo avrebbe mutato nella quistione di Oriente, e parrebbe secondo le mie informazioni, che effettivamente si tenga di mira l'Austria prima di attaccare l'Impero Ottomano. Il pretesto sarebbero le condizioni future della Rumenia, e, lasciando tranquilla la Turchia, si spera a Pietroborgo poter disinteressare l'Inghilterra ed altre Potenze. Il nuovo Impero Germanico non si opporrebbe forse ad una politica invadente della Russia in Oriente, siccome il Conte Wimpfen non cessa di ripetere nei suoi rapporti, onde il Gabinetto di Pietroborgo troverebbe nel suo giuoco deboli avversarj. Nei disegni del Principe Gortshakoff si prevede, come è ben naturale, il caso in cui l'Inghilterra non si lascerebbe abbindolare da una finta manovra, ed, accennando a questa eventualità, raccomanda a Belgrado prudenza e cauti allestimenti, onde all'occorrenza cascar sulla potenza Sovrana.

A queste voci, suppongo, devesi attribuire il timore qui abbastanza accreditato di un accordo tra Russia e Turchia, secondo il quale, si cercherebbe di separare di nuovo, dopo la caduta del Principe Carlo, la Valachia dalla Moldavia, mediante la retrocessione alla prima Potenza di quella parte di territorio compreso tra il Lago Bourna Sola e Katamouri, di cui è cenno nell'articolo 20 del Trattato di Parigi del 30 Marzo 1856.

L'importanza delle notizie che precedono mi indusse a ripeterle all'E. V. Saranno esse certamente delucidate dai Regj Rappresentanti a Costantinopoli, Bukarest e Belgrado in migliori condizioni di me perchè sul posto.

(l) Cfr. n. 467.

472

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL CONSOLE GENERALE A NEW YORK, DE LUCA

D. s. N. Firenze, 31 maggio 1871.

Segno ricevuta di corrispondenza fino al n. 22.

Ella troverà qui unito una traduzione della legge recentemente votata dal Parlamento, e sanzionata da S. M. il Re sulle guarentigie al Pontefice, ed i rapporti fra la Chiesa e lo Stato. Ella giudicherà se convenga comunicare a qualche giornale influente, o, per altra via, dare pubblicità a questo documento, la conoscenza del quale non potrà, io credo, che giovare alla causa italiana, rischiarando l'opinione pubblica di cotesto paese sulle vere intenzioni del Governo del Re, rispetto all'indipendenza della S. Sede, ed agli interessi cattolici.

473

IL CONSOLE GENERALE A BARCELLONA, A. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RISERVATO 79. Barcellona, l giugno 1871 (per. il 5).

Ho l'onore di segnare ricevuta dell'autorevole ministeriale del 26 maggio scorso (serie politica riservata) (1), concernente la vigilanza da esercitarsi sovra taluni italiani, imbarcati a Genova con destinazione a Barcellona. Di questi italiani, il solo Eduardo Stampa giunse in Barcellona da Marsiglia il giorno 15 maggio, e si presentò al Consolato, chiedendo sussidio per trasferirsi in Madrid. L'indomani partì per Madrid, ove attualmente rattrovasi.

Avendogli diretto alcune interrogazioni, mi riferì che, a bordo del piroscafo che lo condusse in Barcellona, erano con lui altri italiani (garibaldini), che venivano nella Spagna in cerca di lavoro. Questi Garibaldini, dei quali s'ignorano i nomi, non si presentarono mai in Consolato.

Sembrandomi equivoca la loro condotta, mi diedi la premura d'informare il Governatore Civile di Barcellona, fornendogli tutte le notizie più precise sul conto di Eduardo Stampa, qui venuto per altro con regolare passaporto della Prefettura di Milano.

Essendo probabile che i predetti garibaldini siano gli stessi, i di cui nomi sono designati nel dispaccio del R. Ministro dell'Interno, annesso alla sullodata Ministeriale di V. E., ho creduto conveniente di farne consapevoli questo Governatore Civile, ed il R. ministro in Madrid, per loro norma, essendo facile che si siano tutti diretti a quella capitale.

Non mancherò frattanto di osservare se trovansi in Barcellona, nel quale caso saranno, col concorso delle Autorità locali, diligentemente sorvegliati.

474

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. 211. Firenze, 3 giugno 1871.

Le Comte Brassier de S. Simon m'a donné, il y a quelques jours, lecture très confidentielle de quelques dépeches de S. A. le Prince de Bismarck, sur les quelles je dois appeler très particulièrement votre attention. Deux de ces dépeches regardaient la question des alcools et du Saint Gottard. Ces questions, bien qu'elles soient de nature commerciale, étaient envisagées au point de

vue politique. Une troisième dépeche regardait l'attitude de la presse italienne vis-à-vis de l'Allemagne. Enfin, la dernière parlait d'un entretien entre Lord Granville et le Baron de Bernstorf sur le projet de Conférence pour la question Romaine. Lord Granville aurait dit à l'Ambassadeur d'Allemagne que ce projet, mis en avant une première fois par M. Thiers, et abandonné tout d'abord par suite de l'opposition de l'Italie, revenait maintenant sur l'eau, toujours à l'instigation de M. Thiers, et que lui, Granville, y était favorable. Cette opinion du Ministre des Affaires Etrangères de S. M. Britannique ayant été communiqué par le Baron de Bernstorf, au Prince de Bismarck, a fait, à ce qu'il parait, une certaine impression sur l'esprit du Chancelier de l'Empire. Il avait donné instruction au Comte Brassier de nous faire remarquer, que, jusqu'à présent, il avait gardé la plus grande réserve dans la question Romaine; qu'il s'était, meme, abstenu de s'associer aux démarches de l'Autriche et de la France pour certains établissements religieux de Rome; qu'il croyait avoir de cette manière rendu un service à l'Italie, mais qu'il prévoit que bientòt il faudra que l'Allemagne se prononce, et que pour que l'opinion publique en Allemagne continue à etre favorable à l'Italie, il est indispensable qu'on donne satisfaction à certaines exigences, aussi sous le point de vue des intérets matériels comme pour le Saint Gottard et la question des alcools.

Cette communication du Comte Brassier a un caractère tellement confidentiel que je ne me crois pas autorisé à vous charger d'y faire une réponse directe. Cependant, il me parait utile que vous ayez tous les éléments nécessaires pour avoi.r, si l'oc,casion s'en présente, une ,conversation avec le Prince de Bismarck.

Commençons par les questions commerciales. Vous trouverez ci joint unr> copie de la réponse (l) que S. E. M. Sella a adressé au Comte Brassier qui a porté directement à sa connaissance la discussion du Parlement Allemand, relative· ment aux alcools. Je sais que le Comte Brassier l'a trouvé satisfaisante, et qu'il l'a déjà transmise à son Gouvernement.

M. Sella et moi, nous avons également déclaré au Comte Brassier que le Gouvernement du Roi mettra en ceuvre toute son influence pour que le projet de loi pour le Saint Gottard soit discuté avant que la Chambre interrompe ses travaux pour le transfert de la Capitale. M. Sella prévoit une opposition assez vive. Cependant, il espère arriver à faire adopter le projet de Joi.

Les observations sur le langage de nos journaux se réfèrent plutòt, à ce que m'a dit le Comte Brassier, à l'attitude de notre presse pendant la guerre qui vient de finir, qu'à celle qu'elle tient à présent.

La presse italienne est, en ce moment, à quelques exceptions près, plus favorable à l'Allemagne qu'à la France. On peut regretter qu'à une certaine époque quelques journaux ttaUens aient éveillé .par leur Iangage de ,lég.itimes susceptibilités. Mais je dois constater d'abord que la presse anglaise ou d'autres nations neutres était tombée dans les mémes errements: ensuite que le langage de ces journaux n'a exercé aucune influence réelle sur la politique du Gouvernement qui est toujours resté loyalement neutre, bien que cette attitude ait été pleine d'embarras dans le passé, et puisse nous attirer des dangers pour l'avenir. En tout cas les méfiances que l'attitude d'une partie de la presse pouvait jusqu'è

un certain point expliquer doivent étre cessées à présent, et il ne parait pas qu'on doive encore aujourd'hui se défendre contre des suppositions que les événements ont montré étre sans fondement.

Le vote de l'adresse au Parlement Allemand a prouvé que l'opinion publique ne nous est pas défavorable. Nous apprécions hautement cette sympathie que nous témoigne une nation aussi éclairée et aussi brave, et nous ne négligerons rien pour la mériter. Nous ne cesserons pas d'avoir le·s plus grandes ménagements pour le Pape: il va sans dire qu'on appliquera aux institutions religieuses allemandes à Rome le méme traitement qui sera adopté pour les institutions en faveur des quelles des demandes spéciales ont été formulées par d'autres Gouvernements. Vous savez déjà qu'une Commission composée de magistrats et de conseillers d'état est chargée d'étudier les modifications qu'il convient d'apporter à notre législation avant de l'étendre à ces institutions. J'aurai soin de vous communiquer en son temps le résultat des études de cette commission.

Je respecte les raisons qui portent S. A. le Prince de Bismarck à garder une grande réserve dans la question Romaine. Mais, ainsi qu'il .le dit lui méme, l'heure parait étre proche dans la quelle il lui faudra se prononcer. Le parti ultramontain, doué d'une vaste organisation et disposant de puissants moyens d'influence, s'agite près de chaque Gouvernement pour nous créer des difficultés. Quel que soit notre désir de laisser la plus grande liberté de jugement, et d'admettre de prudentes temporisations, la nature méme de la question, empéchera d'ailleurs que cette phase provisoire puisse se prolonger.

Dans un mois le Ministèr·e des Affaires Etrangères devra •se transféDer à Rome avec toutes les autres administrations. Je sais que le Comte Brassier a demandé un congé. Mais l'absence du Chef de la Mission ne suffirait pas à justifier le refus de transférer à Rome, au moins, .Ies bureaux de la ChanceHerie. L'Angleterre, la Russie, la Turquie, l'Espagne, le Portugal, la Suède, la Suisse, ont déjà donné à ·cet ,effet l'autorisa·t·ion nécessaire; j'espère que l'Autdche le fera aussi; que décidera le Comte de Bismarck à ce sujet?

Avant meme que la translation de la Capitale soit effectuée, il aura, s'il le désire, une occasion naturelle de faire connaìtre son opinion. Ayant pris vis-à-vis de l'Europe l'engagement de pourvoir au maintien de l'indépendance spirituelle du Pape, le Gouvernement du Roi se croit moralement obligé de communiquer aux autres Gouvernements la loi du 13 mai 1871. Tel est le but de la Circulaire que vous recevrez avec cette expédition (1). Elle a été rédigée de manière à ne pas rendre nécessaire une réponse si on préfère s'abstenir. Mais, évidemment, elle en fournirait l'occasion à ceux qui croiraient convenable de prévenir, dans l'intérét de la paix, des dangereuses équivoques.

Je dois naturellement vous laisser juge, M. le Comte, du langage qu'il convient de tenir en faisant cette communication. C'est à votre tact de décider s'il n'est pas impossible d'obtenir une réponse amicale, et favorable, ou bien s'il convient de se borner à prendre acte que la communication a été faite. Je n'ai pas d'instructions à vous donner à cet égard, car j'ai la plus entière confiance dans la justesse de vos appréciations et dans votre jugement. Mais il est utile

que vous connaissiez toute ma pensée sur le projet des conférences, car je prévois que le Prince de Bismarck, avec sa franchise habituelle, portera lui mème la conversation sur ce sujet.

Malgré l'extrème répugnance avec la quelle l'opinion publique en Italie verrait le Gouvernement du Roi prendre des engagements internationaux relativement au Pape, je n'ai jamais nié, que la question de l'indépendance spiritueHe du Saint Père intéresse non seulement l'Italie ma.i.s auss~ les autres Etats. Laissés à notre liberté d'action, nous nous sommes efforcés de résoudre la question si bien que cela était possible, d'après les formes exigées par la Monarchie Constitutionnelle. La loi qui a été votée par le Parlement donne au Pape toutes les garanties qu'il peut avoir en prenant pour point de départ l'abolition du pouvoir temporel. Lorsque on parle des conférences il faut donc savoir d'abord si on admet ce point de départ ou non. J'écarte la seconde de ces hipothèses, car évidemment dans ce cas les Conférences ne pourraient aboutir qu'à une guerre. L'Italie est tellement engagée, qu'elle ne pourrait plus reculer. Céder à une pression étrangère dans une question si vitale pour sa dignité, ce serait s'exposer à un état de désordre intolérable à l'intérieur. On ne sauraH se faire aucune illusion à cet égard.

Admettons l'hypothèse la plus favorable celle qu'on prenne pour point de départ les faits accomplis. Il est évident d'abord que les puissances qui aiment à ne pas se prononcer devraient commencer par déclarer nettement leur opinion. En suite les améliorations que les Puissances pourraient proposer à la loi du 13 mai 1871, seraient-elles assez importantes pour justifier une forme aussi solennelle de délibération. Une fois I'abolition du pouvoir temporel admise je ne vois guère que quelques changements dans la manière de payer au Pape la liste civile qu'on pourrait introduire au système que nous avons adopté. Des négociations particulières d'état à état pourraient parfaitement suffire dans ce but: car il est évident que le Pape qui vient de protester hautement contre la loi des garanties par son Enciclyque du 15 mai ne serait guère disposé à faire bonne mine à des concessions qui n'auraient pour lui aucune valeur.

Là est en effet la pierre d'achoppement de toute tentative de conciliation. Le Pape refusera d'assister à la Conférence si les Puissances ne s'engagent pas à rétablir le Pouvoir temporel dans toute l'étendue des anciens états Pontificaux. Il réclamerait Bologne, Ancone et Pérouse; il récla·merait Avignon s'il ne comptait pas surtout sur la France pour détruire l'Italie. Ce sont ces considérations que j'ai soumis à Lord Granville. Elles ne constituent pas un refus absolu et péremptoire. Mes objections portent d'abord sur la surexcitation que la seule mention d'une Conférence provoquerait en Italie, sur les illusions que la Cour de Rome continuerait à se faire sans rien rebattre de son c6té de ses exigences, sur les difficultés que le Gouvernement s'attirerait probablement par suite de l'agitation du parti clérical, sur l'impossibilité d'établir d'avance un programme qui puisse conduire à quelque résultat pratique.

Je ne m'étonne pas que quelques ministres anglais penchent à croire que le Conférence ne serait pas sans utilité. Deux genres de considérations peuvent les porter à cela. D'abord le désir d'amener la Papauté à prendre une attitude moins hostile aux tendances de l'époque et aux exigences de la Société; ensuite (c'est une simple supposition de ma part) la pensée que c'est rendre un service à l'Italie que de fermer en quelque sorte le débat sur une question qui peut etre grosse de complications et de dangers. Vous voyez, M. le Comte, que je suis loin d'attribuer des sentiments hostiles à l'Italie aux hommes d'Etat qui mettent en avant le projet d'une conférence sur la question Romaine. Seulement j'ai des doutes sérieux sur la portée pratique de ce moyen. Les conséquences fàcheuses en sont évidentes pour moi, tandis que les avantages m'en paraissent problématiques. Au surplus ces avantages peuv~mt étre obtenus par une forme de négociations moin solennelle par un échange d'idées de Gouvernement à Gouvernement. Le Prince de Bismarck, qui a un esprit politique si remarquable par la netteté de ses vues, sera, je le pense, de mon avis. Certes il ne saurait objecter à ce que, si les Conférences devaient avoir lieu, le représentant de l'Italie déclare d'avance qu'il a ordre de se retirer si on mette en question les faits accomplis c'est à dire l'abolition du pouvoir temporel, l'union de Rome à l'Italie, et Rome Capitale. Notre désir de ménager les justes susceptibilités des autres nations et des autres Gouvernements, ne peut pas aller jusqu'à nous faire oublier les justes susceptibilités de la nation Italienne. L'Allemagne nous a donné dernièrement des exemples dont l'Italie profitera.

(l) Cfr. n. 458.

(l) Non pubblicato.

(l) Cfr. n. 444.

475

L'INCARICATO D'AFFARI A MONACO, CENTURIONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3755. Monaco, 3 giugno 1871, ore 22,10 (per. ore 10,30 del 4).

Je viens d'apprendre à l'instant que le Comte de Bray a proposé au Roi d'autoriser M. de Donniges à accepter l'invitation d'accompagner S. M. le Roi à l'ouverture des Chambres à Rome.

476

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. 2105. Firenze, 3 giugno 1871.

Da S. E. il Ministro dei Lavori Pubblici, R. Commissario a Roma mi venne testè trasmesso un rapporto documentato di quella questura, col quale si propone la espulsione dal Regno del noto Ernesto Nathan, Inglese. Egli recossi a Roma fino dallo scorso mese di gennaio, e quantunque allora vi si trattenesse per poco tempo, ebbe frequenti conferenze con i più noti repubblicani, il Petroni, l'Ajani ed altri, pigliando concerti (come riferisce il signor Questore) secondo i suoi principi sovversivi. Vi ritornò poi nell'aprile per organizzare e capitanare la dimostrazione che doveva aver luogo il 30, con lo scopo e col carattere che ormai sono generalmente noti. E nei due tentativi di dimostrazione che in quel giorno si fecero dai più ostinati al Campidoglio e a Piazza del Popolo, il Nathan era in prima fila,

e fu lui, straniero, che indirizzò alla Guardia Nazionale parole sconvenienti di rimprovero e disprezzo.

Ora seguita a trattenersi in Roma cercando di tenersi celato con far correre

la voce della sua partenza, ma seguitando pur tuttavia a tenere di giorno e di

notte frequenti e molto sospetti convegni.

Il signor Questore parla anche di una cassa pesante che sarebbe stata portata

fuori dell'abitazione del Nathan la mattina per tempissimo del 30 aprile, il giorno

designato per la dimostrazione, e accenna al sospetto che cotesta cassa conte

nesse armi, ma non è il caso di fermasi su ciò che la cosa non è provata.

Dalle premesse è ovvio 11 dedurre che Ja permanenza a Roma de'l Nathan, non può che riuscire pericolosa. Notissimo repubblicano, cugino dell'altro Nathan che capitanò le bande insurrezionali del 1869 (morto testè a Parigi) intrinseco, se non parente, del Mazzini, egli può organizzare colà (e probabilmente vi sta a questo scopo) gli sparsi elementi del partito sovversivo. Vi è anzi il sospetto che, come l'Internazionale di Londra pare che abbia impiantato sedi figliali e casse di pagamento anche in Italia, egli sia in Roma il rappresentante di quella società. Ne qui è fuori di proposito notare che un abbreviativo di cognome Nathan (Nath) figurava nelle prime lettere minatorie indirizzate a vari signori Romani, a nome del Comitato Centrale Supremo della Repubblica Universale.

Per questi riflessi esso signor R. Commissario raccomanda l'accoglimento della proposta di cui sopra, che dichiara di riconoscere opportuna, sotto tutti gli aspetti.

Allo stato delle cose, questo Ministero non potrebbe che approvare la proposta di cui si tratta; prima però di provvedere in tal senso, il sottoscritto ha creduto d'informarne l'E. V. onde possa renderne consapevole il Rappresentante dell'Inghilterra a Firenze.

Attenderò poi dalla cortesia dell'E. V. un sollecito cenno di riscontro in proposito.

477

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Berlino, 3 giugno 1871.

J'ai reçu votre télégramme du 26 Mai échu (1), et je me suis empressé de faire le message dont vous me chargiez. J'ai adressé à cet effet une lettre particulière au Prince de Bismarck, en me réservant, comme je le lui disais, de demander une audience quand je recevrais la lettre que vous m'annonciez.

L'avis concernant le St. Gothard et la question des alcools a été aussitot communiqué par le Chancelier au Président de la Chancellerie Fédérale. Ce dernier m'a remercié de nos bonnes dispositions.

La Prince Gortchakow est arrivé ici hier. Je lui ai déjà fait une visite et je le reverrai demain. Je me réserve de vous mander, après son départ, pour Wilbad, quelques détails sur nos entretiens.

{l) Cfr. n. 457.

478

IL MINISTRO DEI LAVORI PUBBLICI E REGIO COMMISSARIO A ROMA, GADDA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Roma, 4 giugno 1871.

n tuo telegramma di ieri (l) mi mostrò che tu pensavi e con te pensava il Cuggia che potesse il Principe intervenire alla inaugurazione della lapide a

S. Pancrazio. Avete mostrato ben poca fiducia nel mio criterio, e ora voglio affrettarmi a dirti, quantunque già te ne abbia mandato telegramma jeri sera, che la malaugurata inscrizione se non giunsi in tempo ad impedire che fosse votata, feci in modo però che non vi fosse alcuna clamorosa inaugurazione, non vi fossero autorità governative e sovra tutto non vi fossero discorsi. Questa mattina la cosa passò come io desiderava, e poichè non era conveniente suscitare la réclame della stampa coll'impedirla e pel minore dei mali bisognava !asciarla andare non poteva però porsi quell'iscrizione in modo meno significante. L'affare dei professori fa naturalmente la sua strada, e ora vi sono scolari che vanno a scuola in Vaticano, e professori che fanno lezioni colà. E dire che questo gusto se lo sono dato quegli uomini di genio che hanno ideato quel famoso

indirizzo a Dollinger! Io non mi immischio molto nelle cose Universitarie, perchè amano quei corpi mostrarsi autonomi e stanno alla immediazione del Ministero [sic], ma prevedo che camminando di questo passo, dovrò immischiarmene e dovendolo fare 'lo farò. Per il tuo Ministero sta sempre ,che abbiamo per un piede a terra l'affitto dell'appartamento del Cardinale, nel Palazzo Valentini e spero io sempre che potrai anche avere la Consulta finchè sia comperato il palazzo Valentini. Nel frattempo il Cav. Rometti seguita a far pratiche per aver l'affitto di qualche altra parte dello stesso Palazzo Valentini, ma pel primo piano si fanno difficoltà, e pel piano terreno vogliono di buona uscita per la sola ala di ponente

L. 40/mille che parmi una pretesa esagerata ed assurda. Ecco lo stato delle cose. Pel Ministero dell'Interno il Palazzo Braschi fu definitivamente respinto, perchè oscuro e anche piccolo, oltrechè non libero tutto. Quel Ministero dunque va senz'altro a San Silvestro, ma io feci in modo che non si occupa neppure un palmo di quanto occupavano le monache, e ci limitiamo assolutamente alla parte che aveva il Genio Militare. Ho avuto l'adesione alle opere proposte in questo senso dal Ministro Lanza, e tu non puoi credere quante pene e dispiaceri tutto ciò mi sia costato e come mi costerà ancora perchè il Lanza aderendo dice però che per ora si limita così, ma che intende di avere anche il resto. Anche la stampa di Roma almeno in quanto è stampa onesta la .troverai più moderata e cauta nei rapporti coi francesi, forse più che nol siano certi Deputati e Senatori. Insomma credi che io faccio quanto posso ,per non crearvi imbarazzi, e se non vi riesco è d'uopo dire che non vale il buon volere, onde penso che a consolarmi si accosta la fine del mio Commissariato o martirio che dir si voglia.

(l) Non pubblicate.

479

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA

T. 1681. Firenze, 5 giugno 1871, ore 18,05.

Le sous Préfet de Civitavecchia mande que aujourd'hui, fète du Statut, « l'Orénoque » pavoisé et avec le drapeau italien à Ja place d'honneur s'est associé à la fète nationale. Le Commandant et les officiers de la frégate ont été invités par la Municipalité à se rendre à l'Hotel de Ville, et ont pris part à la fète. J'ai remercié M. de Choiseul de cette manifestation, qui produira la meuilleure impression.

480

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

(AVV)

L. P. Firenze, 5 giugno 1871.

Ella troverà nella, spedizione presente, una Nota Circolare (l) colla quale

il Governo italiano dà comunicazione agli altri Governi della legge sulle gua

rentigie papali.

Noi abbiamo in ogni occasione e nei modi i più espliciti dichiarato all'Europa

che intendavamo assicurare la piena indipendenza del Pontefice, la comunica

zione che ora facciamo è la necessaria conseguenza delle nostre dichiarazioni e

delle nostre promesse.

Il problema che l'Italia assunse di sciogliere è quello di provvedere alla

libertà, alla sicurezza, al decoro del Pontefice, di guarentire le sue comunica

zioni coi fedeli all'infuori di ogni nostra influenza e di ogni nostro controllo,

di rassicurare gli interessi religiosi dei cattolici nella questione pontificia una

volta abolito il potere temporale.

Noi non possiamo offrire all'Europa il risultato di un accordo e di una

umiliazione col Papa. Ma noi potevamo, anche da noi, prefiggere a noi stessi

una serie d'obblighi e di doveri e determinare una sfera nella quale l'azione

morale del Pontefice potesse liberamente svolgersi.

Noi lo abbiamo fatto colle forme che sono proprie al regime parlamentare,

dopo un'ampia discussione coll'appoggio dei rappresentanti del paese, il quale,

in virtù appunto di questa questione, era stato poco prima consultato nei Comizi

elettorali. Il risultato di questa discussione e il complesso delle guarentigie

che offriamo al Pontefice sono diventati una legge dello Stato. Comunicandola

all'Europa, noi ci mostriamo fedeli alla nostra promessa e offriamo, nel tempo

stesso, un pegno che questa legge sarà fedelmente osservata e mantenuta.

Ma quale risultato possiamo attenderci da questa comunicazione?

Ella sa che i governi finora si astennero dal pronunciarsi. Essi lasciarono l'Italia alla sua responsabilità attendendo con maggiore o minore benevolenza il risultato della nostra esperienza. Qualche Governo, oltre questa riserva generale, parve anche, più o meno esplicitamente, riservare il principio che, ulteriormente e in tempo opportuno, i Governi, i quali hanno interessi cattolici da proteggere, sarebbero chiamati ad esaminare la nuova situazione del Papato nei suoi rapporti col Regno d'Italia.

Malgrado dunque che il tempo trascorso dopo la nostra occupazione di Roma e il carattere delle relazioni che continuiamo ad avere cogli altri Governi abbiano il loro valore e indichino un avviamento pratico della questione, questa però rimane ancora aperta, non v'è stato alcun riconoscimento di diritti e il tempo trascorso è troppo breve, le condizioni d'Europa furono frattanto troppo eccezionali perchè vi possa essere stabilita una prescrizione di processo.

In questo stato di cose il nostro scopo, il nostro intento deve essere quello di ottenere un riconoscimento più esplicito del nuovo stato di cose in Roma che non sia quello che si potè avere sinora.

In Francia si svolge una reazione rapida e violenta che può andare sino alla restaurazione del Conte di Chambord, e in questo caso il punto vero del nostro orizzonte sarebbe quello dei pericoli che ci potrebbero venire dai nostri rapporti colla Francia a cagione della questione romana. Un periodo di tendenze fortemente conservatrici s'apre con molta probabilità per tutta l'Europa. L'Italia, desiderosa di raccogliersi in sè stessa e negli affari suoi, potrebbe attraversare con abbastanza sicurezza un tale periodo. Ma sinchè la questione romana resta aperta, essa non può considerarsi siccome al coperto dalle conseguenze di questa situazione.

La comunicazione della legge per le guarentigie pontificie è un'occasione per fare un progresso verso lo scopo che ci proponiamo tanto più che questa legge fu fatta in gran parte per rassicurare i Governi e i cattolici stranieri, e in vista delle esigenze internazionali.

L'ideale per noi, il sommo dello sperabile sarebbe che tutti i Governi, o la maggior parte, facessero una risposta favorevole alla nostra comunicazione, prendessero atto delle guarentigie che la legge assicura per la indipendenza del Pontefice, riconoscendo, per tal modo la soluzione da noi data alla questione romana.

Ma noi non possiamo sperare in un risultato così favorevole. Vi sono dei Governi i quali evidentemente vorranno persistere in una attitudine riservata nè consentiranno, almeno per ora, a pronunciarsi su una questione di principio. L'attuale Governo francese, per esempio, ci ha più volte dichiarato che la sua politica prendeva per base il fatto compiuto, senza arrière pensée, ma che non poteva andare più in là, nè giudicare gli avvenimenti di Roma, nè entrare in alcuna questione di principio.

Fu appunto per questo motivo che la Nota Circolare che Le spedisco fu redatta in modo da non esigere necessariamente una risposta. Ponendo taluni Governi nella necessità di pronunciarsi, costringedoli ad uscire dal silenzio, potevamo esporci al pericolo di provocare noi stessi o delle risposte poco favorevoli, o per lo meno, delle risposte circondate da tali riserve che era meglio non ci fossero esplicitamente formulate. Meglio in questo caso il silenzio il quale almeno non interrompe quella pre:scrizione che conduce seco il fatto e il

possesso.

Ma, nel tempo stesso, se la nostra comunicazione rimanesse da parte di

tutti i Governi senza alcuna risposta, o almeno senza risposta che avesse un

valore internazionale apprezzabile, la nostra situazione diplomatica, nella que

stione pontificia, rimarrebbe nello ~;tatu quo e nC\i non avremmo fatto alcun

progresso nè generale nè parziale.

Il miglior partito dunque mi parve di mandare indistintamente a tutti i

Governi una Circolare che non esigesse in modo necessario una risposta, ma di

intavolare, contemporaneamente alla sua presentazione delle trattative parti

colari presso quei Governi che fossero meglio disposti per avere da essi qualche

risposta scritta favorevole. Un'adesione esplicita e generale non è possibile?

Cerchiamo almeno di averne delle parziali. Esse saranno sempre tanto d'acquisito.

Esse avranno un valore morale sopra gli altri Governi soprattutto se vengono

da Potenze che esercitino un'influenza considerevole nelle questioni d'Europa.

E, nel caso che la questione romana fosse, più tardi, richiamata sul tap

peto, noi avremmo già delle potenze che si sarebbero pronunciate favorevol

mente a noi, che avranno cosi impegno preso per la loro condotta futura, e

avranno fatto quant'era possibile per preparare sin d'ora, un certo isolamento

intorno a quei Governi che fossero disposti a crearci dei seri imbarazzi.

Quanto dissi finora Le spiega ciò che noi speriamo d'ottenere a Londra.

Noi sappiamo già di poter contare sulla sincera amicizia del Governo inglese.

Noi siamo convinti ch'esso considera l'indipendenza e l'unità dell'Italia come

un interesse della politica inglese nel continente, e che vivamente desidera

che la questione romana non divenga per l'Italia una cagione di serie compli

cazioni e di pericoli. Il Gove11no inglese dunque vedrà, dal punto di vista dei

sentimenti che lo animano, se non sarebbe utile ch'esso facesse, per parte sua,

alla nostra comunicazione una risposta analoga a quella ch'esso desidererebbe

ci fosse fatta anche dagli altri Governi.

Lascio questa pratica al di Lei tatto e alla di Lei prudenza. Conosco le difficoltà che potrebbero venire dal carattere assai cauto di Lord Granville. Ella potrà dunque opportunamente esplorare H terreno, senza esporsi all'inconveniente di un rifiuto. Ella conosce lo scopo al quale intendiamo e agirà in conseguenza colla scelta di quei mezzi che le parranno più opportuni. Basterebbe che il Governo inglese ci rispondesse ch'esso ravvisa nella legge gli elementi necessari per l'indipendenza spirituale del Pontefice e che confida che l'Italia saprà agevolare il risultato al quale intende colla sua moderazione e dare ad esso la prova necessaria della esperienza.

Qualche tempo fa ho saputo da fonte sicura che in un colloquio fra Lord Granville e l'Ambasciatore di Germania a Londra si parlò degli affari di Roma. Lord Granville disse al Conte di Bernstorff che, mesi fa, si era parlato di un progetto di Conferenza per la questione romana specialmente per iniziativa della Baviera e anche della Francia, che egli, Lord Granville, aveva un'opinione personale piuttosto favorevole a questo concetto sul quale vedeva taluni vantaggi, ma che si era arrestato dinnanzi alla decisa e categorica repugnanza dell'Italia, che in questi ultimi tempi il Signor Thiers glie ne aveva fatto ancora parola, e che desiderava sapere che cosa ne pensasse il Governo di Berlino.

34 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. II

Ho già avuto occasione di scriverle intorno a questi progetti, ancora assai vaghi, di Conferenza, e ricevetti da Lei una lettera su questo argomento. Le confesso che fui spiacevolmente impressionato dalla notizia di questa conversazione, della quale è però inutile ch'Ella faccia menzione esplicita a Lord Granville, per due ragioni; la prima perchè essa pregiudicava l'opinione, così importante, e in certi casi decisiva di Lord Granville; la seconda perchè essa tendeva a far ricadere sull'Italia la responsabilità esclusiva e diretta di un rifiuto. Ella sa qual'è la mia opinione sulla Conferenza. Io non la desidero punto. Il sentimento pubblico in Italia è certamente contrario a un progetto di conferenza che ci solleverebbe degli imbarazzi. Ma nelle circostanze attuali dell'Europa e in quelle in cui prevedibilmente potrebbe presto trovarsi, non vorrei chiudere a priori e in modo assoluto ogni porta. Ciò ch'io desidero è che, per ora, questi progetti caschino per le loro intrinsiche difficoltà, per l'accoglienza poco favorevole di più d'un Governo, piuttosto che colla singola responsabilità di un ri,fiuto diretto e categorico dell'Italia. Ciò che preferi.JSco è che il Governo italiano non sia chiamato a pronunciarsi, o cerchi di allontanare questa proposta piuttosto con considerazioni di opportunità, che con considerazioni assolute.

Tutte le volte che sorge o che esiste una questione in Europa, l'idea la più ovvia che si pone innanzi è quella di una Conferenza. Ma tutte le volte che fu pronunciata la parola Conferenza, ci fu anche sempre un Governo il quale sostenne che queste riunioni diplomatiche servono a scongiurare o a sciogliere le difficoltà quando hanno un programma ben determinato e preciso e quando vi è la possibilità di porre d'accordo le parti contraenti, ma che, senza questo programma e senza questa possibilità esse non servono che ad aumentare le difficoltà e ad aprire l'adito a nuove ed ignote complicazioni. Questo Governo fu il Governo inglese. L'ultimo Governo che vi potrebbe dare il consiglio di accettare una conferenza senza una base determinata e precisa sarebbe certo il Governo inglese. Ora per noi questa base non può essere che una sola, riconoscimento dei fatti compiuti, cioè abolizione del potere temporale, Roma unita all'Italia, capitale d'Italia. All'infuori di questa base, è d'uopo dirlo assai chiaro, il nostro rifiuto è assoluto. Il nostro linguaggio deve essere esplicito su questo punto perchè non vi sia alcuna illusione possibile.

Ora se l'oggetto della Conferenza non può essere che di rifare la discussione delle guarentigie per giungere a un risultato quasi identico a quello a cui siamo giunti noi, è probabile che quelle potenze, le quali si astengono dal pronunciarsi in principio per la tesi dell'Italia contro la tesi del Papa cadano d'accordo su un programma comune che l'Italia possa ragionevolmente accettare? E è necessario per giungere a questo risultato di adottare la forma solenne di una Conferenza che susciterebbe le diffidenze dei liberali e spingerebbe al parossismo le illusioni e le pretese dei clericali? D'altronde, dopo l'ultima enciclica del Papa, è difficile farsi illusione sul risultato di una Conferenza. Il Papa dichiara necessaria la restaurazione del potere temporale, rifiuta e respinge le guarentigie. A una Conferenza reclamerebbe non solo Roma, ma Ancona e Bologna. Altrimenti protesterebbe contro il progetto di una Conferenza e contro ogni suo risultato.

Senza dunque muovere alcun lamento a Lord Granville, anzi mostrandoci riconoscenti delle buone disposizioni sue verso noi, cerchi, nel modo il più

delicato ed opportuno, di fargli comprendere che il servigio che noi chiediamo al Governo Inglese non è già ch'esso dica «Noi accetteremmo la Conferenza, ma l'Italia non la vuole e, siccome noi siamo amici dell'Italia noi non vogliamo farle dispiacere e consigliarle cosa che le è sgradita». La questione posta così è mal posta, perchè ci espone ai pericoli di una responsabilità tutta nostra e individuale. Il Governo inglese ci recherebbe un migliore servigio, quando esso progetto di Conferenza ritornasse sul tappeto, col richiamare, per conto proprio e al difuori della nostra responsabilità, l'attenzione degli altri Governi su quelle considerazioni di possibilità pratica e di opportunità di cui esso medesimo sentirà la giustezza. Quando Lord Granville crede che ci sarebbe qualche vantaggio per noi in una Conferenza, è certo perchè egli vorrebbe chiudere la questione e premunirsi contro i pericoli che vi potrebbero venire in seguito. Il Governo inglese ci è troppo amico per trarci, anche involontariamente, in un agguato. Quale sarebbe dunque il programma di questa Conferenza? I Governi sono in grado di formularlo in un modo preciso e determinato? Il Pontefice è disposto ad accettare le guarentigie che gli verrebbero offerte all'infuori del potere temporale e quindi a determinare, in conseguenza, la sua attitudine e i suoi doveri verso l'Italia? Se non vi sarebbero a sperare che dei risultati parziali è necessaria per questi la forma solenne di una Conferenza? lo credo che, per ora almeno, questo esame e questa discussione fatta anche all'infuori di noi, basterebbe per fare aggiornare un progetto di Conferenza e per farlo considerare poco pratico. E per noi converrebbe meglio che la responsabilità di un rifiuto sistematico ricadesse piuttosto sul Vaticano che su noi.

A me sembra che vi sia un pensiero il quale, in dati casi, potrebbe essere apprezzato dal Governo inglese. Ed è che, se in presenza dell'attitudine assoluta e indeclinabile di Pio IX, una Conferenza non potrebbe avere alcun utile risultato, essa però potrebbe riuscire vantaggiosa quando si verifi·casse alla vacanza della S. Sede. Allora questo progetto, potrebbe essere riassunto in esame. Un papa nuovo e eletto in condizioni nuove, sarebbe forse più disposto ad accettare i consigli dell'Europa e la situazione offertagli da essa. Per noi questo pensiero avrebbe il vantaggio di farci guadagnar tempo e di rimandarci ad una epoca in cui il ;paese si sentirà più sicuro e in cui avremo già assodata la nostra permanenza in Roma e la sede del Governo nella nuova capitale. Sarebbe allora tolto ogni dubbio che questi fatti potessero essere richiamati in questione.

Un altro servigio, lo dico solamente en passant che potrebbe renderei il Governo Inglese sarebbe quello di moderare la foga clericale del Gabinetto di Bruxelles, presso cui la voce dell'Inghilterra ha tanta autorità.

Le scrissi questa lunga lettera confidenziale per esporle il mio modo di vedere tanto per la comunicazione della legge, quanto intorno ai progetti di Conferenza di cui udii a riparlare. Intorno a quest'ultimo argomento non credo sia il caso di sollevarlo formalmente con Lord Granville, ma se l'occasione si presenta in cui il discorso cada naturalmente su di esso, Ella potrà esprimersi presso di lui nel senso che Le ho accennato e in quella forma che Le sarà suggerita dalla di Lei prudenza ed esperienza politica.

La prego di rimandare a Versailles il corriere che Le porta questa spedi

zione, servendosi per le comunicazioni che avrà a farmi, prima del telegrafo,

poi del corriere inglese, oppure della posta via Belgio.

Non ebbi tempo per far copiare questa lettera. La prego dunque di farmene

avere, di ritorno col corriere, una copia.

(l) Cfr. n. 444.

481

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI V~NOSTA, AL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA

(AVV)

L. P. Firenze, 5 giugno 1871.

Ho ricevuto la vostra lettera (1). Non occorre che io vi dica che approvo

il vostro linguaggio e la vostra condotta e per quello che avete detto e per

quello che non avete detto. Non ho nulla a ridire e vi ringrazio.

Riceverete con questa dLsposizione la Nota Circolare (2) per la comunicazione della legge delle guarentigie. Voi conoscete troppo bene la quistione e la situazione per quanto riguarda il Governo francese perchè vi dia delle istruzioni in proposito. Vi prego di leggere l'<istruz,ione per de Launay (3) e la lettera, a sig1Ho ·alzato, che richiuderete, per Cadorna (4). Esse vi spiegheranno le intenzioni nostre dal punto di vista generale. Quanto alla comunicazione al Governo francese voi potete farla in quel modo e in quella forma e aggiungendo quelle parole che crederete più opportune, in vista di quel risultato che crederete solo possibile, evitando i pericoli a cui si va incontro volendo forzare fuori del caso le situazioni.

Il Corriere si recherà a Londra e di là farà subito ritorno a Versailles. Vi prego di scrivermi intorno alla situazione in Francia sopratutto riguardo alle probabilità di restaurazione borbonica.

Comprenderete bene quanto questa eventualità ci preoccupi e possa anche consigliarvi a provvedere ai casi nostri. Il Re mi ha pure chiesto d'avere un rapporto sullo stato attuale delle cose in Francia.

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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 825. Berlino, 5 giugno 1871 (per. il 9).

Le Prince Gortchacov, après avoir passé trois jours à Berlin, est parti ce matin pour Wildbad. J'ai eu avec lui deux entretiens, malheureusement interrompus par de nombreux visiteurs. Il n'a donc pu qu'effieurer certains sujets, sur lesquels je désirais entendre son avis et recevoir ses impressions.

A la première visite que je lui ai faite, le jour de son arrivée, avant qu'il eut vu l'Empereur et Roi et son premier Ministre, la conversation s'étant engagée sur le développement que prendrait la situation en France, S. A. m'a dit qu'elle ne se permettait encore d'émettre aucune opinion. C'est là un terrain trop mouvant, pour établir dès à présent un calcul de probabilité sur !es chances des différents partis qui vont se disputer le pouvoir. En attendant, la nomination du Général Leflòt à St. Pétersbourg indiquerait assez si on avait besoin d'en avoir la preuve que M. Thiers vise à maintenir pour un certain temps le status-quo, et qu'il ne veut ainsi, ni d'une réstauration de l'Empire, ni méme d'un avènement des Bourbons ou des Orléans. Oe qu'il faudmit à ce Pays, se serait une dictature pour nettoyer les écuries d'Augias, pour rétablir l'ordre mora!, et préparer ainsi le retour à la Monarchie. Mais il serait assez difficile de trouver qui aurait assez d'autorité et de force morale, pour prendre ou accepter un tel ròle. Il faut donc s'attendre à bien des péripéties, avant que la France ait recouvré son équilibre intérieur. D'un autre còté, il ne faut pas se dissimuler que les doctrines perverses, qui ont eu trop longtemps le dessus à Paris, rencontrent de nombreux adhérents en Europe, préts à recommencer les mémes saturnales, si on ne veille pas avec soin à combattre leurs tendances, destructives des bases essentielles sur lesquelles repose la société.

L'Internationale a des ramifications très étendues, en AUemagne aussi bien ,que dans d'autres Pays. A Berlin, à Casse!, à Leipzig, à Brunswick, il y a eu des actes d'adhésion à la commune. Un député au Reichstag, M. Bebel, n'a-t-il pas osé déclarer à la Tribune, que l'insurrection de Paris n'était qu'un prologue, et que bientòt le prolétariat européen aurait le mot d'ordre: guerre aux Palai,s, paix aux chaumières? Dans ces cil'constances, tous les Gouvernements devraient s'appliquer à vivre entre eux dans la meilleure intelligence, et vouer tous leurs efforts à se préserver des horribles excès du socialisme.

Le Cabinet de St. Pétersbourg a chargé ses différents Légations de faire des rapports à cet égard, de suivre de près les menées de ces associations dangereuses. Le Prince Gortchacow se proposait d'en parler à l'Empereur d'Allemagne, et ne doutait point que S. M. partagerait la méme manière de voir, sur la solidarité de tous les Gouvernements pour se mettre en garde contre le banditisme international. Pour ce qui concerne nommément l'Allemagne, le Prince espérait que les événements de Paris seraient un salutaire avertissement pour la classe des ouvriers, dont le pervertissement n'a pas encore atteint les dernières limites.

(J'ouvre ici une parenthèse, pour répondre en quelques mots à la dépéche de V. E., en date du 29 Avril dernier, S. P. N. 207 (1). J'avais interpellé le Ministre de l'Intérieur sur les dispositions des ouvriers, des prolétaires en Allemagne, ensuite des sinistres événements de Paris. Je l'ai trouvé très préoccupé, non pas tant pour le présent que pour l'avenir. Grace à la répression énergique en France, il y aura une tréve, mais il ne croyait pas que ce parti eut dit dernier mot. Il cherchera bien plutot avec de nouveaux renforts à préparer de nouvelles attaques. Le danger d'un mouvement général ne lui semblait qu',étre ajourné, et le jour viendrait où il faudrait livrer bataille rangée à

cette vermine sociale. Heureusement que le prestige de l'Autorité est assez fort ici, et que l'armée ferait au besoin son devoir pour sauvegarder l'ordre, la famille et la propriété. Le Comte d'Eulenburg attribuait une grande part de responsabilité dans l'intermède de Paris aux utopistes, aux libéraux de mauvais aloi, qui, sans en prévoir les conséquences, ont contribué pendant des années à entretenir et à aviver l'esprit révolutionnaire).

Le Prince Gortchacow se louait des bonnes rélations entre la France et la Russi-e. M. Thiers n'avait rapporté de sa mission à St. Pétersbourg d'autre impression, que celle que l'on y compatissait sincèrement aux malheurs de la France. Il n'avait pas moins conservé un excellent souvenir de ses entrevues avec l'Empereur Alexandre. Le Chef du pouvoir exécutif, de mème que M. Jules Favre, ne laissait échapper aucune occasion d'en exprimer sa reconnaissance. Quoique la Cabinet Impérial eiìt décliné toute intervention, à laquelle l'Autriche subordonnait la sienne, et que mème en dernier lieu il ait fait savoir à Versailles que, au lieu de compter sur ses bons offices, mieux valait s'entendre directement avec l'Allemagne pour la conclusion de la paix définitive, le Gouvernement russe ne considère pas moins l'existence de la France, comme une condition de l'équilibre européen. Le Chancelier ajoutait: «Il ne faut pas que le Prince de Bismarck oublie que les 5 milliards d'indemnité sont des lettres de change, tirées non seulement sur la France, mais sur toute ·l'Europe, puisqu'on a par là appauvri un de ses marchés principaux ».

Abordant ensuite l'incident qu'a amené la Conférence de Londres, le Prince Gortchacow parlait avec assez de modestie des succès de sa politique. Il convenait néanmoins d'une certaine irrégularité dans ses procédés, mais il avai-t diì s'écarter des formes usitées, quand tout autre moyen lui faisait défaut pour obtenir la révision du Traité de 1856, dont certaines clauses étaient une humiliation pour son Pays. Plusieurs diplomates russes s'étaient montrés inquiets de son attitude. Le Prince de Bismarck en avait exprimé quelque désappointement, et avait mème demandé que l'acte de dénonciation fiìt ajourné de six semaines. On avait tenu bon à St. Pétersbourg, et le résultat favorable ne s'est pas fait trop attendre. Au reste, chacun en profitera. La Turquie et la Russie rentrent dans la liberté de leurs mouvements dans la Mer Noire. Le Sultan n'aura désormais plus besoin de prendre le mot d'ordre à Paris ou à Londres. C'est son affranchissement d'une tutelle contraire à ses droits de souveraineté. Les autres Puissances sont délivrées de leurs préoccupations sur les dangers d'un conflit entre les riverains de la Mer Noire. Passant en revue l'attitude de quelques Gouvernements, le Chancelier critiquait l'Autriche, protestant d'une part qu'elle ne voulait pas la guerre, et d'autre part se déclarant prète à suivre au besoin l'Angleterre jusqu'au bout. Les publications du Liv1·e Rouge étaient au moins intempestives. Au reste, le Comte de Beust n'avait pas la main plus heureuse dans les Affaires intérieures; les concessions récentes à la Galicie en sont une preuve; comme si on pouvait jamais contenter les polonais! On citait le propos de M. de Beust: «Je n'en reviens pas: le Prince de Bismarck est cassant et il réussit; je suis conciliant, et j'échoue ».

Relativement à l'Italie, le Prince m'a laissé entendre combien il avait regretté que nous nous fussions joints, dans une certaine mesure et par une note officielle, aux démarches des Cabinets, au lieu de nous abstenir, en suivant l'exemple de la Turquie. Il s'en était exprimé très franchement avec le Marquis Caracciolo. J'ai rappelé à mon .interlocuteur que nous n'avions eu d'autre but, que de travailler au maintien d'une entente parfaite entre tous les signataires du traité de 1856, et que nous nous étions montrés très fidèles à ce programme par notre conduite pleine de conciliation aux Conférences de Londres. C'était là au reste, ajoutait le Prince, de l'histoire passée, et il était bien loin de sa pensée de vouloir se livrer à des récriminations. Il désirait, comme toujours, entretenir les meilleurs relations d'amitié avec l'Italie. Il ne lui demandait qu'une seule chose, c'était de ne suivre qu'une politique exclusivement italienne et indépendante, car sur ce terrain ses véritables intéréts ne sauraient étre en collision avec ceux de la Russie.

Quant aux affaires de Rome, j'ai répondu sur le ton de la plaisanterie à une de ses interpe.Uations, que, puisque la Turquie ·et la Russie avaient fini par s'embrasser, nous ne devions pas désespérer de voir un jour se rétablir de meilleurs rapports entre nous et la Cour pontificale. A ce sujet S. A. m'a dit que, depuis 1867, il y avait rupture entre St. Pétersbourg et Rome, et que, vu l'absence d'un représentant officiel Impérial près le St. Siège, la position était parfaitement nette. Ainsi, M. de Uxkiill a reçu l'autorisation de se transporter dans la nouvelle capitale. J'ai appris à cette occasion que le Vatican avait fait en Russie, à une date très récente, des ouvertures pour un rapprochement. Elles n'ont pas été déclinées, mais, avant de s'engager dans cette voie, le Cabinet lmpérial se réserve d'examiner la portée et la sincérité de ces ouvertures. La reprise des bons rapports ne pourrait avoir lieu, qu'à la condition que le St. Siège s'abstienne de tout •ce qui tient au poloni·sme, et d'un empiètement quelconque sur les droits du Tsar.

J'ai eu hier un second entretien avec le Prince, mais il a été tellement entrecoupé par les allants et les venants, que je n'ai pu recueillir que des données assez incomplètes sur les impressions qu'il avait rapportées de ses audiences chez l'Empereur Guillaume et chez le Prince de Bismarck. Voici le peu que j'ai appris.

Il était très satisfait du langage de S. M., qui approuvait entièrement sa manière de voir sur la nécessité d'opposer une digue à l'élément socialiste. Ce qui avait particulièrement plu au Prince, c'est la ferme intention manifestée par S. M., de respecter la Souveraineté territoriale des Maisons régnantes en Allemagne. V. E. sait que la Cour de Russie est apparentée avec la plupart des Souverains de la Confédération, et continue par conséquent à s'intéresser à leur sort, lors méme qu'elle n'exerce plus sur eux la méme influence qu'autrefois, surtout sous le règne de l'Empereur Nicolas.

Le Prince Gortchacow m'a aussi confié un détail, qui vient à l'appui de ce que j'ai mandé à plus d'une reprise par ma correspondance officielle et particulière. L'impression produite par notre conduite durant la guerre n'est pas complètement effacée. C'est évidemment dans ·son entretien avec le Prince de Bismarck, que le Chancelier russe a puisé ce renseignement.

Je me suis empressé de faire l'observation, qu'ici on avait fait fausse route dans le jugement porté sur notre attitude. Elle avait été invariable, avant comme après les succès des armées allemandes. Nous ne nous étions jamais écartés d'une stricte et loyale néutralité. On s'était mépris sur la valeur de quelques articles de journaux, qui ne réflétaient pornt la pensée du Gouvernement, et on s'était montré d'une susceptibilité des plus exagérées. Je ne doutais pas que ces soupçons mal fondés se dissiperaient de jour en jour devant la vérité des faits, et surtout si on voulait juger notre politique d'après ses résultats, en évitant ainsi de porter atteinte à nos sentiments de sympathie vers les Cours du Nord.

Le Prince était du meme avis. Il trouvait, lui-aussi, qu'on avait attaché beaucoup trop d'importance aux publications de la presse, qui, meme en Russie, ne s'était pas fait faute de tirer à boulets rouges sur les Allemands.

Maintenant, la Gazette de Moscou, entre autres, est mieux avisée, et le Prince Gortschacow croyait pouvoir s'en attribuer quelque mérite, car il avait preché la modération à M. Katkow. Quel que soit le talent de cet écrivain, il lui arrivait parfois, comme à la Patti, de faire des couacs, et de ne pas se rendre compte de l'importance des liens d'amitié qui unissent les dynasties Romanow et Hohenzollern. On prétend, il est vrai, que ces memes sentiments ne sont pas partagés à un égal dégré par les deux nations. Il appartient aux Gouvernements de rectifier les écartes d'un patriotisme mal inspiré. L'Allemagne ne saurait en réalité rien gagner par une annexion des Provinces Baltiques, et celles-ci à leur tour perdraient beaucoup à changer de domination. Quant à la Russie, éclairée par l'exemple du passé, elle est contraire à une politique purement dynastique, comme sous l'Empereur Nicolas I. D'après l'avis du Chancelier, tout nouvel agrandissement territorial ne serait qu'une cause d'affaiblissement pour l'Empire. Le règlement de la question de la Mer Noire est, pour S. A., le couronnement de l'édifice. Elle pourrait maintenant dire à Son Auguste Maitre: nunc dimittis servum tuum; mais il y a quelque hésitation de sa part, précisément parce que le Prince ne voudrait pas qu'un successeur piìt, par quelques fautes, compromettre son programme, ne visant qu'au développement intérieur de la Russie, sans aucun regard de convoitise sur ses voisins.

J'allais lui demander aussi comment on s'était exprimé ici, vis-à-vis de lui, sur les circonstances actuelles et futures de la France, mais la visite d'un tiers ne m'a pas permis de reprendre le fil de la conversation. Je doute fort que, sur ce point, l'Empereur et Roi et son ChanceHer se soient prononcés autrement que par des conjectures. Je persiste à croire que, si l'on avait ici quelque préférence, ce serait encore pour une restauration de l'Empire. Cette combinaison offrirait peut-etre plus de garanties, qu'un retour des Bourbons de la branche ainée ou de la branche cadette. Mais, comme le disait le Prince de Bismarck à quelques membres du Conseil fédéral: « avant, comme après Sedan, l'Empereur Napoléon nous a fait des propositions inacceptables ou trop tardives. Nous aurions cependant pu lui venir en aide. Les noms des officiers, et meme des soldats, prisonniers de guerre, restés partisans de sa cause, nous étaient connus. Il eiìt suffi de les diriger en corps sur un point de la France, pour rétablir ses chances, mais il nous répugnait de recourir à cette manceuvre »· Au reste, la confiance est très médiocre vis-à-vis d'un prétendant quelconque. Les conditions de la paix prouvent assez qu'on a cherché ailleurs que dans le bon vouloir des gouvernants de la France, des suretés matérielles contre les velléités d'une revanche. A ce propos, M. de Beust fait dire à qui veut l'entendre que, pour le cas échéant où le Gouvernement français reverait à reprendre les armes contre

l'Allemagne, le Cabinet de Vienne ne se prèterait point à ces projets, qu'il réprouvait d'avance dans l'intérèt du maintien de la paix générale.

Je n'ai pas besoin d'ajouter que l'Italie doit se défier au plus haut degré de chacun des partis qui cherchent, ou à conserver, ou à escalader le pouvoir en France. Nous ne saurions trop nous tenir sur nos gardes, tout en évitant des provocations.

L'Empereur Alexandre est attendu ici le 8. Il repartira le 11 pour Ems. Le 16 aura lieu l'entrée triomphale du Corps de la Garde et des députations des différents régiments qui ont pris part à la guerre. La visite du Tsar témoigne une fois de plus, ce dont personne au reste ne saurait douter, de l'entente cordiale entre les deux Souverains.

(l) -Si tratta probabilmente della lettera particolare del 28 maggio pubblicata al n. 466. (2) -Cfr. n. 444. (3) -Cfr. n. 474. (4) -Cfr. n. 480.

(l) Cfr. n. 400.

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L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, R. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 36. Madrid, 5 giugno 1871 (per. il 12).

Quanto in sommo grado preoccupi la società Spagnuola è l'attiva e tenebrosa propaganda della Internazionale, e il suo svolgersi e ramificarsi nelle masse proletarie della nazione. Forse in nissun paese si è con tanto ardire manifestata, e certamente in nissuno ha fatto maggiori progressi in ispazio minore di tempo, singolarmente agevolata, nel periodo Costituente e dell'Interinato, dalla diminuzione e rilassatezza, che suole succedere dopo violenti e radicali mutazioni politiche, della Autorità del Governo; ma pure da quelle nuove libertà sancite col nome di Derechos individuales nello Statuto fondamentale del 1869, le quali, se concedono all'individuo diritti legittimi e naturali, hanno troppo affievoliti, per avventura, gli altri diritti, detti Sociali, che sono necessaria limitazione di quelli.

Onde non sarà inopportuno ch'io mi permetta di riferire all'E. V. quanto sulla costituzione e l'opera in questo paese della Internazionale mi venne fatto di sapere; imperochè, eccettuate le quistioni che involgono lotta più immediata di partiti e di personalità politiche, nissun problema si affaccia più arduo per l'avvenire della Spagna e nissuno influirà maggiormente sul Governo del Re Amedeo.

La Internazionale si annidò da principio in Barcellona nel Dicembre 18•69; nel Giugno 1870, già regolarmente costituita, divisa in 23 Sezioni con 2000 associati, tenne il suo primo congresso. Oggidì si compone di 185 Sezioni e vanta 200.000 affiliati, se non esagera l'ultima relazione inviata in Inghilterra. È pubblica e palese associazione di operaj per mutua protezione e soccorso, ed ha soddisfatte le prescrizioni della legge sulle società anonime: ha presentato i suoi statuti; esiste giuridicamente. Ma cotesta è la maschera che nasconde la setta: le sue vere regole, il suo meccanismo interno, sono il segreto dei capi. Le aspirazioni, lo scopo, le dottrine si possono inferire dalle opere; e, in !spagna, dalle parole con le quali, mercè delle libertà che vi si godono, gli agitatori supremi non hanno temuto di farle trasparire.

La Federacion, giornale della Internazionale (chè in !spagna essa possede un giornale) stampa frasi come le seguenti: « le instituzioni autrici del gran crimine sociale periranno. Neghiamo la giustizia della proprietà individuale della terra e dei grandi istrumenti del lavoro. L'Associazione Internazionale rappresenta oggidì la vera, la unica risoluzione per compiere l'ultima guerra contro tutto ciò che vi sia di più reazionario: Dio, proprietà, Governo. Mineremo questo vecchio edificio sociale onde al giorno meno pensato si converta in un monte di rovine».

Il cittadino Farga Pellicer, nella Sessione inaugurale, spiegò la dottrina detta collettivista: «l'impero di tutti, l'anarchia, la libera federazione di libere associazioni di lavoratori». E in quel medesimo consesso fu letta una comunicazione diretta agli Internazionalisti spagnoli dalla associazione Belga: « doversi distruggere l'anarchia individuale denominata concorrenza; tutto dover essere previsto, combinato, diretto; nulla conceduto al capriccio degli sforzi individuali; tanto più libero il lavoratore quanto l'ordinamento collettivo più completo, l'iniziativa individuale più ristretta; però proprietà collettiva. A rovesciare il potere politico, giunta l'ora: la forza; a rovesciare il potere economico: la liquidazione sociale».

Ma il Credo della Internazionale non si ferma a queste dottrine. Il progenitore di questa associazione in !spagna ha dichiarato:

« La Internazionale non vuole quelle istituzioni che pervertiscono il sentimento umanitario dell'uomo; proclama nel modo più energico e deciso la necessità per la società dell'avvenire di rovesciare la entità della famiglia, principio dell'autorità e dell'interesse individuale. Io sarei felice d'essere chiamato, invece di Robau Donadeu, il n. 1000 e tanti di Figueras (città della Catalogna)».

L'ordinamento stabilito in !spagna manifesta la società segreta, o il « Gesuitismo rosso», com'è qua chiamata l'Internazionale. Non si tengono liste, nè gl'individui si conoscono personalmente. Il solo Direttore generale conosce gli altri Direttori e costoro i membri delle rispettive loro sezioni. Il centro è ignorato mercè del così detto «sistema di triangolazione ». Uno scritto stampato

ultimamente in Barcellona dice: «in cotal guisa i membri della società non conoscendosi pel'sonalmente, e neppur quelli di una stessa popolazione, i mali effetti di una delazione o di una imprudenza sono evitati». I Direttori si servono, scrivendo, di note enigmatiche, nomi e parole convenute, « onde i segreti non possano essere violati». Ieri, in una riunione di operaj convocata in questa città dalla Internazionale, il cittadino Rodriguez chiese di conoscere le basi e il vero ordinamento della associazione ed il Presidente gli dichiarò che non dovevano essere conosciute.

I mezzi più immediati di propaganda fra gli operaj sono quei medesimi della « Trade's Unions »: la comminazione e l'assassinio; e quel numero 1000 di Figueras disse pubblicamente: «d'ora innanzi, morte a chi non pensa come noi». Pochi giorni or sono due operaj della fabbrica di Battlò in Barcellona, che continuarono in essa malgrado lo sciopero imposto, furono assassinati. Ultimamente i Direttori in Madrid delle Ferrovie Meridionali, per una quistione di paga degli operaj, ebbero a ricevere un foglio di minacciose osservazioni dalla Internazionale, che è, siccome ho detto, legalmente riconosciuta dal Governo; il foglio aveva per bollatura: « Associazion,e della Internazionale; Distretto di Spagna; Sezione di Madrid».

Ho creduto di potermi, in siffatta guisa, dilungare, non solo perchè non mi pare che le leggi di nissun altro Stato abbiano tollerate manifestazioni più audaci e più ciniche; ma pure perchè il Governo ha fondati sospetti per credere che quella setta voglia porre adesso qua la sede e il centro, la base di operazioni come suol dirsi -e far della Spagna la più immediata mira della Cospirazione Socialista.

L'attività degli emissarii venuti senza sosta dal di là i Pirenei ha necessariamente accresciuto il sospetto; e, schiacciata la « Comune » di Parigi, quegli emissari non celano che oramai sia dalla associazione «Cosmopolita » la Spagna considerata per la sua «terra promessa».

Nè cotesta sembra una vana parola di ostentazione, nè quei timori hanno poca sostanza se V. E. considera quanto sieno depresse le condizioni della educazione sociale, ·e profonda la perturbazione morale da cui sono sventuratamente le classi più fortunose travagliate, come i nuovi Diritti Individuali sieno intesi nelle masse per facultà di licenza, e per diritto o libertà di sprezzare le leggi, e -atteso questo stato sociale -come le nuove instituzioni disarmano in molta parte il Governo, mentre danno riparo e facilità a coloro che congiurano per rovesciarle. Però si è potuta tanto radicare la Internazionale, ed ostentar sin pure la sua Rappresentanza nel Parlamento.

Di fronte a quel pericolo, il Governo, mi diceva H Signor Sagasta, non può rimanere con le braccia conserte. E parlando avant'ieri nel Parlamento sul lavorio della Setta ,Socialista, e dopo di aver citati alcuni squarci del giornale la Fedemcion, egli ha detto: « Perchè le autorità non vogliono che sia affogata la società presente, desiderano di affogare quei mentecatti che pretendono tanta insensatezza, e prendono esse le loro precauzioni poichè la legge non consente le misure preventive ...... Lasciate che le autorità prendano le loro misure di precauzione, poichè, altrimenti, la libertà e i Diritti Individuali non esistono per gli uomini onesti che vogliono vivere in pace del prodotto del proprio lavoro, ma solamente pei vagabondi e i perturbatori...

La repressione dev'essere tanto maggiore quanto più libero è il reggimento; imperochè, per essere vietato di prevenire gli atti punibili, non si possono questi evitare che mercè delle precauzioni che sono prese e del timore che sieno repressi energicamente. Se non fosse lecito di esercitare nè prevenzione, nè previsione, nè repressione in quale sgoverno starebbe la società».

Le nuove instituzioni e la Dinastia, per essere nella Spagna giovane pianta, debbono essere con saldo e vigoroso appoggio sostenute, specialmente in un paese dalle abitudini e dall'uso di quasi secolare violenza, ove, per demolire e negare, tutti gli elementi ribelli, valendosi della libertà medesima, fanno contro di essa coalizione. E nei momenti eccezionali che traversiamo il Governo, senza ricorrere a provvedimenti che sospendano direttamente le illimitate guarentigie individuali sancite nella Costituzione, è pur deciso ad operare nel modo più energico, non curando che lo si accusi, di voler sotto i nomi di « Precauzione » e di «Previsione», ristabilire il sistema preventivo.

Però la necessità più incalzante di provvedere ha inspirate al Ministro Sagasta quelle Istruzioni segrete ai Governatori delle Provincie ch'ebbi l'onore di trasmetterLe col mio rapporto delli 30 del mese andato (1). Esse non si riferiscono esclusivamente ai fuorusciti parigini, ma a tutti quei perturbatori e settari che da tutti i paesi sembrano essersi qua data la posta, che prima e durante l'insurrezione di Parigi hanno penetrato in !spagna; e continuano. Queste istruzioni intendono dir questo ai Governatori, secondo mi è stato riferito: molte cose che non potrebbe il Governo dirvi di fare nell'interesse della pubblica sicurezza abbiate il coraggio di farle e di prenderne la personale iniziativa e risponsabilità, e contro di colui « che cospira protetto dalla nostra Costituzione democratica » uscite pure dalla stretta e rigorosa legalità.

Ed io posso accertare all'E. V. che quei 300 emissarj della Internazionale, che il Ministro confessa di essere giunti durante la insurrezione parigina, ha in animo il Governo di arrestarli e metterli in deposito come partecipi dei fatti di Parigi, procurando poi dal Governo francese la domanda di estradizione. Le autorità spagnuole credono che se venisse tolta la semenza straniera al socialismo di Spagna, questo riceverebbe un colpo mortale sendo pochi gli uomini spagnuoli che, simili al Donadeu, abbiano nervo e talento di alimentarla e mantenerla viva nel Regno.

Ieri l'altro il Governatore della Provincia di Madrid mi ha diretto un ufficio

per invitarmi ad avvertire i sudditi Italiani che debbano presentarsi alla Dire

zione della Pubblica Sicurezza per essere provveduti con un certificato. Cotesta

disposizione è una conseguenza delle suddette istruzioni segrete ai Governa

tori, e dovrà servire a meglio conoscere la Colonia straniera di questa provincia.

La R. Legazione non ha esitato, con le altre, di prestarsi al desiderio che le è stato manifestato.

P. S. E mentre scrivo all'E. V. si grida in vendita uno Stampato della Internazionale facendo l'apoteosi dell'assassinio dell'Arcivescovo di Parigi «persona inutile », e dell'incendio di Parigi « perchè chi tutto ha prodotto può distruggerne una parte», e minacciando la Spagna e la sua società con la medesima sorte.

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IL MINISTRO A VIENNA, MINGHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. Vienna, 5 giugno 1871.

Sabato vidi il Conte Beust, ma troppo brevemente per intavolare un discorso sulle cose nostre; mi limitai a prendere un appuntamento per jeri 4 corrente ed ecco il sunto della nostra conversazione.

Io cominciai dal dirgli che il Governo italiano gli avrebbe comunicato la legge delle guarentigie per la indipendenza della Santa Sede e per la libertà del Pontefice, e che intanto io gliene offriva un esemplare insieme col tuo discorso al Senato che ne commentava il senso; che senza dimandare un giudizio formale, noi ,speravamo però che il Governo Austro-Ungarico ed egli il Conte di Beust avrebbero riconosciuto la equità di questa legge e la sua rispon

denza alle giuste esigenze dei cattolici. A ciò il Beust disse che senza averla esaminata parte a parte ne conosceva già per i rapporti di Kiibeck lo spirito, e rendeva giustizia ai nostri sforzi, augurando che l'esperienza confermasse la efficacia loro; ma il solo modo pratico, disse egli, di mostrare la nostra approvazione sarebbe quello di raccomandare al Papa l'accettazione, ed un tal passo non potrebbe ora avere nessun resultato, e quindi non sarebbe opportuno. Ciò porgeva il destro a discorrere di alcuni particolari della legge, ed io mi adoperai a mostrargli che quelle garanzie erano tali per la più parte che non richiedevano la sanzione del Papa. Questi ripete i suoi diritti da Dio: noi li riconosciamo legislativamente. Il punto nel quale si richiederebbe da parte sua un assenso, è l'accettazione della dotazione. Ma non sarebbe difficile, se le potenze cattoliche volessero fare una offerta comune che avesse per base la somma stanziata dal Governo italiano, trovar modo di conseguire anche questo effetto. L'idea non mi parve gustata dal Conte di Beust; non già che ci trovasse obbiezione di massima, ma scivolò sull'argomento; forse la questione di danaro non è all'ordine del giorno.

Da ciò si passò a discorrere della possibilità che egli abbia ora nelle delegazioni delle interpellanze sulla quistione romana, e sia chiamato ad esprimere la sua opinione e sulla legge delle garanzie e sulla situazione. È molto probabile, mi diss'egli, che ciò avvenga, ma in forma assai più recisa che non credete. Sarà il partito clericale quello che mi assalirà, invocando nettamente l'intervento austriaco nella quistione romana. Ed io risponderò pure recisamente negandolo. La linea di condotta dell'Impero austro-ungarico rimane quale voi la lasciaste; essa non ha mutato e non muterà sinch'io rimanga al potere. E qui in via di disgressione narrandomi il ritiro del Conte Potocki e la formazione del Ministero Hohenwart che sorse senza alcuna sua partecipazione e quasi senza sua saputa, seguitò: il compito solo che mi rimaneva era di porre alcune condizioni sulla politica estera. Queste condizioni furono due: l) unione coll'Impero d'Allemagna; 2) accordo coll'Italia sulla base del non intervento nella quistione romana. Certo vi sono grandi riguardi da usare specialmente per l'Imperatore e per la famiglia imperiale, che è devota al Papa e compiange i suoi dolori; non bisogna che vi meravigliate della opinione dei membri della famiglia imperiale; l'Imperatore stesso farà in occasione del 25° anniversario di Pio IX una dimostrazione della sua riverenza ed affetto. Ma non avrà nessuna portata politica, ed io vi ripeto e vi prego di assicurare il Ministro Visconti che la nostra condotta sarà conforme a quella seguita sinora.

Qui mi parve che tornasse conveniente condurre il discorso sulle voci di conferenza che s'erano pronunziate alcun tempo fa. Il Beust si espresse come se non avesse mai dato valore e serietà a queste voci. Passando da Monaco il Conte di Bray gli aveva esposto un'idea che gli pareva nuova e bella, quella di fare di Roma la Mosca d'Italia, capitale sì, non sede del Governo; ma tale idea avrebbe dovuto sorgere spontanea in Italia, non essere suggerita dalle Potenze straniere. Risposi che quest'idea era stata dibattuta in Italia più volte, avendo in sé molta facilità apparente, ma che due ragioni avevano impedito gli uomini politici dal fermarvisi; l'una che Napoli, Firenze, Torino si sarebbero contesa la sede del Governo, posto che non fosse in Roma, che era la sola città alla quale tutte cedevano il primato; l'altra che Roma stessa, invece di divenire sotto l'influsso del Governo italiano una città conservativa e sicura, sarebbe rimasta il focolare degli intrighi e delle agitazioni di ogni genere. Le quali due ragioni mi parvero avere efficacia sul suo animo. Ma tornando alle voci di Conferenza, il Beust osservò che nelle prime note e circolari del Governo italiano era detto chiaramente che l'assetto definitivo della questione romana doveva stabilirsi d'accordo colle altre potenze. Siccome io m'aspettava questa abbiezione perciò colsi volentieri il destro di spiegargli le tue idee, e le riassunsi così.

Se le potenze al nostro primo ingresso a Roma avessero accolto il pensiero di accordarsi insieme, o di trattare con noi che cosa potesse surrogarsi al potere temporale per garantire la indipendenza e la libertà del Pontefice, noi non avremmo chiesto di meglio. Ma la situazione bellicosa dell'Europa in quel tempo, la difficoltà del problema, il pressentimento del rifiuto del Papa, indussero le potenze ad astenersi: invece di accogliere le nostre proposte mostrarono di non volersi ingerire nella questione. Che fare allora? Lasciare indefinitivamente sospesa la cosa? Non presentare nulla al Parlamento? Certo no. L'Italia è stata sforzata di prendere l'iniziativa, e di comporre e dar sanzione di legge a quelle condizioni che gli parevano lealmente le più atte ad assicurare la libertà e l'indipendenza spirituale del Papato.

La prima fase, alla quale voi alludete, era dunque finita, e fu ragionevole e necessario per noi entrare 1n quella seconda fase, la quale anch'essa oggi è compiuta. Noi possiamo di buon grado accettare uno scambio di idee sull'argomento, ma una conferenza senza offrire pratica utilità ci sembra pericolosa. Bisognerebbe naturalmente prender le mosse da due fatti; dalla cessazione del potere temporale, e dalla legge che è stata promulgata; ma che cosa direbbe il Papa, il quale non solo non riconosce questi fatti, ma domanda l'Umbria, le Marche e la Romagna? Io credo che sia difficile per non dire impossibile ottenere una conciliazione sinchè viva il Papa attuale. Ma ciò di cui noi, e le altre Potenze dovrebbero preoccuparsi sarebbe la vacanza della Sede pontificale che non può essere lontana, e avvisare a ciò che in quella opportunità sarà da farsi. E primieramente dare opera a ciò che il nuovo Papa sia un uomo di spiriti temperati e conciliativi. Il vostro candidato, interruppe il Beust, se non m'inganno è il Cardinale Silvestri. Il Cardinale Silvestri, diss'io, è un uomo pio, mite, conciliativo, ma non abbiamo una preferenza assoluta per uno più che per l'altro. Anzi è da notare che da Adriano VI in poi, cioè dacchè il potere temporale prese quelle forme che ha avuto sinora, non fu mai più eletto Papa che non fosse italiano. Cessato il potere temporale, cessa questa necessità e se il nuovo Papa fosse uomo di senno e di conciliazione, chi potrebbe pretendere che fosse scelto più in una che in altra nazione cattolica? Ad ogni modo mi sembra che sarebbe bene prepararsi per quella eventualità sicura e non remota, e se le potenze cattoliche vorranno riassumere la questione, e venir a qualche accordo, sarà quella certamente la più opportuna occasione, anzi la sola opportuna.

Mi parve che queste idee piacessero assai al Beust e me lo espresse con

calore; qual possa ess·ere la durata di queste impressioni, e sino a che punto si

possa ripromettersene effetti, non saprei precisarlo. Però le conclusioni della

nostra conversazione mi sembrano le seguenti:

l) Che la polìtica austriaca non è punto mutata da quel che era nel Decembre scorso e che si persevera nell'idea di non intervento nella questione romana.

2) Che se nelle delegazioni sarà fatta a Beust una interpellanza, egli risponderà in questo senso molto ricisamente.

3) Che il Governo austriaco non intende pronunziare giudizio sulla nostra legge delle guarentigie. Però prima di partire mi propongo di tornare ancora su questo punto, e di tentare se vi fosse qualche cosa di possibile e di pratico.

4) Che non piglierà nessuna iniziativa nè di conferenza, nè di scambio di idee, nè d'ingerenza collettiva qualunque in questa questione.

5) Che raccomanderà solo tutti i riguardi al Papa, agli interessi cattolici, agli interessi austro-ungarici, se ve ne sono implicati in qualche istituzione esistente a Roma. Che si conta molto sulla quiete della città e sulla nostra moderazione.

6) Che se vi sono dimostrazioni del partito cattolico, ed anche della famiglia imperiale, non è da adombrarsene, perchè non avranno influenza sull'indirizzo politico.

7) Che l'idea di prendere qualche intelligenza per l'eventualità della morte del Papa, e del periodo della sede vacante, è idea qui bene accolta, e che volendo possiamo coltivare con qualche frutto, se non altro per rimandare a quell'epoca qualunque mozione fosse fatta da altre potenze.

(l) Non pubblicato.

485

IL MINISTRO A VIENNA, MINGHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Vienna, 6 giugno 1871.

Ieri per mezzo di Barbolani ti ho mandato una lettera nella quale riassunsi la mia conversazione con Beust (1). Dopo ho veduto singolarmente i tre segretari generali e come qui chiamano Capi Sezione Hofman, Altenburg, Orczy. Hofman mi confermò chiaramente quello che Beust mi aveva detto. Il principio del non intervento nella questione romana è nel programma della politica estera. L'idea di una conferenza non fu nè qui messa fuori, nè può essere accolta se l'Italia non vi aderisce. Poi a che pro' una conferenza, quando il Papa rifiuta ogni e qualunque transazione? L'Hofman mi raccomandò molto di dirti che se la necessità vi spinge a fare qualche cosa o per espropriazione o per altro, che tocchi istituti austro-ungarici vogliate prima parlarne con Kiibeck: troverete disposizione buona ad intendersi, ma un atto improvviso inaspettato potrebbe far male. Del resto soggiunse che le dichiarazioni ricevute dal Governo italiano li avevano pienamente soddisfatti.

Non diverso è il sentimento di Altenburg, ma più riservato. Riconoscendo che abbiamo fatto i più lodevoli sforzi, che la legge promossa è equa, pur si

chiede: Che garanzia avranno i cattolici della sua durata? Non può un altro Ministero, un altro Parlamento cambiare questa legge? Io mi sforzai dimostrargli che è nell'interesse stesso dell'Italia osservarla scrupolosamente, e che tale interesse è più efficac-e di ogni convenzione.

Con Orczy ho avuto più lungo discorso siccome egli sarà incaricato di rispondere nella delegazione agli ungheresi così occorreva sviscerar l'argomento, e gli diedi anche la legge e il tuo discorso; da due parti gli verrà l'attacco, dai radicali che vorrebbero cancellata la somma per l'ambasciatore a Roma del budget; dai clericali che vorrebbero ·ristabilito il Papa. Per rispondere ai primi, egli trova argomento nell'art. 11 della legge, e ciò potrebbe fornirgli occasione di parlare della legge medesima in quanto può soddisfare le esigenze dei cattolici onesti e non partigiani.

Credo che giovedi o venerdi sarò ricevuto dall'Imperatore per presentargli le lettere di richiamo che son giunte stamane. E quindi il mio compito è finito. In complesso ne sono contento, e spero lo sarai tu pure.

La presenza di Acton a Monaco mi aveva fatto sperare di vederlo. Come ieri sera .ti scrissi, egli deve tornare a Londra. Ma più ci penso e più mi pare che sarebbe meglio aspettare un poco e sentire l'esito delle conversazioni di L. coi due G. Da ciò potrebbesi avere argomento sulla opportunità di qualche nuovo passo, e sul modo di farlo.

Pertanto io sono a tua di·sposizione. Questa lettera ti giungerà venerdi mattina. Io ti prego vivamente nel caso che tu voglia adoperarmi in altro o qui o altrove di volermi telegrafare per mezzo della Legazione in cifra, subito aspettate le mie istruzioni. Se tutto il venerdi passa senza 'Che io riceva nulla m'intenderò libero di partire, e partirò probabilmente sabato mattina per Firenze. Metto la parola probabilmente perchè aspetto una lettera di Elliot, benchè sia forse troppo tardi per Costantinopoli; aspetto però lettera tua prima di decidermi.

Per sicurezza mando questa lettera per mezzo del Banco Ferazi.

(l) Cfr. n. 484.

486

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL SEGRETARIO DI LEGAZIONE A VIENNA, CURTOPASSI

T. 1683. Firenze, 8 giugno 1871, ore 17.

Je vous prie de communiquer ce qui suit à M. Minghetti: «J'ai reçu votre lettre (l) et je vous en remercie. Votre présence ici n'est pas nécessaire pour la loi de la sùreté publique. Je ne veux pas vous empecher d'aUer à Constantinople et je me réserve de faire appel à votre amitié après votre retour en Italie.

Cependant je vous prie d'insister avant de quitter Vienne pour savoir de

M. Beust si Ki.ibek sera autorisé à venir à Rome au mois de juillet. J'annonce aujourd'hui aux légations étrangères à Florence que le Ministère sera transféré à Rome le premier Juillet. J'ai des raisons pour croire que la légation de France suivra l'exemple de celle d'Autriche. La Bavière a demandé à Berlin, à Paris,

à Vienne qu'est-ce-que l'on doit faire à cette occasion. C'est au Comte de Beust à donner l'exemple. Je vous prie de me télégraphier sa décision et impression produite par circulaire sur loi des garanties.

(l) Cfr. n. 483.

487

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI RAPPRESENTANTI DIPLOMATICI ESTERI A FIRENZE

Firenze, 8 giugno 1871.

J'ai l'honneur de vous informer que, conformément à la loi du 3 février 1871, le Ministère des Affaires étrangères aura transféré le ter juillet prochain son siège à Rome. au palais Valentini.

488

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3765. Versailles, 9 giugno 1871, ore 9,55 (per. ore 11,20).

J'ai insisté auprès de Jules Favre pour qu'il donne à la légation française à Florence instruction de se transfér·er à Rome. Il m'a dit que la France suivrait l'exemple des autres cabinets, à qui il a demandé ·ce qu'ils .feraient. Je vous en préviens afìn que vous puissiez agir auprès des différents cabinets. Il m'a dit aussi qu'il avait cru devoir adresser au Pape, à l'occasion de son Pontificat, un compliment, mais sans signifìc.ation politique. Courrier de Cabinet est arrivé et reparti pour Londres.

489

IL SEGRETARIO DI LEGAZIONE A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3767. Vienna, 9 giugno 1871, ore 4,15 (per. ore 21,50).

Beust n'ayant pas reçu hier le Corps diplomatique je ne pourrai lui donner lecture de votre circulaire (l) que lundi. Minghetti vous mande ce qui suit: « J'ai vu Beust ce matin je l'ai laissé très disposé à donner ordre à Kubek de se rendre à Rome en juillet, mais avant de prendre une résolution il veut en parler dem<iin matin à l'Empereur. Il m'a donné rendez-vous pour demain dans l'après-midi. Je vous télégraphierai sa réponse :P.

;;;; -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. II

(l) Cfr. n. 444.

490

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3768. Parigi, 9 giugno 1871, ore 21,45 (per. ore 10,10 del 10).

J'ai remis aujourd'hui à Jules Favre copie de la loi des garanties et de la dépeche (1). Impression de la lecture que je lui en ai faite est bonne. Il s'est reservé d'·en ·confér·er avec Thiers. Je ferai de mon mieux pour éviter une réponse mauvaise et j'espère l'éviter. Envoyez-moi une copie de votre déplkhe du 20 (2). Le Comte d'Harcourt ira complimenter le Pape à l'occasion de son anniversaire pontificai, mais il s'abstiendra de tout propos politique. L'Autriche envoie aussi, dit-on, son ambassadeur à Rome pour complimenter Sa Sainteté à la méme occasion.

491

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1564. Parigi, 9 giugno 1871 (per. il 17)

Se v'ha per l'Europa intera un interesse grave e manifesto a poter presagire

quali saranno i nuovi destini della Francia e se la grande rivoluzione che si

svolge in questo paese dal 4 settembre del 1870 debba arrestarsi ad una restau

razione monarchica, oppure alle basi d'un definitivo governo repubblicano,

quest'interesse è invero maggiore che per ogni altro per gli Stati che sono limi

trofi della Francia, e sommo tra questi per l'Italia la quale può temersi minac

ciata nelle più essenziali condizioni della sua esistenza dal ritorno al potere di

uomini avversi al principio della sua origine, alla sua unità ed al grande avve

nimento politico che coronò quest'unità. Epperò, convinto come sono dell'im

portanza estrema che v'ha pel R. Governo a potersi formare un criterio quanto

più possibile esatto sulle condizioni avvenire della potenza che fino a jeri era

il più stretto suo alleato, sarebbe il più caldo de' miei voti di riuscire a squar

ciare il velo che le ricopre e ad intravederle con sguardo chiaro e sicuro.

Ma non devo farmi nè devo fare all'E. V. illusioni sopra un così arduo

compito. Da poche ore appena la pace col nemico straniero è firmata, lo spettro

rosso è atterrato. Le angosciose preoccupazioni della definizione delle condizioni

di pace, quelle della repressione de' torbidi di Parigi contennero finora i par

titi che aspirano al potere: domati dalle enormi quanto ineluttabili esigenze

della situazione, costretti o dal cannone prussiano o dalle miccie incendiarie

dei ribelli a provvedere a più urgenti necessità, essi non ebbero neppure campo

a misurare seriamente, apertamente, in ogni parte del territorio, la loro forza

relativa. D'altronde, un vero giudizio sulle intenzioni intime della maggioranza

del paese è reso ancora più difficile sia dal fatto che l'Assemblea sedente a Ver

saglia, nella quale sono vacanti in questo momento 112 seggi, deve la sua ori

gine, non ad una data tendenza politica, ma a voti di pace ad ogni patto o di

guerra ad oltranza, sia dalla circostanza che gli ultimi sconvolgimenti turbarono profondamente in Francia le condizioni normali del giornalismo che quando funzioni regolarmente è il meno fallace termometro dell'opinione pubblica. Nella Capitale, in Parigi, il giornalismo serio comincia appena a ricostituirsi. Nullo sotto il primo assedio, esso durante il regno del Comune non funzionava più che come strumento dei comunalisti o come ausiliario della reazione coalizzata contro la bandiera rossa.

Per tali precipue ragioni, astrazione fatta da ciò che possa arrecare un qualche tentativo imprevedibile, un colpo di Stato come la Francia ha costume di vederne, io non credo che siavi uomo il quale possa sino ad ora avventurare una profezia con meglio che mediocre probabilità.

Nessun partito ha rinunziato alle sue speranze, alle sue pretensioni. Il partito repubblicano ha per sè il fatto esistente, uscito dalla crisi del 4 settembre, ma convertitosi in un fatto legale dalla implicita adesione dell'Assemblea nazionale che nominava il Signor Thiers capo del potere esecutivo della Repubblica. L'Impero si raddrizzò a fronte di questo fatto, poc'anzi col manifesto dell'Imperatore da Wilhel!mshohe H quale faceva appello al suffragio universale, e jeri ancora colla lettera del Principe Napoleone al Signor Giulio Favre che non avrebbe senso nè ragione d'essere se non dovesse valere siccome una constatazione della persistenza delle pretensioni napoleoniche. Il Conte di Chambord dichiarò altamente nell'ultimo manifesto suo ch'egli aveva fiducia «d'essere chiamato, perocché nelle sue mani stava la vecchia spada della Francia». I Principi d'Orléans non fecero personalmente alcun sì esplicito atto da pretendenti; ma il loro partito ne fa giornalmente per essi, vanta giornalmente il loro patriotismo, la loro abnegazione, le loro virtù civili e militari, ed insinua nell'animo dei cittadini con una paziente tattica e con documenti tratti dalla loro privata corrispondenza i loro titoli a regnare. Confusi in un'appellazione generica di Principi di Borbone, gli uni e l'altro, i Principi d'Orléans e il Conte di Chambord, ottennero una prima vittoria nanti l'Assemblea ed il paese coll'abrogazi.one delle leggi d'esilio che li colpivano, pronunciata jeri a Versaglia con 47,2 voti ·contro 97, ammessa dal Signor Thier.s non senza esitazioni, sotto l'evidente pressione già da qualche tempo a tal fine esercitata su lui dalla maggior·anza parlamentare. Il Duca d'Aumale ed il Principedi Joinvtille V·idero ·convalidate in pari tempo dall'Assemblea le loro elezioni a rappresentanti con 443 voti contro 111 voti.

Ma quale è in fatto la situazione di questi pretendenti tra loro e rimpetto

al paese?

Il partito in quest'ora più aspramente osteggiato è indubbiamente il par

tito napoleonico. Battuto in breccia già da molti anni dagli altri partiti colle

gati, l'Impero non solo porta la risponsabilità delle terribili sventure dalle quali

la Francia durerà fatica a rilevarsi, ma esso inoltre, dopo la sua caduta, fu

denigrato sistematicamente, fu coperto d'obbrobrio con una violenza, con un

persistente accanimento di cui forse mai alcun altro governo crollato vide

gli uguali. Parigi, mentre Napoleone III sedeva ancora sul trono, ad ogni ele

zione e da ultimo nel plebiscito dell'8 maggio provò quant'era avversa al regime

imperiale. Si può dire altrettanto di tutte le maggiori città di Francia. Nelle

campagne soltanto si può con ragione presumere che la maggioranza dei con

tadini oggi ancora sarebbe propensa ad una restaurazione imperiale. Il soffio

rivoluzionario non penetrò tra essi come per opera dell'« Internazionale » già

durante l'Impero era penetrato tra gli operaj delle città. Ed i contadini anzi

sono facili ad attribuire al partito rivoluzionario e repubblicano tutti i disastri

di cui in una metà del paese più che altri essi ebbero a soffrire. Nella magi

stratura, nelle amministrazioni pubbliche, il Governo della difesa nazionale

dapprima, il signor Thiers poi ebbero cura di eliminare per quanto ciò fu

possibile l'elemento bonapartista. Nell'armata quest'elemento sopravvive forse

più che in ogni altro ramo della pubblica azienda: vi furono battaglioni che

si lanciarono all'assalto d'alcune barricate, negli ultimi fatti di Parigi, al grido

di «vive l'Empereur! ». Senonchè quei capi dell'armata che hanno precedenti

imperialisti non sembrano nè di tale tempra, nè di tali intenzioni da assumere

una iniziativa politica. Nell'Assemblea nazionale tre o quattro rappresentanti

appena possono dirsi sostenitori decisi dell'Impero. Non ricorderò neppure il

voto di Bordeaux che condannava l'Impero in termini da corte d'assise.

Il Conte di Chambord ha sopra i Bonaparte il vantaggio di rappresentare una fede inveterata, un principio, il diritto storico, l'idea di stabilità. Nessuno s'illude circa la nullità della sua persona: nondimeno i suoi partigiani gli fecero e gli fanno nome di caldo patriota, d'uomo accorto, pieno d'onestà e di moderazione, devoto al suo paese fino al segno da mettere in ogni evento la felicità dello stesso sopra il suo proprio diritto. L'antica nobiltà, i signori rurali, alcuni arricchiti od ambiziosi di bassa categoria, sognatori per sè e per la propria famiglia di sinecure e di titoli, il clero, sono per lui. Nell'insieme indubbiamente una minoranza numerica infima. Ed invero questa minoranza mostra di avere la coscienza ch'è tale nel paese, sebbene nell'assemblea sia rappresentata in modo sproporzionato alla sua vera forza, e sebbene i suoi rappresentanti si segnalino per impaziente ardore e si agitino in continui sforzi di propaganda. Sono i legittimisti che più spingono alla fusione tra i due rami borbonici pretendenti; sono essi che la dichiararono e la dichiarano compita; sono essi che manifestamente vi hanno il maggiore interesse, giacchè sentendosi deboli pel numero dei proprj aderenti, tendono ad accrescerlo con quello dei seguaci de' Principi d'Orléans i quali più non riceverebbero la corona, in

linea di successione, che dalle mani di Enrico V.

Per la ragione inversa gli Orleanisti, meno sedotti dalla tentazione di eliminare definitivamente il competitore legittimo personalmente poco pericoloso e di consacrare con una fusione la legittimità dei proprj pretendenti che da quella d'arrivare al trono in via diretta, senza l'intervallo del regno della persona d'Enrico V, si mostrano assai meno proclivi alla fusione, meno esplicit ad affermarla o compiuta, o prossima a compiersi. Essi contano di più sulle loro radici nel paese, sulla vitalità del programma liberale che fu finora quello dell'orleanismo in opposizione a quello de' legittimisti, sulle simpatie di cui la famiglia d'Orléans non cessò di godere nella borghesia francese la quale in fatto propende quasi tutta intiera in favore d'una monarchia francamente costituzionale.

Non può esservi dubbio che sottomessa al suffragio universale su tutta l'estensione del territorio francese in termine generale la questione di repubblica o monarchia, la maggioranza de' voti si pronuncierebbe in favore della monarchia. La repubblica è accettata dai più come un provvisorio, come un mezzo termine, come un momentaneo rifugio; essa ha propugnatori sinceri e convinti in uomini appartenenti ad ogni ceto, ma che numericamente non costituiscono un elemento prevalente; essa ha aderenti fanatici che dalle medie classi discendono fino nelle ombre di quel proletariato che a Parigi, Lione, Marsiglia, Lille ricoveravasi poc'anzi sotto la bandiera rossa. Ma nelle campagne essa mette paura, e gli ultimi avvenimenti nella capitale pongono in grave suspicione contro di lei anche molti cittadini che prima l'avrebbero per lo meno subita, se non desiderata.

In questa condizione di cose, pronunciare una sentenza recisa sull'avvenire è, lo ripeto, una presuntuosa impresa. Da parte sua il Signor Thiers, nel discorso che pronunciò jeri nell'Assemblea sulla questione dell'abrogazione delle leggi d'esilio de' principi borbonici, fece una professione di fede in favore della monarchia costituzionale sul modello dell'inglese: ma esso riconfermò poscia espressamente le anteriori sue dichiarazioni: « Ho preso un impegno, egli disse, con intiera lealtà, e non me ne discosterò giammai. II fatto che mi si diede, ch'io accettai 1n deposito, è la Repubbl,ica: io non tradirò la RepubbUca ». E poco dopo egli ripetè : «Lo dissi, non tradirò nessun partito. La Repubblica esiste: essa è il fatto ehe voi mi consegnaste, che voi mi affidaste, e se trama alcuna fosse ordita contro di essa, io verrei ad avvertirvene». E quindi soggiunse: «Non tradirò nè l'avvenire, nè il presente. Quando vedrò pericoli per l'uno o per l'altro, io mi separerò da coloro che volessero metterli in pericolo. In quanto a me sono convinto che se si volesse precipitare le soluzioni, si getterebbe la Francia nella guerra civile, guerra civile immediata, terribile. Oggi noi ottenemmo la tregua dei partiti. Epperò, quale è il mio dovere? Egli è quello di fare colla giustizia tra voi tutti che tale tregua duri il più possibile; e permettetemi di aggiungere: se questa tregua potesse diventare una pace perpetua, bisognerebbe forse affliggersene? In quanto a me, Signori, rispondo: no! Ve lo dico francamente, sono conv,into che la rottura di questa tregua porterebbe al paese sventure incalcolabili, e farò tutto ciò che potrò onde la tregua duri e si prolunghi. Credetemi, se la monarchia deve rialzarsi in Francia (avvenire che non voglio scandagliare : sarei troppo imprudente potendo penetrarvi di dire ciò che vedo; no; non lo farò) se la monarchia deve risorge1re nel paese, essa non avrà a parer mio che una ragione sola la quale possa far tacere il partito repubblicano e sarà quella di potergli dire: -" La repubblica fu rispettata finchè esisteva; la prova fu fatta lealmente". -E se la prova essendo stata lealmente fatta e non essendo riuscita i repubblicani volessero domandarvi ancora la Repubblica, voi potreste rispondere loro in nome della ragione, in nome dell'esperienza: "La prova è fatta; la repubblica è impossibile"».

lo divido la convinzione ch'espresse il Signor Thiers, che cioè ogni tentativo di soluzione precipitata provocherebbe una nuova e terribile guerra civile. Spero che l'Assemblea (di cui invero la sola sinistra si mostrò assenziente a quel presagio del Capo del potere esecutivo) comprenderà anch'essa i pericoli d'un'improvvisa risoluzione alla quale il paese non sia bene preparato, che anzi non sia provocata da un deciso atteggiamento del paese stesso, e spero che il Signor Thiers, di cui tale è sicuramente l'intenzione, conserverà la forza di ritenerla all'uopo, di arrestarla sulla via che potesse condurre a simili risoluzioni. Parmi quindi probabile che il provvisorio esistente potrà essere mantenuto senza scosse per uno, o forse per due anni, che cioè quest'Assemblea stessa si lascerà indurre a confermare per tanto tempo di più i poteri dell'attuale Capo dello Stato. Taluni consigliano una proroga non esplicita, ma tacita: molti indizi accennano, ad ogni modo, a un tale temporeggiamento. Che gli stessi aspiranti monarchici od i loro partigiani non vi siano in fondo intieramente avversi, senza perciò in alcuna guisa rinunciare alle loro pretensioni ed anzi nella speranza di farsi appianare da altri la via ancora sì ingombra di rovine e di pericoli, tenderebbe a provarlo tra altri sintomi anche un articolo del diffusissimo giornale Le Figaro che dopo avere ricominciata la sua pubblicazione in Parigi con una professione di fede recisamente favorevole alla monarchia ed alla fusione, annuisce ad una dilazione in termini che mi sembrano tradire tutta la tattica di quel partito che dopo il governo attuale di fatto ha per sè le maggiori probabilità di vittoria. Accludo il foglio contenente quell'articolo: ( « en attendant mieux »).

Tali sono le osservazioni che credo di poter per ora sottomettere all'E. V. intorno alle meno inverosimili eventualità dell'avvenire in Francia. Il momento, già lo dissi, è il meno propizio per arrischiare pronostici. I più chiaroveggenti uomini di Stato francesi e perfino coloro stessi che troppo volentieri vedono ciò che desiderano non celano che il fumo delle lunghe battaglie e degl'incendi turbò loro la vista e la prospettiva. Non tutti sono sicuri di ciò che vogliono; pochissimi osano credere d'esserlo di ciò che vuole il vicino. Il paese ebbe fino ad oggi più anatemi a scagliare contro gli autori della guerra e contro i comunalisti incendiarj che corone civiche a tessere e pretendenti a idoleggiare. L'Assemblea, colla prossima aggiunzione di 112 nuovi membri, potrà o ingagliardire nella sua tendenza monarchica, o mettere, come volgarmente si dice, un .po' d'a,cqua nel suo vino. E chi mai coricasi in Francia ,sicuro d•i non ridestarsi allo scoppio del meno previsto e meno aspettato avvenimento, allo scoppio d'alcuna individuale impazienza la quale servita dalle circostanze del momento e dall'ardire di pochi deluda i più laboriosi e più pazientemente architettati preparativi?

Come indicazione di tendenze politiche, questa volta non più falsate da prevalenti preoccupazioni di pace o di guerra, le prossime elezioni completorie all'Assemblea, avranno un importante valore. Sarà mia cura d'indagarne il significato e potrò allora dare all'E. V. un criterio di più della situazione.

(l) -Cfr. n. 481. (2) -Cfr. n. 444.
492

IL CONTE KULCZYCKI A .... (l)

(AVV)

L. P. Roma, 9 giugno 1871.

Je vous remercie de votre démenti, que je me suis empressé de répéter à un certain nombre de personnes, sans spécifier, bien entendu, la source d'où je le tenais. La conviction que les puissances avaient repoussé les garanties,

et que la capitale ne se transférait pas le l juillet, était enracmee ici. Les feuilles romaines sont pleines de lamentations à ce sujet. Les cléricaux triomphaient. J'espère que le démenti aura fait son chemin.

Je n'ai pas vu Monseigneur Bellà depuis ma dernière ldtre. Je ne manquerai pas de l'invHer à vous écrire, mais je sais qu'avec l'incorrig.ible prudenza des prélats romains i( préfère me dire ce qu'il veut vous faire parvenir, partant du vieil adage verba volant, scripta manent. Je suppose qu'il a travaillé beaucoup ces jours-ci. Il a l'air de s'y étre mis con amore. Nous le connaitrons à ses fruits.

Ne vous étonnez pas de ce que je puis vous dire ou plutòt vous répéter quelquefois. Je n'ai jamais fait voeu de ne dire que des choses sages et spirituelles. Pour le bien méme de la cause italienne je me trouve souvent au plus épais de la mélée du parti noir, et ce n'est pas là toujour qu'on dit les choses les plus sensées.

Je vous remercie de la promesse de penser à Kraszewski. Faites remarquer, s'il vous plait, au Ministre la belle traduction in extenso de son discours dans le Tydzien. Il s'agit de généraliser ses idées dans un pays catholique, un pays où se trouve Monseigneur Ledochowski, un des ennemis les plus acharnés de l'Italie. La distinction accordée à l'un des hommes les plus modérés, les plus généralement estimés et les plus célèbres de la Pologne, ne manquera pas de resserrer les liens de sympathie qui existent entre les deux nations. Chez nous on considère la ,politique italienne et méme 1es ·coeurs des Italiens comme intimement liés à la Russie.

Voici une nouvelle qui ne manque pas d'importance:

La commission politique du Concile que dirigeait feu le cardinal de Reisach n'a pas été dissoute. Elle a préparé un vaste schème qui a reçu l'approbation de beaucoup d'évéques après le 20 septembre déjà et qui va étre publié bientòt comme décision supréme de l'infaillible Pontife.

Le Saint Père y déclarera au monde entier que Dieu a donné à Pierre pleine authorité sur tous les pouvoirs de ce monde, que la juridiction de l'Eglise s'étend à tout le for civil, que les princes et les gouvernements de ce monde ne sont que les ministres et les serviteurs du Vicaire de Jésus Christ. Le Pape est le soleil et Hs ·sont la .lune. Il a 1e droit de déposer les rois ·et de déHer leurs sujets du serment de fidélité. Quiconque pense ou dit le contraire est hérétique, anathema sit; quiconque obéit aux gouvernements et aux lois de son pays plutòt qu'au Pape, anathema sit; quiconque se croit retenu par un serment soit civil soit militaire contrairement aux ordres du Pontife infaillible anathema sit, etc.

Vous voyez qu'on y va rondement.

Le Ministre des Affaires Etrangères va recevoir ces jours-ci une note col

lective des représentants étrangers près le Saint Siège par rapport à la taxe

sur la richesse mobile qu'on veut imposer ici aux établissements internationaux

et à d'autres tracasseries dont il sont l'objet de la part du commissaire des

finances.

Le corps diplomatique à Rome est furieux parce qu'on ne respecte pas

ses privilèges et ses immunités, et parce qu'on lui fait payer des droits sur

son vin aux portes de Rome. Avant-hier MM. d'Harcourt, Kalnoky, de Peteghem,

Ximenes et autres se sont réunis dans la soirée chez le comte de Thomar pour se mettre d'accord sur la note coUective.

J'ai remarqué une vive irritation parmi ces messieurs.

On attend au Vatican 90 mille pèlerins pour le 16 courant. Il est possible qu'il en arrive un millier; mais le fait est que le Pape en attend 90 mille.

Un prélat revenant de l'audience me racontait hier que le Saint-Père avait annoncé triomphalement à la Cour qu'il venait de recevoir 16 millions du Brésil. On le félicitait chaudement.

Si un concistoire n'a pas eu lieu aujourd'hui il aura sans doute Iieu lundi.

(l) Non si è identificato il destinatario di queste lettere di Kulczycki, tranne il n. 320 che si presume diretta a Visconti Venosta. Le lettere n. 498 e n. 511 nelle Carte I,anza sono pubblicate come indirizzate a Lanza stesso, ma l'identificazione del destinatario è probabil~ente erronea. Nei volumi precedenti relativi al 1870 le lettere di Kulczycki erano indirizzate m prevalenza al segretario generale Blanc. Dal giorno 27 novembre 1870 le funzioni di segretario generale furono esercitate di fatto da Artom.

493

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO. MAROCHETTI. AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3769. Pietroburgo, 10 giugno 1871, ore 22,50 (per ore 10,30 dell' 11).

A l'audience de congé du chargé d'affa.ires français, le langage de l'Empereur témoignait de sa sympathie pour le Gouvernement actuel en France, qui personnifie la cause de l'ordre. M. de Westmann craindrait que la réalisation des tendances dynastiques de l'assemblée n'amène guerre civile, et croit régime actuel le plus sur pour assurer le maintien de l'ordre.

494

IL SEGRETARIO DI LEGAZIONE A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3770. Vienna, 10 giugno 1871, ore 16,15 (per. ore 11,11 dell' 11).

Comte Minghetti vous mande ce qui suit: «Je sors de chez Beust. Après avoir conféré avec l'Empereur, il m'a tenu le langage suivant: Kubeck se rendra à Rome aussitòt que le Gouvernement y sera: il ne profitera de son congé qu'après avoir fait acte de présence à la Capitale, et il présentera alors régulièrement M. Zalusky, comme chargé d'affaires. L'ambassadeur de France avait déjà demandé confidentiellement à Beust ce que ferait Kiibeck lors du transfert de la capitale. Le chancelier de l'empire m'a promis de lui communiquer les instructions d-dessus. L'Empereur envoie le prince de Hohenlohe à Rome avec une lettre autographe pour le Pape, à l'occasion de son vingtcinquième anniversaire. Baron de Beust qui a lu cette lettre m'assure qu'elle ne contient pas un mot de politique. Je crois avoir interprété vos sentiments en disant ,que le Gouvernement italien n'avait aucune observation à faire sur des rapports personnels et purement religieux entre I'Empereur et le Pape. Je crois que le prince de Hohenlohe ira direct-ement à Rome, sans s'arrèter à Florence. Tachez que, pendant son voyage en Italie on lui montre tous les égards dùs à sa haute position. J'écrirai ce soir, et je partirai demain après midi pour Constantinople ».

495

IL MINISTRO A VERSAILLES, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. s. N. Versailles, 10 giugno 1871 (per. il 15).

Ho ricevuto ier l'altro il dispaccio del 20 maggio ora scorso (1), con cui l'E. V. mi prescrisse di dar comunicazione al Governo francese della legge votata dal Parlamento Nazionale e sanzionata dal Re sulle garanzie dell'indipendenza del Sommo Pontefice e del libero esercizio dell'Autorità spirituale della Santa Sede. Mi recai ieri, a tale scopo, da S. E. il Signor Giulio Favre, e rimisi nelle di lui mani una copia della legge, e nel tempo stesso gli diedi lettura del dispaccio in cui l'E. V. espone le ragioni della legge stessa, spiega e determina i limiti e l'oggetto d'una tale comunicazione. Essendo certamente intenzione del Governo del Re che il Governo francese si renda interamente e perfettamente conto non solo della legge sulle garanzie, ma dello spirito che animò il Parlamento Nazionale nel votarla e il Governo del Re nel presentarla, sostenerla e sanzionarla, come pure della misura entro la quale è necessariamente circoscritta dal diritto nazionale la questione delle garanzie per l'indipendenza del Sommo Pontefice, ho giudicato opportuno di lasciare nelle mani del Ministro francese degli Affari Esteri il dispaccio dell'E. V. e copia dei discorsi da Lei pronunziati in seno al Parlamento intorno a quest'oggetto. Io dissi al Signor Giulio Favre che non gli domandavo, sopra una così grave materia, una risposta immediata, che anzi non avevo il preciso incarico di chiedergli una risposta, che il mio compito era quello di dargli ufficiale comunicazione della legge, e sviluppandogliene le ragioni e le disposizioni, fornirgli il modo di farsi un'idea precisa ed un apprezzamento equo ed illuminato della grave questione che noi abbiamo fiducia di aver risolto in guisa soddisfacente. «Noi abbiamo la pretenzione, gli dissi, d'aver fatto un'opera seria. Noi abbiamo la convinzione che l'indipendenza del Pontefice e il libero esercizio dell'Autorità spirituale della Santa Sede sono, per mezzo di questa legge guarentite, e conciliate col diritto nazionale che riunì Roma all'Italia come capitale del Regno, diritto che noi intendiamo conservare all'infuori d'ogni contestazione. Noi crediamo che il Santo Padre non troverebbe in nessun altro paese garanzie uguali a quelle che gli sono assicurate in Italia, come in nessun altro paese cattolico la Chiesa troverebbe la libertà di cui noi facciamo in Italia l'ardito esperimento. Esaminate con animo imparziale questa legge e i documenti che ne sono in certo modo l'interpretazione autentica, e non dubito che il risultato d'un tale esame sarà non molto dissimile dalle conclusioni che furono consacrate in quella legge dopo solenni e memorabili discussioni nei due rami del Parlamento Italiano, le quali per la forma e pel fondo costituiscono uno dei più nobili esempi di dibattimenti parlamentari».

Il signor Giulio Favre mi diede atto di questa comunicazione, e si riservò d'esaminare i documenti da me rimessigli e di conferirne col Capo del Potere esecutivo.

(l) Cfr. n. 444.

496

IL MINISTRO A VIENNA, MINGHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Vienna, 10 giugno 1871.

Prima di parlare di quest'ultima fase che seguì i tuoi telegrammi, debbo compiere la mia relazione per rispetto all'interpellanze che saranno fatte di certo nelle delegazioni, e sopratutto dagli ungheresi. L'Orczy è benissimo disposto, e tant'oltre che egli accetterebbe una combinazione per la quale l'Ambasciatore austro-ungarico presso il Papa fosse ridotto alla condizione di semplice Ministro come presso il Re, o anche meglio che il Prelato Auditore austroungarico di Hota fosse incaricato delle relazioni religiose ed eccl€siastiche, cessando così ogni rappresentanza laica presso il Papa. Abbiamo discusso queste due combinazioni a lungo, e l'Orczy dice che la maggioranza della delegazione ungherese l'approverebbe. Ma non aveva ancora interpellato Hofman e Beust nella materia, e quindi non era sicuro del fatto suo. Io ho stimato bene di non prendere nessuna iniziativa coi due predetti su questo punto: mi è parso conveniente lasciar che trattino la cosa in famiglia; e non so se riescirà. Ma di ciò vedi la buona disposizione. E in complesso debbo dire che il Beust è sempre favorevole all'Italia, che se in appresso l'Hohenwart che si dice clericale (ma che però è stato con me sommamente cortese) potrà supplantare il Cancelliere, forse allora le cose riceverebbero un cambiamento: ma questa eventualità è ancora remota. L'Hohenwart si regge a gran pena nonostante la fiducia dell'Imperatore: ha da pensare a consolidarsi innanzi tutto.

Delle buone disposizioni del Beust hai una novella prova nelle istruzioni date al Kiibeck. Già fin da ieri la sua opinione era precisa. Avendogli io indicato tutta la sfavorevole impressione che avrebbe prodotto l'assenza di Kiibeck nel momento del trasporto della capitale, e la interpretazione maligna che i partiti si sarebbero sforzati di dargli, egli soggiunse: È vero; la più semplice cosa, e la più retta, è che Kiibeck segua il Governo ove si reca. n far diversamente potrebbe avere l'aria di una bouderie. E a che scopo? Certo voi non pret!endierete che Kiibeck passi tutta l'estate a Roma, nè che Ia ,casa sua non essendo accomodata, vi si accampi come può, ma l'atto di presenza dee farsi, e se l'Imperatore non mi contradice lo si farà. Questa mattina poi mi disse di aver rappresentato all'Imperatore le cose nel senso che avevamo discorso ieri, e che le approvava. Kiibeck dunque non profitterà del suo congedo se non quando sarà venuto al Palazzo Valentini, avrà fatto atto di presenza con te, e lascerà il conte Zaluski come Incaricato d'Affari, a quella stessa guisa che ogni anno i diplomatici fanno andando ai bagni o in campagna. A me pare che lo scopo

sia con ciò ottenuto, e non mancai di esprimere le tue grazie al Cancelliere. Così ho potuto compiere anche questo tuo incarico prima di partire, e spero di aver corrisposto al tuo desiderio. Se la Francia non dimanda che questo esempio possiamo offrirglielo. Naturalmente Beust desidera che non si meni di ciò scalpore ma si riguardi come la cosa la più ovvia e la più regolare. (Della

missione di Hohenlohe ho detto tutto per telegramma). Io parto di qui colmato di cortesie da tutti, tanto che sento anche più vivo il rammarico di lasciar Vienna. Ora la mia parte è finita. Vado a Costantinopoli. Ti scriverò di là ma en touriste. Ti auguro buon trasporto a Roma; saluta gli amici, e ti stringo la

mano.

497

IL CAPO GABINETTO PARTICOLARE DI VITTORIO EMANUELE II, AGHEMO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA

(Ed. in Le Carte di Giovanni Lanza, vol. VII, pp. 117-118)

L. P. Torino, 11 giugno 1871.

Poichè le franchigie approvate in Senato ed alla Camera rappresentano ormai una Legge dello Stato, e che in conseguenza di esse venne attribuita alla persona del Sommo Pontefice la qualità sovrana, S. M. il Re ravviserebbe atto sommamente politico che nel giorno 16 corrente mese, mentre tutto il mondo cattolico preparasi a festeggiare il 25.mo anno dell'esaltamento di Pio IX, venisse dato ordine dal Governo di far inalberare il vessillo nazionale in Roma, ed ordinasse le solite salve di artiglieria. Il Re mi disse di soggiungere a V. E., che l'impressione di ciò sarebbe ottima, e che le migliaia di forestieri che in tale occasione si troveranno a Roma testimoni di questo grande atto del Governo non mancherebbero di applaudire. Coll'aver in tal guisa interpretato le intenzioni del nostro Augusto Signore che vedrebbe molto volontieri associate le idee di V. E. a quelle di S. M. debbo pur pregarla nel Sovrano nome a ben volere impartire quelle disposizioni che reputerà più convenienti ed opportune al caso, a meno che Ella opinasse diversamente. La salute del Re non ha punto mutato, è incontestabile però che continuando egli a rimanere alla campagna gli sarà ciò di giovamento assai note

vole, e le febbri che di tanto in tanto si manifestano finiranno per essere del tutto vinte.

498

IL CONTE KULCZYCKI A ... (l)

(Ed. in Le Carte di Giovanni Lanza, vol. VII, pp. 118-119)

L. P. Roma, 11 giugno 1871.

Je vous transmets le communiqué du Vatican à l'Osservatore Romano, qui rassure ses lecteurs et dit que les garanties n'ont pu etre acceptées ni approuvées par les puissances, attendu que le gouvernement italien n'a chargé aucun de ses agents à l'étranger de les communiquer aux cabinets, mais qu'il les a simplement envoyées aux représentants étrangers près la Cour d'Italie sans com

mentaires aucuns. .Je crois qu'on tient cette nouvelle au Vatican de M. de Peteghem, ministre de Belgique, qui la répétait l'autre soir et affirmait que l'approbation des garanties par les cabinets étrangers est tout simplement une absurdité. Au risque de vous ennuyer je vous prie, cher Monsieur, si vous le jugez à propos, de me mettre en mesure de répondre à cette difficulté, afin de pouvoir continuer à soutenir victorieusement le thème que j'ai commencé à défendre grace à votre dernière lettre, à laquelle je dois déjà d'avoir sensiblement redressé l'opinion de quelques cercles influents. Or l'argument du Ministre de Belgique est de nature à démolir mes assertions par la base.

Monseigneur Bellà, qui est venu chez moi, me charg,e de vous pr,ier de dire au Ministre des affaires étrangères qu'il a commencé avec beaucoup de succès ses négociations pour le Pape futur; mais qu'il a découvert que des personnes qui entourent le Roi ont commencé aussi des démarches dans le meme sens, mais par d'autres intermédiaires et en vue d'un autre candidat. Il importerait beaucoup de se mettre d'accord sur ce chapitre pour éviter un chassé-croisé et des malentendus. Monseigneur Bellà ajoute qu'H a une très grande urgence de conférer personnellement à ee sujet avec le Ministre, qu'il attend avec impat,ience à Rome. Son impatience est augmentée par d'autres démarches encore que fait le gouvernement prussien pour élever sur la chaise de Saint Pierre un cardinal étranger. II semblerait (c'est mon opinion à moi) qu'il s'agit du cardinal de Hohenlohe, le candidat du cardinal d'Andrea.

Attendue la brieveté du temps qui nous sépare du transport de la capitale Monseigneur Bellà parait décliner le devoir de vous adresser des autographes. Je ne m'étais pas trompé en vous parlant de la p1·udenza des prélats romains.

Quant au départ du Pape, il a été résolu d'attendre les éveques français qui arrivent pour le 16; on veut les consulter avant de prendre une décision. Seulement le Saint Père a donné de l'argent aux principaux prélats romains pour se faire une nouvelle soutane et un habit bourgeois indispensable, a dit Sa Sainteté, pour voyager à l'étranger. J'ai vu des prélats qui avaient reçu la recommandation de se faire des habits civils. Tout cela me parait annoncer de sérieux projets de départ.

Monseigneur de Mérode a préparé une lettre très-impertinente à M. Gadda, qu'il lui enverra dès que la Capitale aura publié sa biographie. En attendant il lit la lettre à tout le monde. Elle est fort dròle.

(l) Cfr. p. 550. nota l.

499

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO DESTINATO A MONACO DI BAVIERA, GREPPI

L. P. Firenze, 12 giugno 1871.

Troverete unita a questa lettera la Nota circolare (l) colla quale il Governo italiano comunica agli altri Governi la legge sulle guarentigie pel libero esercizio dell'autorità spirituale del Pontefice. Parmi conveniente che questa impor

tante comunicazione sia fatta al Governo Bavarese dal Ministro accreditato presso la Corte di Monaco, e per questo desidero che affrettiate la vostra partenza pel nuovo posto al quale foste chiamato. Il posto di Monaco acquista per noi un'importanza speciale appunto per la quistione romana, quistione in cui sono impegnati i destini del paese. Benchè la Baviera abbia, dopo la costituzione dell'Impero Germanico, un'autonomia politica limitata, pure sulla quistione romana l'influenza di questo Governo è considerevole. È nella quistione romana ch'esso cura di esercitare un'azione propria, giustificata dalla sua qualità di Governo cattolico, tanto in Germania quanto nel resto d'Europa. Inoltre Monaco è uno dei punti principali a cui mettono capo le fila del partito cattolico e da cui si può meglio osservare e seguire il movimento generale di questo partito negli affari di Roma e del Pontificato. Il Governo Bavarese si condusse finora, in questa quistione, con una certa moderazione, ma non ci fu neppure amico. Per quanto lo permettano le c,ircostanze, i :t,empi e le condizioni dell'opinione pubblica nell'interno della Baviera, le antiche tradizioni cattoliche persistono e, in una certa misura, si manifestano nella politica del Conte Bray. Tutte le volte che fu posto innanzi presso i Gabinetti d'Europa qualche progetto di ingerenza diplomatica nella quistione pontificia, abbiamo avuto occasione di ravvisarvi la mano e spesso anche l'iniziativa della Baviera. Ciò rende tanto più necessario di seguire attentamente le idee e la condotta del Gabinetto di

Monaco e di mantenersi con esso in uno scambio amichevole di spiegazioni, perchè esso si renda un conto esatto della quistione com'essa si presenta praticamente in Italia, e perchè esso conosca le nostre istruzioni le quali non cessarono mai di essere rassicuranti e moderate.

La comunicazione della Legge per le guarentigie papali è l'adempimento delle nostre antecedenti promesse e degli impegni morali della nostra politica. Dal giorno in cui Roma fu unita all'Italia abbiamo dichiarato altamente che intendavamo assicurare l'indipendenza spirituale, la libertà, la dignità del Pontefice e che riconoscevamo l'alto interesse morale dei Governi aventi sudditi cattolici per tutto quanto concerneva appunto questa indipendenza e questa libertà. I Governi, senza sollevare proteste e opposizioni, lasciarono l'Italia alla sua responsabilità, riserbandosi così implicitamente di giudicare la soluzione pratica che noi avremmo saputo dare al problema che ci eravamo assunti di sciogliere, in quanto questa soluzione rifletteva i soli interessi che noi siamo disposti a riconoscere, vale a dire quelli che si riferiscono all'indipendenza spirituale del Pontefice, all'infuori della sovranità civile e della quistione politica e territoriale. Malgrado questa riserva dei Governi era d'uopo che la situazione del Pontificato rispetto al Regno d'Italia fosse determinata su una base giuridica. Noi abbiamo esaminato attentamente la quistione. Abbiamo consultato su di essa il paese colle elezioni generali. L'abbiamo sottoposta a un'ampia discussione nel Parlamento e il risultato di questa discussione è ora consacrato con una legge dello Stato. Comunicando questa legge alle Potenze, noi adempiamo alle nostre promesse e diamo ad esse un pegno che questa legge sarà fedelmente osservata e mantenuta.

Quale è il risultato che noi possiamo attenderci da questa comunicazione? Certo sarebbe desiderabile che tutte le Potenze o, almeno, la maggior parte di esse, facessero una risposta esplicita e favorevole, dichiarando che esse rav

visano nella Legge loro comunicata una soluzione plausibile della quistione pontificia. Noi non possiamo però attenderci ad una così aperta adesione. Più di un Governo preferirà di continuare nell'attitudine attuale, la quale consiste nell'avere dei rapporti amichevoli verso l'Italia, e nel prendere come base pratica della politica a seguirsi verso di noi il fatto compiuto, senza pronunciarsi sopra alcuna quistione di principio. In mancanza di meglio, noi dobbiamo accontentarci di questa attitudine. Per questo ho reputato più prudente consiglio redigere la Circolare in modo ch'essa non esiga necessariamente una risposta. Questa risposta cercherò di averla da quei Governi che sono verso di noi i meglio disposti, ottenendo per tal modo dei r·isultati parziali che costituiscano fin d'ora degli impegni morali a noi favorevoli e preparino un certo isolamento pei

Governi le cui disposizioni ci sono meno propizie. Ma dalla parte di questi ultimi preferisco, com'è naturale, il silenzio a delle risposte sfavorevoli oppure circondate da riserve che rimangano come un germe di ulteriori difficoltà.

Fra i Governi dai quali non mi posso aspettare un'esplicita adesione, v'è quello di Baviera. D'altronde la sua condotta, in questa occasione, sarà un pò una condotta di riflesso, ed esso piglierà la sua parola d'ordine a Berlino e a Vienna.

Vi prego dunque di far la vostra comunicazione semplicemente e con un linguaggio alquanto riservato. Adoperate le forme le più amichevoli, prendete nella Circolare .stessa o nei miei discorsi dinnanzi alle Camere gli argomenti per rispondere alle osservazioni che il Conte Bray potrebbe farvi, ma lasciando il Governo Bavarese alla spontaneità delle sue determinazioni e senza forzare, in alcun modo la situazione. A Monaco questo mi sembra, per ora, il più prudente partito. Ciò che ci importa è di ispirare una certa fiducia per la quale ci sia dato conoscere, per quanto è possibile, le disposizioni del Governo Bavarese, e ciò che ci basta è ch'esso non si agiti troppo negli affari di Roma e non prenda delle iniziative le quali poi ci creino difficoltà ed imbarazzi.

Qualche tempo fa furono presentiti alcuni fra i principali Gabinetti intorno a un progetto di Conferenza per la quistione romana. Questa iniziativa era partita in particolar modo dal Governo Bavarese. Su questo proposito vi dico in una parola il mio pensiero. Noi non desideriamo la Conferenza. Essa ci creerebbe per ora delle considerevoli difficoltà e il sentimento pubblico in Italia ha contro questo progetto le più grandi ripugnanze. Ma il respingerlo in modo categorico ed assoluto potrebbe anche avere i suoi inconvenienti e i suoi pericoli. Ciò che noi cerchiamo dunque è di impedire che questo progetto prenda corpo, è di evitare, in prevenzione, che il Governo italiano sia posto nella necessità di pro

nunciarsi. Non è a Monaco che noi dobbiamo esercitare un'azione diretta per raggiungere questo scopo, ma piuttosto a Londra, a Vienna, a Berlino.

Non credo dunque che, almeno per ora, voi dobbiate prendere l'iniziativa di una conversazione su questo argomento col Conte Bray. Se, cercando di indagare le idee del Ministro Bavarese, il discorso cadesse sul soggetto, non pronunciatevi, in alcun modo, sul fondo della quistione, rispondete piuttosto al Conte Bray rivolgendogli, alla vostra volta alcune domande, come dubbii che sorgono spontaneamente in voi, per la conoscenza che avete delle condizioni generali di quest'ardua quistione e delle condizioni speciali della politica italiana.

Le circostanze attuali sono favorevoli per un simile progetto? La riunione di una Conferenza non avrebbe per risultato di allarmare, da un lato, l'opinione liberale e nazionale in Italia e di eccitare le illusioni del partito fanatico negli altri paesi, partito il quale chiederebbe alla Conferenza ciò che questa non potrebbe dargli, in alcun caso, vale a dire la ristaurazione del Potere temporale?

Perchè le Conferenze, d'altronde, raggiungano il loro scope, sono necessarie due condizioni, l'una un programma ben determinato e preciso, l'altra la possibilità di un accordo fra le due parti contendenti. Nel caso attuale queste due condizioni sono possibili? L'Italia è disposta ad avere la più gran deferenza verso l'opinione cattolica per quanto concerne gli interessi puramente religiosi, ma non accetterebbe mai una discussione diplomatica che non avesse per base i fatti compiuti, vale a dire la cessazione del Potere temporale, l'unione di Roma all'Italia e Roma capitale. Su questo punto siate esplicito e fermo e non lasciate la benchè minima ambiguità nel vostro linguaggio. L'Italia non è disposta a recedere ed è bene che gli altri Governi lo sappiano. Ora le potenze cattoliche si sentono in grado di formolare su questa base un programma il quale non sarebbe altro che quello della legge delle guarentigie, con piccole varianti, quando il Papa protesta contro queste guarentigie e dichiara che egli non può accettare altro che la restaurazione del Potere temporale e protesterebbe con non minore energia contro la Conferenza? Il Papa accetterebbe la Conferenza sulla sola base possibile? Bisognerebbe cominciare coll'informarsi di questo punto. Il fatto sta che dall'attuale Pontefice non è sperabile ottenere altro che un'attitudine di assoluta resistenza.

L'Italia deve frattanto continuare a condursi colla più grande moderazione e i Governi dovrebbero associare le loro previsioni nell'intento di avere in caso di vacanza della S. Sede, un Papa quale lo può desiderare la parte più illuminata dell'opinione cattolica. Un nuovo Pontefice sorto in condizioni nuove potrà solo transigere con esse e con quanto richiede la necessità ed il progresso dei tempi. Allora solo l'Europa potrebbe utilmente concorrere a sanzionare la conciliazione del Papato e del paese ove esso ha la sua sede. Esponete delle considerazioni di questa natura sotto forma di interrogazioni e di dubbii, senza andare più oltre.

Vi prego anche di indagare quali sono le impressioni del Conte Bray sulla

condizione presente delle cose a Roma per poterle, all'uopo, rettificare, perchè

il rappresentante della Baviera a Roma, il Conte Tauffkirchen ci è ostile.

Del resto l'importanza della quistione e l'interesse che ha per noi il posto

di Monaco esigeranno fra noi una corrispondenza seguita.

(l) Cfr. n. 444.

500

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3772. Berlino, 12 giugno 1871, ore 1,20 (per. ore 10,10).

M. de Bismarck vient de me dire que pour des motifs de politique exclusivement intérieure, M. Brassier de S. Simon, qui prend un congé, ne nous suivrait pas pour le moment à Rome, mais le chargé d'affaires a l'autorisation de

s'y rendre chaque fois qu'il aura des affaires à traiter. S. A. ne prend pas en sérieux le projet de conférence, et lui est personnellement contraire. Si on la lui proposait officiellement, il répondraìt qu'il faut préalablement connaitre l'opinion des deux principaux intéressés. Selon son désir, je lui ai remis copie de la Circulaire datée du 20 mai (1), après qu'il m'a dit qu'il y ferait une réponse dont nous n'aurons pas à nous plaindre. M. de Bismarck insiste vivement pour que nous ne négligions rien pour obtenir un vote favorable au S. Gothard. C'est là une question très importante vis-à-vis de l'opinion publique en Allemagne, que nous avons tout intéret à nous concilier, pour le jour où la France voudrait nous créer des embarras sérieux. Il serait du meilleur effet, si quelque membre de notre cabinet et des orateurs ministeriels, dans la discussion de cette loi, parlaient de la confiance que nous inspirent nos rapports d'amitié avec l'Allemagne. M. de Bismarck m'a engagé à vous écrire sans retard. Il serait fort à désirer que notre Chambre pùt voter avant le ..... (2) juin, jour de .Ja clòture du parlement allemand. Le langage et les intentions de M. de Bismarck nous sont très favorables. Vous ne pourrez en juger que par mes rapports que le courrier vous apportera. Le courrier partira demain. Vous verrez combien il est important que la loi du Gothard soH votée coùte que coùte.

501

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3773. Tunisi, 12 giugno 1871, ore 11 (per. ore 12,25).

Bardo a fait de nouvelles propositions se tenant toujours procédure italienne. H présente pour .c.inquième arbitre M. Guccio l'un des plus respectables parmi les négociants italiens. Riola refuse ce qui fait dire en ville que ce n'est pas un juge mais un homme à elle que demande la société, et en échange il vient de proposer une liste de personnages très haut placés chez nous. Je doute fort que le Bey accepte. En ce cas, il n'y a d'autre moyen pour atteindre notre but que d'en venir au système indiqué dans ma dernière dépeche.

502

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3774. Vienna, 12 giugno 1871, ore 22,50 (per. ore 10,15 del 1~

J'ai cru à propos de confier au ministre du Roi à S. Pétersbourg, qui part demain pour Florence, rapport (3) resuman.t entretien que j'ai eu ce matin avec

M. Beust, relativement à la loi des garanties. Il approuve la loi et apprécie beaucoup la drculaire de V. E. du 20 mai (1), mais il refuse à donner une décla

ration officielle d'approbation, s'appuyant sur le principe de non intervention suivi jusqu'ici. Il m'a lu télégramme du prince Metternich qui l'informe que le ministre de France à Florence suivra l'exemple du baron Kubeck lors du transfert de la capitale.

(l) -Cfr. n. 444. (2) -Gruppo indecifrato. Si tratta però del 15 giugno (cfr. n. 503). (3) -Cfr. n. 509.
503

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 827 Berlino, 12 giugno 1871 (per il 16).

Le courrier de Cabinet Armillet m'a remis le 7 courant l'expédition qui lui avait été confiée. Le lendemain matin arrivait l'Empereur de Russie qui s'est arr~té ici jusqu'au 10. D:.ms cet intervalle, le Chancelier Impérial n'aurait pas eu le loisir de recevoir ma visite. Je n'ai pu la faire que hier dans la soirée.

Pour mieux le mettre en verve, je lui ai lu quelques passages de la dép~che de V. E. du 3 Juin N. 211 (l) et j'ai passé en revue les quatre questions aux quelles se référait l'entretien que vous aviez eu récemment avec le Comte Brassier de Saint Simon.

Le Prince de Bismarck n'a fait aucune observation ni sur les alcools ni

sur la presse.

Quant au S. Gothard, il m'a expliqué pourquoi cette question bien qu'elle fùt de nature commerciale était envisagée au point de vue politque. Elle était des plus importantes vis-à-vis de l'opinion publique en Allemagne, que nous avions le plus grand intérèt à nous concilier dans le présent et pour l'avenir. Nous ne devions pas perdre de vue l'éventualité où la· France voudrait nous créer des embarras sérieux. Des généraux de cette nation lui avaient parlé de la nécessité où pourrait se trouver l~ Gouvernement de relever le prestige de l'autorité et le moral de l'armée, en procurant à celle-ci l'occasion d'une guerre contre l'Angleterre ou contre l'Italie. Le Prince n'avait pas relevé ces propos; mais il est en effet assez probable si les légitimistes, entre autres, arrivent au pouvoir qu'ils travaillent à la restauration du Pape comme Souverain temporel. Ils voudront par là se donner une nouvelle consécration. Ils s'appuieront d'ailleurs sur le clergé dont le programme ne fait pas l'omore d'un doute. Cependant un Gouvernement quelconque ne se risquerait pas dans cette voie, sans sonder le terrain à Berlin. Mise en demeure de se prononcer, l'Allemagne pourrait laisser comprendre que, sans se ·constituer en Alliée, elle se tiendrait à l'écart, ce qui encouragerait peut-~tre à courir l'aventure.

« D'après mon opinion personnelle nous devrions répondre à de telles insinuations: que nous enverrions à Metz un corps d'observat.ion. Il n'en faudrait pas davantage pour écarter toute envie de passer outre. Mais pour que cette opinion, le cas échéant, puisse l'emporter, il faut que vous m'aidiez à captiver les sympathies de la majorité en Allemagne; à rendre ainsi inoffensifs les 13 millions de Catholiques dont une partie très notable applaudirait aux tentatives françaises. Or un excellent moyen serait précisément celui de relier toujours plus les intérèts matériels de l'Allemagne avec l'Italie, en ouvrant un nouveau

3G -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. II

débouché plus direct aux produits de l'industrie et du commerce. Les habitants du midi de l'Allemagne sont les derniers venus dans la Confédération; ils sont moins disciplinés que ceux du Nord. Ils crient plus fort! Nous devons chercher à les contenter dans la mesure du juste et du raisonnable. Ils verraient, surtout dans la partie occidentale, qu'on favorise l'entreprise du S. Gothard. Si quelque membre de votre Cabinet et des orateurs ministériels prenaient la parole pour témoigner de la confiance que vous inspirent vos rapports d'amitié avec l'Allemagne, cela produirait le meilleur effet. Il serait meme à desider que votre Chambre put voter, avant la clòture du Reichstag fixée au 15 Juin, le projet de loi y relatif. Nos députés en rentrant dans leurs provinces y emporteraient une impression avantageuse, et il en résulterait une propagande conforme à nos convenances mutuelles. Quand cette loi sera votée, veuillez m'en donner avis par une communication écrite et officielle, et je m'empresserai de vous répondre par une lettre qui vous satisfera et qui sera en meme tems un salutaire avertissement pour la France. Votre quote part de 45 millions ne sera sous tous les rapports qu'une avance de fonds très productive ».

Relativement à des conférences sur la question Romaine, si tant est que le projet en existe, le Prince de Bismarck ne le prend pas au sérieux. Personnellement il n'eu était pas le partisan. Ni le Pape, ni l'Italie ne parviendraient à s'entendre sur un programme. S. A. ne s'exprimerait pas aussi catégoriquement, si on lui présentait une proposition officielle, mais elle répondrait par une petitio principii, à savoir qu'il faudrait préalablement connaitre la manière de voir des deux intéressés.

A ce propos, le Prince m'a raconté que M. Jules Favre lui avait manifesté à Francfort quelque surprise de ce que le Comte de Beust eut secondé à Versailles une initiative qui semblait avoir été prise à Vienne par la Bavière; celleci laissant supposer l'assentiment de Berlin au projet d'une entente en faveur du Pape.

« J'ai répondu que j'avais aussi été pressenti à cet égard par la voie de Miinich, et que j'avais écarté la chose en demandant tout d'abord si telle était bien la façon de penser du Roi Louis et de son Gouvernement. J'avais ajouté que, meme dans ce cas, il faudrait une proposition formelle au conseil fédéral. On n'est plus revenu à la charge. En bon protestant, je ne me range pas aux tendances personnifiées par le Comte Bray et par le Ministre de Bavière à Vienne, un Catholique très zélé. M. Jules Favre s'est montré satisfait de ces explications. Je le crois donc bien disposé pour vous. Je ne saurais en dire autant de M. Thiers ».

(l) Cfr. n. 474.

504

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 828. Berlino, 12 giugno 1871 (per. il 16).

Dans le meme entretien que j'ai eu hier avec le Chancelier de l'Empire, j'ai communiqué officiellement notre loi du 13 Mai échu j'y ai joint quelques exemplaires des discours de V. E. à la Chambre des Députés et au Sénat ainsi que les deux ouvrages de lVI. Briano contenant les discours prononcés dans notre Parlement. Il m'a demandé si je ne lui adresserais pas une note à cet effet. Je me suis référé à votre circulaire du 20 Mai (l) qui lui fournirait, je l'espérais, l'occasion de répondre dans un sens conforme aux bons rapports existant entre les deux Gouvernements, à moins qu'il ne préferàt s'abstenir, cas dans lequel on se bornerait à prendre acte que la communication avait été faite. Par cette démarche nous tenions à témoigner que nous avions rempli l'engagement de pourvoir au maintien de l'indépendance spirituelle du Pape.

Le Chancelier Impérial a manifesté dès lors le desir de recevoir une copie de la circulaire précitée. Je n'ai pas cru devoir m'y refuser, après qu'il m'eut donné l'assurance qu'il y serait fait une réponse dont nous n'aurions pas à nous plaindre.

A propos de cette question, il m'a dit que quelques Catholiques influens du pays, lui avaient soumis l'idée s'il ne serait pas le cas de faire en sorte que les dispositions de notre loi concernant les prérogatives nécessaires au Pape pour le libre exercice de son autorité spirituelle, fussent placées sous la garantie collective des Puissances. Peut-etre pourrait-on chercher à obtenir quelques autres points d'un intérét général, mais n'impliquant aucun empiètement sur notre législation intérieure. Il avait cru pouvoir pressentir la Cour de Rome à cet égard, se réservant en cas d'assentiment d'en faire une proposition; mais jusqu'ici il n'y avait point eu de réponse.

J'étais sur le point de manifester quelque surprise de cette tentative qui contrastadt avec les assurances qu'il m'avait données le l•r Mai (2) sur la pa'Ssivité de son attitude (voir ma lettre particulière de cette date). Mais du moment où il s'agissait d'une démarche déjà faite et dont l'efficacité semblait au moins très douteuse, du moment où le Pape a protesté par ses encycliques contre la loi des garanties, il m'a paru qu'il valait mieux ne pas me prononcer sur ce sujet.

Bien m'en a pris, car ayant vu ce matin M. de Balan chargé de l'interim durant le congé de M. de Thiele, il m'a laissé entendre que, d'après son opinion personnelle, la démarche récente, dont il s'agissait ne serait qu'un coup d'épée dans l'eau, un filet de voix qui se perdrait dans l'espace, car le Pape en se plaçant sur le terrain du non possumus, enlevait lui meme toute valeur pratique aux dispositions bienveillantes qui peuvent se produire ci et là en sa faveur.

505

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 829. Berlino, 12 giugno 1871 (per. il 16).

Je fais suite à ma dépeche 828 (3). Pour mettre le Prince de Bismarck en demeure de se prononcer aussi au sujet du transfert de la Capitale, je lui ai annoncé que pour le l er Juillet notre

administration siègerait à Rome. Les légations d'Angleterre, de Russie, de Turquie, de Portugal, d'Espagne, de la Suisse et de la Suède avaient reçu les autorisations nécessaires pour y transporter ieurs bureaux. D'après les télégrammes de V. E. l'Autriche agirait de méme, et la France suivrait l'exemple des autres Cabinets.

Il m'a dit qu'il se réjouissait fort d'apprendre la décision du Cabinet de Vienne. Il n'a pas indiqué autrement sa pensée.

Etait-il satisfait parceque les Catholiques zélés de l'Allemagne y verraient une preuve qu'en fait d'égards pour le St. Père, un Gouvernement protestant l'emporte encore sur la Cour Apostolique, et deviendraient peut-etre moins exigeants vis-à-vis du Cabinet de Berlin? Je ne sais si tel était le fond de sa pensée, mais il a aussitòt ajouté: « Pour des motifs de politique intérieure, le Comte Brassier qui du reste a obtenu un congé, ne vous suivra à Rome; mais le Comte de Wesdehlen a l'instruction de s'y rendre chaque fois qu'il aura quelque affaire à traiter. Non sympathies, soyez en convaincus, vous accompagneront dans cette nouvelle résidence. Je vous le répète, ne perdez pas de vue, quand vous examinez notre conduite dans les affaires de Rome, qu'elle n'est dictée que par des considérations de politique intérieure, de ménagement pour nos populations Catholiques et pour les 56 deputés de la fraction du centre au Reichstag; mais que nous ne visons aucunement à vous causer des embarras. Mettez-vous en notre lieu et piace, et vous nous jugerez avec impartialité. Jusqu'ici la France n'a fait à Berlin aucune interpellation à ce sujet ».

Il ne m'a pas semblé qu'il fiìt digne d'insister. Mieux vaut me parait-il s'abstenir de toute remarque sur ce compromis qui obligera le Comte de Wesdehlen à prendre un abonnement au chemin de fer.

D'après l'avis d'une personne de l'intimité du Comte de Bismarck, il semblerait qu'il n'est pas encore convaincu que nous resterons à Rome, et cela contribuerait peut-etre aussi à expliquer une certaine réserve ici. Il ne serait pas impossible, dit-on, de meme que Moscou est la capitale religieuse de la Russie, tandis que St. Pétersbourg est le centre de l'administration et le siège de la Cour, que Rome ne soit appelée à avoir une position analogue.

(l) -Cfr. n. 444. (2) -Cfr. n. 405. (3) -Cfr. n. 504.
506

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 830. Berlino, 12 giugno 1871 (per. il 16).

Ainsi que je vous en ai donné avis per ma lettre particulière du 26 Mai échu (1), l'Empereur et Roi avait l'intention d'écrire au Pape une lettre de félicitations à l'occasion du Jubilé Pontificai, lettre qui servirait aussi de réponse à une démarche officieuse faite par Sa Sainteté à Versailles vers le mois de Novembre dernier, dans le but d'amener une conciliation entre l'Allemagne et la France.

Il était encore incertain si ce message serait remis par quelque personnage envoyé ad hoc.

J'ai su aujourd'hui que la lettre avait été expédiée il y a deux jours par un courrier de Cabinet, et que le Comte Taufkirchen est chargé de la présenter. C'est un acte de pure courtoisie pour le chef de l'église Catholique.

J'ai mis M. de Balan au courant de mon entretien avec le Prince de Bismarck, en rappelant la promesse faite par S. A. de répondre d'une manière amicale à notre circulaire du 20 Mai (1). Je comptais sur cette assurance. Plutot que de blesser en quoi que ce soit nos sentiments et nos principes mieux vaudrait alors s'abstenir de répondre autrement qu'en prenant acte de notre communication. Je tenais à ce que mon langage fut au besoin rapporté au Chancelier Impérial.

Par cette déptkhe et la précédente (2), je me borne à rendre compte de mes entretiens avec le Prince de Bismarck et avec M. de Balan. Quant à ma manière de voir personnelle sur la question de Rome, elle vous est connue,

M. le Ministre, par mes lettres particulières du l•r Mai (3). Je n'ai rien a y changer.

(l) Cfr. n. 461

507

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 831. Berlino, 12 giugno 1871 (per. il 16).

Le Prince de Bismarck m'a parlé de l'état de la France. Dans le cahos où s'y trouvent encore les choses, malgré la répression des débauches de Paris, il faut s'attendre encore à bien des péripéties avant que la situation s'affermisse. Mai il ne faudrait pas qu'un Gouvernement quelconque songeat sérieusement à une revanche. Il ne peut ni former, ni mobiliser un seui régiment sans qu'on en soit informé à Berlin.

« Le jour où nous remarquerions quelque mauvais symptome, nous devancerions les Français. En huit jours nous leur courrions sus avec 400.000 hommes. Ce tems suffirait pour se porter au delà de nos frontières; maintenant surtout que l'Allemagne est organisée en Confédération. N'avons nous pas, en Juillet l'année demière, concentré en deux semaines 600.000 hommes pour la défense de notre territoire? On sait en France que nous nous opposerions également au renversement du pouvoir régulier avec lequel nous avons conclu la paix. Nous n'admettrions pas un coup d'état. Nous sommes pour un développement légal de la situation. Qu'on y prenne garde, notre épée est à peine rentrée dans le fourreau.

Je crois que l'Italie a, comme nous, un intéret à la prolongation du status quo ».

J'ai fait à mon tour l'observation que l'Allemagne était en effet intéressée à la sagesse de la France, sa débitrice de cinq milliards. Ce fait indépendamment meme de la bienveillance du Cabinet de Berlin à notre égard était une forte garantie contre toute velléité belliqueuse de cette Puissance, ou contre toute tentative d'injuste immixtion dans les affaires d'autrui. Je m'exprimais ainsi pour répondre indirectement au langage du Chancelier Impérial sur les dangers que présenterait pour nous la restauration des légitimistes (dépeche n. 827) (1). Ce parti couvrirait sous le manteau de la religion bien des arrières pensées, celle entre autres qu'il veut non pas une Italie italie?tne, mais une Italie française. Je croyais au reste que les différens partis chez nos vo1sins ne visaient qu'à ce but.

Le Prince de Bismarck avait la meme manière de voir. A son avis, nos alliés naturels étaient l'Allemagne et la Russie trop éloignées de nous pour contrarier nos intérets. L'Allemagne desire le maintien de la situation actuelle en Europe. Elle peut etre satisfaite de sa position, et elle n'aspire qu'à la conservation de la paix. Elle n'a rien à envier à personne. « Avec Metz et Strasbourg, nous ne craignons pas meme le Diable. Nos relations avec la Russie sont sur le meilleur pied. Elles sont amicales aussi avec l'Autriche, qui désormais ne doit avoir aucune défiance à notre égard. Ce serait bien mal nous juger que de nous attribuer des convoitises sur l'Allemagne Autrichienne, sur Trieste, sur l'Adriatique. Cela équivaudrait à inoculer dans nos veines un poison destructeur. Ce serait un travail trop ardu que de nous assimiler ces populations. Ce serait renforcer les Catholiques de l'Allemagne et nous exposer à leur prépondérance. Nous ne saurions nous preter à de semblables calculs. Je ne crois pas que de son còté l'Autriche médite une rescousse contre nous, et moins encore une revendication de ses anciennes possessions en Italie. Ses intérets sont tournés vers l'Orient. C'est là un terrain où elle se rencontre avec la Russie. Nous sommes assez désintéressés dans cette question, pour nous appliquer, comme nous le faisons, a conserver de bons rapports entre ces deux Puissances. Pour ma part, .si Dieu me prete vie, je me dévouerai à la tiìche de prévenir des conftits

dangereux pour la tranquillité de l'Europe ».

(l) -Cfr. n. 444. (2) -Cfr. n. 505. (3) -Cfr. n. 405.
508

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 832. Berlino, 12 giugno 1871 (per. il 16).

Par ma dépéche confidentielle N. 825 en date du 5 de ce mois (2), j'ai rendu compte du langage qui m'avait été tenu par le Prince Gortschakow sur les dangers que présentait la société qu'on appelle l'lnternationale.

Le Prince de Bismarck m'a dit à ce propos que le Cabinet de St. Pétersbourg et l'Empereur Alexandre personnellement ajoutaient une grande importance à ce que les différentes Puissances se montrassent solidaires pour surveiller et com

battre les tendances d'une association qui comptait plus de deux millions d'adeptes,

S. A. ne doutait pas que nous partagerions camme le Cabinet de Berlin de semblables vues sur la nécessité d'opposer une digue à des doctrines qui sont la négation de tout ordre social. Le Chancelier lmpérial n'avait pas à nous donner des conseils. Mais il croyait que nous ferions acte de sage politique si nous chargions notre mission en Russie de communiquer une dépeche établissant que notre Gouvernement abonde dans les memes idées. En agissant ainsi, nous produirions le meilleur effet sur resprit du Tsar. C'est une occasion qu'il nous conviendrait de ne pas négliger.

Le Comte Brassier a reçu l'instruction de saisir la première occasion d'entretenir V. E. sur les dispositions prescrites par le Cabinet de Berlin contre les assassins, les incendiaires etc. etc. dans l'insurrection de Paris. Ils seront considérés camme coupables de crimes ordinaires, ne pouvant ainsi invoquer l'impunité en matière politique. Si dans le nombre il se trouvait quelques sujets Allemands, l'ordre était donné de les arreter. Les Légations lmpériales et Royales à Londres et à Vienne ont eu des instructions analogues.

J'ai répondu que V. E., soit à la tribune, soit par une dépeche publiée dans les journaux, avait déjà eu l'occasion de se prononcer très nettement sur cette dernière catégorie de malfaiteurs. Quant à l'Internationale et à ses nombreuses ramifications, le Gouvernement du Roi, dévoué à la cause de l'ordre, ne se refuserait pas à concourir autant qu'il dépendrait de lui à aviser dans un intéret commun au monde civilisé. J'ai promis que je ne manquerais pas de vous informer, M. le Ministre, de son langage et de son avis dictés par une si parfaite bienveillance.

S'il m'est permis d'émettre mon opìnion, je crois que nous devrions nous prononcer non seulement vis-à-vis de la Russie, mais aussi à l'égard du Cabinet de Berlin par une dépeche ostensible.

(l) -Cfr. n. 503. (2) -Cfr. n. 482.
509

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 80. Vienna, 12 giugno 1871 (per. il 18).

Porgendo riscontro all'ultimo periodo del riverito telegramma dell'E. V. delli 8 corrente (1), e facendo seguito al mio del dì seguente (2), mi reco a premura di informarla che questa mane ho dato lettura al Conte di Beust della Circolare del 20 Maggio u. s. (3), relativa alla Legge sulle guarentigie accordate alla Santa Sede, nonchè ai rapporti tra Stato e Chiesa in Italia.

Dopo aver prestato attento ascolto alla mia lettura, il Cancelliere mi ha dichiarato non poter disconoscere egli l'importanza dei vantaggi e prerogative

concesse da noi al Pontefice, massime in ordine alla assoluta indipendenza .lasciatagli nella nomina dei Vescovi ed altri Dignitarj Ecclesiastici; aver egli espressa la stessa opinione al Conte Minghetti, al quale, siccome oggi a me, avea fatto intendere non poter egli formulare una dichiarazione ufficiale di approvazione sulla Legge di cui è cenno, fedele come era al suo principio di non intervento negli accordi che potessero pattuirsi tra il Governo Italiano e la Santa Sede.

« È chiaro -dicevami -che qualsiasi atto di adesione per parte del Gabinetto di Vienna, alla Legge testè votata dal Parlamento Italiano, equivarrebbe ad una intromissione del primo negli affari interni della Penisola, come pure nei rapporti da stabilirsi tra il Governo del Re ed il Vaticano. Se ebbi a permettermi qualche osservazione, fu esclusivamente al riguardo di Istituti e Stabilimenti internazionali ll.

Il Conte di Beu~t non mi ha poi celato che, ove mai la Corte Pontificia si decidesse a discutere la Legge, il Governo Italiano potrà contare sul di lui appoggio a Roma.

Prima di congedarmi, il mio interlocutore mi ha mostrato un telegramma nel quale il Principe di Metternich gli riferisce che il Signor Giulio Favre ha dato ordine al Conte di Choiseul di seguire senza indugio l'E. V. alla nuova Capitale, a somiglianza del Barone Kiibeck.

(l) -Cfr. n. 486. (2) -Cfr. n. 489. (3) -Cfr. n. 444.
510

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, R. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 40. Madrid, 12 giugno 1871 (per. il 19).

Il Signor Martos mi ha detto ieri che il Consigliere della Legazione del Belgio, -che per la grave infermità del ministro è, nel fatto, rappresentante del suo paese, -gli è venuto a chiedere quali sieno le intenzioni del Governo spagnolo rispetto al trasferimento diffinitivo della nostra capitale in Roma.

Il ministro di Stato gli ha risposto che non era mai potuto correr dubbio su di coteste intenzioni; e che il Marchese di Montemar seguirebbe S. M. nella Sua capitale (poichè l'interrogazione del consigliere belga questo più specialmente intendeva di conoscere). E gli soggiunse non avesse da cercarne la causa in una qualunque considerazione d'indole dinastica, ma nei voti costanti del partito liberale spagnuolo perchè l'Italia potesse compiere a Roma i suoi destini.

Il Signor lVIartos ha voluto dar testimonianza delle sue simpatie verso di noi coll'informarmi confidenzialmente di questa pratica del Belgio, perch'io la riferissi all'E. V.

Continuando, poi, il discorso mi ha detto che le relazioni diplomatiche della Spagna col Pontefice seguiranno ancora nello Statu-quo: «vivranno assieme nel Palazzo di Spagna il Marchese di Montemar e il Signor Jimenes ». Già nel gennaio andato fu discusso, -e V. E., se non erro, ne venne informata, se, mutate le condizioni politiche del Pontificato, dovesse quella carica, oggidì vacante, di Ambasciatore essere abolita, o si dovesse investire il medesimo personaggio della doppia qualità di Rappresentante presso di S. M., l'Augusto Nostro Sovrano, e del Capo della Chiesa. Cotesta quistione rimane sempre sospesa: « non si è voluta ridestare nel Gabinetto diviso, com'è, tra partiti contrari; intempestiva -mentre il Nunzio non fa ritorno, e inutile adesso -perchè la determinazione dipenderà dal colore politico del futuro Ministero».

511

IL CONTE KULCZYCKI A ... (l)

(Ed. in Le Carte di Giovanni Lanza, vol. VII, pp. 119-120)

L. P. Roma, 12 giugno 1871.

On recueille à Rome avec une activité fiévreuse et incroyable les votes pour le plébiscite en faveur du Pape. Je ne crois pas que la questure sache tout cela, car la questure sait bien peu. Dans chaque paroisse des députés nommés par le Vatican et faisant partie de la Société des intérets catholiques se présentent avec la formule du plébiscite en main. Elle est ainsi conçue: « Nous ne voulons pas du Roi Victor Emmanuel, de son gouvernement et de son statut, nous voulons du Pape et de son gouvernement, sous lequel nous sommes nés et désirons vivre et mourir ». Les députés font signer le formule après s'etre engagés, au nom de Sa Sainteté, à ne jamais publier les noms des signataires, qui ne doivent figurer dans le résultat du plébiscite que comme unités numériques.

Ce matin les députés portant l'adresse ont fait le tour de tous les locataires de la maison où j'habite.

Le 16 courant il doit y avoir une procession-monstre qui partira de SaintPierre ·et se rendra à Sainte Marie .Majeure et à S. Jean de Latran. Elle se composera de tous les membres de la Société des intérets catholiques, de toutes les députations étrangères, de tous ceux enfin auxquels depuis 10 jours le Père Curci et les curés distribuent 2, 3 et 5 fr. par tete. Elle chantera des psaumes pour le salut de Rome et de la Papauté, pour le rétablissement du pouvoir temporel, elle portera les couleurs pontificales pour exciter le peuple à forcer le gouvernement à quelque acte de rigueur. En un mot, il s'agit de provoquer colite que colite une collision sanglante pour dire à l'Europe: Les garanties sont illusoires, le Pape et les catholiques qui viennent le voir ne sont pas libres. Il faut donc que le gouvernement soit preparé à tout cela, qu'il prenne ses mesures, qu'il prévoit tout. Toute hésitation serait nuisible.

Si on veut donner carte bianche à ces démonstrations, alors il faut déployer partout des forces imposantes pour empecher les libéraux de se ruer sur ces misérables. Attendez-vous pour le 16 à des choses que seulement le cerveau d'un jésuite peut enfanter.

Don Pietro Faggiani m'a dit vous avoir écrit il y a 15 jours. Il désire beaucoup savoir si vous avez reçu sa lettre.

Je suis passé ce matin chez monseigneur Bellà. J'ai appris qu'il se trouvait au Vatican, où il avait été mandé par ordre de Sa S_ainteté. Je me suis dit: C'est mal! On a di'l éventer quelque chose! Un nuage est suspendu sur la tete de l'ami! Les chanoines de Florence ont di'l faire leurs rapports.

(l) Cfr. p. 550, nota l.

512

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

T. 1689. Firenze, 13 giugno 1871, ore 14,20.

Impossible de faire adopter la loi du Gothard sans poser la question de Cabinet. Nous sommes décidés à le faire aujourd'hui meme. Mais si après avoir forcé la chambre dans cette question le ministère n'obtient pas de la Prusse qu'elle suive au moins l'exemple de l'Autriche et de la France dans la question romaine l'impression sur l'opinion publique sera déplorable. Je vous prie de communiquer au prince de Bismarck le sens de ce télégramme.

513

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI

T. 1690. Firenze, 13 giugno 1871, ore 15,30.

Le baron de Kubeck •est venu aujourd'hui m'annoncer qu'il viendra à Rome me faire une visite officielle et me présenter le conseiller de légation qui restera chargé d'affaires pendant son congé. Je vous prie d'exprimer au comte de Beust les remerciements du Gouvernement du Roi pour cette marque d'amitié dont nous apprécions toute la valeur.

514

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3776. Londra, 13 giugno 1871, ore 20 (per. ore 10,20 del 14).

Après absence de Granville en Ecosse, seulement aujourd'hui j'ai pu avoir une courte entrevue. Il a reçu favorablement la communication de la loi sur les garanties et de votre drcula-ire (1), et -ce que je lui ai exposé dans le sens des instructions de V. E. J'ai raison de croire qu'il répondra d'une manière satisfaisante, mais il ne s'est pas prononcé sur ce qu'il dira dans sa réponse. Il m'a assuré que la légation anglaise suivra le Gourvernement à Rome. Il n'a pas été encore interpellé par la France à ce propos. Demain •courrier de Cabinet repartira pour Pari.s avec mes dépeches et les ratifications du traité de Londres.

(l) Cfr. n. 444.

515

IL MINISTRO DEI LAVORI PUBBLICI E REGIO COMMISSARIO A ROMA, GADDA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Roma, 13 giugno 1871.

Le cose pare si mettano bene. Ho parlato con moltissime fra le persone influenti e persuasi tutti a mettersi francamente colle nostre idee. La stampa liberale farà bene e l'altra stampa si procurerà di combatterla. La Questura vorrebbe (ed ha ragione) sapere precisamente se si devono tollerare le bandiere pontificie. Le grida di viva Pio IX, le luminarie e consimili segni di esultanza, sono indubbiamente a permettersi, ma le bandiere dubitano molti possano essere tale provocazione da doversi impedire. Se io potessi contare sul senno della maggioranza opinerei doversi permettere anche le bandiere, partendo dal concetto che si deve considerare come uno Stato Estero che nei giorni delle sue feste espone le bandiere; ma è però vero che in questo caso si aggiungeranno le processioni, e ,canti ecc. Basta, io studio l'opinione per farmi un criterio sul da farsi e deciderò su quest'ultimo particolare delle bandiere domani. Nel resto le disposizioni principali si sono già date: alla cheta aumento la truppa: chiamerò la Guardia Nazionale un battaglione per Legione per tenerli raccolti in quattro punti della città, onde avere il doppio vantaggio di imporre senza il contatto materiale e di allontanare molti giovani dei più liberali dalle piazze e non esporli a subire provocazioni. Io confido che tutto anderà bene.

Questa mattina si è dovuta prendere per forza quella minorenne Israelita

che era fuggita dalla casa paterna e andata nei catecumeni. Era ad eseguirsi

un Decreto del Tribunale che ordinava si restituisse al padre. Furono impie

gati per giorni tutti i modi conciliativi ma invano. Allora non si doveva più

oltre protrarre l'esecuzione nel pericolo di veder sottratta la giovinetta e questa

mattina per tempo con ogni misura di precauzione la Legge fu eseguita e non

vi fu alcun disordine. Oggi la cosa fa buonissima impressione; fa palese che il

Governo quando deve è vigoroso e serve mirabilmente a preparare gli animi

di quella moderazione e tolleranza di cui abbiamo bisogno.

516

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

T. 1691. Firenze, 14 giugno 1871, ore 14,15.

Vous pourrez répondre, si vous etes interrogé que le Gouvernement du Roi d'après les termes du protocole signé à Florence, acceptera tout arbitre sur lequel seront tombés d'accord le Bey et la société, et, par conséquent, n'a pas d'objection à Photiades Bey.

517

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3778. Parigi, 14 giugno 1871, ore 11,15 (per. ore 14,25).

Favre m'a dit qu'il a chargé M. de Choiseul de vous remercier de la communication de la loi des garanties; que pour le moment, il ne peut faire davantage, la France ne pouvant louer ni bliìmer la loi ni porter jugement individuel et devant conserver neutralité entre le Pape et nous.

518

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3780. Berlino, 14 giugno 1871, ore 4,50 (per. ore 10,25 del 15).

J'ai écrit ce matin à M. de Bismarck le sens de votre télégramme (1). Il m'a fait dire par M. de Balan de ne pas attacher tant d'importance à ce que Brassier de S. Simon aille à Rome maintenant ou dans six mois, et de ne pas me!er le nom de l'Autriche à celui de l'Allemagne. Il aurait lieu de croire que l'ordre donné au baron de Kubeck, est surtout le résultat d'une entente entre Vienne et le Vatican. Ce serait le gage d'une prochaine réaction. L'Allemagne restera en toute éventualité notre aHiée la plus siì.re. La France, jusqu'i,ci, n'a pas interpellé le Cabinet de Berlin qui ne se préoccupe pas de l'attitude actuelle de la France pour les affaires de Rome. Vous verrez par mes rapports que courrier de Cabinet vous remettra vendredi, que si Bismarck tient tellement au vote St. Gothard, c'est aussi pour avoir de son còté l'opinion publique, le jour où la France menacerait l'Italie. Il dit qu'il voudrait alors faire adopter le pian d'envoyer aussitòt une armée d'observation en Lorraine, et d'arréter ainsi toute velléité belliqueuse.

519

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 607/219. Londra, 14 giugno 1871 (per. il 17).

In seguito al ritorno del Signor Conte Granville dalla Scozia, ove passò otto o dieci giorni presso S. M. la Regina, ebbi una conversazione col medesimo ieri sugli affari di Roma, la quale, sebbene abbia avuto luogo nel giorno e nell'ora che S. S. mi aveva assegnati, fu breve, avendo Essa dovuto recarsi al Parlamento. Sebbene io abbia ciò non pertanto avuto sufficiente agio di esporgli le principali cose contenute nelle di Lei particolari istruzioni, mi sono

riservato di conferire nuovamente col Signor Conte su questo soggetto. Intanto, urgendo di spedire il Corriere Anielli che è atteso dal mio Collega in Parigi, mi affretto ad informarla di questa conversazione, che già Le partecipai in sunto col mio telegramma di ieri (1).

Diedi pertanto notizia al Signor Conte Granville della di Lei Circolare del 25 Maggio p. p. (2) dandogliene comunicazione e !asciandola a di Lui mani, colla reciproca intelligenza che ciò non avesse che il carattere di una comunicazione verbale e vi unii un esemplare della traduzione francese della legge sulle Garanzie al Pontefice. Conformandomi alle di Lei istruzioni, esposi a S. S. il concetto e lo scopo della detta Circolare e della comunicazione della legge

sulle Garanzie, riferendomi anche alle comunicazioni che a questo riguardo gli aveva già anticipatamente fatto alcun tempo fa per ordine di V. E., accennai al risultato a cui con essa il Governo mirava e a quello che specialmente aveva fiducia di conseguire presso il Governo Inglese, esprimendomi nel modo che l'amicizia di questo Governo per l'Italia mi dava facoltà di usare. Aggiunsi a questo speciale riguardo quelle altre considerazioni che si contengono nelle speciali istruzioni dall'E. V. fornitemi.

Il Conte Granville mi espresse la sua soddisfazione per questa comunicazione, mi confermò le disposizioni benevole ed amichevoli del Governo Inglese a riguardo dell'Italia e la sua disposizione ad ispirarsi alle medesime. S. S. non mi indicò in quale forma e modo avrebbe risposto alla comunicazione da me fattagli, essendosi riservato di considerare tanto la predetta Circolare che la Legge sulle Garanzie; ma dal modo con cui venne da Lui accolta questa comunicazione mi credo autorizzato a prevedere che il Governo Inglese farà una risposta, e che questa sarà soddisfacente.

Comunicai pure al Signor Conte il contenuto nel telegramma diretto dal mio Collega di Parigi, il Signor Cavalier Nigra, a V. E. (3) e che V. E. mi trasmise con altro suo telegramma da me ricevuto il giorno 10 corrente, col quale il Cavaliere Nigra Le significava che avendo insistito presso il Signor Giulio Favre perchè desse alla Legazione Francese in Firenze le istruzioni onde si trasferisse a Roma, questi avevagli risposto che la Francia seguirebbe l'esempio degli altri Gabinetti ai quali egli aveva domanc:Jato ciò che essi farebbero.

Soggiunsi a S. S. che le mie informazioni mi avevano edotto che dal Signor Thiers erasi già in prima dichiarato che egli avrebbe riconosciuto « sans arrièrepensée » i fatti compiuti, astenendosi però da ogni discussione o dichiarazione di principì. Il Signor Conte gradì pure questa comunicazione ed il modo con cui la ricevette non mi lasciò dubbio che egli non aveva informazioni contrarie a queste dichiarazioni fatte dal Signor Thiers. S. S. mi soggiunse che certamente la Legazione Inglese avrebbe seguito a Roma il Governo del Re; e che finora egli non era stato su questo soggetto interpellato dal Governo Francese. Mi soggiunse però che teneva sul tavolo ancora molte comunicazioni ricevute ieri e nel giorno precedente delle quali per causa dei molti affari non aveva ancora potuto occuparsi. Avendogli io soggiunto che credeva che gli altri grandi Go

verni avrebbero pure trasferito le loro Legazioni a Londra (1), il Signor Conte si espresse in modo che indicava la sua partecipazione a questa credenza. Eg1i mi soggiunse che ne sarebbe poi risultato il fatto di una doppia rappresentanza in Roma per parte di molti Governi, al che io osservai che a ciò ogni Governo ed ogni Parlamento avrebbe poi provveduto come meglio credesse.

Lasciai il Signor Conte colla intelligenza che avremmo di nuovo ragionato intorno a questo soggetto.

(l) Cfr. n. 512.

(l) -Cfr. n. 514. (2) -Recte 20 maggio. Cfr. n. 444. (3) -Cfr. n. 488.
520

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Parigi, 15 giugno 1871.

Vi mando qui unito un rapporto (2) che risponde alla questione che m'avete fatto nell'ultima vostra lettera intorno allo stato generale di cose in Francia ed alle probabilità future.

Il risultato o per meglio dire le conclusioni di questo rapporto sono che in verità non ne so niente. Mi consola il pensiero che tutti qui sono nel medesimo caso, cominciando dal Signor Thiers. In un altro paese è meno pericoloso il fare pronostici. Qui è impresa impossibile. Quattro partiti, ognuno dei quali ha una forza nel paese, si disputano il Governo; la Repubblica, gli Orleanisti, i legittimisti, l'Impero. Il menomo incidente, un uomo ardito, un fatto imprevisto possono far passare il governo dall'uno all'altro di questi partiti. Però ecco ciò che credo più probabile: per qualche tempo la repubblica; perchè essa esiste di fatto, e gli altri partiti sono discordi e non preparati. Quindi la :monarchia, probabilmente l'Orleanese, che ha per sè la borghesia francese. La fusione tra i due rami di Borbone fu annunziata e proclamata. Non credetene nulla. Esteriormente essa può essere fatta. Quanto alle idee no. Perchè la fusione non fosse una vana parola bisognerebbe stracciare tre quarti di secolo dalla storia di Francia, bisognerebbe mettere d'accordo l'Univers e i Débats, la Gazette de France e la Revue des deux Mondes, John Lemoinne e Veuillot. Ripeto adunque che per ora la repubblica con Thiers ha le maggiori probabilità di riuscita per un anno, forse per due. Dopo questo tempo, se durano le tendenze attuali, gli Orleanisti hanno per essi le maggiori probabilità. Ma in questo frattempo incidenti imprevisti possono far tornare a galla l'Impero, o anche mettere su per un istante Enrico V. Le prossime elezioni complementari che devono dare all'Assemblea circa 120 membri di più saranno un criterio su cui si potranno fondare meno azzardate previsioni.

Quanto alla questione pontificia, v'ho già annunziato la comunicazione da me fatta a G. Favre della legge delle garanzie e la risposta da lui fattami. Il Signor G. Favre, nella lettera che vi mando in originale, mi scrive che incaricò il Conte di Choiseul di ringraziarvi di quella comunicazione, ed aggiunge

che non può fare di più per ora, la Francia non avendo alcuna opmwne individuale da esprimere su questo documento, e volendo rimaner neutra fra il Papa e noi. Col sistema inaugurato dal Signor Thiers la risposta non poteva esser altra, e finchè quest'uomo di Stato rimarrà al governo della Francia, l'attitudine di questa sarà costantemente la stessa, evitare allontanare le questioni, riservarle, non risolverle, non compromettere nessuna soluzione, non tmdire alcun partito. È possibile che le petizioni presentate ultimamente all'Assemblea Nazionale in favore del Papa, alle quali ora se ne aggiunge una firmata da 5 Vescovi, conducano ad una discussione sgradevole in seno all'Assemblea stessa. Però son convinto che il Signor Thiers farà il possibile per evitare una tale discussione, e in ogni caso si pronunzierà nel senso delle riserve fatte fin ora. L'opinione pubblica liberale e sana che non è interamente scomparsa in Francia, fa giustizia di quelle petizioni e le biasima vivamente. Una attitudine franca e decisa per parte nostra che non lasci dubbio (ed io l'ho qui nettamente dichiarato al Signor Thiers ed al Signor Favre) che qualsiasi tentativo di ristorare il potere temporale condurrebbe alla guerra, e nel tempo stesso una condotta corretta e piena di riguardi verso il Papa e non ostile alla Francia, ci condurranno spero a vincere anche questi ultimi ostacoli. Vi ripeto del resto che per un tempo considerevole la Francia, anche se il volesse, non sarà in grado di tentare qualsiasi avventura all'estero. Avete quindi il tempo per preparare il terreno alle precauzioni future, alle quali sarà utile il pensare fin d'ora.

P. S.-I giornali rilevano un annunzio di arruolamenti di volontari dell'Ouest sotto Charette. Andrò a posta a Versailles a domandare spiegazioni al Signor Favre sull'esistenza e sullo scopo di tale annunzio e ve ne scriverò per telegrafo.

ALLEGATO.

FAVRE A NIGRA

12 juin 1871.

J'ai envoyé à M. de Choiseul une dépéche par laquelle je \le priais de remercier

M. Visconti Venosta de la communication qu'il vous a chargé de me faire de la loi des garanties. Pour le moment je ne puis faire davantage. La France n'a aucune opinion individuelle à émettre sur ce document. Il ne peut ni le louer ni le blamer pas plus que l'encyclique du St. Père. Croyant de son devoir de rester dans la neutraUté, il s'abstient d'exprirner une opinion qui lui ferait prendre parti pour l'un ou pour l'autre. Son intérét et celui de l'Italie, celui de la papauté lui imposent cette ligne de conduite.

(l) -Sic! Evidentemente per Roma. (2) -Si tratta certamente del n. 491 che, pur recando la data del 9, pervenne a Firenze il giorno 17 e dovette quindi partire da Parigi con lo stesso corriere della presente lettera
521

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Parigi, 15 giugno 1871.

Ecco superata anche questa terribile crisi del Comune. Le cose sono rientrate press'a poco nell'ordine. Ogni grave pericolo è svanito, od almeno allontanato di molto. Mi sembra quindi che sia venuto il tempo che m'accordiate il riposo di cui sento gran bisogno. Non sono bene in salute. Le pellegrinazioni di questo inverno e le emozioni morali. che le hanno precedute, accompagnate e seguite, mi lasciarono indebolito ed affranto. Vi lascio interamente giudice della forma da darsi a questo mio riposo, evitando ogni interpretazione che potesse nuocere al Governo e che sarebbe del tutto infondata. Io vorrei lasciar la Legazione fra una decina di giorni. Vi prego di mandarmene il permesso. Non so se abbiate di già pensato al titolare futuro. Io finora non dissi parola di ciò al Governo francese. Se il titolare non è pronto o se per altre ragioni non vi conviene il nominarlo subito, potreste darmi intanto un congedo e Resman sarebbe perfettamente nel caso di far l'interim e di farlo convenientemente. Però bisognerebbe mandargli un addetto o un secondo segretario di più.

Spero di vedervi fra non molto a Roma che non vidi mai e che vorrei vedere quando ci sarete.

522

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

T. 1692. Firenze, 15 giugno 1871, ore 16.

La loi approuvant la convention du S. Gothard a été votée par la chambre avec 161 pour 51 contre.

523

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 836. Berlino, 15 giugno 1871 (per. il 23)

J'ai reçu avant hier au soir, peu d'instants après le départ du courrier Armillet, votre télégramme du 13 (1). Le Prince de Bismarck assistait à la réunion d'une commission parlementaire, qui devait se prolonger jusque vers l heure du matin.

Comme il était urgent de remplir vos instructions, j'ai jugé à propos de lui adresser la lettre particulière, dont copie est ci jointe.

Le Chancelier Impérial s'est servi de l'entremise de lVI. de Balan, pour me donner, le lendemain, la réponse verbale que j'ai résumée par mon télégramme du 14 (2).

Le Prince de Bismarck nous priait de ne pas mettre trop d'importance au transfert à Rome de la Légation Allemande. Qu'elle y aille maintenant ou dans six mois, cela ne change rien au fond des choses. L'occasion rsic] que pourrait causer sur l'opinion publique un retard, ne sera que passagère. L'Allemagne ne restera pas moins notre alliée la plus sure. Il tenait à ce que le nom de ce Pays ne fUt pas confondu avec celui de l'Autriche. Les ordres donnés au Baron de Kiibeck seraient avant tout, d'après certains indices parvenus à Berlin, le

résultat d'une entente établie entre le Cabinet de Vienne et la Cour du Vatican. Ce serait en quelque sorte le gage d'une réaction clérical.

M. de Balan, en sa qualité de simple rapporteur, ne pouvait rien ajouter de plus, en parlant au nom de son chef. Je n'avais pas manqué en effet de lui observer, que je remarquais quelque lacune dans cette réponse, entre autres pour ce qui concernait la France. Sur ce point, M. de Balan croyait savoir que

M. Thiers n'avait pas encore sondé ici les dispositions du Gouvernement, mais

qu'au reste on ne se préoccupait pas de l'attitude actuelle de la France pour les affaires de Rome. Il n'a pas su davantage m'expliquer les soupçons énoncés contre l'Autriche, ne cherchant qu'à nous complaire en apparence. Mais il a insisté sur ce point, que, lors meme que le Cabinet de Berlin ne fUt nullement à la remorque du parti clérical, il devait néammoins, par raison d'Etat, éviter de le pousser à bout, et naviguer la sonde en main pour éviter les écueils. C'étaient là des nécessités intérieures, dont nous saurions nous rendre compte

(l) -Cfr. n. 512. (2) -Cfr. n. 518.
524

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 241. Pietroburgo, 15 giugno 1871 (per. il 26).

Con il mio dispaccio telegrafico dei 29 Magg1o/10 Giugno (1), ebbi l'onore d'informare brevemente l'E. V. della simpatia che, nell'udienza di congedo accordata all'Incaricato d'Affari di Francia, Sua Maestà l'Imperatore avea palesato per il Governo attuale in Francia.

Questa simpatia sinceramente esoressa era dovuta, secondo il Marchese

di Gabriac, alla riuscita del Signor Thiers e dei suoi colleghi nel domare la

potente insurrezione di Parigi ed all'opinione che il regime repubblicano sia

quello che meglio possa cimentare i fondamenti di una pace futura, poichè in

mezzo alla lotta dei partiti, l'avvenimento di una dinastia al trono, par sino

nimo di allarme, e fa nascere la tema in un avvenire più o men remoto, di un

appello fatto alle armi d'un esercito geloso di gloria, da un sovrano ambizioso

mosso per interessi dinastici.

La Francia Orleanista sopratutto manterrebbe vivi questi timori, e richia

merebbe anche alla memoria di questo Governo, certe fasi critiche della Que·

stione Orientale. Si attribuiscono inoltre al Duca d'Aumale delle tendenze belli

cose unite a prestigio nell'armata e ad un'influenza riconosciuta sopra gli altri

membri di questa Reale Casa. Alcuni vedono nell'opinione dell'Imperatore Ales

sandro, la sua abituale sottomissione all'opinione fondata sugli interessi Prus

siani, altri invece pensano che conformandosi all'opinione pubblica in Russia,

l'Imperatore non sia opposto al risorgimento della Francia, nell'interesse del

l'equilibrio Europeo, e creda il regime repubblicano più che l'altro atto a rag

giungere pacificamente questo scopo, od a neutralizzare i partiti rivoluzionarii.

A maggior illustrazione dei sentimenti che Sua Maestà espresse durante il suo

Sì7

3i -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. II

colloquio con l'Incaricato d'Affari Francese verso il Governo attuale in Francia, non posso ommettere di narrare all'E. V. che il Signor di Gabriac credette nel discorso di poter attribuire al Signor Thiers il titolo di «grand citoyen » e lo Czar disse che egli si associava al suo pensiero. Come V. E. lo potrà rilevare dal precedente mio dispaccio politico, il linguaggio del Signor di Westmann, è pure conforme alle considerazioni che ho l'onore di qui sottometterle.

(l) Cfr. n. 494.

525

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 150. Firenze, 16 giugno 1871.

Ringrazio V. S. Illustrissima della pregiata sua corr1spondenza politica pervenutami regolarmente fino al N. 410 di questa serie inc,lusivamente.

Ella mi ha successivamente informato dei fatti principali che dopo la caduta di Si Mustafà Kasnadar potevano caratterizzare la nuova Amministrazione della Reggenza.

Ho trovato anche nei rapporti di V. S. la impressione prodotta sul Governo di S. A. dal contegno delle varie potenze e dall'atteggiamento preso, rispetto agli affari Tunisini dalla Sublime Porta Ottomana.

La condotta di V. S. fu quale deve essere in mezzo alle incertezze create dal complesso degli ultimi avvenimenti. Il R. Governo conoscendo la profonda esperienza ch'Ella possiede delle cose di cotesto paese si astenne dal dare a Lei delle istruzioni che avrebbero tolto alla condotta di V. S. quel carattere spontaneo e personale che le circostanze richiedevano.

Anche in oggi riuscirebbe difficile assai il tracciare delle istruzioni, come malagevole riesce ancora fra le competizioni di Ministri rivali e le contradditorie tendenze che talvolta si manifestano nel Governo di fare delle previsioni sull'avvenire della Reggenza.

Ciò che si può affermare con sicurezza è che lo stato di codesto paese non è tale da infondere nei Governi che ne desiderano conservata la autonomia tranquillità e fiducia.

Ella vedrà dalle informazioni che le trasmette il Ministero, che lo scambio di comunicazioni avvenute durante gli ultimi mesi fra l'Italia e le principali potenze interessate ha dato un esito abbastanza rassicurante.

Noi potremmo sinceramente rallegrarcene se la condotta dei rispettivi Agenti presso il Bardo fosse stata più conforme alle dichiarazioni dei loro Governi. Ma la rivalità degli Agenti per istabilire delle preponderanze esclusive contrarie agli interessi generali delle Potenze, sembra smentire nel fatto quell'accordo che, stando alle dichiarazioni delle medesime, esisterebbe nelle idee. Alle dimostrazioni succ,edono altre dimostrazioni; e la presenza del considerevole armamento navale che la Francia ha radunato nel Golfo di Cagliari e che forse a quest'ora ha già toecata la costa Africana, è ben fatta per distruggere ,gLi effetti della missione compiuta dal comodoro prussiano e dalla comparsa della fregata ottomana che Impiegò sei mesi per giungere in rada della Goletta. Sopra questa via andando le cose, non potremmo ragionevolmente sperare alcun miglioramento nella situazione riguardo ai nostri interessi. Questi non hanno una vera guarentigia che nell'equilibrio delle influenze che solo può attenersi con un concerto delle tre potenze principalmente interessate. Quando questo concerto non può essere mantenuto pel fatto di uno dei tre Governi, bisogna che nella stretta unione, e nella concorde azione degli altri due, si cerchino i mezzi di ristabilirlo. Tali sono i riflessi che suggerisce al Governo del Re ciò che da più mesi succede a Tunisi. Conoscendo la mente del Governo del Re, Ella saprà sempre meglio corrispondere alla giusta aspettazione del medesimo guidandosi secondo le circostanze del momento, colla scorta delle conoscenze ch'Ella ha del paese e col lume che dà a Lei la lunga esperienza di codesti uomini e di codeste cose.

526

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3787. Vienna, 16 giugno 1871, ore 16,45 (per. ore 10 del 17).

Je n'ai pu m'a,equitter ,que ee ma.tin des ordres 'contenus da.ns votre télégramme du 13 (1). Beust a été très satisfait de ma communication. II m'a dit tout confidentiellement qu'il faut avoir grand soin de se tenir strictement aux termes de la circulaire de V. E., c'est à dire que pour le jour du transfert de la capitale, Je ministère des affaires etrangères soit insta1lé au grand co~let à Rome. Ce langage lui est dicté par certaines observations qui lui arrivent de Rome et Paris. Le ministre de Prusse lui a avoué de meme que jusqu'id on n'avait pas encore décidé à Berlin si le comte Brassier suivrait V. E. à Rome.

527

IL MINISTRO DEI LAVORI PUBBLICI E REGIO COMMISSARIO A ROMA, GADDA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Roma, 16 giugno 1871.

Finora le cose vanno assai bene e spero che questa sera continueranno del pari. Ti prego leggere i miei Rapporti ufficiali che mando a Lanza, e se credi fattene dare anche copia. Io sono veramente sotto un peso grave, e penso con spavento che dura cinque giorni questo scherzo. Ma vincerò ne sono sicuro. e poi mi riposerò.

(l) Cfr. n. 513.

528

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

T. 1695. Firenze, 17 giugno 1871, ore 13,30.

Courrier arrivé hier avec vos intéressantes dépeches. Les décisions du Cabinet de Berlin sur la question de Rome ont pour nous une très-grande importance. Je crains que plusieurs puissances ne suivent son exemple et que, de cette manière, la question qui était presque résolue, ne reste de nouveau en suspens. Ce n'est pas en encourageant les illusions du parti clérical qu'on raffermit la paix et qu'on prévient les complications.

D'ailleurs, je suis convaincu que l'Allemagne a beaucoup plus de liberté d'action que l'Autriche ou la France dans les affaires de Rome, et que les raisons de politique intérieure sont plutòt pour nous que contre nous.

529

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3792. Vienna, 17 giugno 1871, ore 10,50 (per. ore 10,15 del 18).

Chancelier de l'Empire m'a arreté ce soir à la promenade pour me prévenir amicalement que la Prusse et la Russie sont très peu disposées à consentir à ·ce que leurs représentants suivent V. E. lo11s du transfert de la capd:tale. La ·comm1ssion du budget de la délégation hongroLse a accordé aujourd'hui au comte Beust tout •Ce qu'H demandait. L'ambassade d'Autriche sera maintenue auprès du Pape.

530

L'INCARICATO D'AFFARI A COPENAGHEN, DI PRAMPERO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 158. Copenaghen, 17 giugno 1871 (per. il 23).

Nell'ultima conferenza avuta col Barone Rosenorn-Lehn giovedì 15 corrente, mi sono valso della pregiata Circolare di V. E. del 20 dello scorso mese (l) (giuntami in ritardo), per intrattenerlo sulla politica seguita dal Governo del Re ne' suoi rapporti col Pontefice e la Chiesa. Quantunque Ella non mi avesse espressamente autorizzato, ho giudicato conveniente di dare integrale lettura di quella Circolare al Ministro, al quale ho pur svolto, nel modo per me migliore, le varie

considerazioni che hanno indotto le Camere Italiane ed il Governo del Re ad adottare e promulgare la legge delle guarentigie.

Avendo io con grande interessamento seguito le discussioni che ebbero luogo su tal subbietto nel Parlamento Nazionale, e fissato particolarmente la mia attenzione sovra i discorsi tenuti dall'E. V., ho potuto, almen Io spero, far ben comprendere al Barone Rosenorn-Lehn, non che al Direttore Generale Signor Vedel, le nozioni esatte sul significato delle principali disposizioni della legge del 13 maggio.

Tanto il Ministro che il Direttore Generale mi parvero ascoltare con interesse le mie esplicazioni, applaudirono espressamente alla politica seguita dal Governo Italiano, e mi ringraziarono vivamente per le mie comunicazioni. II Ministro, inoltre, disse parole di lode altresì per ciò che forma il Iato letterario della citata Circolare di V. E.

Prima di lasciare il Barone Rosenorn-Lehn, gli ho rimesso fra le mani un esemplare della legge del 13 maggio, non che una copia del discorso tenuto da

V. E. al Senato del Regno, nella seduta del 21 Aprile ultimo. Ringrazio vivamente V. E. per l'invio dei documenti diplomatici, che ho trovato annessi alla Circolare del 20 maggio.

Nel corso della ventura settimana è qui aspettato S. M. il Re degli Elleni, per passare alcun tempo presso i suoi Augusti Parenti.

(l) Cfr. n. 444•

531

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 297. Bucarest, 17 giugno 1871.

Dal 23 Marzo ultimo la situazione nei Principati è ·completamente cambiata.

V. E. conosce come il paese era stato gettato nell'anarchia da una minoranza che propagava il disordine in nome della libertà, e come il Principe scosso dal deplorevole stato delle cose e disperando di non poter oltre signoreggiare le fazioni pensasse di abbandonare il suo trono.

Sia perchè il Ministero del 24 Marzo presieduto dal Signor Lascar Catargi sia riescito ad imporne con la sua fermezza, sia perchè il paese fosse realmente stanco delle passate aberrazioni, le elezioni hanno oggi mandato alla Camera degli uomini indipendenti che acclamarono i principì di Ol'dine e di stabilità personificati dal Capo dello Stato; uomini che promettono il loro concorso alla opera rigeneratrice iniziata dal Ministero.

Senza perdersi infatti in indiscrezioni oziose, la nuova Camera ha con alacrità incominciato ad occuparsi dei lavori che le vengono man mano sottomessi; la fede nei destini del paese a lui affida·to ritorna a rinascere nell'animo del Principe, ed il partito demagogico, pel quale tutto è male quando non è esso padrone della situazione, si agita con sterili proteste.

Havvi però un punto nero che potrebbe quando che sia intorbidare di nuovo questa fase generale di pacificazione, ed è la quistione delle ferrovie Strousberg che, malgrado gli sforzi incessanti del Gabinetto, non ha ancora avuto nè potrà avere così presto una soluzione soddisfacente.

532

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'ONOREVOLE MINGHETTI, A COSTANTINOPOLI

(AVV)

L. P. Firenze, 18 giugno 1871.

Non giunsi a tempo per scriverti a Vienna. La tua partenza sollecita e le mie solite brighe me lo impedirono. Vengo dunque a raggiungerti in Oriente. Così sentirai passare attraverso il Bosforo un soffio della Sala dei Cinquecento, ti parrà di scorgere nelle sue acque tranquille i vaghi riflessi della destra, del centro e della ,siniiStra e quando passano i caik potrai credere che dentro vi sono anche le ombre velate e poetiche dei nostri uomini politici. Comincerò col dirti ch'io rimasi assai contento del risultato della tua missione a Vienna. La risposta di Beust aHa comunicazione della legge era quale l'avevamo preveduta. Ma essa fu amichevole, e s1ecome il motivo dato da Beust p·er spiegarla fu quello del non intervento, essa ha un qualche lato positivo perchè ammette, in certo modo, un principio. Ma vi fu un altro risultato assai importante per noi e fu quello delle istruzioni date a Kubeck pel trasferimento del Ministero degli Esteri a Roma. Il giorno istesso in cui tu mi telegrafavi questa notizia essa era divulgata da un dispaccio di Vienna dell'Agenzia Stefani. L'effetto sul pubblico fu ottimo ed io me ne rallegrai tanto più che, in quei giorni, i giornali avevano anche incominciato a parlare della tua presenza a Vienna. Kubeck venne, poco tempo dopo, a comunicarmi ufficialmente queste sue istruzioni.

Frattanto Nigra faceva, col suo solito tatto e colla sua solita prudenza, la comunicazione a Versailles, dove questo passo non era senza pericolo. Favre accolse abbastanza bene questa comunicazione e scrisse a Choiseul di ringraziarmene. Egli aggiunge che non può fare nulla di più, la Francia non avendo alcuna opinione individuale a emettere su questo documento e credendo suo dovere di rimanere neutrale. Ella si astiene dunque dall'esprimere un'opinione che le farebbe prendere parte pel Papa o per l'Italia.

Quanto alle istruzioni per Choiseul, in occasione del trasferimento, Favre disse a Nigra che si sarebbe consultato cogli altri Governi. Seppi poi indirettamente da Vienna che Metternich aveva telegrafato colà che il Ministro di Francia avrebbe seguito l'esempio del Ministro d'Austria. Fin qui dunque tutto camminava abbastanza bene, quand'ecco sorgere un'ombra. Quest'ombra viene da Berlino. Launay comunicò la legge delle guarentigie a Bismarck. Questi gli disse che avrebbe risposto e risposto in modo che noi non avremmo avuto a lagnarcene. Bismarck si mostrò con de Launay animato da disposizioni personali molto amichevoli per l'Italia. Gli disse persino che se la Francia un giorno o l'altro ci minacciasse direttamente, la sua opinione sarebbe di arrestare tout court queste velleità di aggressione con qualche dimostrazione minacciosa. Gli soggiunse che egli non era favorevole ad una Conferenza, che se gli fosse proposta risponderebbe che prima bisognava conoscere l'opinione dei due principali interessati. Insistè molto su questo punto che, per far prevalere le sue opinioni favorevoli all'Italia, bisognava che l'Italia lo ajutasse col cattivarsi le simpatie della opinione pubblica in Germania. Quindi raccomandazioni caldissime perchè fosse votata la legge del Gottardo, per stabilire una solidarietà di interessi materiali più forti dei pregiudizii e degli sforzi dei nostri avversarii. Ma quando si venne alla quistione di quanto avrebbe fatto il Conte Brassier il primo di luglio, Bismarck rispose: che per ragioni esclusive di politica interna il Conte Brassier avrebbe preso il suo congedo e ·che Il Conte WesdheLen si sarebbe recato a Roma, tutte le volte che avrebbe avuto qualche affare col Ministero, che noi non dovevamo preoccuparci troppo di questo nè porre troppa importanza a una condotta dettata da considerazioni interne di cui dovevamo tener conto. Feci ritornare de Launay alla carica, ma la risposta, involta in frasi anche più dolci, fu, in fondo la stessa.

Il linguaggio di Bismarck non è certo, senza valore e senza importanza, ma un naturale scetticismo mi induce a fare il conto seguente -da parte nostra 45 milioni pel Gottardo subito -da parte della Germania buone parole per l'avvenire, nulla per ora. Ciò ch'io temo in quest'affare è l'esempio. A noi importava che la diplomazia venisse subito e tutta. Avevamo l'Inghilterra e l'Austria, colla Germania non sarebbe rimasta fuori che la Francia la quale avrebbe seguito certo l'esempio. Ora non so. Chi ha poca voglia verrà a citarci la Prussia e come si potrà pretendere da Potenze cattoliche più di quello che fanno i Luterani di Berlino?

Eccoti, in poche parole, la situazione diplomatica. Non aggiungo di più perchè mi manca il tempo. Dall'Inghilterra non ho ancora alcuna risposta definitiva perchè Lord Granville era appena ritornato dalla Scozia. Qui la Camera continuerà sino al 25 o al 26 e avrà, in questo tempo, votata la legge militare e Lanza spera anche quella di sicurezza pubblica. Il Re giungerà domani a Firenze. Andrà a Napoli per l'Esposizione marittima e si fermerà due o tre giorni a Roma.

Finora a Roma le feste del giubileo passarono nella più grande tranquillità, malgrado le deputazioni di contadini bavaresi vestiti nelle loro foggie più o meno ridicole. Figurati che una di queste deputazioni di cencinquanta contadini si fermò a Bologna per un'intera giornata. I pellegrini sono dai due ai tre mila. Se tutto finisce senza alcun disordine, parmi sia questa per noi una vera vittoria morale.

Addio, caro amico. Spero che Donna Laura e tu vi divertirete bene in mezzo allo spettacolo variopinto di Costantinopoli. Devo una lettera a tua moglie e ti prego di farle le mie scuse se ancora non ho potuto scriverle.

533

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 81. Vienna, 18 giugno 1871 (per. il 23).

Col mio telegramma di ieri l'altro (l) mi affrettai di riferire alla E. V. come il Conte di Beust m'avesse confidenzialmente fatto intendere che dovrebbe essere precipua cura del Governo del Re quella di provvedere allo installamento

effettivo del Ministero Esteri in Roma nel giorno stabilito pel trasferimento della Capitale. Questo amichevole consiglio gli veniva, a suo dire, inspirato da notizie ricevute da Roma e da Parigi, secondo le quali sembrava almeno dubbioso che le Potenze prestassero fede al collocamento integrale del detto Dipartimento per l'epoca prefissa; ed in tale ipotesi, alcune sarebbero probabilmente restie nel prescrivere ai loro rappresentanti di seguire V. E. a Roma, sotto il pretesto che la presenza del Ministro colà, solo od anche accompagnato da pochi impiegati, non equivarrebbe a quella dell'intero Dicastero, oltrechè la Circolare d'invito dell'E. V. parla di Ministero e non di Ministro.

Il Cancelliere insiste tenacemente sulla raccomandazione suesposta, tanto che sembrommi volesse dirmi che, qualora il Governo Italiano non si fosse attenuto ai termini della Circolare, egli sarebbe, benchè a malincuore, costretto di uniformarsi all'atteggiamento delle altre Potenze.

Mi parlò egli quindi delle incertezze che regnavano a Berlino sugli ordini da dare al Conte Brassier drca il trasferimento della Sede del Governo, e non mi celò che qualche momento innanzi H Generale Schweinitz aveagli palesa,to non essere sicuro che il di lui collega di Firenze avrebbe seguito l'E. V. a Roma alla data prestabilita.

Di questa importante circostanza io avvertii eziandio l'E. V. ieri l'altro, per telegrafo, ed ieri a sera (1), dopochè il Conte di Beust, prendendomi in disparte alla passeggiata, mi confermò quanto aveami detto la vigilia intorno alle disposizioni del Gabinetto di Berlino, e mi soggiunse che anche a Pietroburgo si batteva la stessa via. Mi sembrò egli preoccupato per tali notizie, sebbene mi assicurasse che attribuiva simile condotta a riguardi verso le popolazioni Cattoliche dei due Imperi del Nord, anzichè a un sentimento di ostilità per l'Italia. Conchiuse dkendomi d'aver scritto sull'argomento al Barone Kiibeck.

(l) Cfr. n. 526.

534

IL CONTE KULCZYCKI

A ... (2)

(AVV)

L. P. Roma, 18 giugno 1871.

Je vous remercie de la lettre que vous avez bien voulu m'adresser. Monseigneur Bellà me prie de vous remettre, ci-jointe, la requète au garde-des-sceaux, dont il était convenu, m'assure-t-il, avec le Ministre des Affaires Etrangères.

Toute partialité à part, je vous dirai que notre prélat a déployé beaucoup de zèle ces jours-ci. Il a adressé billets sur billets à M. Gadda, dont celui-ci m'a parlé lui meme tout à l'heure, car je reviens de la Consulta. Ces billets contenaient une foule de détails sur les plans des cléricaux, plans que je ne vous mentionne pas, car ils avaient un intéret purement local et se rapportaient aux démonstrations que ces messieurs comptaient faire durant ces journées. Toutes ces indications ont été fort utiles au Commissaire du roi, comme il vous le dira.

M. Gadda s'est admirablement tiré d'affaire. Nous avons eu un ordre parfait. Hier à Saint-Pierre H y avait au moins 30 mille personnes, et pas le plus léger désordre n'a éclaté. Les Romains se sont surpassés. Le Pape et le Sacré CoHège auraient pu descendre et assister à la cérémonie sans le moindre inconvénient. C'est à présent le temps de publier dans l'Opinione l'article relatif aux garanties que le gouvernement offre à la personne de Sa Sainteté.

Il est regrettable seulement que le prince de Hohenlohe, ambassadeur extraordina1re de François-Joseph, ait été siffié. Je ne l'aura,is pas ·cru, mails j'ai diné hier avec Worczak chez le C. Thiers, et celui-ci le savait du prince Hohenlohe lui-mème.

Le Père Theiner vous fait mille choses. Il part samedi pour Olmiitz. Il ne peut passer par Florence et verra le Ministre à son retour d'Allemagne. Il va publier son grand ouvrage sur le Concile de Trente, fruit de 12 années de travail. Il m'a dit qu'il verrait dans son voyage les empereurs d'Autriche et d'Allemagne, et leur parlerait en faveur de l'Italie.

Je ne vous transmets pas les innombrables détails concernant les réceptions des députations, car ils n'ont point d'importance politique.

Je vous dirai seulement que le Pape a été tellement monté par les jésuites, les étrangers et les plénipotentiaires qu'il reçoit, qu'il est possédé d'une sorte de fureur contre l'Italie et qu'il se ·croit un Dieu. Le Sacré Collège tout entier est extrèmement irrité contre lui, car, excépté les cardinaux Antonelli, Patrizi, Barnabò, Capalti et Monaco, les autres ne comptent plus ou ne comptent que pour très-peu de chose. Le cardinal Morichini disait l'autre jour: « Je regrette d'etre venu à Rome». Aucun autre Cardinal italien habitant la province n'est venu pour le jubilé, excepté le cardinal Riario-Sforza. Aucun éveque italien n'a voulu arriver. L'episcopat étranger n'est représenté que par l'éveque de Nevers. Il n'y a pas plus de quatre mille étrangers. Le cardinal Sacconi disait avanthier: • Quand ce Pape mourra il faudra bruler jusqu'au crin les meubles sur lesquels il s'est assis ». Tous les cardinaux, tous les prélats ne font que répéter à haute voix: «Ah! si ce Pape mourrait plus vite!». Il accusent Antonelli de voler des sommes énormes à présent, à l'occasion du jubilé! Le Pape reçoit un argent fabuleux. Il ne le compte jamais lui-meme; il le donne à compter à Antonelli.

Le cardinal que la Prusse voudrait faire Pape est le cardinal de Schwarzemberg. Autour du Roi on avait fait des tentatives parait-il, en faveur de RciarioSforza.

Il parait que Bellà a très bien commencé les négociations relatives au futur Pontife. Il aura une masse de choses à vous communiquer de vive-voix.

Il vous fait dire que le Pape a reçu hier de M. Thiers une lettre qui est assez en contradiction avec ce que ce bonhomme vous donne à entendre. II dit au Pape qu'on a donné à Versailles une réponse évasive à l'Italie par rapport aux garanties; mais qu'il espère qu'elles seront formallement rejetées par les nouveaux députés.

Ici Antonelli et compagni ont fait écrire à l'éveque de Nevers et à d'autres membres de la députation française des lettres au gouvernement français dictées au Vatican. Ils leur font dil'e que l'Italie iaH faire sous main de grands enròlements pour reprendre Nice et la Savoie à la France.

Veuillez parcourir, dans le dernier numéro du Tydzien et dans ceux qui suivront, mes lettres signées sur la question romaine. Kraszewski auquel j'ai dit que je vous avais écrit et que vous aviez accepté ad referendum ma demande par rapport à sa décoration me dit qu'il en serait très heureux; qu'il est déjà depuis longtemps chevalier des SS. Maurice et Lazare, et serait très honoré d'une nouvelle distinction.

(l) -Cfr. n. 529. (2) -Cfr. p. 550, nota l.
535

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 1692. Firenze, 19 giugno 1871, ore 18.

M. de Choiseul est venu m'annoncer qu'il prend un congé et qu'il me présentera à Florence son chargé d'affaires, san< m'indiquer bien nettement ,ce que le chargé d'affaires fera à l'occasion du trarsfert du min1stère à Rome. M. de Choiseul n'a pas de communication relativement à la loi des garanties. Je vous enverrai lettre demain.

536

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

(Eredità Nigra)

L. P. Firenze, 19 giugno 1871.

Visconti ti scrive a lungo di politica (1), ed anche, com'egli mi disse, circa il tuo congedo. Credo anch'io che faresti meglio ad aspettar sino all'autunno. Probabilmente ai primi di settembre sarà inaugurato il tunnel del Cenisio. Suppongo che vorrai assistere a quella solennità, e che piglierai quest'occasione per venire in Italia. La stagione sarà più propizia per venire a Roma. Lascia a noi il non invidiabile privilegio d'andarci nel Luglio e nell'Agosto. Ho firmato i mandati per le indennità di Ressman, e degli altri nelle somme da te indicate. Non so se le 8 mila che ho fatte dare a te bastino. Ti prego di mandarmi qualche indicazione sui guasti accaduti nel Palazzo della Legazione e nei tuoi mobili. Per questo indennizzo è impossibile procedere a capriccio mio, e senza aver qualche dato positivo.

Avrei voluto far dare a Ressman una commenda: ma i regolamenti fatti dal Menabrea me lo vietano. Pur troppo è anche impossibile dargli una promozione. Colla nomina di Robilant non v'è più alcuna vacanza e s'è dovuto rispondere con un rifiuto a De Launay che insiste per la decima volta affinchè Tosi sia promosso Consigliere di Legazione.

Spero che a poco a poco riprenderai le abitudini parigine, e ti riposerai delle emozioni e delle cure dei mesi scorsi. Converrà che ti rassegni a rimanere

sulla breccia; certo nè Visconti nè io ti leveremo da Parigi. Ora del resto riconoscono tutti che tu rendi grandissimi servigi, e che sarebbe inopportuna ogni mutazione finchè non si sappia quale sarà la forma definitiva di Governo adottata dalla Francia.

P. S. Visconti ti scriverà domani per la posta. Oggi ciò non gli fu possibile. Il Re ha firmato il decreto che ti conferisce il Gran Cordone della Corona.

Pantaleoni, ·Che non ha smessa l'abitudine di dar dei consigli, vorrebbe che Visconti mandasse a Parigi il Père Hyacinthe a far delle Conferenze sull'abolizione del potere temporale. L'idea pare alquanto strana a Visconti ed a me: dimmi tuttavia se credi che il Père Hyacinthe abbia ancora qualche influenza sul partito gallicano, e se può essere utile di pregarlo d'andare a Parigi.

Castelli mi prega di raccomandarti certo Rostagno, che fu arruolato per forza nella guardia nazionale di Parigi, ed ora è fra i prigionieri. Addio, carissimo. Salutami Ressman pregalo di scrivermi.

P. S. Salutami, se li vedi, Mazade, John Lemoinne e Dépret. Rammentami anche a Victor Lefranc.

(l) Cfr. nn. 543 e 544.

537

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3797. Vienna, 19 giugno 1871, ore 18,15 (per. ore 9,50 del 20).

Un rapport arrivé hier de Flor,ence a,pprend au 'Chancelier que les div,isions consulaires ne seront pas installées à Rome au jour fixé. Il n'en est pas satisfait. Quoiqu'il ne sache pas au juste à quoi attribuer l'hostilité de la Prusse et de la Russie, vis-à-vis de nous, il croit pourtant que l'influence personnelle de l'Empereur Guillaume, grand défenseur du principe de légitimité, y entre pour beaucoup. M. de Beust m'a assuré qu'il ne règlera pas sa conduite sur celle de ces deux puissances. Le roi des Hellènes part aujourd'hui pour Copenhagen; il passe par Ems.

538

L'INCARICATO D'AFFARI A STOCCOLMA, LITTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 235. Stoccolma, 19 giugno 1871 (per. il 24).

Mi è giunta pochi giorni sono la Circolare in data 20 Maggio u. s. (l) relativa alla Legge sulle garanzie accordate al Papa, che l'E. V. si compiacque spedirmi unitamente al testo in francese della legge predetta, ed un esemplare dei discorsi dall'E. V. pronunciati nelle due Oamere, all'occasione della discussione di detta Legge.

Mi sono recato io stesso a consegnare al Conte Wachtmeister l'esemplare della Legge, destinato al Gabinetto di Stoccolma, e vista l'importanza dell'argomento, ho creduto di accompagnare questa trasmissione con poche linee. Mi sono permesso altresì, quantunque non mi fosse data speciale autorizzaz.ione, di dar lettura al Ministro Svedese della Circolare dell'E. V., che venne ascoltata colla più grande attenzione. Le opinioni del Gabinetto di Stoccolma, e quelle personali del Conte Wachtmeister circa la questione pontificia, già sono note al R. Governo, e chiaramente risultano dalla mia corrispondenza, ogni qualvolta mi si offerse occasione di trattare di questa materia, per cui altro non avrei ad aggiungere a quello che ho scritto altre volte. Lo scioglimento della questione romana venne sempre considerato qui come cosa di tempo, non mai si è messo in dubbio il diritto della nazione italiana di compiere il programma della sua unità, il trasferimento della capitale italiana nella città eterna viene salutato con plauso, ·Come il coronamento dell'edi·ficio, ed altamente apprezzata è la condotta del Governo del Re, che in mezzo a grandi e tante difficoltà, seppe mostrare uno spirito così grande di conciliazione verso la S. Sede, una politica saggia e tale da mantenere anche in questa circostanza intatti i buoni rapporti con tutte le potenze, specialmente le più interessate in simile questione, ed un profondo rispetto alle tradizioni religiose della cattolicità. Su altri cadrà la responsabilità delle difficoltà future.

Nell'occasione della mia visita al Conte Wachtmeister, S. E. si compiacque mostrarmi un dispaccio da lui scritto al Conte Piper, col quale gli inviava le ultime istruzioni intorno al trasferimento a Roma della Legazione di Svezia e Norvegia pel primo del prossimo Luglio. Tali istruzioni sono redatte nel senso del mio rappol'lto in data 12 corrente mese N. 233 di questa Serie (1). Nel prendere commiato dal Conte Wachtmeister, egli mi disse sorridendo: dunque è ben chiaro che aL 1° di LugLio, noi saremo a Roma coL Governo ItaLiano.

(l) Cfr. n. 444.

539

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, R. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 42. Madrid, 19 giugno 1871 (per. il 25).

Ho avuto l'onore di riferirle come il partito Carlista facesse ogni opera per dare alla manifestazione religiosa, avvenuta ieri, di ossequio al Capo della Chiesa Cattol·ka pel ·suo decimo quinto [sic] anniversario di Pontificato, il colore e la intenzione di una dimostrazione politica. Era continuare nella città la condotta nel Parlamento, nella ·speranza che sarebbero confusi assieme quei cittadini che iel"i hanno addobbate le loro case e la notte hanno Hluminato con intenzione di festeggiare un evento puramente religioso, e quei mestatori che del carattere religioso del giorno hanno voluto profittare per fare una dimostrazione con doppio carattere politico e per mettere in pratica -a mo' di dire -la proposizione Nocedal che fu l'origine dell'aggressione Carlista avvenuta li 16 nel Parla

mento; cioè per protestare a favore del potere temporale del Pontefice, e contro la Dinastia di Savoia si in !spagna che in Italia, e contro l'ordine attuale di cose.

Per meglio affermare questa intenzione, nella chiesa di S. Isidoro convennero la mattina i Capi Carlisti ad una solennità religiosa durante la quale il Vescovo dell'Avana fece una predica e usò parole cosi violenti ed offensive, anche per la Maestà del Re nostro Augusto Sovrano, che il Governo sta in forse di fargli intentare un processo.

Ciò che, a buon diritto, può dirsi fosse la speranza e il fine dei Carlisti è avvenuto. Turbe di popolo hanno percorso ieri notte le principali vie della città distruggendo gli apparati e, alle grida di «muoiano i Carlisti », hanno gittate pietre contro le finestre illuminate senza distinguere le case di quei cattolici, che si possono ben dire mistificati dai Carlisti, da quelle dei Carlisti medesimi. Ma se conviene fare risponsabile questo partito politico, come della vera causa ed origine, dei disordini occorsi e della violazione di un diritto legittimo, pur nondimeno le autorità della pubblica sicurezza non possono essere scusate per la debolezza con la quale si opposero dovunque ai perturbatori, o lasciarono fare.

Nella Camera dei Deputati si fanno quest'oggi vive interpellanze al Governo, nè solamente dai neo-cattolici, ma pure dalle altre parti. La maggioranza è profondamente commossa e scissa, chè V. E. ·conosce l'influenza in questo paese delle convinzioni cattoliche.

(l) Non pubblicato.

540

IL CONSOLE GENERALE A TRIESTE, BRUNO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 77. Trieste, 19 giugno 1871 (per. il 23).

La ricorrenza del Giubileo Pontificale di S. S. Pio IX ha dato luogo a pochi inconvenienti sui quali è mio dovere di chiamare la superiore attenzione dell'E. V.

La sera del 15 corrente mi venne comunicato dall'I. R. Direttore di Polizia l'indirizzo, di cui unisco un esemplare (1), che era stato stampato in questa città per essere l'indomani distribuito nell'Arei Diocesi di Gorizia. Il Direttore di Polizia che cortesemente si presentò a me in persona mi osservò che nonostante l'ingiurie in esso contenute in odio del R. Governo, non sarebbesi potuto dall'I. R. Tribunale Provinciale ordinarne il sequestro senza apposita querela da parte di questo Consolato Generale. Esaminata la gravità delle ingiurie contenute nell'indirizzo statomi comunicato, io non esitai a rivolgere all'I. R. Procura di Stato una nota Ufficiale colla quale feci istanza perchè ne fosse impedita la distribuzione e perchè si procedesse contro l'autore ove la Procura lo avesse reputato conveniente. La mia domanda ottenne il principale suo scopo quello cioè di impedire la distribuzione dello stampato incriminato, il quale venne sequestrato. Ma per iniziare un processo penale contro l'Autore è secondo le leggi vigenti nell'Impero Austro Ungarico indispensabile che la relativa querela sia

sporta da parte della R. Legazione a Vienna. A tal effetto ho indirizzato al R. Incaricato d'Affari la nota di cui trasmetto copia all'E. V.

Con questa occasione è pure mio dovere di portare a di Lei conoscenza che ho oggi ricevuto dal Signor Luigi Serragli R. Agente Consolare a Ragusa col mezzo del Telegrafo l'avviso ·che alla funzione pel Giubileo Pontificale che ebbe luogo in quella Cattedrale il 18 corrente assisteva l'ex Console Pontificio Signor Stauber nel posto ConsoLare assegnatogli dal Vicario, e che si predicò contro gli usurpatori. L'E. V. vedrà nell'alta di Lei saviezza se sia conveniente di richiamare l'attenzione del Governo Austro Ungarico sul contegno in tale occasione tenuto dall'Autorità ecclesiatica di Ragusa.

(l) Non pubblicato.

541

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI

T. 1694. Firenze, 20 giugno 1871, ore 14.

Tout 1e ministère sera transféré à Rome le premier jour de juillet. Les employés inférieurs qui resteront ne pourront recevoir aucune communication écrite ni verba1e. Le général Robilant est à Florence et il par.tira incessamment pour Vienne. Je suis reconnaissant au comte Beust de donner un ·exemple qui sera bientòt suivJ par les autres puissances. L'Italie apprécie hautemerrt l'attitude si amicale de l'Autriche-Hongrie dans une question si importante.

542

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI MINISTRI A BERLINO, DE LAUNAY, A LONDRA, CADORNA, A PARIGI, NIGRA, E ALL' INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI

T. 1695. Firenze, 20 giugno 1871, ore 15.

Le ·chargé d'affaires de Russie vient de me dire qu'il a été autorisé à suivre le Gouvernement à Rome.

543

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

(AVV)

L. P. Firenze, 20 giugno 1871.

Vi ringrazio dei vostri rapporti e delle vostre lettere. La comunicazione della legge delle guarentigie al Governo francese non era senza qualche pericolo ed era, in ogni modo, assai delicata. Voi l'avete fatta nei termini che meglio convenivano senza forzare la situazione, ma con un linguaggio esplicito quanto al diritto nazionale sul quale non possiamo transigere. La risposta che il Signor Favre vi ha annunciato colla sua lettera particolare è quale io poteva aspettare.

Ieri Choiseul venne da me. Supponevo che avesse a farmi questa risposta, ma egli non mi tenne parola nè della vostra comunicazione, nè della legge delle guarentigie. Mi disse che veniva a farmi noto ciò che intendeva fare in occasione del trasferimento della capitale, che chiamò precipitoso. Egli avrebbe preso un congedo perchè desiderava prendere parte per qualche tempo ai lavori dell'Assemb1ea di 'Cui ,era membro, e mi avrebbe presentato il Signor de La V.Ulestreux come incaricato di affari, il quale si sarebbe regolato su quanto facevano gli altri. Mi aggiunse che prendeva un congedo anche perchè non spettava certo al Ministro di Francia l'essere dei primi a comparire a Roma. Poi mi disse che doveva con dispiacere constatare dei fatti deplorevoli. Uno di questi fatti era lo scoppio d'uno di quei petardi di carta che qui il popolo chiama castagnole e che un qualche mascalzone fece scoppiare sulla porta del Duomo a Firenze, durante le funzioni del Giubileo. L'altro fatto era il linguaggio di taluni giornali, anche a Roma. Egli si convinceva ogni giorno più che in Italia v'era una tendenza irrevocabilmente ostile alla Francia, uno spirito d'ingiustizia verso di essa e che doveva dirmi che ritornando in Francia avrebbe manifestato senza reticenze questa sua impressione al Governo, perchè non conservasse delle illusioni a questo riguardo.

Io gli risposi a lungo, cercando di persuaderlo, di ricondurlo ad un apprezzamento del vero, con effusione amichevole, ma vi assicuro che mi fu necessaria la pazienza di S. Antonio. Mi pareva che più dell'atto d'un monello sulla

pQrta del Duomo di Firenze che non è la sede del Papa, era importante il contegno della popolazione romana durante le feste del Giubileo, con una folla di pellegrini giunti a fare una dimostrazione, in una occasione religiosa, ma certo non senza un pensiero politico. Mi pareva che ci si potesse rendere questa giustizia e riconoscere che il modo con cui il Giubileo si passò a Roma provava la piena sicurezza e libertà del Papa per se e per le sue comunicazioni con tutti i cattolici. Queste manifestazioni d'uno spirito pubblico ostile alla Francia io non sapevo vederle e infatti non esistono.! giornali moderati hanno modificato il loro linguaggio, e quanto alla cattiva stampa che in Italia esercita poca influenza, ·che fal'ci in un paese dove esiste la Ubertà? Se il Signor di Choiseul mi faceva una richiesta, anche solo verbale, si sarebbero fatti, a termine della legge, dei processi. Ma se si voleva estendere al Governo e alla gran maggioranza del popolo italiano la responsabilità di qualche giornalaccio, che doveva io dire allora di taluni giornali francesi, e delle petizioni dei Vescovi che costituivano certo delle manifestazioni molto più serie poichè chiedevano la guerra all'Italia e degli arruolamenti di Charrette dei quali voi avreste parlato direttamente al Signor Favre? Gli rJpete~ per la decima volta quanto g1i avevo già detto e quanto avevate detto voi a Favre e che è la vera e semplice verità. Questa di Choiseul è una vera fissazione, ma appunto per questo temo l'influenza che potranno esercitare i suoi rapporti scritti sotto una preoccupazione fallace, e con un'idea preconcetta e temo ancor più il suo ritorno in Francia. Alle volte, quando l'ascolto, non posso a meno di diffidare e di pensare al proverbio quand on veut tuer son chien on dit qu'il est galeux. Choiseul è un uomo d'ingegno, convinto, cortese. La sua nomina mi parve un buon sintomo e una scelta felice. Ora la rimpiango, e temo molto la sua influenza sui rapporti dei due paesi, malgrado le sue migliori intenzioni, perchè mi sembra che egli associi l'inesperienza alla misantropia. Quanto al trasferimento delle Legazioni a Roma, ecco come stanno le cose. Il Ministro d'Inghilterra farà atto di presenza a Roma e poi prenderà un congedo. Lo stesso farà il Ministro d'Austria. Il Ministro di Russia è già da un mese in congedo, la sua Cancelleria verrà, ma non immediatamente. Il Governo di Berlino ci tiene un linguaggio amichevole, Bismarck ci tiene un linguaggio soddisfacente sui futuri rapporti fra l'Italia e la Germania, ma frattanto ci dice di non porre molta importanza se per ragioni di politica interna il Conte Brassier prenderà un congedo e l'incaricato d'affari si recherà a Roma quando avrà affari da trattare. Queste ragioni di politica interna devono essere le influenze reazionarie presso il Re che Bismarck non vuole ancora prendere di fronte.

Tra i Ministri dunque che prenderanno un congedo prima e quelli che lo prenderanno dopo, il fatto sta che, per qualche tempo, le Legazioni non si troveranno a Roma. Questo fatto è spiacevole, tanto più che se qualche Potenza, per esempio la Francia, volesse porre innanzi qualche piano di ingerenza diplomatica, potrebbe prendere per punto di partenza il fatto che non solo il riconoscimento di diritto, ma neppure la tacita adesione di fatto al nuovo stato di cose ha avuto luogo, poichè la diplomazia non si trova ancora a Roma. L'estrema riserva di Favre, la sua frase nella lettera che vi scrisse opinione individuaLe della Francia, possono dar luogo a tale supposizione.

Io non posso trasportare di botto tutto il Ministero a Roma, ma la parte che rimarrà qui non sarà autorizzata a ricevere alcuna comunicazione scritta nè verbale.

544

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

(AVV)

L. P. Firenze, 20 giugno 1871.

La vostra lettera del 15 Giugno (l) nella quale mi parlate delle vostre intenzioni personali, dell'abbandono definitivo della Legazione di Parigi e di nuovi titolari, mi ha cagionato, lasciate che lo dica grazie almeno all'antica amicizia, una dolorosa sorpresa.

Come la vostra lettera mi pare abbia la sua origine prima nella lettera (2) che io vi scrissi per la legazione di Vienna, così permettetemi di ritornare sul passato.

Il posto di Vienna era vacante. Io ve lo offersi per tre ragioni: la prima perchè dopo un cosi profondo mutamento di uomini e di cose in Francia era

possibile che voi desideraste ricevere un'altra destinazione; la seconda perché temevo che potesse prevalere, da noi, una certa prevenzione che la posizione eccezionale che vi eravate acquistata durante l'Impero potesse crearvi qualche difficoltà presso i nemici dell'Impero; la terza, perchè la vacanza di un posto, che forse vi riesciva gradito, era una occasione che non poteva prolungarsi indefinitamente, nè ripresentarsi così presto.

Voi mi avete, in primo luogo, risposto che vi era per voi una questione di dignità nel non lasciare la Francia sinchè durava questa terribile crisi e nel mostrare che la situazione che vi eravate fatta in Francia non teneva solo alla benevolenza personale dell'Imperatore. Ed io trovai la vostra osservazione perfettamente giusta e degna di voi.

Quanto a quella possibile corrente d'opinione di cui mi sono fatto lecito parlarvi con una sincerità che mi era ispirata dall'amicizia, debbo dirvi, nel modo più assoluto, ch'essa si è completamente modificata e che è anzi scomparsa. I rapporti che si sono ristabiliti fra l'Italia e la Francia migliori di quanto si supponeva prima, la condotta vostra in questo così difficile periodo, le vostre buone relazioni pe11sonali ·col Signor Thiers e col Signor Favre fecero ,sì •che, nel nostro mondo politico, tutti compresero l'opportunità che voi rimaniate ancora a Parigi e che nulla sia innovato alla nostra Legazione costì. Tutti compresero che, almeno sinchè dura questa incerta situazione attraverso la quale passa la Francia, nessuno potrebbe prendere il vostro post11 con vantaggio per i vitali interessi del nostro paese, anzi senza danno e pericolo di questi interessi.

Voi mi parlate della nomina di un nuovo titolare. Ebbene, io debbo dichiararvi che, nello stato attuale delle cose, io sarei costretto a fare una nomina di ripiego e che nessml uomo il quale potesse prendere il vostro posto, colla fiducia del Governo e del paese, accetterebbe l'ufficio che io gli offrirei.

Ora vi sembra che, nelle circostanze presenti, nella nostra presente situazione internazionale, io possa appigliarmi per la Legazione di Parigi, al primo ripiego che mi riesca possibile? Io faccio appello al vostro patriottismo.

Il nostro compito, carissimo amico, non è finito, poich€ in questa questione romana è impegnata l'esistenza dell'Italia.

Se col trasporto della capitale a Roma, la diplomazia dell'Europa ci accompagnasse francamente e senza esitazioni, se le Legazioni estere si stabilissero nella nuova capitale insieme col Ministero degli affari esteri, allora non dico che per ciò la questione sarebbe finita, ma certo una prima fase sarebbe chiusa e chiusa felicemente e con una manifestazione rassicurante. Ma tale non è il caso. I più fra i capi missione prenderanno dei congedi, gli incaricati d'affari si recheranno a Roma per trattare le questioni che potranno sorgere, ma le Cancellerie delle Legazioni principali, per qualche tempo almeno, non saranno materialmente stabilite a Roma. Io mi troverò dunque nella capitale isolato e senza comunicazioni seguite coi Ministri esteri. Questo stato di cose si protrarrà forse per qualche mese e desterà una certa inquietudine nel paese. Io credo che se in questa condizione voi lasciaste il vostro posto, l'impressione in Italia sarebbe quale se l'aveste lasciato quattro o cinque mesi fa. Ora se qualche volta aveste a soffrire di qualche ingiustizia verso gli eminenti servizi da voi resi all'Italia la vera e legittima soddisfazione morale che dovete averne, non potrà esservi data da una situazione che offre ancora, non solo nella realtà, ma

38 -Documenti di!l!Omatici -Serie II -Vol. II

anche nelle apparenze molta incertezza. Oramai non possiamo lasciare la cosa a mezzo e voi ed io e l'amico nostro Artom abbiamo tutti un fato comune. Non possiamo pretendere di conchiudere noi definitivamente la questione romana la quale, forse per anni, non avrà detta la sua ultima parola. Se quando vorremo lasciare l'ufficio nostro, la capitale sarà definitivamente stabilita in Roma, se si sarà evitata ogni grave complicazione, se il fatto sarà implicitamente riconosciuto dall'Europa colla presenza in Roma delle Legazioni accreditate presso il Re noi potremo essere contenti del fatto nostro e il paese ci renderà giustizia. Se le cose si rabbuieranno, ne saremo la vittima, ma colla coscienza tranquilla. Frattanto non possiamo ·sottrarci: alla nostra sorte. Da parte vostra una determinazione come quella che mi annunciate non potrebbe sfuggire, di qualunque forma si vestisse, ad interpretazioni infondate e che vi riuscirebbero certo spiacevoli. Io spero dunque e confido che voi vorrete abbandonare del tutto

o almeno rimandare ad un termine indefinito il vostro progetto. Sono convinto che l'interesse del paese lo esige. Lasciate dunque ·Che io creda fin d'ora che non rimanga altra questione fuorchè quella di un congedo. Voi dovete per certo sentire il bisogno di un po' di riposo. Solo vi prego di rimandare l'epoca un po' più lontano. Finchè dura questo trasferimento e nei giorni che seguiranno mi sembra necessaroio che voi rimaniate presso il Governo del Signor Thiers, tanto più che la Legazione francese non si troverà a Roma. Poi vedrete dall'altra mia lettera (l) quanto giovi che vi troviate a Parigi quando v.i giungerà il Signor di Choiseul con delle impressioni le quali se non sono un'idea fissa, sono un partito preso di ostilità. Artom crede che il momento migliore per il vostro congedo sia quello della inaugurazione del tunnel del Cenisio alla quale sarete invitato. Ma di questo mi parlerete, rispondendo a questa mia lettera.

(l) -Cfr. n. 521. (2) -Cfr. n. 204.
545

IL CONSOLE GENERALE A NEW YORK, DE LUCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 23. New York, 20 giugno 1871.

Il 16 corrente fu celebrato con qualche pompa dal Clero di N. York e da buona parte di questa popolazione cattolica il 25o anniversario del Pontificato di Pio IX. La solennità cui parteciparono tutte le Chiese cattoliche della Metropoli fu di carattere esclusivamente religioso senz'alcun fuorviamento politico com'era forse da attendersi. Ebbe anzi a notarsi che due eloquenti oratori di credenza cattolica, uomini politici influenti l'Avvocato O'Connor ed un altro che avrebbero dovuto parlare in tale circostanza innanzi al cosidetto Sodalizio di S. Francesco Saverio (Congregazione religiosa diretta dai Gesuiti) si scusarono all'ultima ora. In Baltimora però, ove anche fu celebrato l'anniversario non mancarono

sotto l'influenza ed indirizzo di quell'Arcivescovo Spalding le solite invettive ed attacchi politici.

(l) Cfr. n. 543.

546

IL MINISTRO DEI LAVORI PUBBLICI E REGIO COMMISSARIO A ROMA, GADDA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Roma, 21 giugno 1871.

Anche la giornata di ieri è passata benissimo. Il fatto di quell'inglese che tolse la bandiera italiana dal balcone, è finito e non se ne parla più. Mi sono interposto io e l'Incaricato Inglese me ne fu assai grato. Oggi se Dio vuole, è l'ultimo giorno. Si parla di illuminazioni per questa sera, ma probabilmente se ne farà niente. Ad ogni modo si sono prese convenienti precauzioni. Finora dal Lanza nulla ho saputo nè se venga il Re, nè se si discutano alcune mie Leggi. Forse non ne saprà nemmeno Lui. Spero che anche Lanza sarà stato contento di me: Disordini in tanti luoghi e qui nulla! so per esperienza che passato il momento del pericolo non si ricordano le angustie provate da chi doveva attraversarlo, ma non credo che Lanza ·sia di questo numero d'uomini, anzi credo il contrario.

Io sono desideroso di qualche riposo ed è questo desiderio che mi fa tristezza. Se domani tornasse il bisogno di me, risorgo.

547

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

T. 1697. Firenze, 22 giugno 1871, ore 13,45.

Le Roi partira le 28 pour Naples. Au retour S. M. s'arretera à Rome et y passera le 2 et le 3 juillet. Le Roi a l'intention d'y recevoir les chefs de mission. Je crois utile que le prince de Bismarck en soit informé.

548

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3801. Vienna, 22 giugno 1871, ore 19,40 (per. ore 22,30).

Contrairement à ce que le baron de Kubeck mandait hier matin, c'est-à-dire que, ni le ministre, ni le chargé d'affaires de France suivront V. E. à Rome, le prince de Mettern:~ch annonce ce matin: que Jules Favre persiste à dil'e qu'il imitera exemple du Gouvernement autrichien. Le prince croit pourtant qu'il y a à ce sujet du désaccord entre Favre et M. Thiers. Ministre d'Autriche

à Rome mande que le cardinal Antonelli se montre très irrité de la décision prise par le Cabinet autrichien. Le comte Beust est fort satisfait du contenu de votre télégramme du 20 courant (l) et me charge de vous en remercier.

549

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3805. Pietroburgo, 22 giugno 1871, ore 17 (per. ore 23,30).

Je viens de communiquer à M. Westmann la loi sur les garanties. Il a lu la circulaire (2) et m'a demandé d'en prendre copie. Il affecta d'étonnement à la phrase ayant trait à l'abolition du placet et de l'exequatur, et il fit allusion aux dangers pouvant en résulter pour nous. J'ai interprété ses observations comme une attestation de l'élévation des principes qui ont guidé la politique italienne. Il m'annonça transfert prochain de la légation russe à Rome.

550

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3804. Berlino, 22 giugno 1871, ore 23,20 (per. ore 9,15 del 23).

Depuis quelques jours la situation se dessinait ici contre le parti catholique. J'apprends à l'instant, d'une manière confidentielle, que le comte Brassier est autorisé à se rendre à Rome.

551

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 82. Vienna, 23 giugno 1871 (per. il 26).

Le Ministre de Prusse est venu me voir hier pour me demander si j'avais des nouvelles sur les instructions du Comte Brassier, concernant le transfert de la Capitale à Rome, et si je croyais que le courant catholique ici avait assez de puissance pour balancer dans l'avenir l'influence du Chancelier de l'Empire. Il ne m'a pa1s été difficile de m'apercevoir que le veritable but de la v1site du Ministre de Prusse était de savoir si le Baron de Beust m'avait parlé des mauvaises dispositions du Cabinet prussien à notre égard; aussi lui ai-je répondu que j'ignorais absolument quelle était l'attitude de son collègue de Florence, et quant aux efforts du parti clérical dans ce pays, je ne les jugeais pas assez

efficaces pour contrecarrer la politique du Baron Beust, quoique le Général ait ajouté qu'il était persuadé que dans tous les cas le Cabinet prussien suivrait l'exemple de celui de Vienne, avec le quel on désire marcher tout à fait d'accord. J'ai pu quelques heures après, en causant avec le Comte Beust, constater le contraire. Celui ci, n'a fait que répéter ce que j'ai eu l'honneur de mander à

V. E. par mon télégramme du 17 courant (1), et si l'on écoute ce que le Général Gabluy apporte de Berlin ce serait le Prince de Bismarck qui pousse le Gouvernement français à une attitude peu aimable envers l'Italie. Le Chancelier de l'Empire regrette d'autant plus les dispositions hostiles des Cabinets de Versailles et de Berlin d'après lesquelles les représentants à Florence ne seront pas autorisés à suivre V. E. à Rome, qu'elles vont mettre le Gouvernement du Roi dans la facheuse alternative ou de supporter un pareil affront ou de agir avec énergie en rappelant le Comte de Launay et le Chevalier Nigra. J'ai télégraphié hier (2) que Prince de Metternich tout en témoignant des bonnes dispositions de Jules Favre à imiter l'exemple du Gouvernement Autrichien, segnalait un désaccord entre celui là et M. Thiers. J'apprends ce matin, ainsi que j'ai annoncé par le télégraphe (3) que le Prince de Metternich ayant demandé de la part du Gouvernement Français au Baron de Beust, s'il est décidé à maintenir ses instructions au Baron de Kubeck, le Chancelier de l'Empire a répondu affirmativement.

(l) -Cfr. n. 541. (2) -Cfr. n. 444.
552

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 141. Lisbona, 23 giugno 1871 (per. il 2 luglio).

Ricevuto Martedì scorso il Dispaccio Ministeriale 3 corrente N. 61 Serie Politica (3), e l'annessa Circolare ai Rappresentanti di S. M. all'Estero in data dei 20 Maggio U. S. (4) chiesi senza indugio officialmente un colloquio a questo Ministro degli Affari Esteri, colloquio che mi fu accordato pel dopodomani Giovedì.

Recatomi jeri alla R. Segreteria di Stato cominciai anzi tutto-per reclamare dal Marchese d'Avila la benevola attenzione del Ministro degli Affari Esteri, e quella personale di S. E., per l'importante comunicazione che avrei l'onore di esporle d'ordine di V. E. ed a nome del Governo del Re.

Rimisi quindi a S. E. copia della circolare Ministeriale predetta, accompagnata da mia nota di trasmissione, leggendole io stesso il contenuto del pregievole documento Ministeriale.

Credei poscia che il miglior modo d'interpretare le istruzioni del R. Governo era quello di leggere puranche ,confidenzialmente al Marchese d'Avila il

contenuto del dispaccio di V. E., dicendo al Ministro Portoghese che dopo averne udito il tenore comprenderà di leggieri, meglio assai di quanto avrei potuto spiegargli io stesso, con verbali commenti, l'importanza somma della comunicazione Italiana ed il valore che l'Italia ed il suo Governo attribuiscono a buon diritto nell'attuale circostanza all'adesione politica del Governo di S. M.

Fedelissima.

Terminata puranche la lettura confidenziale del dispaccio, che ripresi meco, il Marchese d'Avila si compiacque rispondermi che una comunicazione di tanto rilievo e documenti di tale importanza richiedevano il parere di tutto il Consiglio dei Ministri, quindi si riservava ·di indirizzarmi nel più breve tempo possibile la risposta del Governo Portoghese. Che intanto non eragli d'uopo ripe

termi le sue simpatie Italiane, nonchè assicurarmi del favore personale con cui accoglieva la nostra comunicazione, ed era ben lieto di scorgere dal dispaccio di V. E. che il Governo del Re rendeva omaggio ai suoi sentimenti verso l'Italia dei quali in questa circostanza aveva già dato prova colle recenti istruzioni trasmesse al Visconte di Castro.

Chiesi al Ministro se, in attesa della promessa risposta del Governo Portoghese alla nostra comunicazione officiale, egli mi autorizzava di far noto al Governo del Re il favore personale col quale S. E. sembravami averla accolta. La risposta del Marchese d'Avila fu affermativa, soggiungendo a prima facie che un solo punto credeva dover mantenere, quello delle due Legazioni Portoghesi, una accreditata presso il Santo Padre, l'altra presso S. M., e ciò per essere maggiormente utile al Papato ed all'Italia nell'intento di futura conciliazione.

Debbo in oltre aggiungere, onde completare fedelmente le informazioni che ho l'onore di trasmettere a V. E. col presente dispaccio, che durante il mio lungo colloquio col Marchese d'Avila, giunsero nel Gabinetto Ministeriale diversi suoi colleghi tra cui il signor Carlos Bento da Silva di mia particolare conoscenza, Ministro di Finanza e più volte già Ministro degli Esteri; io interruppi naturalmente ogni volta la mia comunicazione. Ma scorgendo che il mio interlocutore non sgradiva continuarla credei debito di convenienza non solo, ma di deferenza verso membri del Consiglio dei Ministri che dovevano col loro voto concorrere alla risposta portoghese, di chiedere al Marchese d'Avila il permesso, poichè trovavasi per così dire in famiglia, di comunicare anche ai suoi colleghi presenti il tenore del dispaccio di V. E. come importantissimo commento alla nostra comunicazione. Il Marchese d'Avila rispose non esservi alcuna difficoltà al contrario esser lieto che i suoi colleghi sappiano subito quanto venne ·comunkato a lui stesso. Dopo tale officiosa partici.pazione, le LL. EE. me ne ringraziarono personalmente e riconobbero il pregio e l'importanza di tale documento.

Nel permettermi tale operato ebbi antecedentemente, ed ho più ancora

posteriormente, la convinzione che la comunicazione da me osata testualmente

del dispaccio di V. E. sarebbe stata come lo fu, non solo gradita al Marchese

d'Avila, ed in seguito della sua esplicita adesione ai suoi colleghi, ma puranche

utile agli interessi Italiani che in questa circostanza io era incaricato di far

specialmente apprezzare dal Governo Portoghese.

In fatti mi giova ripetere che qualunque mio personale commento mai avrebbe potuto aggiungere pregio e valore alle considerazioni svolte con tanta lealtà e chiarezza da V. E. come organo autorevole ed autorizzato della politica estera del Governo del Re.

(l) -Cfr. n. 529. (2) -Cfr. n. 548. (3) -Non pubblicato.

(4) Cfr. n. 444.

553

IL CONSOLE GENERALE A NEW YORK, DE LUCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 24. New York, 23 giugno 1871.

In pronto riscontro al dispaccio di questa Serie del 31 del caduto mese s.e. (1), mi reco a dovere spedire sotto fascia all'E. V. due esemplari del New York Herald di jeri che contiene per intero la riproduzione del testo inglese della Legge sulle Guarentigie Papali e sulle relazioni dello Stato colla Chiesa, ed un articolo editoriale in proposito.

È fuor di dubbio che la pubblicità data in idioma inglese ad un documento di si alta importanza non può che essere utile alla causa nazionale in Amedca ove già si erano letti di esso, ne' giornali locali, apprezzamenti non conformi interamente alla lettera e spirito della legge.

Ho preferito dirigermi all'Herald per essere il giornale più importante d'America e quello che ha una più vasta circolazione; non dubito che l'inserzione sarà riprodotta anche da molti altri giornali degli Stati Uniti.

554

IL CONTE KULCZYCKI

A ... (2)

(AVV)

L. P. Roma, 23 giugno 1871.

M. Gadda part ce soir pour Florence. A 2 h. il devait voir monseigneur Bellà pour conférer avec lui relativement au départ du Pape. Hier les cardinaux Capalti et Caterini ont insisté avec a~charnement auprès de Sa Sainteté pour qu'eHe quittàt Rome. Les cardinaux Patri:l)i, Bilio, Barnabò, Capalti, Caterini, Panebianco, Monaco-La Valletta, et quelques autres sont convoqués pour demain matin au Vatican, afin de discuter la question du départ.

Nardi me disait hier que le Pape ne partira pas. Bellà est du meme avis. Il prétend que Pie IX a une avversion insurmontable pour le départ et qu'il

s'imagine qu'il mourra durant la traversée. Je ne veux pas contredire l'opinion

de ces prélats qui ont bien plus d'autorité que moi dans les choses du Vatican.

Mais je crois que le Pape partira. Ce soir Bellà doit interroger le valet-de

chambre de Sa Sainteté, avec lequel il a de secrètes intelligences. En cas de

départ résolu on vous fera un télégramme. Le discours du 17 courant aux

cardinaux dit clairement que le Pape part.

On ne peut se figurer tous les efforts qu'on a fait au Vatican auprès du prince de Hohenlohe pour lui persuader de représenter la situation de Rome sous les plus sinistres couleurs à l'emp.ereur d'Autr~che, et pour le monter contre le cardinal Antonelli, attendu qu'il y a une réaction terrible contre ce dernier au sein du sacré Collège et que cette réaction est fomentée par monseigneur de Mérode et par les partisans du départ.

Le prince de Hohenlohe a dit au Pape que l'Autriche ne protestera ni se melera de la question romaine tant qu'Antonelli sera secrétaire d'Etat. Monseigneur Forcade, éveque de Nevers, a dit à Sa Sainteté: Le cardinal Antonelli a été placé aux còtes de Votre Sainteté par cette canaille de Napoléon; mais un gouvernement légitime ne pourra jamais traiter avec le cardinal Antonelli!

Les cardinaux ont tellement peur que le successeur de Pie IX, si c'est un itaHen, ne soit imbu de nos idées et ne ·conserve Antonelli, qu'ils semblent de plus en plus disposés à élire un étranger. Bellà m'a dit que tous nos amis du sacré Collège lui ont manifesté l'intention de donner leur vote à Schwarzemberg. Cette tendance doit etre générale puisque meme Di Pietro est venu aujourd'hui chez moi pour me dire que dans les anti-chambres de plusieurs cardinaux on parle de donner la tiare à Schwarzemberg.

Il est excessivement regrettable que le Père Theiner, qui part, je crois, demain ou après demain, ne passe pas par Florence, mais par Ancòne. Vous auriez pu le cha,rger de s'entendre avec Schwarzemberg dont il est l'ami intime. Si on soulève la question quand le conclave sera convoqué il sera trop tard. Il faudrait que vous écrivissiez sans retard au Père Theiner par l'intermédiaire de Worczak pour le décider à passer par Florence.

Antonelli appuie Patrizi, Capalti et Riario-Sforza, qui se sont engagés tous les trois à le conserver au poste de secrétaire d'Etat.

Bellà s'offre pour aller à Venise s'entendre avec le cardinal Trevisanato, qui dispose de quatre votes outre le sien. Cinq votes sont quelque chose d'archiimportant pour l'élection d'un Pape! Bellà ,g'y est mis con amore, ·car il voudrait faire une brillante carrière ecclésiastique sous le Pape futur, et en servant l'Italie il sert ses intérets.

Le discours du Pape aux Français n'a pas été publié à Rome à cause de sa violence. Il le sera en France dans l'Unive1·s. Il est principalement dirigé contre les catholiques libéraux.

Le Pape a défendu à tous les cardinaux et prélats de passer l'impòt sur les voitures et les armoiries ou quelque autre impòt que ce soit au gouvernement italien. Faites-vous faire des procès a-t-il dit, mais ne passez pas un sou, je vous le défends.

P. S.-Dans le dernier numéro du Tydzien il y a une longue lettre de moi sur la question romaine.

(l) -Cfr. n. 472. (2) -Cfr. p. 550, nota l.
555

L'INCARICATO D'AFFARI A BRUXELLES, GERBAIX DE SONNAZ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 353. Bruxelles, 24 giugno 1871 (per. il 29).

Oggi ho avuto una conversazione col Barone d'Anethan di cui ho l'onore di riferire all'E. V. la parte principale. Il Ministro degli Esteri mi disse che aveva ricevuto in quel momento una lettera di Roma nella quale si asseriva che le feste Pontificie avevano avuto luogo col maggior ordine e calma e vi si lodavano le premure delle R. Autorità per mantenere la tranquillità in così difficili circostanze. S. E. ebbe l'aria di constatare con piacere questo fatto: esso mi domandò poscia se in Italia si avevano permesse feste e luminarie pel S. Padre: io risposi di si certamente ed aggiunsi che a Firenze come nelle altre città i fedeli che avevano voluto illuminare l'avevano fatto in mezzo alla più grande libertà e sotto la salvaguardia delle leggi e delle autorità politiche. Questa affermazione mia parve fare all'E. S. un buonissimo effetto. Il Barone d'Anethan passò poi a parlarmi delle istruzioni date al Signor Solvyns le quali sono conformi a quanto s'crivevo ieri all'E. V. (1), doè: che il rappresentante del Belgio seguirà il Governo a Roma se la maggioranza dei suoi colleghi ciò farà: il Gabinetto di Brusselle manterrà per altro la Legazione belga presso il Pontefice. Esso mi domandò se il Governo andava effettivamente a Roma al primo del prossimo Luglio e se i locali per il parlamento ed i varii ministeri erano preparati. Io risposi naturalmente affermativamente. S. E. mi disse ancora, a proposito degli incidenti di Domenica sera che gli individui arrestati erano quasi tutti gente insignificante studenti, ragazzi ed operai avvinazzati; due soli avevano forti prevenzioni contro di loro di appartenere alla troppo famosa internazionale. A questo riguardo il Barone d'Anethan pronunciò la frase seguente: «In presenza della guerra spietata che i miserabili della internazionale hanno dichiarato contro la società e contro tutti i principi della civiltà sarebbe proprio il caso che tutti i Governi d'Europa prendessero in considerazione la proposta di Giulio Favre di mettersi d'accordo per sorvegliarli e perseguitarli senza tregua: questo accordo formerebbe una lega dei galantuomini contro i Briganti o birbanti». Domani si annunzia una assemblea dell'Internazionale a Verviers. Il Governo non teme guai di qualche entità ma, ad ogni buon fine, ha preso dei

provvedimenti mandando truppe sul luogo e molti gendarmi. In caso di disordini essi verrebbero repressi con energia e rigore.

556

IL MINISTRO A L'AJA, BERTINATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 34. L'Aja, 24 giugno 1871 (per. il 29).

Fin dal giorno 17 corrente mese io mi recai al Ministero degli Affari Esteri per dar comunicazione al Barone de Gericke della Legge 13 Maggio sulle

garanzie dell'indipendenza del Sommo Pontefice, e del libero esercizio dell'autorità spirituale della Santa Sede. E perchè questo Ministro sopra le relazioni esterne potesse dare alla mia comunicazione il suo vero significato, e prenderne atto in conseguenza, io credetti opportuno di dargli lettura della Circolare Ministeriale del 20 Maggio p. p. {l) rimettendogli copia, in pari tempo, dei due Discorsi stampati a parte, e pronunziati dall'E. V. l'uno nella tornata del 26 Gennajo alla Camera dei Deputati, l'altro nella tornata del 21 Aprile nel seno del Senato del Regno, siccome quelli che spiegano senza ambiguità gli intendimenti del Governo del Re nel proporre all'approvazione del Parlamento lo schema delle garanzie papali che, con qualche modificazione introdottavi nel corso delle discussioni, venne sostanzialmente accettato, e sanzionato, ed è oramai legge generale dello Stato.

Il Barone de Gericke mi ringraziò cortesemente per la fattagli comunicazione dicendomi che non le riusciva intieramente nuova, e notando intanto colla matita la data della Circolare onde gli avevo data integrale lettura. Accennando quindi alle innovazioni introdotte dalla legge nel nostro diritto publico ecclesiastico interno fecemi avvertire che lo spirito liberale dal quale essa è informata corrispondeva in massima allo spirito medesimo che aveva ispirate le Costituzioni dell'Ollanda, e del Belgio sulla stessa materia, e di cui si potevano apprezzar prima d'oggi i buoni risultati pratici, nel che cademmo fa·cilmente d'accordo.

Quanto alla prima parte della legge, sulla quale esso si mostrò molto riservato, io non credetti conveniente di farlo uscire, con apposito discorso, dalla sua riserva, cosi perchè sapevo che il Gabinetto di cui è membro ama rimanersi neutrale su questo argomento, come perchè non era mia intenzione di mettere comecchessia in discussione il nostro diritto nazionale in subjecta materia, nel qual caso avrei immediatamente trovata sì nei dispacci che nei discorsi dell'E. V., non men che nelle mie proprie convinzioni, un'adeguata risposta, moderata certamente nei termini, e quale convenivasi col mio urbanissimo collocutore, ma recisa e perentoria quanto al fondo della questione.

Debbo ad ogni modo aggiungere, dietro informazioni da me attinte a buona sorgente, che questo Internunzio, Monsignor Bianchi, comunicò, a sua vicenda, l'Encidi:oa: papale, relativa appunto alla legge del 13 Maggio, al Barone de Gericke, e che questi tenne coll'oratore pontificio lo stesso contegno che tenne meco nel giorno 17 sovraccennato.

(l) Non pubblicato.

557

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, MAROCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 243. Pietroburgo, 24 giugno 1871 (per. il 15 luglio).

Ebbi l'onore di ricevere li 9/21 giugno la circolare dei 20 maggio (l) accompagnata dalla legge relativa alle garanzie accordate al Papa ed alla Santa Sede.

Come mi pregiai di informarne per telegrafo l'E. V. in data degli 11/23 giugno (1), diedi al .signor de Westmann (reggente nell'assenza del principe Gortschakow il Ministero imperiale degl,i Affari Esteri) comunicazione della suddetta legge e conoscendo le sue <buone disposizioni pensai di poter offerire a S. E. di prendere lettura della circolare la quale « meglio che qualsiasi mio discorso poteva determinare il carattere della comunicazione che il Governo di S. M. credeva di dover fare al Gabinetto di S. Pietroburgo ».

Nel leggere ad alta voce la circolare, il signor di Westmann affettò sorpresa, rilevando il passo che tratta dell'abolizione del « placet » e dell'« exequatur ~ e disse «mais alors le Pape pourra choisir qui bon lui semblera, vos ennemis! ».

S. E. soggiunse che temeva per noi se non pericoli forse conflitti fra il poter civile ed il poter spirituale, risultanti dall'abbandono dei nostri mezzi di controllo. Risposi che il Governo del Re « intendeva di dar un pegno di conciliazione e prov~e di fiducia nella saviezza del Santo Padre, che il principio della separazione dei due poteri, applicato al nostro diritto interno, pareva al Governo del Re il più atto ad allontanare le difficoltà e pregai il signor de Westmann di farmi lecito il notare le sue parole come un attestato dell'elevazione dei principj che avevan guidata la politica italiana.

Allora S. E. mi domandò di prendere copia della circolare e dissi aver troppa fiducia nei sentimenti che lo animavano ad esprimere tal desiderio per esitar un momento a soddisfarvi.

Il 1inguagg1o tenutomi dal Signor de Westmann fu segnatamente affabile e benevolo. Era evidente il suo volere di ridurre il discorso alla dimostrazione di sentimenti amichevoli verso U Governo del Re, apprezzando tale testimonianza del suo rispetto per il principio di non ingerenza evitai con cura l'apparenza di voler provocare una discussione, chè mi eran presenti alla mente le relazioni che esistono fra la Santa Sede e la Russia e non dimenticavo come in Polonia la politica di questo Governo ortodosso tenda segnatamente al soffocamento del cattolicismo che la legge italiana in vece garantisce.

La conversazione si terminò coll'annuncio che mi fece S. E. del prossimo trasferimento della Legazione russa da Firenze a Roma.

Pochi giorni dopo ebbi nuovamente occasione di veder il Signor de Westmann. Mi disse aver presa conoscenza della legge stessa e mandato a S. M. l'Imperatore ~copia della relativa circolare.

Si limitò a far una leggiera allusione alle difficoltà che potrebbero forse sorgere fra la chiesa e lo stato, e coll'intento, se non erro, di mettere in rilievo una divergenza di apprezzamento che renderebbe il Governo russo più favorevole che non il francese alla nostra politica nazionale, egli rivolse con premura il discorso verso Ie disposizioni del Signor Thiers e della Franc,Ia a nostro riguardo, dicendo che « quest'uomo di stato non nutre sentimenti di grande simpatia per l'Italia, ma che ciò non di meno parevano avere ora luogo di calmarsi ,certe apprensioni e certi dubbj che in Italia per varie considerazioni ed in diversi modi eransi palesati».

(l) Cfr. n. 444.

(l) Cfr. n. 549.

558

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Parigi, 24 giugno 1871.

De Renzis m'ha rimesso ieri sera la vostra lettera (1). Vi sono molto grato di quanto mi scrivete per ciò che riguarda la mia posizione personale. A questo proposito, lasciate che io entri in qualche considerazione, quantunque mi rincresca di dovervi parlare di me ancora. Anzitutto devo premettere una ·considerazione sulla quale non dubito che sarete pienamente d'accordo con me. Nelle vostre relazioni con me e nelle mie relazioni con voi, noi abbiamo sempre preso e prendiamo per base in primo luogo l'interesse del nostro paese, in secondo luogo la nostra reciproca e già lunga amicizia, questa naturalmente subordinata a quello. Perciò desidero che siate convinto che in ogni mia proposta ed in ogni mio atto non deve esservi nulla, nel mio pensiero, che possa essere contrario all'uno o all'altra. E d'altra parte v'assicuro, che non ho mai messo in dubbio un istante che ogni vostro proposito o suggerimento a mio riguardo abbiano potuto o possano essere suggeriti in voi da altri sentimenti. Questa reciproca fiducia ci mette entrambi ed in modo assoluto a notre aise nelle nostre comunicazioni, e questa situazione è ancora confermata dall'amicizia comune del nostro bravo Artom che ci stima ed ama entrambi come noi amiamo e stimiamo lui. Vi dirò adunque che sinceramente io non credevo di sorprendervi coll'ultima mia lettera (2). Lo scambio deUe nostre precedenti corrispondenze mi sembrava che ci avesse preparati entrambi all'idea d'un cambiamento per la Legazione di Parigi. È ben naturale che io mi preoccupi del come questo cambiamento possa farsi senza inconvenienti pel Governo e per voi specialmlente, ed anche un po' senza danno morale per me. Desidererei, se è possibile, sortirne bene. Credo che sarei sortito male ritirandomi il 4 settembre o durante le due crisi che abbiamo convenevolmente traversato. Ora poi che queste crisi eran passate, che nessun vero pericolo prossimo esiste per l'Italia, dal lato della Francia, che i rapporti tra i due Governi sono regolari e abbastanza buoni, mi sembrava che era venuto il tempo di prendere una risoluzione definitiva. Io sapevo dalle vostre lettere, da quelle di Artom, ed anche da altre lettere, che in Italia v'era un certo desiderio che io me n'andassi via di qua, desiderio cagionato da preoccupazioni politiche di cui mi rendo perfettamente conto, e della cui sincerità non potevo dubitare dal momento che esse erano divise anche dai nostri comuni amici ed espresse pure dal Re. Voi mi dite che queste preoccupazioni si vanno via dileguando, e che la mia partenza ora sarebbe male interpretata e nuocerebbe agli interessi del nostro paese. Ad un tale argomento non posso fare che una risposta ed è che rimarrò qui finchè lo giudicherete indispensabile. Credo tuttavia che i vostri timori siano un po' esagerati. Perchè d'altra parte un uomo politico che abbia la fiducia dell'opinione del paese e la vostra non potrebbe surrogarmi ora? Non mi rendo

abbastanza conto di una tale difficoltà. Perchè Minghetti per esempio, per citare il più illustre dei nostri amici, non potrebbe venire? Questo posso dirvi sinceramente, che senza dubbio sarebbe ben accolto. Parlando con Thiers accademicamente de om-ni re scibili e passando ·con esso a varie riprese in rivista gli uomini di Stato italiani con ·cui fu in contatto m'ha sempre parlato del nostro amico con molto favore e con segni di particolare apprezzamento. Io son diventato da qualche tempo pieno di scrupoli. Non ho più la felice confidenza della gioventù. Se capitasse il menomo screzio tremerei che venisse attribuito alle buone relazioni che ebbi coll'Impero. Mi sento inoltre molto affaticato. La sfiducia, il pensiero di essere oramai impari al mio compito s'impadroniscono spesso del mio animo e mi lasciano turbato. Ma oramai v'ho parlato troppo di me. Sospendiamo per ora il mio progetto. Vi scriverò di nuovo più tardi pel congedo, e passiamo ad altro.

n Signor TMers una volta, e il Signor Favr·e più volte m'hanno detto ed affermato che per l'andata a Roma e lo stabilimento a Roma della Legazione di Francia, il Governo Francese si regolerebbe sulla condotta dell'Austria. N o n mi spiego quindi l'attitudine di Choiseul. Domanderò spiegazioni ed insisterò. Non vi preoccupate oltre misura di ciò che Choiseul potrà dire qui. Non ha nessun credito presso il Signor Thiers, nè presso nessuno. V'assicuro che Thiers non ha nessun interesse e nessuna voglia di mettersi in ostilità coll'Italia. Si destreggia con tutti i partiti perchè ha bisogno di tutti. Ma ha troppo buon senso per mettersi in mano dei clericali e dei legittimisti. Ad ogni modo avrò cura, statene certo, di prevenire i cattivi tiri che ci prepara il Choiseul. Intanto siccome Thiers ha una tenerezza speciale per la Russia, sarebbe utile, credo, che gli faceste venir di là qualche buon consiglio rispetto a Roma. Il Gabinetto di Madrid potrebbe pure esserci utile assai facendo dire qualche parola a Thiers sul medesimo soggetto. E.gli desidera nulla di meglio che di avere argomenti di questo genere da opporre ai clericali dell'Assemblea. La condotta della Prussia mi preoccupa di più. Non credo che la ragione detta dal Gabinetto di Berlino sulla necessità di ménager i cattolici dell'Impero Germanico sia la vera. Penso piuttosto che esso vuol spingerei a dichiararci fin d'ora. Vi sarò grato se vorrete dire il vostro pensiero su ciò.

(l) -Cfr. n. 544. (2) -Cfr. n. 521.
559

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, R. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 47. Madrid, 25 giugno 1871.

I Ministri, sendosi recati ieri mattina al cospetto di Sua Maestà, hanno presentate le loro dimissioni.

n Re ha chiesto loro quale fatto, quale ragione parlamentare li autorizzava a dimettersi. Sovrano Costituzionale, intendeva di mantenere rigorosamente la Costituzione da Lui giurata, nè separarsi dallo spirito d'essa. Il Par

lamento non aveva dato voto alcuno di sfiducia al Gabinetto, ed, anzi, la vigilia stessa, la Camera dei Deputati lo aveva sostenuto ed approvato con la più numerosa votazione che siasi avverata (quella per la risposta al discorso della Corona). Egli non poteva accettare e rifiutava le dimissioni.

Il Signor Ulloa, mentre i suoi colleghi rimanevano muti ed attoniti dalla inattesa risposta, disse al Principe la crisi non essere, infatti, Parlamentare, ma eU circostanza; e Sua Maestà gli rispose che, se ·cotali Crisi potevano dianzi accadere, erano, Lui Sovrano, impossibili.

I Ministri hanno inutilmente insistito ed esortato il Re, dicendo che gli elementi che compongono il Gabinetto -pei discordi pareri e le dissidenze non potevano più durare uniti; e che, poi, si erano essi con impegno formale legati alle opposizioni, le quali, perchè assicurate che si farebbe la crisi, ritirarono gli emendamenti sul progetto di risposta al discorso della Corona.

Il Re rispose ch'Egli era mantenitore ed esecutore di ciò che la Nazione,

mediante i suoi Deputati, desiderava, e non poteva, adunque, per quelle consi

derazioni personali che gli erano esposte, e che a Lui non competeva di esami

nare nè di conoscere, ricevere le dimissioni di un Ministero sostenuto dai voti

del Parlamento; consulterebbe i Presidenti delle due Camere.

Chiamatili a sè, chiese loro se il Gabinetto teneva maggioranza, e avendo

ambidue affermato che la teneva, Sua Maestà espose loro le ragioni del Suo

rifiuto, e avendo chiesto il loro parere, i Signori Santa Cruz ed Olozaga dichia

rarono ·Che il Re si era condotto da Monal'ca CostituzionaJ.e.

Quando i Ministri tornarono dal Re, Egli manifestò nuovamente che, fedele

custode della Costituzione e delle usanze parlamentari, non poteva consentire

che lasciassero il potere.

La quistione è, pertanto, rimasta così: il Re si nega di accettare le dimis

sioni del Ministero, e i Ministri, non sapendo che decidere, hanno convocate per

quest'oggi, le maggioranze delle due Camere nella speranza di trovare, per que

sto mezzo, una uscita dalla difficile posizione.

Mentre il Ministero non badava che ai suoi dispareri interni e a lotte di

preponderanza fra la parte Conservatrice e la Radicale (chè questa è la vera

causa della Crisi), la prudenza del Principe ha saputo evitare che la Corona sia

fatta responsabile della soluzione data ad una crisi, e delle sue gravi conse

guenze, nelle circostanze presenti. Che il Ministero rimanga quale è, o si mo

difichi adesso nel modo, più o meno preciso, che ho indicato avant'ieri all'E. V.,

la persona del Monarca è rimasta nelle alte sue sfere, nè potrà dirsi di aver

!favorita una parte più che un'altra, cedendo a simpatie o a pressioni extra

parlamentari.

È stato un trionfo per la Dinastia. Sua Maestà, che non aperse bocca sino

a quando fece la sua solenne dichiarazione di ieri, ha dato mostra di sè da tutti

universalmente ammirata. È stato (mi si consenta l'espressione) un colpo di

teatro per questa nazione che fu sempre, sotto ai Borboni, miseramente gover

nata da poliUca di Camarilla, da intrighi personali. Io non potrei abbastanza

insistere sulla importanza di questo avvenimento (e questa parola non è impro

pria del caso) unico in !spagna dopo più di mezzo secolo di vita parlamentare.

Il Re Amedeo -e tale è la significazione che vien data alla sua condotta, e lo

confessano anche i repubblicani -ha iniziata, in siffatta guisa, la Monavchia Costituzionale, ha mantenuto quanto da un Principe italiano e di Sua Stirpe era sperato, ha dimostrato, per molti animi già scorati, che non fu sterile la Rivoluzione che lo ha condotto sul Trono (1).

560

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM

(Copie Artom)

L. P. Parigi, 25 giugno 1871.

Ho scritto a Visconti jeri (l) ed ho consegnato la lettera a Robbo. Ma non avendo egli potuto partire jeri sera, e partendo soltanto oggi, approfitto dell'occasione per scriverti una riga. Prima di tutto ti ringrazio d'aver accolto la proposta d'indennità per Ressman, Franchetti e Gualtieri e ti ringrazio egualmente di quella che hai fatto fissare per me. Non voglio nessuna indennità per guasti fatti alla Legazione. Per guasti di mura farò provvedere dalla città; e per gli altri mi basta l'indennità che hai fissata e colla quale posso anche provvedere alle spese di Versaglia e di corriere tra Versaglia e Parigi. Ti prego anche di ringraziare per me il Ministro a cui scrivo d'ufficio, e ringrazio te della decorazione.

Non abbiate troppa inquietudine di quanto potrà dir qua Choiseul. Thiers è già stato da me avvertito e si terrà in guardia. Siate sicuri che la Francia è nell'impossibilità assoluta di tentar nulla contro di noi. Ma Thiers, che ha bisogno di tutti, non vuoi osteggiare apertamente i Iegittimisti dell'Assemblea e tiene perciò una specie di neutralità tra il Papa e noi. Il discorso di Beust favorevole all'Italia e la dichiarazione del Ministro Spagnuolo alle Cortes relativamente alla legge delle garanzie sono fatti importanti che esercitano sull'animo di questi signori una certa impressione. Fate tutto il possibile perchè la condotta dell'Austria e della Spagna continui in questo senso. Io penso che abbiamo dinnanzi a noi due o forse tre anni intieri di sicurezza assoluta. In questo frattempo noi possiamo consolidarci a Roma e prendere le nostre precauzioni. A me pare evidente che la Prussia, anche dopo passati questi due o tre anni non si accomoderà facilmente a veder la Francia pigliar un'attitudine prepotente verso nessuno dei

suoi vicini.

P. S. Aspetterò il congedo in Settembre. Ma ti assicuro che non sono bene in salute e mi sento oltremodo stanco.

(l) -Annotazioni marginali: • Mandare copia al Re •· • Fatto •. (2) -Cfr. n. 558.
561

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI RAPPRESENTANTI DIPLOMATICI ALL'ESTERO

CIRCOLARE 93. Firenze, 26 giugno 1871.

S. M. le Roi a chargé le Général Bertolé-Viale, son Aide de Camp, de présenter à S. S. le Pape ses féHcitations respectueuses à l'occasion du 25ème anniversaire de Son Pontificat. Le Général s'est rendu chez le Cardinal Antonelli pour lui faire part de la mission dont il était chargé, et le prier de lui obtenir une audience. Le Cardinal, après avoir pris les ordres de S. S. fit savoir au Général Be<rtolé-Viale que .le P ape était sensible à cet acte de respect de la part du Roi. S. S. regrettait cependant de ne pas pouvoir lui accorder l'audience, toutes ses heures étant occupées par d'autres réceptions.

Il me parait utile que vous soyez, M. le..... , exadement informé de c•et incident dont les journaux de Rome se sont occupés. Les journées du 16, 17, 18 et 21 Juin se sont du reste écoulées à Rome, sans que rien vint justifier 1es préoccupations que ces dates avaient éveillées. Les nombreuses députations venues de plusieurs pays, témoigner des .sentiments du monde catholique envers la Personne Auguste du Pape ont pu exécuter leur voyage et remplir leur mission dans le plus grand calme. La population de Rome e eu ainsi l'occasion de montrer que cette ville peut etre la capitale d'un royaume libéral, sans cesser d'etre le centre de la religion ·catholique. L'ordre parfait qui a regné pendant ces trois jours, la liberté complète dont les pèlerins ont joui, l'absence de toute démonstration malveillante de la part du peuple, me paraissent etre un heureux symptòme de la pacification qui se fera peu à peu dans les esprits. Le moyen le plus sur de réfuter les injustes accusations des ennemis de l'Italie, de faire cesser des appréhensions qui peuvent etre sincères, mais qui n'ont pas de fondement, c'est en effet de laisser venir librement à Rome tous ceux qui veuleut juger par eux memes de l'état des choses. Les hommes de bonne foi qui, après avoir rempli leur pieux pèlerinage, retourneront dans leurs foyers, pourront dire à leurs familles s'il est vrai qu'à Rome on insulte les pretres et les moines, et que les églises sont profanées. Les députations catholiques ont receuilli de la bouche meme du S. Père ses réponses à leurs éloquentes adresses: elles pourront attester que les communications entre le Pape et les fidèles sont libres, et que la lutte entre le parti ultra-catholique et les autres partis est bien moins ardente en Italie que dans d'autres pays. C'est là le seul résultat de ces manifestations, qui avaient été, peut-etre, organisées dans un but différent.

562

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3809. Vienna, 26 giugno 1871, ore 3,20 (per. ore 8,30).

Le baron de Beust m'a dit •confidentieUement que le ministre de France à Florence avait reçu les memes instructions que le baron de Klibeck, mais que l'insistance de celui-là et les mauvaises dispositions de M. Thiers ont fait soudai

nement changer d'avis le Gouvernement français. Beust attribue à ses propres efforts ainsi qu'à ceux du comte Brassier le revirement du Gabinet prussien au sujet du transfert de la capitale. Il ne m'a pas caché sa satisfaction d'avoir été imité en cela par le prince de Bismal'ck.

563

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. l. Madrid, 26 giugno 1871 (per. il 2 luglio).

J'ai l'honneur d'annoncer à V. E. que je suis arrivé ce matin à Madrid et que j'ai pris la direction des affaires de cette Légation Royale.

564

IL MINISTRO A MADRID, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 2. Madrid, 26 giugno 1871 (per. il 2 luglio).

J'ai l'honneur de transmettre ci-joint, a V. E. le discours que M. Martos Ministre d'Etat a prononcé le 23 courant à la Chambre des Députés en réponse au discours de M. Castelar (1).

M. Martos après avoir défendu les négociations qui ont eu lieu lors de la candidature de S. A. R. le Due d'Aoste au trone d'Espagne, a parlé longuement sur la .question Romaine en faisant Ies éloges de notre Loi sur les garanties d'indépendance spirituelle données au Saint Siège. Cette partie du discours est d'autant plus remarquable que M. Martos est le premier Ministre 'qui ait fait dans un Parlement des déclarations aussi explicites en faveur de la politique Italienne.

Le projet de réponse au discours de la Couronne a été approuvé le soir méme par 164 voix contre 98.

565

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI

T. 1699. Firenze, 27 giugno 1871, ore 9,10.

Baron de Kiibeck ne se croit pas autorisé à venir à Rome pendant le séjour du Roi et a demandé autres instructions au comte de Beust. J.e vous prie de lui dire que d'abord le Roi ne pensait pas à venir à Rome au commencement

39 -Documenti di;plomatici -Serie II -Vol. II

de juillet, et qu'ayant changé d'avis, j'ai été obligé d'en avertir le corps diplomatique. Tous Ies 'chefs de mission, excepté celui de France, m'ont déclaré qu'ils viendraient faire leur cour au Roi à cette occasion. L'absence du ministre d'Autriche serait d'autant plus remarquée qu'elle serait en contradiction avec les déclarations faites spontanément avec tant d'adresse par M. de Beust. Je pense donc que si S. E. veut parvenir à son but, qui est de donner dans cette occasion une marque nouvelle de ses sympathies pour l'Italie, il serait utile que le baron Ktibeck fut autorisé à se rendre à Rome pendant le séjour du Roi.

(l) Non pubblicato.

566

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 1700. Firenze, 27 giugno 1871, ore 9,35.

Beust m'a fait savoir confidentiellement que Choiseul avait déjà reçu pour instruction de suivre l'exemple du ministre d'Autriche, et qu'après on a changé d'avis. Je suis disposé à ,croire que cela est vrai puisque cela coincide avec vos informations précédentes. Je crains que l'absence du ministre de France soit un premier pas dans une voie pleine de dangers. N e pourriez vous pas faire entrevoir à M. J. Favre qu'il pourrait bien de cette manière réussir à s'attirer le pape en France?

567

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3811. Parigi, 27 giugno 1871, ore 19.

J'ai exposé longuement à M. Favre les inconvéniens de l'absenee du ministre de France à Rome. Il m'a dit que les raisons qui avaient détérminé en dernier lieu ses instructions sont, d'abord, l'exemple de la Prusse et de la Bavière, ensuite le fait que vous ne transportez qu'en partie le gouvernement à Rome. Il m'a dit qu'il en avait informé le Cabinet de Vienne. Au fond, la vraie raison est que I'on craint une discussion à ·rassemblée, et qu'on veut l'éviter, au moins avant les élections. M. Favre m'a montré le télégramme par lequel il a chargé

M. de Choiseul d'accuser réception et remercier de la communication de la loi des garanties. Sur ma demande, il a de nouveau télégraphié aujourd'hui dans le meme sens. Je l'ai mis en garde au sujet des... (l) et des impressions de

M. de Choiseul.

(l) Gruppo indecifrato.

568

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3812. Vienna, 27 giugno 1871, ore 19.

Je sors de chez M. de Beust. Il m'a montré un télégramme de M. de Kiibeck où il est dit que les ministres de Belgique, des Pays Bas, et d'Amérique ne sont pas encore autorisés à suivre S. M. le Roi à Rome. Il m'a dit que le voyage du Roi décidé soudainement avait bien l'air d'une pression exercée par le ministère afin de dissiper les hésitations de quelques Cabinets. Le chancelier se plaint aussi de ce que le ministère des affaires etrangères ne sera point installé au jour fixé au palais Valentini, et que plusieurs sections resteront à Florence jusqu'au mois d'aoiìt. J'ai pu m'apercevoir que M. de Kiibeck a soulevé plusieurs obstacles. J'ai fait valoir auprès de M. de Beust les arguments que V. E. a bien voulu me fournir, et malgré la légère irritation que j'ai remarquée chez lui à cause du changement de programme et des modifications apportées dans le transfert du ministère, il m'a promis qu'il ferait tout son possible pour amener l'Empereur à autoriser M. de Kiibeck à se rendre à Rome pendant le séjour du Roi. J'aurai demain la réponse et je télégraphierai.

569

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3815. Vienna, 28 giugno 1871, ore 8,45 (per. ore 21,40).

Empereur d'Autriche n'a pas voulu se prononcer définitivement au sujet du voyage du baron Kiibeck à Rome, sans connaitre avant décdsion des Gouvernements de France et de Belgique. Aller à Rome sans aucune de ces deux puissances qu'il considère comme les seules cathoHques lui parait un acte trop hostile vis-à-vis du Pape surtout le lendemain du jubilé. Beust en se conformant aux ordres du Souverain a représenté à Paris et à Bruxelles que si les représentants de toutes les puissances sans aucune ex,ception se rendai'ent à Rome l'hostilité vis-à-vis du Pape disparaitrait ou du moins perdrait beaucoup de valeur. Malgré cette nouvelle tentative il ne m'a pas caché qu'il compte bien peu sur une décision favorable des Gouvernements français et beige. Sans qu'il me l'ait avoué je suis persuadé que l'Empereur ne se rendra pas aux désirs de

V. E. sans le concours de la France et de la BelgLque. J'aurai demain réponse définitive. Beust regrette beaucoup qu'on n'ait pas dès le commencement notifié formellement et officiellement au corps diplomatique que le Roi prendrait sa résidence à Rome et qu'il y recevrait à jour fixé. Dans ce cas dit-il, personne n'aurait pu raisonnablement soulever des difficultés mais des invitations isolées et par surprise comme on vient de faire pour les deux ou trois jours seulement que S. M. restera à Rome ne pourraient qu'engendrer des hésitations et augmenter la méfiance des puissances moins bienveillantes pour l'Italie. Quoique le comte Beust ne se soit pas ouvertement prononcé sur ce qui resterait à faire en cet état de choses au Gouvernement du Roi, j'ai .la ferme conviction qu'il est d'avis ou de remettre le voyage du Roi ou d'adresser immédiatement au corps diploma:tique une drculaire lui annonçant le transfert de ·résidenc·e du chef de l'Etat, renonçant, bien entendu, dans les deux cas à tout caractère démonstratif et provisoire.

570

IL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 83. Washington, 28 giugno 1871 (per. il 16 luglio).

Sebbene non dubiti che l'E. V. sarà stata ragguagliata di questo fatto d'altra parte, nondimeno ·credo mio dovere di significarle che le ratifiche del trattato di Washington furono scambiate nella Città di Londra lì 17 del presente, e quelle che sono destinate al Governo dell'Unione trovansi attualmente in cammino dirette a questa volta.

Tostochè queste saranno venute a mani del Presidente, il Ministero di Stato indirizzerà al Governo di S. M. il Re Nostro una comunicazione officiale avente per iscopo di notificargli la conchiusione del Trattato e fargli nota in ispecial modo la parte che per esso si propone al Reale Governo di ·compire in ordine alla sua esecuzione. E l'E. V. conosce che, secondo l'Art. l<> dell'atto in discorso, gli arbitri avranno ad essere nominati nel termine di due mesi a partire dal giorno in cui la relativa notific,azione sarà stata fatta al rispettivo Governo dall'una delle parti contraenti.

A termini dell'Art. 3<> il tribunale d'arbitraggio dovrà poscia riunirsi a Ginevra per dar principio ai suoi lavori più presto che far si possa, però non più tardi di sei mesi dalla data dello scambio delle notifiche. Esso avrà dunque a radunarsi non più tardi del 17 Dicembre prossimo, nè credo potrà radunarsi più presto, non essendo probabile che gli agenti delle parti contraenti siano pronti prima di quell'epoca.

Nè altro m'occorre per oggi.. ...

571

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

(Eredità Nigra)

L. P. Firenze, 29 giugno 1871.

Ti mando copia della nota di Choiseul sulla legge delle garenzie. Essa ti darà un saggio della sua abilità e del suo buon volere. Pazienza se avesse riescito a convincere Visconti che gli uomini politici fanno spesso desiderare gli uomini di carriera! È cer.to, che la partenza di Rothan non riescì a migliorare i nostri rapporti. Non ch'io avessi molta fiducia nell'altro, ..... ma .....

Ti ringrazio della tua lettera (l) che Robbo mi recò. Non credo giusto che debbano essere a tuo carico le spese pei guasti nei mobili della Legazione.

Se quindi mi fai ,fornire qualche dato di fatto, o se nel modo più spiccio fai

calcolare la spesa da un tappezziere, ti farò spedire un apposito mandato. L'im

portante per me si è di poter ottenere la controfirma della Ragioneria e della

Corte dei Conti.

Il Ministro ed io partiremo domani sera per Roma. Al momento in cui ti scrivo, dodici capi missione hanno annunciato che verranno a Homa con noi, durante iL soggioTno deL Re. Mancano la Francia ed il Belgio. L'Austriaco, già autorizzato da 15 giorni a venire a far visita al Ministro a Roma, non si crede autorizzato a venirci in occasione delle feste pel Re, e chiese altre istruzioni che non ebbe finora. Io temo assai che il risultato sia che l'Austria segua l'esempio della Francia, mentre prima si era quasi certi che questa seguirebbe l'esempio della prima. Mi manca il tempo di raccontarti quanti intrighi ci furono in quest'occasione. Ora pare che le cose si ravviino: ebbimo anche l'emozione d'una supposta fuga del Papa: oggi ci si assicura che rimarrà a Roma.

Farai benissimo a prendere il tuo congedo in Settembre. Il Luglio e l'Agosto non sono certo i mesi migliori per Roma. Vorrei evitare anch'io d'andarci ora o di rimanervi, ma non so se mi sarà possibile di pigliare un congedo che mi è indispensabile per salute. Verso il 1° Settembre vi sarà probabilmente l'inaugurazione del Cenisio. Credi che si debbano invitare Thiers e Favre? Sella e Castagnola non vorrebbero fare grandi spese. Ma Torino darà delle feste e la Società dell'Alta Italia farà qualche cosa. Se credi che questa possa essere un'occasione di riavvicinamento, suggerisci. Io cercherò che tu sia invitato o dal Governo o dalla Società. Durante il tuo congedo avremo modo di vederci a lungo e parleremo anche del tuo ritorno a Parigi.

ALLEGATO.

CHOISEUL A VISCONTI VENOSTA

Florence, 28 juin 1871.

M. Jules Favre m'informe par un télégramme, que M. Nigra lui a transmis votre plainte de n'avoir pas eu de moi un accusé de réception de l'exemplaire de la loi du 13 Mai 1871, relative aux garanties accordées au Pape et au S. Siège, ainsi qu'aux rapports de L'Eglise et!. de L'Etat en Italie. Cet exemplaire a été remis à M. le Ministre des affaires Etrangères de France le 10 Juin avec la copie d'une dépeche de V. E. en date du 20 Mai contenant un commentaire de cette loi.

M. Jules Favre a exprimé à M. Nigra ses remerciments, et j'ai l'honneur de vous remercier de cette double communication.

(l) Cfr. n. 560.

572

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3817. Vienna, 29 giugno 1871, ore ..... (per. ore 20,30).

Il est quatre heures, et jusqu'ici aucune réponse de Paris ni de Bruxelles. Baron de Beust a espéré en avoir jusqu'ici. Ce soir [dépeche] tres confidentielle de Kubeck parle d'un biais que le chevalier Artom lui aurait proposé. Le chancelier de l'Empire dit que, à son point de vue, du moment que le baron de Kiibeck serait autorisé à se rendre à Rome, sa présence à un diner de la cour n'ajouterait aucune importance à son voyage; il voudrait qu'on agit ouvertement et officiellement dans le sens de mon télégramme d'hier. Ministre d'Autriche à Rome mande qu'en vue du prochain transfert de la capitale une grande agitation règne au Vatican. On y parle sérieusement du départ du Pape qui se rendrait à Malta ou à Menton, ainsi que du renvoi du cardinal Antonelli. Beust eroit que le départ de S. S. pourrait créer de graves embarras à l'Italie. Il fait entendre à Rome un langage de modération. Je prie V. E. de me dire jusqu'à quand je dois adresser mes télégrammes à Florence.

573

IL MINISTRO DEI LAVORI PUBBLICI E REGIO COMMISSARIO A ROMA, GADDA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Roma, 29 giugno 1871.

Come ieri ti ho telegrafato (1), così posso oggi assicurarti che non vi ha nel Papa progetto di andarsene. Sia il suo istinto, sia la poca accoglienza che possa aver trovato presso i Governi esteri un fatto così importante, quale è quello di far residenza del Pontefice un altro Stato, fatto si è che per ora Pio IX non si muove. Non mi dissimulo che può essere presa anche una subita risoluzione in senso inverso, ma le sembianze del momento attuale sono queste. Io sono in mezzo alla truscia dell'ultimo momento e puoi credere che non mi mancano le brighe. Ormai è finito questo mio Commissariato e sono convinto di avere reso dei servigi. A cose fatte per solito non si tiene conto delle difficoltà, ma coloro che le attraversarono si rivolgono con piacere dalla riva a guardare le onde perigliose. Al tuo arrivo ti aspetto alla Consulta e se saprò la corsa verrò a prenderti. Ti lascerò subito a tua disposizione tutte le sale ·e le camere d'Ufficio. Forse per qualche giorno dovrai rassegnarti ad avere o me o qualche altro Ministro in alcuna delle camere da letto che sono diverse.

574

IL PRINCIPE E. RUSPOLI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(AVV)

L. P. Roma, 29 giugno 1871.

Non ho mancato di prendere come Le promisi esatte informazioni sopra quanto si agita nel Vaticano. Le fonti più sicure da cui possono attingersi notizie,

sono gli amici e i parenti di quei Cardinali malcontenti dello stato attuale delle cose, come Silvestri, di Pietro etc. il dispetto li rende .spesso espansivi nelle loro famiglie.

Nel Vaticano mancano completamente di un programma e di un concetto preciso della situazione, alimentati da speranze imaginarie si sgomentano all'apparire degli avvenimenti i più prevedibili. Il discorso pronunciato dal Papa nel concistoro, e riprodotto esattamente dal giornale la Libertà del 28, è concepito in frasi interrotte e disperate che provano quanto inattesa fosse la venuta del Re. Il primo capriccio del vecchio pontefice fu di partire immediatamente per la Corsica, lanciando dietro di sè tutte le scomuniche e tutti gli anatemi medioevali di cui d~spone la Curia Romana; ma nessuno intorno ad esso divide questa opinione e tutti i partiti clericali sono d'accordo dal distrarvelo, impresa non ardua se si rifletta quali terribili sacrifici dovrebbe fare il Papa partendo ed abbandonando una comoda residenza, ove tutto è coordinato a secondare le sue abitudini. Le feste del Giubileo furono anch'esse un amaro disinganno; Pio IX ha vissuto sempre in mezzo alle dimostrazioni e sa benisimo distinguere le ovazioni ricevute nei due passati periodi del suo regno; quelle cioè del 1848 e quelle del '59 e del '67 dalle attuali dopo il 20 settembre. L'atmosfera del Vaticano è pregna di amarezza; ma tutti si fanno un tacito dovere di non far trapelare all'esterno i loro timori; di fingere e di mostrar di sperare; questa falsissima situazione sparge spesso il malessere fra i frequentanti del Vaticano. Se il Papa individualmente troverà la forza di resistere all'eco delle feste e al riverbero delle luminarie che festeggeranno la venuta del Re in Roma, io credo che il pericolo della partenza sia per sempre scongiurato. Sono tre i partiti che dividono i clericali al Vaticano; il primo è quello dei Gesuiti che agisce pubblicamente facendo progetti violenti ed eccessivi, perchè essi pensano che la malattia sia mortale e perciò richiegga rimedi energici, si aggruppano intorno ad essi molti ex impiegati e militari e la parte feminina del clericalume ed alcuni Oardinali come De Ange1is, Oaterini, MHesi, Patrizi, Cla·relli, Vannicelli etc. Il secondo partito è quello capitanato da Antonelli che spera pochissimo, ma non vuoi nulla precipitare, come il Cardinal Berardi e gli ex impiegati superiori del Governo pontificio. Arricchito nel monopolio della cosa pubblica possiede terre, palazzi, ville, è dunque naturale che non voglia provocare una crisi avendo da perdere; esso spera sempre ·che l'intervento delle potenze estere crei una situazione alla quale sia forzato di sottostare tanto il Governo del Re quanto il Papa e i suoi partigiani.

Il terzo partito è quello di De Merode indirettamente sostenuto dalla parte libeMl·e del Colle~io Cardinalizio doè da De Luca, De 'Silvestri, Di Pietro, Moreno, Barile, sa,c·coni etc. e qualche prela•to addetto alla Corte. Questo partito è il partito dell'avvenire, ostile ancora ad una conciliazione ma in opposizione sistematica ai Gesuiti ed all'Antonelli. Quando il Papa è contrariato da qualche inaspettato avvenimento, vorrebbe abbandonar Roma, scomunicare, fare un appello alle potenze; ma chi lo circonda lo distrae con un indirizzo sottoscritto da preti, frati, e monache gli annuncia una deputazione estera, ordinariamente composta da una dozzina d'inglesi ineducati altrettanti tedeschi e qualche polacco. Il Papa si calma, e si preparano altre distrazioni quando ricada nelle solite smanie.

Gli ex impiegati militari e civili pagati puntualmente sono fedelissimi, ed è perciò che soli 3 ufficiali di Cavalleria 7 di fanteria e 4 di artiglieria hanno domandato di entrare nel nostro esercito. Tutto questo piccolo mondo si decomporrà alla morte del Mastai, ed ingrosserà probabilmente le fila dei Mazzini e dei Sonzogno; vedremo ripetute le scene dei Napoletani che seguirono Francesco II ·e che furono abbandonati alla rabbia ed alla fame, da dove nacque la seconda epoca del Brigantaggio che non risparmiava più le provincie pontificie. Sarebbe difficile il predire chi sia per essere il futuro Pontefice.

Questa questione però mentre era gravissima per l'Italia prima del 20 settembre ora è cosa secondaria, utile solo a diminuire l'entità apparente della questione del Papato. Le garanzie sono una legge dello Stato di cui prenderanno isolatamente atto le potenze estere; sia pure Papa il Patrizi, il Cardinale accanito contro l'Italia, sia pure De Silvestri cardinale liberale, per noi non farà nulla. Qualunque conciliazione sarà impossibile pel successore di Giovanni Mastai. Se il nuovo Papa sarà uomo di spirito, potrà solo godere con criterio delle guarentigie e mitigare a poco a poco l'odio dei due partiti; se fosse mai un irreconciliabile si chiuderà al Vaticano a passeggiare con Kanzler.

Il Corpo diplomatico in questo momento non porta grandi consolazioni al Vaticano. Il rappresentante di Thiers è il più assiduo e circondato dallo stesso personale che da più anni complimenta Pio IX e simpatizza coi clericali.

La Legazione di Spagna è un insieme di personaggi misteriosi e sarebbe bene che prendesse una posizione più netta e decisa. L'Ambasciata d'Austria abbandonata dal suo capo, ha alla sua testa il Conte Kalnoky uomo piuttosto liberale. La Prussia è rappresentata dal Ministro di Baviera partigiano di Dollinger ed amicissimo dei Vescovi anti-infallibilisti.

La Russia e l'Inghilterra non hanno rappresentanti ufficiali.

Gli altri come l'Equatore, il Brasile, il principato di Monaco sono attaccati alla S. Sede, perchè gli accordava un prestigio apparente molto al di sopra della loro importanza reale.

Il Giornalismo clericale è quasi morto del tutto, due giornali severi furono fondati dopo til 20 Settembre: il Buon Senso e l'Imparziale ma ebbero corta vita, resta solo l'Osservatore Romano giornale insignificante.

Ecco quanto ho potuto rilevare dall'esame della situazione attuale, ben fortunato se queste notizie meritassero un qualche interesse. Dichiarandomi sempre pronto a prestare i miei modesti servigi la prego.....

(l) Non pubblicato.

575

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

(AVV)

L. P. Firenze, 30 giugno 1871.

Parto questa sera per Roma e, fra le mille faccende della partenza, non

ho tempo che a scrivervi una riga. E prima di tutto vi ringrazio di aver voluto aderire, per quanto vi concerne personalmente, al mio desiderio, alla mia preghiera. Avevo comunicato il contenuto della vostra lettera (l) al Presidente del Consiglio e a Sella che se ne mostrarono ambedue assai dolenti, che si proponevano di venire alla riscossa ove ve ne fosse stato bisogno e che, al pari di me, furono lieti della risposta e mi incaricarono di ringraziarvi. Vi scriverò

presto da Roma e vi stringo la mano.

P. S. -Approvo l'attitudine che intendete prendere per l'affare del Petruccelli.

576

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AL CONSIGLIERE DI LEGAZIONE A PARIGI, RESSMANN

(Copie Artom)

L. P. Firenze, 30 giugno 1871.

Ricevi un ultimo saluto ed una stretta di mano dalla moribonda capitale. Partiamo per l'ultima e la più pazza delle nostre avventure. Dio voglia che sia l'ultima, e che la nostra generazione cui è toccato un premio, ch'era foLlia sperar, sappia e possa goderselo in pace!

Vedi da queste parole con quali disposizioni d'animo io mi disponga a lasciar Firenze per la città eterna della malaria e delle febbri. Non è egli strano che tocchi a noi di veder realizzati uno ad uno tutti i rettoricumi della nostra adolescenza, in quell'età appunto in cui alla rettorica non si crede più? Tu mi dirai che v'ha qualche cosa più che della rettorica nella questione romana. Ed hai mille volte ragione : ma se sono convinto che il governo che andiamo a stabilir là vale molto meglio di quello che vi abbiamo distrutto, non sono certo egualmente ehe nè noi nè i nostri successori abbiamo forze adeguate all'impresa. Ad ogni modo il lato diplomatico della questione può dirsi quasi risoluto. Quattordici capi missione ci seguono durante il 'soggiorno del Re: Kiibeck, Solwyns, verranno due o tre giorni dopo: finalmente oggi Lavillestreux mi disse che spera di essere autorizzato a venire a Roma fra breve. Confesso che non avrei creduto di riescire in ciò: non che le cose siano andate liscie liscie, ma finalmente ci si arrivò. Il resto, l'avvenire, rimane buio. Speriamo bene.

Ti mando molti pacchi della Contessa. Essa è letteralmente innamorata di te. Vuole averti alla Spezia e far i bagni teco. Te beato che vedrai Venere uscir dall'onde ecc. (Vedi i versi di Foscolo nelle Grazie).

P. S.-Tante grazie delle fotografie di Parigi secondo l'ideale della Comune.

(l) Cfr. n. 521.

577

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3822. Parigi, 30 giugno 1871, ore 18,45 (per. ore 1,45 dell' l Luglio).

D'après les dernières résolutions prises par le Gouvernement français,

M. de Choiseul revient en congé et M. de la Villestreux a reçu l'ordre de faire ce .que fera le ministre d'Autriche.

578

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 3821. Vienna, 30 giugno 1871, ore 20,05 (per. ore 9 del' l luglio).

Je confirme mon télégramme de deux heures (1). M. de Beust m'a reçu en me disant: « J'ai le regret de vous annoncer qu'il m'est impossible de rendre l'Empereur à vos désirs .et aux miens. Tout ce que j'ai pu obtenir, à titre presque d'une compensation, c'est de prescrire à M. de Kiibeck de rester à Rome deux semaines, au lieu d'y faire seulement acte de présence ». Il a ensuite ajouté: « L'Empereur m'a déclaré qu'il ne faut pas attribuer sa décision à l'influence cléricale, ou à malveillance, à l'égard de l'Italie, mais aux égards qu'il doit au Pape, et qui lui défendent de prendre part à un acte démonstratif, ainsi qu'il considère cette courte visite du Roi à Rome. La crainte de voir partir Sa Santeté n'entre pour rien dans sa délibération ». Il m'a ·chargé de di•ssiper auprès du Gouvernement italien les appréhensions qu'on pourrait avoir d'une entente entre l'Autriche et la France dans les affaires romaines, et, fidèle au principe de non intervention, n repousserait toute proposition qui s'y ra~che, en déhors de cela. S. M. semble un peu irritée contre le Cabinet de Florence, qui, d'a:pvès elle, .aurait voulu la surprendre. J'ai demandé au chancelier quelle serait l'attitude du baron de Kiibeck dans le cas où le Roi prolongerait de plusieurs jours son séjour à Rome: « Je n'ai pas parlé avec l'Empereur de cette éventualité » a-t-il répondu «mais ce serait autre chose ». Dans le but d'éviter de fausses interprétations, il m'a promis de parler demain, à la séance de la délégation autrichienne, dans le sens le plus favorable à l'Italie.

579

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 842. Berlino, 30 giugno 1871 (per. il 5 Luglio).

Mon collègue de Belgique a reçu hier un télégramme de son Gouvernement qui lui demandait si le représentant de l'Allemagne à Florence avait eu l'instruction de se rendre à Rome.

Il s'est empressé de répondre, après avoir interpellé M. de Balan, que le corps diplomatique n'avait pas reçu une invitation formelle d'accompagner le Roi d'Italie à Rome, mais un avertissement du départ de Sa Majesté. Cet avis aurait pu ètre envisagé comme un simple usage de Cour, et eut laissé une certaine latitude aux représentants étrangers. Mais le parti catholique, au lieu de garder le silence, avait pris à cet égard une attitude qui donnerait à l'abstention de tel ou tel autre diplomate le caractère d'une démonstration politique la quelle serait presque envisagée comme une rupture avec le nouvel ordre de choses.

Dans ces circonstances, le Comte Brassier de Saint Simon avait été autorisé à aller à Rome pour autant que le Roi Victor Emmanuel s'y rendrait aussi.

(l) Non rinvenuto.

<
APPENDICI

APPENDICE I

LEGAZIONI DEL REGNO D'ITALIA ALL'ESTERO

(Situazione al 30 giugno 1871)

ARGENTINA

Buenos Ayres -DELLA CROCE DI DoJOLA conte EnrLco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MARTIN LANCIAREZ Eugenio, segretario.

AUSTRIA-UNGHERIA

Vienna -NICOLIS DI RoBILANT conte Carlo Felice, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CURTOPASSI Francesco, consigliere; BALBI SENAREGA marchese Giacomo, segretario; TERZAGHI Carlo, segretario; BECCADELLI BoLoGNA Giuseppe, principe di Camporeale, addetto onorario.

BADEN KarZsruhe -TUGINI Salvatore, incaricato d'affari.

BAVIERA

Monaco -GREPPI conte Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CENTURIONI marchese Enrico, segretario.

BELGIO

BruxeLles -BLANC barone Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GERBAIX DE SoNNAZ Carlo Alberto, segretario; MocENIGo conte Alvise, addetto.

BOLIVIA La Paz -GARROU Ippolito, incaricato d'affari (residente a Lima).

BRASILE

Rio de Janeiro -CAVALCHINI GAROFOLI barone Carlo Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

BRUNSWICK Brunswick -DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Berlino).

CILE

Santiago -GARROU Ippolito, incaricato d'affari (residente a Lima).

CINA

Pechino -FE' D'OsTIANI conte Alessandro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Yedo).

CITTA ANSEATICHE

Amburgo -QuiGINI PULIGA conte Effisio, incaricato d'affari.

COSTARICA

S. José de Costarica -ANFORA (dei duchi di Licignano) Giuseppe, incaricato d'affari (residente a Guatemala).

DANIMARCA

Copenaghen -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PRAMPERO conte Ottaviano, S'egretario.

EQUATORE

Guayaquil -RoDITI Angelo, console.

FRANCIA

Parigi -NIGRA Costantino, inviato straordinario e mini,stro plenipotenziario; R ESSMANN Costantino, segretario; FRANCHETTI Giulio, segretario; AVARNA dei duchi di Gualtieri Giuseppe, addetto.

GIAPPONE

Yedo -FE' D'OsTIANI conte Alessandro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

GRAN BRETAGNA

~ondra -CADORNA Carlo, inviato straor!dinario e ministro plenipotenziario; MAFFEI DI BoGLIO conte Carlo ALberto, consigliere; CoNELLI DE' PROSPERI Carlo, segretario; CATALANI Tommaso; addetto; PAPADOPOLI conte Angelo, addetto onorario.

GRECIA

Atene -MIGLIORATI marchese Giovanni Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GALVAGNA barone Francesco, segretario.

GUATEMALA

Guatemala -ANFORA (dei duchi di Licignano) Giuseppe, incaricato d'affari.

HAITI Porto Principe -CHRISTENSEN A., console.

HONDURAS

Tegucigalpa -ANFORA (dei duchi di Licignano) Giuseppe. incaricato d'affari (residente a Guatemala).

ISOLE HAWAlANE Honolulu -ScHAEFER Federico Augusto, coiliSole.

MAROCCO Tangeri -ScovAsso Stefano, incaricato d'affari.

MECKLEMBURGO

Mecklemburg -DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a. ~erlino).

MESSICO Messico -CATTANEO Carlo, incaricato d'affari.

MONACO (Principato)

Monaco -GALATERI DI GENOLA E DI SuNIGLIA Gabriele, console generale (residente a Nizza).

NICARAGUA Managua -ANFORA (dei duchi di Licignano) Giuseppe, incaricato d'affari (residente a Gutemala).

OLDENBURGO Oldenburg -DE LAUNAY ,conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Berlino).

PAESI BASSI Aja -BERTINATTI Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PAsSERA Oscarre, segretario.

PARAGUAY

Assunzione -N. N., console.

40 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. II

PERSIA

Rescht -N. N., console.

PERU'

Lima -GARROU Ippolito, incaricato d'affari.

PORTOGALLO

Lisbona -OLDOINI marchese Filippo, inviato straordinario e ministro plenipo· tenziario; PATELLA Salvatore, segretario; VIGONI Giorgio, segretario.

PRUSSIA ED IMPERO DI GERMANIA

Berlino -DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Tosi Antonio, segretario; LITTA BIUMI RESTA conte Balzarino, segretario; ToRRIGIANI marchese Filippo, addetto onorario.

RUSSIA

Pietroburgo -DI BELLA CARACCIOLO marchese Camillo, inviato straordinario e mini,stro plenipotenziario; MAROCHETTI barone Maurizio, segretario; RICCI PETRoccHINI marchese Antonio, addetto onorario.

S. DOMINGO

S. Domingo -CAMBIASO Giovan Battista, console.

S. SALVADOR

S. SaLvador -ANFORA (dei duchi di Licignano) Giuseppe, incaricato d'affari (residente a Guatemala).

SASSONIA (Regno di)

Dresda -DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Berlino).

SASSONIA (Gran Ducato e Ducati di)

Weimar -DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Berlino).

SPAGNA

NladTid -DE BARRAL DE MoNTEAUVRARD conte Camillo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE MARTINO Renato, segretario; CoLOBIANO ARBORIO L.uigi, segretario.

STATI UNITI DELL'AMERICA DEL NORD

Washington -CoRTI conte Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ZANNINI conte Alessandro, segretario.

STATI UNITI DI COLOMBIA Bogotà -N. N., console.

SVEZIA E NORVEGIA

Stoccolma -SALLIER DE LA TouR conte Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BoBBIO Ettore, segretario.

TURCHIA

Costantinopoli -ULISSE BARBOLANI di Cesapiana conte Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CovA Enrico, segretario; CoTTA Francesco, segretario; HIERSCHEL DE MINERBI Oscarre, segretario; NiccoLINI marchese Carlo, addetto onorario; VERNONI Alessandro, GRAZIANI Edoardo, BARONE Antonio, CHABERT Alberto, interpreti.

VICEREAME D'EGITTO Cairo -DE MARTINO Giuseppe, agente e console generale.

REGGENZA DI TRIPOLI Tripoli -BosiO Onorato, console.

REGGENZA DI TUNISI Tunisi -PINNA Luigi, agente e console generale.

PRINCIPATI UNITI DI MOLDAVIA E VALACCHIA Bucarest -FAVA barone Saverio, agente e console generale.

PRINCIPATO DI SERBIA Belgrado -JoANNINI CEVA di San Michele conte Luigi, agente e console generale.

URUGUAY Montevideo -RAFFO Giovan Battista, incaricato d'affari.

VENEZUELA Caracas -VIVIANI Giovan Battista, incaricato d'affari.

WURTEMBERG

Stoccarda -RATI OPIZZONI conte Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VISCONTI D'ORNAVAsso barone Carlo Alberto, segretario.

APPENDICE II

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

(Situazione al 30 giugno 1871)

MINISTRO

VISCONTI VENOSTA nob. Emilio, deputato al Parlamento.

SEGRETARIO GENERALE

ARTOM !sacco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, incaricato delle funzioni di 'segretario generale.

DIVISIONE POLITICA

ToRNIELLr-BnusATI conte Giuseppe, consigliere di legazione, reggente la divisione.

UFFICIO I

Corrispondenza politica -Corrispondenza particolare del Ministro Trattati politici -Pubblicazioni diplomatiche -Cifra e telegrammi.

MALVANO Gacomo, capo sezione di 2• classe. JACQUIER Vittorio, segretario di 2a classe. PANSA Alberto, applicato di 2• classe. BIANCHI Dr LAVAGNA Francesco, applicato di 2• classe. DEL CASTILLO Dr SANT'ONOFRIO marchese Ugo, applicato di 3• classe. ,CANTAGALLI Ro,meo, segretario di legazione di 2• classe, addetto all'ufficio. GurccroLr marchese Alessandro, addetto di legazione, addetto all'ufficio.

UFFICIO II

Personale del Ministero, delle Legazioni e dei corrieri di Gabinetto Ordini cavallereschi nazionali ed: esteri -Atti pubbLici -Notariato della Corona -Cerimoniale di corte -Cancelleria dell'ordine della SS. Annunziata -Archivi della divisione.

BERTOLLA Giuseppe, segretario di 1• classe. CrcERo Carlo Federico, applicato di 1• classe. SEVEZ Lorenzo, traduttore. LATTES Giuseppe, vice console di 1• classe, addetto all'ufficio.

DIVISIONE DELLA CONTABILITA E DELL'ARCHIVIO

CoRso Edoardo, direttore capo di divisione di l" classe.

UFFICIO I (Ragioneria)

Bilancio -Contabilità generale dei RR. agenti diplomatici e consolari Mandati -Rendiconti -Corrispondenza relativa -ProtocoLlo ed archivio deLla divisione.

CARRERA Angelo, capo sezione di 2• classe. CATTANEO Angelo, segretario di l a classe. PAPINI Andrea, applicato di 1• classe. BERNONI Luigi, applicato di l a classe. GUGLIELMINETTI Giuseppe, applicato di 2• classe. DE NoBILI Achille, applicato di 2• classe. FossATI Giuseppe, applicato di 3" classe.

UFFICIO II

Spese d'ufficio -Contratti -Servizio interno -Cassa -Uscieri -Passaporti -Legalizzazioni -Biblioteca -Archivi del Ministero.

CANTON Carlo, capo sezione di 1• classe. DoRIA DI DoLCEACQUA marchese Andrea, segretario di 2a classe. LONGo-VASCHETTI Giovanni Battitsta, applicato di l" classe. ALBERGOTTI SIRI barone Tito, applicato di 1• classe. D'ONCIEUX DE CHAFFARDON conte Paolo, applicato di 3" classe.

DIREZIONE GENERALE DEI CONSOLATI E DEL COMMERCIO

PEIROLERI Augusto, direttore generale.

DIVISIONE I

DE VEILLET nob. Francesco, direttore capo di divisione di 2• classe.

UFFICIO I

Corrispondenza coi RR. agenti diplomatici e consolari residenti presso i diversi stati d'Europa e loro colonie, eccettuata la Turchia e la Grecia, e cogli agenti diplomatici e consolari di detti stati in Italia, coi ministeri, colle autorità e coi privati in tutte le materie non politiche, nè commerciali

SCHMUCKER barone Pompeo, capo sezione di 2• classe. BRASCHI conte Daniele, segretario di l • classe. CAVACECE Emilio, segretario di l" classe. BARRILIS nob. Diego Lorenzo, segretario di l" classe. MoNTERSINo Francesco, segretario di 2" classe. CAPELLO Carlo Felice, segretario di 2• classe. DE MARI marchese Giovanni Maria, applicato di 2" classe. CAPUCCIO Alessio, applicato di 2• classe. VACCAJ Giulio, applicato di 4" classe. PEROLARI-MALMIGNATI nob. Pietro, volontario. BERTOLA Camillo, volontario. GIANOLI Federico, volontario.

UFFICIO II

Corrisponden~a coi RR. agenti diplomatici e consolari residenti in Grecia, nell'Impero ottomano, in Asia, Africa ed America, e cogli agenti diplomatici e consolari degli stati di detti paesi in Italia; coi ministeri, colle autorità e coi privati in tutte le materie non politiche nè commerciali.

BIANCHINI Domenico, capo sezione di 2" classe. MILIOTTI nob. Luigi, segretario di 2" classe. BAZZONI Augusto, segretario di 2• classe. MAssA Nicolò, applicato di 3" classe. PIRRONE Giuseppe, applicato di 4" classe. MAISSA Felice, volontario.

UFFICIO III

Corrispondenza riservata e confidenziale della direzione generale -Personale consolare e dragomannale -Esami -Exequatur agli agenti esteri Protocollo della direzione generale.

0DETTI DI MARCORENGO Edoardo, applicato di l" classe. BnoFFERIO Tullio, applicato di 2• classe. RIVA Alessandro, vice console di 3" classe, addetto all'ufficio.

DIVISIONE II

SPINOLA marchese Federico Costanzo, consigliere di legazione, reggente la di· visione.

UFFICIO I

Corrispondenza relativa alla stipulazione dei trattati e delle convenzioni commerciali, di navigazione, consolari, monetarie, doganali, postali e telegrafiche, ecc. -Pubblicazioni commerciali -Bollettino consolare.

DE GoYZUETA (dei marchesi di Toverena) Francesco, capo sezione di P classe, BoREA D'OLMO marchese Giovanni Battista, segretario di l" classe. PucciONI ·Emilio, applicato di 3" classe. BARDI Alessandro, applicato di 3" classe. BARILARI Federico, applicato di 4" C'lasse. PAGANUZZI nob. Danielle, reggente applicato di 4" classe.

UFFICIO Il

Corrispondenza relativa alle successioni di nazionali all'estero, ed agli atti di stato civile rogati all'estero.

SANTASILIA (dei marchesi) Nicola, capo sezione di 2• classe. MARGARIA Augusto, segretario di 2" classe. BERTOLLA Cesare, applicato di 4" classe. GioiA L.odovico, volontario. CARPANI nob. Agostino, volontario.

NEGRI Cr:istoforo, ·console generale di l" classe, incaricato delle funzioni di consultore legale presso il Ministero e di quanto concerne l'ispezione dei consolati all'estero.

UFFICIALI CONSOL.A!RI TEMPORARIAMENTE ADDETTI AL MINISTERO

PUCCI BAUDANA Giulio, vice console di l • classe. GALLI conte Goffredo; Cossu Carlo; DE GoYZUETA Luigi, vice consoli di 2" classe. SOLANELLI Gaetano, vice console di 3" classe. VALERGA Pietro, interprete onorario per la lingua araba.

CORRIERI DI GABINETTO

Corrieri di gabinetto di 1• classe: ARMILLET Giuseppe, ANIELLI Eugenio. Corrieri di gabinetto di 2" classe: VILLA Antonio, LoNGO Giuseppe.

USCIERI

Capi uscieri: CAVAGNINO Pietro, FERRERO Antonio, CARELLo Giuseppe.

Uscieri: BRUNETTI Martino, Rossi Antonio, MoNGE Giuseppe, RosTAIN Cesare, SAROGLIA Giuseppe, Bo Ignazio, BRUNERI Michele, DoNZINO Domenico, MoRONE Giovan Battista, BERNARDI Lodovico, ZEI Giuseppe, DE MATTEIS Giacomo.

Inservienti: CRAVANZOLA Luigi, BRUSA Luigi.

CONSIGLIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO

Questioni di diritto internazionale, di nazionalità, leva, interpretazioni di trattati, ecc.

PRESIDENTE

DEs AMBROIS DE NEVACHE Luigi, cav. dell'Ordine Supremo della SS. Annunziata, ministro di Stato, presidente del Consiglio di Stato, senatore del Regno.

VICE PRESIDENTE

VIGLIANI Paolo Onorato, senatore del Regno, primo presidente della Corte di Cassazione di Firenze.

CONSIGLIERI

Il segretario generale del Ministero per gli Affari Esteri. RAELI Matteo, consigliere di Stato. TABARRINI Marco, consigliere di Stato. GUERRIERI-GONZAGA marchese Anselmo, deputato. ALFIERI Dr SosTEGNO marchese Carlo, ,senatore del Regno. ToNELLo Michelangelo, senatore del Regno, consigliere di Stato. FoRNETTI Tommaso, segretario.

SEGRETARIO AGGIUNTO

BIANCHINI Domenico, capo sezione presso il Ministero degli Affari Esteri.

APPENDICE III

LEGAZIONI ESTERE IN ITALIA

(Situazione al 30 giugno 1871)

Argentina (Repubblica): don M.ariano BALCARCE, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Parigi).

Austria-Ungheria: barone Aloise VoN KuBECK, inviato straordina·rio e ministro plenipotenziario; conte Karl ZALUSKI, ·consigliere; conte Eric VoN SALM REIFFERSCHEIDT-KRAUTHEIM, segretario; barone Marius PASETTI-FRIEDENBURG, segretario; Florian VoN RoSTY, segretario; barone Roger VoN BIEGELEBEN, addetto; Alexis VoN PoLAK, tenente colonnello di stato maggiore, addetto militare.

Baviera: Wilhelm VoN DoENNIGES, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Belgio: Henri SoLVYNS, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Frederic HoonrcKx, consigliere; Alfred LE GHAIT, segretario; barone Adrian VANDERLINDEN D'HOOGHVORST, addetto.

Brasile: Don Juan ALVES LOUREIRO, ministro residente.

Danimarca: barone P. F. DE BILLE-BRAHE, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Francia: conte Horace DE CHOISEUL, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; barone DE LA VrLLESTREUX, primo segretario; visconte Alfred DE BRESSON, secondo segretario: visconte Henri Du PoNCEAU, addetto; conte DE LAUGIER-VILLARS, addetto; barone René ECHASSERIAUX, addetto; Ernest DE LA HAYE, tenente colonnello di stato maggiore, addetto militare.

Gran Bretagna: on. Sir Augustus BERKELEY-PAGET, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Edward HERRIES, primo segretario; on. Francis PLUNKETT, secondo segretario; Edmund DouGLAS WEITCH FANE, secondo segretario; Walter BARING, terzo segretario; Rev. Robert LoFTUS ToTTENHAM, cappellano.

Grecia: Andrea·s CouNDURIOTIS, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Gheorghis SALACHAS, segretario.

Nicamgua: Tommaso DE FRANco, ministro plenipotenziario (residente a Parigi).

Paesi Bassi: Mauritius lKHR HELDEWIER, ministro residente.

Perù: Andreas CALDERON Y ALVARES, incaricato d'affari.

Portogallo: visconte José FERREIRA BoRGES DE CASTRO, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; visconte A. E. DE LANCASTRE Y SALDANHA, primo segretario.

Prussia ed Impero di Germania: conte Anton Maria Josef BRASSIER DE S. SIMON, inviato straordinario e ministro plenipoten?:iario; conte Ludwig VoN WEsDEHLEN, consigliere; maggiore Gustav VoN AsPERG, addetto; maggiore VoN LATTRE, addetto militare.

Russia: barone DI UxKULL-GYLLENBANDT, inviato ,straordinario e ministro plenipotenziario; GLINKA, primo segretario; Mikail OGAREV, secondo segretario; conte Aieksandr DI BENKENDORF, addetto; maggior generale DE RicHTER, addetto militare; colonnello NECAEV, addetto militare.

San Salvador e San Domingo: Giulio THIRION DE MoNTAUBAN, ministro plenipotenziario (residente a Parigi).

Sassonia Reale: barone Albin Leo VoN SEEBACH, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Parigi).

Spagna: Don Francisco da Paola DE MoNTEMAR, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; don Alberto BALLESTERos, primo ,segretario; don José RICA Y CALVo, segretario; don Fernando PIZZARRO, addetto; visconte Edoardo SUSINI, addetto.

Stati Uniti d'America: George PERKINS MARSH, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; George W. WuRTS, segretario.

Svezia e Norvegia: Conte Carl Edward PIPER, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Gregor D'AMINOFF, segretario.

Svizzera: Giovan Battista PIODA, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Luigi PIODA, segretario; Gabriele BRUN, addetto.

Turchia: PHOTIADES bey, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CHRYSSIDI effendi, primo segretario; lTALIL bey, secondo segretario.

Wilrtemberg: Barone Maximilian Adolf VoN Ow, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.